Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

mercoledì 12 ottobre 2022

DULCE BELLUM INEXPERTIS..

 


                                                  di Carlo Felici


Ci capita ancora di vedere il famoso motto di Orazio sopra alcuni monumenti, specialmente quelli eretti per celebrare gesta o caduti della Grande Guerra, l'ultima del nostro Risorgimento: “Dulce et decorum est pro Patria mori”: dolce e onorevole è morire per la Patria. Un monito e allo stesso tempo un tributo, perché è implicito il messaggio che per la Patria si può e si deve morire e anche il fatto che, facendolo, ci si ricopre di onore e si ha diritto ad una memoria imperitura, come per esempio quella del “milite ignoto”, le cui spoglie sono racchiuse nel più grande monumento che sia stato realizzato dall'unità d'Italia in poi.

Ma oggi questo motto ha ancora una sua valenza? Può ancora essere applicato alle guerre che sono tuttora in corso e, in particolare, a quella in Ucraina?

In quel martoriato paese, già da parecchi anni c'è chi considera la propria patria l'Ucraina separatasi e resasi indipendente dall'URSS, in nome di una collocazione euro-atlantica, ma ci sta pure chi considera ancora di avere come compatrioti i russi, che tanto hanno influenzato non solo ideologicamente, culturalmente e linguisticamente l'Ucraina, ma che sono la migliore garanzia che gli approvvigionamenti energetici e il mercato per lo scambio dei prodotti agricoli e minerari non verrà mai meno, per non parlare poi dell'ombrello nucleare

Stando così le cose, si vede bene che individuare i veri “patrioti” ucraini non è così semplice, come il manicheismo che ormai imperversa nei media italiani al motto di “ci sono aggressori e aggrediti” vorrebbe far credere, anche perché l'aggressione verso una parte consistente degli ucraini non è iniziata nel febbraio di quest'anno, ma nel lontano 2014, e non si è mai arrestata.

Se infatti riusciamo a vedere le cose sotto una prospettiva storica più ampia, dovremmo anche, facendo un riferimento alla nostra storia, considerare i movimenti irredentisti che ci hanno portato alla Grande Guerra, che tanto ha celebrato il motto oraziano. Quella immane carneficina fu infatti motivata dalla esigenza che popoli di lingua, cultura, e tradizione storica italiana, si staccassero da un impero che li soggiogava per riunirsi con quella che consideravano la loro madrepatria.

Ora, in Ucraina, cambia solo il rapporto di forze, ci sono stati e ci sono popoli ucraini che si sono sentiti e si sentono più russi che ucraini ed europei, negarlo sarebbe come negare una evidenza storica anche se i nostri media non ne parlano mai, perché ormai li bollano tutti come “collaborazionisti”, più o meno come facevano con noi gli austriaci durante la Grande Guerra.

La differenza sostanziale di civiltà, prima che di strategia bellica, è che noi su Vienna lanciammo solo volantini, mentre i russi spianano le città ucraine senza requie né pietà per la parte più debole della popolazione, avendo così trasformato rapidamente una guerra che poteva essere di liberazione per l'autodeterminazione di una parte degli ucraini, in una guerra atroce di occupazione e di annientamento per fini imperialistici, trovandosi inevitabilmente e giustamente di fronte all'opposizione di tutto il mondo occidentale, e dovendo anche ripiegare per l'efficacia delle armi e dell'addestramento fornito dal mondo occidentale agli ucraini, rapidamente trasformatisi da aggressori in aggrediti, da carnefici di una parte delle popolazioni del loro territorio, in vittime dei carnefici di tutto il loro territorio

Tanto che ora il movimento irredentista, se così lo vogliamo chiamare, non riguarda più il Donbass o la Crimea, ma tutta l'Ucraina rispetto alla Russia

Se Putin si fosse limitato a fornire armi e supporto logistico a quella parte dell'Ucraina che preferiva la Russia, senza tentare di invadere e piegare al suo volere l'intero Paese, ora non si troverebbe quasi con le spalle al muro, isolato da gran parte dei Paesi del mondo, e in condizione di minacciare continuamente il confronto nucleare per difendere il suo territorio

Perché il solo agitare questa minaccia vuol dire ammettere di essere sconfitto, di non potere tutelare i propri interessi nazionali se non minacciando un apocalisse che travolgerebbe tutto il mondo.

Putin con le spalle al muro, con una nomenklatura che gli rimprovera in continuazione di aver perso la faccia e lo esorta a provare a vedere cosa accade se usa armi atomiche tattiche, potrebbe dunque essere tentato di usarle, senza essere pienamente consapevole dell'abisso in cui trascinerebbe l'intera umanità.

Di qui l'urgenza di adottare un altro motto rispetto a quello oraziano inizialmente citato, e il più idoneo in queste circostanze ci appare quello di Erasmo da Rotterdam, che visse in un periodo in cui le fratricide guerre di religione erano all'ordine del giorno in Europa: “Dulce bellum inexpertis” che è molto significativo soprattutto per i fautori della guerra ad oltranza sia dalla prospettiva europea che da quella russa. La guerra può apparire dolce solo a chi non la conosce, solo a chi non ci si trova nel mezzo, solo a chi la osserva da dietro uno schermo mediatico filtrata da chi gliela fa vedere.

Chi invece la vede sul campo, capisce molto meglio che spesso i morti e l'accanimento disumano di una guerra travolge tutti, e che il manicheismo, tanto comodo politicamente tra “aggrediti e aggressori”, non è così semplice da riscontrare sul campo. Lo si scopre soprattutto a conflitto cessato, quando i fumi della propaganda si diradano e la storia si fa strada con i suoi ineludibili fatti. Lo abbiamo visto anche nella seconda guerra mondiale, con i bombardamenti come quello di Dresda, con la bomba atomica e persino con i crimini di una parte dei partigiani. Questo senza volere giustificare nulla e soprattutto senza stravolgere il discrimine tra chi, allora come oggi, ha torto o ha ragione.

La ragione della libertà infatti resta universale in ogni tempo e in ogni luogo ma lo è con la sua ineludibile verità solo se è indissolubile rispetto alla responsabilità, non si è liberi se non si è responsabili e non si può essere responsabili senza essere liberi. Questo binomio non vale solo per gli Stati, ma persino per ogni individuo che si affaccia alla vita e vuole crescervi con sempre maggiore consapevolezza

Siamo arrivati dunque ad un punto in cui la stessa libertà dell'Europa deve essere urgentemente coniugata con la responsabilità di questo continente di non dare origine all'ennesimo conflitto che da essa travolgerebbe il mondo intero

Di fronte a questo immane compito che appare come un imperativo categorico della civiltà stessa, dovrebbero giganteggiare i seri tentativi di arrivare ad un accordo di pace che veda entrambe le parti fare un passo indietro, senza irrigidirsi sulle posizioni che hanno originato il conflitto.

L'Ucraina dovrebbe riconoscere ampia autonomia (più o meno come noi abbiamo fatto con le zone alloglotte del nostro territorio) alle zone del Donbass e della Crimea, e la Russia cessare immediatamente il lancio di missili verso le città ucraine, iniziando un progressivo ritiro delle proprie truppe, dilazionato nel tempo, a seconda di come potranno essere garantiti i diritti delle popolazioni russofone, anche lasciando che in quelle zone entrino contingenti ONU a verificare la situazione in quel territorio. Contingenti che avrebbero dovuto costituire una forza di interposizione in Ucraina, come in Libano, già dal 2014

La situazione paradossale attualmente è che l'Europa sta sprofondando nelle sabbie mobili della recessione per la sua sostanziale inerzia diplomatica, mentre un Paese che l'Europa tuttora esclude dalla sua comunità: la Turchia si rivela come maggiore artefice degli sforzi diplomatici per raggiungere almeno una tregua

A questo si aggiunge il fatto che chiunque provi a manifestare per una pace che, in un mondo afflitto da sovrappopolazione, squilibri crescenti di tipo economico, disastri ambientali e penuria di risorse, dovrebbe essere la base fondante e indiscutibile di una nuova civiltà planetaria, diventa “amico del nemico”, in nome dei torti e delle ragioni, non dell'umanità tutta, ma degli ennesimi contrapposti nazionalismi che hanno ridotto già in macerie l'Europa per ben due volte.

C'è un deficit di cultura alla base di tutto questo, la riduzione di popoli a trogloditi mediatici, i quali, anziché leggere, studiare e meditare sul loro passato e presente per preservare il futuro dagli errori di sempre, restano incollati alla TV e alla parete ormai personalizzata e portatile della caverna platonica dove vengono proiettate le ombre di una verità che diventa sempre più ineffabile e lontana, fino quasi ad essere interpretata come nemica, mentre il nemico numero uno resta sempre la incapacità e l'inerzia di potere interpretare correttamente il proprio tempo, uscendo dalle ombre dei condizionamenti mediatici e politici che poi hanno sempre una ragione economica.

Ecco quindi che a spiegare il motto erasmiano e in particolare la parola “inexpertis”, che potremmo tradurre adeguatamente con “inconsapevoli”, ci viene incontro lo stesso Platone quando dice: “non sono gli occhi a vedere, ma noi a vedere attraverso gli occhi”. Attenti dunque a vedere solo quello che “ci fanno vedere” per non annichilire il “noi” mediante il “loro”, da qualsiasi parte provenga, restando così profondamente inconsapevoli.

E' soprattutto attenti a “vedere” la pace e la necessità di manifestare per essa non con una colorazione politica, ideologica, economica o quant'altro, ma come l'unica occasione di sopravvivenza, l'unica medicina possibile per una umanità che si ostina a non voler imparare dalla propria storia, fino a rischiare seriamente di autodistruggersi. Senza che qualsiasi specie vivente che sopravviva alla sua estinzione possa provare un minimo di rimpianto per la scomparsa degli uomini dall'universo.

La frase di Erasmo infatti ha un seguito..“ Dulce bellum inexpertis, expertus metuit” Chi davvero conosce la guerra da vicino la teme più di ogni altra cosa. Quando non la temeremo più vorrà dire che saremo estinti, con buona pace della natura e di tutte le altre sue creature.


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