Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

martedì 26 febbraio 2013

Non nominare mai il nome della Rivoluzione invano


Difficile fare un'analisi a caldo dei risultati elettorali senza lasciarsi trascinare dalle invettive catastrofiste oppure dal pessimismo autocommiserante, specialmente per certa sinistra residuale, ma ci proveremo, individuando innanzitutto un vincitore che nessuno pare focalizzare bene in queste ore, troppo indaffarati come siamo a parlare di tsunami, di terremoto o di macerie della seconda repubblica.
Molti dicono Grillo, ed è del tutto evidente che lo si era sottovalutato (anche il sottoscritto lo aveva fatto ed è primo a scusarsene), altri dicono Berlusconi, che si è giocato il tutto per tutto e che però, avrà solo la soddisfazione di dire ai suoi che, senza di lui, e ovviamente i suoi soldi, la sconfitta del centrodestra sarebbe stata una catastrofe.
Ma io dico Vendola, perché, in effetti, nonostante il suo risicato 3% che ormai perdura da anni e non scende né sale in misura cospicua, egli potrà senz'altro reclamare il merito di non aver fatto sprofondare il PD nella fossa più buia della sua storia, una fossa che senza la vittoria molto risicata alla Camera e, almeno nei numeri, anche al Senato, dove però non esiste premio di maggioranza e il meccanismo della lex ad porcum penalizza addirittura anche chi prende più voti, ebbene, senza tutto ciò, lo avrebbe sepolto definitivamente.
Vendola ora potrà dire a testa alta, non solo al PD e al centrosinistra tutto: “Senza di me sarebbe stato il diluvio”, ma anche alla sinistra dei suoi ex compagni rifondaroli: “Vedete? La sinistra sono “io”, perché io solo l'ho portata in Parlamento”
Sarà forse quella di un “solicello” pallido ed invernale la sua, non certo quella sfolgorante di un sole dell'avvenire estivo, però..però...a chi gli dice “forchettone rosso” potrà sempre replicare...”intanto vediamo i maccheroni”..
L'Italia odierna è ingovernabile solo per le prefiche inossidabili, quelle vecchie cariatidi del servilismo politico in salsa autoreferenziale e burocratese. L'Italia oggi, invece, ha una straordinaria opportunità di cambiamento, anche perché Grillo non si lascerà certo sfuggire la possibilità di dare sonori “schiaffoni educativi”...quelli che tanto disprezziamo a scuola, in famiglia e nella giustizia ordinaria, ma poi, caso strano, reclamiamo a gran voce in politica.
In fondo lo ha già dimostrato a Parma e in Sicilia, anche se non sempre i suoi risultati sono stati corrispondenti alle aspettative, anzi, le delusioni in ambito locale, per lui stanno già arrivando, ragione per cui dovrà stare molto attento, sia a non strillare a vuoto, sia a non compromettersi troppo in abbracci mortali.
E' un uomo intelligente, questo è fuori di ogni dubbio, e il suo grande merito, in fondo, resta quello di avere saputo revisionare un modello di politica antichissimo, risalente non solo al XIX secolo, ma addirittura a duemila anni fa: quello dei tribuni della plebe, dell'agorà, il metodo del comizio, ma un comizio debitamente “aggiornato” e reso compatibile con la società dei media e dello spettacolo.
Miscela vincente per un popolo abituato da millenni alle suggestioni spettacolari, più che ai ragionamenti, alle ideologie, oppure alla cultura politica.
Può essere un fenomeno effimero, oppure il preludio di un cambiamento epocale, e non solo in Italia ma persino in Europa. Non sarebbe la prima volta per un paese assai straordinario, pur nelle sue “stranezze”, come l'Italia. Per questo aspettiamoci subito una grossa “cintura sanitaria” intorno a lui da parte dei soliti e stranoti poteri molto forti, non solo in casa nostra, ma anche altrove.
Io però, uno che vorrebbe “abolire i sindacati” non lo vedo, sotto sotto, tanto inviso ai mercati. E non è nemmeno escluso che essi, quando lo vedranno remare a ritmo “sincopato” schizzino in alto quanto mai hanno fatto fino ad ora.. Quanto al fatto che i sindacati saranno davvero aboliti, bisognerà più che altro soprattutto vedere quanto sforzo faranno da soli per portare a compimento, di fatto, questo compito, ingiallendo oltre misura.
La questione è che in questa Italia, da secoli “serva e di dolore ostello, non donna di province ma bordello”, ci meriteremo di più che un'attesa da giochi di prestigio della politica, ci meriteremmo un po' di sicurezza, di speranza e di futuro, non solo per i condannati all'esodo biblico nel mar rosso delle lacrime e sangue, per i suicidati da emarginazione, da fallimento, e da precarietà endemica, per i pensionati su cui si è scaricato prima il costo dell'ammortizzazione sociale permanente e adesso addirittura quello della crisi a pagamento unico, ma, in particolare, per quei giovani a cui, la casta fallimentare ha scippato il futuro e la speranza. Sono loro, in particolare, gli artefici di questo tsunami, in fondo per ora piuttosto incruento, le cui vittime illustri sono in primis i vari Di Pietro, Casini, Monti, Diliberto, Orlando, Fini, ecc...insomma tutte quelle vecchie cariatidi sempre pronte a fare il “loro prezzo” per una merce abbondantemente avariata. E voi dite che almeno un pochino il “bordello” non si è allontanato?
E voi dite che non è questa una “rivoluzione” assai più “civile” che portare tale museo degli “orrori” di nuovo in Parlamento?
Ecco, forse dovremmo abituarci a proposito della cosiddetta “rivoluzione” ad applicare nei suoi confronti il metodo del comandamento mosaico: “mai nominare il suo nome invano”
E chissà che non ce la ritroveremo sotto gli occhi senza quasi nemmeno accorgercene.
C.F.

mercoledì 20 febbraio 2013

Il riscatto della categoria "spirito"



Leonardo Boff, teologo-filosofo


Nella cultura attuale la parola "spirito" ha perso considerazione su due fronti: nella cultura dei letterati e nella cultura popolare. Nella cultura dominante fra letterati, "spirito" è ciò che si oppone a materia. La Materia sappiamo tutti più o meno quello che è, perché può essere misurata, pesata, manipolata e trasformata, mentre «spirito» si trova nel campo dell'intoccabile, dell'indefinito, e persino del nebuloso. La materia è la parola-fonte di valori assiali dell'esperienza umana degli ultimi secoli. La scienza moderna si costruisce sull'investigazione e sul dominio della materia. È penetrata fino alle sue ultime dimensioni, fino alle particelle elementari, fino al campo di Higgs, dentro al quale sarebbe avvenuta la prima condensa dell'energia originaria in materia: i tanto ricercati bosoni e hadrioni e la cosiddetta "particella di Dio". Einstein ha dimostrato che  materia e energia sono equipollenti. La materia non esiste. È energia altamente condensata e un campo ricchissimo di interazioni.

I valori spirituali, nell'accezione moderna convenzionale, sono situati nella super-struttura e non stanno negli schemi scientifici. Il loro posto è il mondo della soggettività, abbandonati all'arbitrio di ciascuno o a gruppi religiosi. Esprimendo in questo modo un po' grottesco, ma neanche tanto, possiamo dire insieme a José Comblin, grande specialista su questo argomento: «Quando si parla di "valori spirituali", tutti immaginano che sta parlando un borghese, in una riunione del Rotary o dei Lions Clubs, al termine di una cena abbondante, accompagnata da vini o gli è servita con piatti sopraffini; per il popolo in generale l'espressione "valori spirituali" equivale a "parole belle ma vuote".

Oppure appartiene al repertorio del discorso ecclesiastico moraleggiante, spiritualizzate e in relazione ostile con il mondo moderno. Perciò, l'espressione "valori spirituali” nasce con più frequenza nella bocca di preti e vescovi conservatori. Da loro sentiamo ad ogni istante che la crisi del mondo contemporaneo risiede fondamentalmente nell'abbandono del mondo spirituale: la non frequenza alla messa e di qualche altra pratica esplicita comandata dalla Chiesa gerarchica. Ma con gli scandali avvenuti negli ultimi tempi che hanno coinvolto preti pedofili e con gli scandali finanziari legati alla Banca vaticana, il discorso ufficiale dei "valori spirituali" ha perso molta della sua efficacia. Non ha perso valore, ma l'autorità ufficiale che li propone ha pochissimo ascolto. Nella cultura popolare, la parola "spirito" possiede una grande forza. Essa traduce una certa concezione magica del mondo a dispetto della razionalità appresa a scuola. Per grande parte del popolo specialmente per quelli influenzati dalla cultura afro brasiliana e indigena, il mondo è abitato da spiriti cattivi e spiriti buoni che intervengono in precise situazioni della vita come la salute e della malattia, la vita affettiva, i successi e i fallimenti, la buona e la cattiva sorte. Lo spiritismo ha codificato questa visione del mondo con la vita di reincarnazione. Possiede più adepti di quello che noi sospettiamo.

Nel frattempo, negli ultimi decenni ci siamo resi conti che l'eccesso di razionalità in tutte le sfere e il consumismo esacerbato hanno generato saturazione esistenziale e anche molte delusioni. La felicità non si trova nella materialità delle cose ma in dimensioni legate al cuore, all'affetto, alle relazioni di amore, di solidarietà e di compassione. Da tutte le parti, si ricercano esperienze spirituali nuove, cioè sensi di vita che vadano al di là degli interessi immediati della lotta quotidiana per sopravvivere. Essi aprono una prospettiva di illuminazione e di speranza in mezzo al mercato delle idee e a proposte convenzionali, veicolate attraverso i mezzi di comunicazione e anche dalle cosiddette "istituzioni del senso" che sono le religioni, le chiese e le filosofie di vita. Queste sono diventate forti attraverso i programmi di TV e dei grandi show  religiosi che obbediscono alla logica della spettacolarizzazione massiva e che, proprio per questo, si allontanano dal carattere reverente e sacro di tutta la religiosità. In una società di mercato, la religione e la spiritualità si sono trasformate pure in  merci a disposizione del consumo generale. E rendono molto denaro.

Nonostante la riferita mercantilizzazione del religioso, il mondo spirituale ha cominciato a guadagnare un suo fascino sia pure nella maggior parte dei casi in forma di esoterismo e di letteratura da autodidatti. Anche così esso ha aperto una breccia nella profanità del mondo e nel carattere grigio della società di massa. Negli ambienti cristiani sono emerse le chiese pentecostali, i movimenti carismatici e la centralità della figura dello Spirito. Questi fenomeni suppongono un riscatto della categoria "spirito" nel senso positivo e perfino anti-sistemico. Lo "spirito" costituisce un referente saldo e non sarà più sospettato dalla critica della modernità che solo accettava quello che passava al vaglio della ragione.

Il caso è che la ragione non è tutto e non spiega tutto. C'è l'irrazionale e l'arazionale. Nell'essere umano c'è l'universo della passione, dell’affetto e del sentimento che si esprime attraverso l'intelligenza cordiale e emozionale. Lo spirito non si rifiuta alla ragione, anzi, ha bisogno di lei. Ma va oltre, inglobando la su un piano più alto che ha a che vedere con l'intelligenza, la contemplazione e il senso superiore della vita della storia. In termini della nuova cosmologia, e esso sarebbe antico quanto l'universo, questo pure portatore di spirito. L'era dello spirito?

Uscirà per i tipi della Vozes, dell’autore: Fuoco dal cielo: Lo Spirito Santo nell’universo, nell’umanità, nelle Chiese e nelle religioni, 2013.

Traduzione: Romano Baraglia
romanobaraglia@gmail.com

lunedì 18 febbraio 2013

Che papa dobbiamo sperare, che non sia un Benedetto XVII?



Intervista a Leonardo Boff

Come ha ricevuto la rinuncia di Benedetto XVI?

R. Fin dal principio mi faceva tanta pena, perché, per quello che io conoscevo, specialmente a causa della sua timidezza, immaginavo lo sforzo che doveva fare per salutare il popolo, salutare le persone, baciare bambini. Avevo la certezza che un giorno lui avrebbe approfittato di qualche occasione sensata, come i limiti fisici della sua salute e il minore vigore mentale per rinunciare.
Anche se ha dimostrato di essere un Papa autoritario, non era attaccato alla poltrona. Io mi sono sentito alleggerito perché la Chiesa era senza leadership spirituale che risveglia speranza e coraggio. Abbiamo bisogno di un diverso profilo di Papa più pastore che  professore, non un uomo della istituzione-Chiesa, ma un rappresentante di Gesù che ha detto: "se qualcuno viene da me io non  lo mando via" (Gv. 6,37), che sia omosessuale,prostituta, transessuale.

2. Com’è la personalità dei Benedetto 16º, visto che lei ha vantato una certa amicizia con lui?

R. Ho conosciuto Benedetto 16º nei miei anni di studio in Germania tra il 1965-1970. Sono andato a sentire molte conferenze sue ma io non sono stato suo alunno. Lui ha letto la mia tese di dottorato: “ Il posto della Chiesa nel mondo secolarizzato” e gli è piaciuta  al punto che ha trovato un’editrice disposta a pubblicarla, un malloppone di più di 500 pagine. In seguito abbiamo lavorato insieme nella rivista internazionale “Concilium”. Gli editori si riunivano tutti gli anni la settimana di Pentecoste  in qualche posto in Europa. Io curavo le edizioni in portoghese. Tra il 1975-1180. Mentre gli altri facevano la siesta, io e lui si passeggiava e si conversava discutendo temi di teologia, oppure si parlava della fede in America Latina, o si commentava San Bonaventura e Sant’Agostino, materie in cui lui è specialista e io a tutt’oggi li consulto spessissimo.  Dopo, dal 1984, siamo entrati in un momento conflittuale. Lui come mio giudice al processo dell’ex Santo Uffizio, mosso contro il mio libro «Chiesa: carisma e potere» (Vozes, 1981). Lì dovetti sedermi sul seggiolino dove Galileo Galilei e Giordano Bruno tra gli altri, si erano seduti.

Mi impose un periodo di “silenzio rispettoso”; dovetti lasciare la cattedra mi si proibì di pubblicare qualsiasi cosa.

Come persona, è ‘finissimo’ timido ed estremamente intelligente.

3. Lui come cardinale è stato il suo inquisitore dopo essere stato suo amico: come vedeva questa situazione?

 R. Quando lui è stato nominato presidente della Congregazione per la dottrina della fede (ex Santo Offizio), io ne fui profondamente felice. Pensavo tra me e me: finalmente avremo un teologo alla guida di una istituzione che ha la fama più brutta che si possa immaginare. Quindici giorni dopo mi rispose, ringraziando e disse: vedo qui nella Congregazione varie pendenze a suo riguardo e dobbiamo risolverle subito.

Il fatto è che praticamente a ogni libro che pubblicavo venivano da Roma domande di chiarificazione alle quali io tardavo a rispondere. Nulla viene da Roma se prima non è stato inviato a Roma. Avevamo qui dei vescovi conservatori e persecutori di teologi della liberazione che inviavano le lamentele della loro ignoranza teologica a Roma col pretesto che la mia teologia poteva far male ai fedeli. A questo punto io mi resi conto: ormai gli lui è stato contaminato dal bacillo romano che fa sì che tutti quelli che lavorano lì in Vaticano rapidamente trovino mille  ragioni per essere moderati e persino conservatori. Così rimasi, più che sorpreso, veramente deluso.

4. Lei come ha ricevuto la punizione del “silenzio rispettoso”?

R. Dopo l’interrogatorio e la lettura della mia difesa scritta che compare come appendice nella nuova edizione di «Chiesa: carisma e potere (Record), 2008» ci sono 15 cardinali che opinano e decidono. Ratzinger è soltanto uno di loro. Dopo sottomettono la decisione al Papa. Credo che fu un voto a favore perché conosceva altri libri miei di teologia, tradotti in tedesco e mi aveva detto che gli erano piaciuti, finché, una volta, davanti al Papa in una udienza a Roma fece un riferimento e li elogiò.

Io ricevetti il “silenzio rispettoso” come un cristiano legato alla Chiesa farebbe: con tutta calma lo accolsi. Ricordo che disse: “È meglio camminare con la Chiesa che  con la mia  teologia, ma da solo”. Per me fu relativamente facile accettare l’imposizione perché la presidenza della CNBB mi aveva sempre appoggiato e due cardinali, Dom Aloysio Lorscheider e Dom Paolo Evaristo Arns mi accompagnarono a Roma e parteciparono, in un scondo tempo, al dialogo con il cardinale Ratzinger e con me. Eravamo tre contro uno. Qualche volta mettemmo cardinale Ratzinger a disagio perché i cardinali brasiliani lo rassicuravano che le critiche contro la teologia della liberazione che lui aveva fatto in un documento uscito recentemente erano l’eco dei detrattori, non un’analisi obiettiva. E chiesero un nuovo documento positivo; raccolse l’idea è realmente lo fece due anni dopo. E persino chiesero a me e al mio fratello teologo  Clodovis, che stava a Roma, che scrivessimo uno schema e lo consegnassimo alla Sacra Congregazione. In un giorno e una notte lo scrivemmo e lo consegnammo.

5. Lei ha lasciato la Chiesa nel 1992. Ha conservato qualche dispiacere di tutto questo affaire in Vaticano?

R. Io non ho mai lasciato la Chiesa. Ho lasciato una funzione dentro ad essa, quella di prete. Ho continuato come teologo e professore di teologia in varie cattedre qui e fuori del paese. Coloro che comprendono la logica di un sistema autoritario e chiuso, che poco si apre al mondo, e non coltiva il dialogo e lo scambio (i sistemi viventi vivono nella misura in cui si aprono e scambiano) sanno che se  qualcuno, come me, non si allinea totalmente a tale sistema, sarà vigilato, controllato ed eventualmente punito. Somiglia al regime di Sicurezza Nazionale che abbiamo conosciuto in America latina sotto i regimi militari, in Brasile, in Argentina, in Cile e in Uruguay. Dentro questa logica l’allora presidente della Congregazione della Dottrina della Fede (ex-Santo Uffizio, ex-Inquisizione), il cardinale J.Ratzinger condannò, obbligò al silenzio, privò della cattedra o trasferì più di 100 teologi. In Brasile siamo stati due: la teologa Ivone Gebara e io. Per intendere la suddetta logica, e lamentela, so che quelli sono condannati, poi fanno quello che fanno, con la maggiore determinazione. Ma come diceva Biagio Pascal: “Mai il male viene fatto così bene come quando si fa con buona volontà”. Solamente che questa buona-volontà non è buona, perché crea vittime. Io non conservo nessuna amarezza e nessun risentimento, anzi ho provato compassione e misericordia per quelli che si muovono dentro questa logica, che a mio modo di vedere dista anni luce  dalla pratica di Gesù. Tra l’altro son cose del secolo passato, già passato. E cerco di evitare di tornare indietro a quel tempo.

6. Lei come valuta il pontificato di Benedetto 16º? Ha saputo governare le crisi interne ed esterne della Chiesa?

R. Benedetto 16º è stato un eminente teologo ma un Papa frustrato. Non aveva il carisma per dirigere, e animare la comunità, come invece l’aveva Giovanni Paolo II. Purtroppo il suo sarà marchiato, in forma  riduttiva, come il papato in cui  proliferavano i pedofili, quando gli omosessuali non erano riconosciuti e le donne erano umiliate come negli Stati Uniti, con la negazione di cittadinanza a una teologia fatta partire dal genere. E anche e in generale, nella storia, come il Papa che ha censurato pesantemente la Teologia della Liberazione, interpretata alla luce dei suoi detrattori, e non alla luce delle pratiche pastorali  liberatrici di vescovi, preti, teologi, religiosi, religiose e laici che avevano fatto una seria opzione per i poveri contro la povertà e a favore della vita e della libertà e per questo motivo giusto e nobile furono incompresi dai loro fratelli nella fede, e molti di loro furono presi, torturati e uccisi dagli organi di sicurezza dello Stato militare. Tra loro c’erano vescovi come Dom Angelelli, in Argentina e Dom Oscar Romero a El Salvador. Dom Helder fu il martire che non ammazzarono. Ma la Chiesa è più grande dei suoi papi ed essa continuerà, tra ombre e luci, a prestare un servizio all’umanità, nel senso di mantenere viva la memoria di Gesù, di offrire una fonte possibile di senso della vita, che va al di là di questa vita.

Oggi sappiamo da Vatileaks che dentro alla curia romana si ingaggia una feroce disputa per il potere, specialmente tra l’attuale segretario di Stato Bertone e l’emerito ex-segretario Sodano. Tutti e due hanno i loro alleati. Bertone, approfittando dei limiti del Papa, ha praticamente messo in piedi un governo parallelo. Gli scandali dei documenti segreti trafugati dalla scrivania del Papa e della Banca vaticana, usata dai miliardari italiani, alcuni mafiosi, per lavare denaro sporco e mandarlo all’estero, hanno scosso molto il Papa. Lui è andato a poco a poco isolandosi sempre di più. La sua rinuncia è dovuta ai limiti dell’età e agli acciacchi, ma aggravata da queste crisi interne che lo hanno indebolito e che lui non ha saputo o potuto stroncare a tempo.

7. Il papa Giovanni XXIII disse che la Chiesa non può diventare un museo, ma deve essere una casa con porte e finestre aperte. Lei pensa che Benedetto 16º non ha tentato ancora una volta di trasformare la Chiesa in qualcosa come un museo?

R. Benedetto XVI è un nostalgico della sintesi medievale. Lui ha reintrodotto il latino nella messa, ha scelto  paramenti e guardaroba su modelli rinascimentali  e di altri periodi del passato, ha mantenuto abiti e cerimonie di palazzo; a quelli a cui dava la comunione, offriva innanzitutto l’anello papale da baciare e dopo dava l’Ostia cosa che non si faceva più da tempo. La sua visione era di tipo restaurativo e nostalgico di una sintesi tra cultura e fede come esiste molto visibile nella sua terra natale, la Baviera, cosa che esplicitamente commentava. Quando nell’università dove lui ha studiato, e io pure, a Monaco, vide un manifesto che annunciava me come professore visitatore per fare lezioni sulle nuove frontiere della teologia della liberazione chiese al rettore che rimandasse sine die l’invito già accettato. I suoi idoli teologici sono Sant’Agostino e San Bonaventura che mantennero sempre una sfiducia su tutto quello che veniva dal mondo, contaminato dal peccato e  bisognoso di essere riscattato dalla Chiesa. È una delle ragioni che spiegano la sua opposizione alla modernità che la vede sotto l’ottica del secolarismo e del relativismo e fuori dal campo dell’influenza del cristianesimo che ha aiutato a formare l’Europa.

8. La Chiesa cambierà, secondo lei, la dottrina sull’uso del preservativo e in generale la morale sessuale?

R. La Chiesa dovrà mantenere le sue convinzioni, alcune che  stima irrinunciabili come la questione dell’aborto e della non manipolazione della vita. Ma dovrebbe rinunciare allo status di esclusività come se fosse l’unica portatrice di verità. E deve intendersi dentro lo spazio democratico, nel quale la sua voce si fa sentire insieme ad altre voci. Così le rispetta e perfino si dispone a imparare da loro. E quando viene sconfitta nei suoi punti di vista, dovrebbe offrire loro la sua esperienza e tradizione per migliorare fin dove possibile e rendere più leggero il peso dell’esistenza. In fondo essa, la sua  voce, ha bisogno di essere più umana, umile per avere più fede, nel senso di non avere paura. Quello che si oppone alla fede non è l’ateismo, ma la paura. La paura paralizza e isola le persone dalle altre persone. La Chiesa ha bisogno di camminare insieme all’umanità perché l’umanità è il vero popolo di Dio. Essa lo mostra più coscientemente ma non se ne appropria con esclusività.

9. Che cosa dovrebbe fare un futuro papa per evitare l’emigrazione di tanti fedeli verso altre chiese, specialmente verso le pentecostali?

R. Benedetto XVI ha frenato il rinnovamento della Chiesa incentivato dal concilio Vaticano Secondo. Lui non accetta che nella Chiesa ci siano rotture. Così ha preferito una visione lineare, rinforzando la tradizione. Ma avviene che la tradizione a partire dal secolo 18º e 19º, si oppose a tutte le conquiste moderne, della democrazia, della libertà religiosa e di altri diritti. Lui ha tentato di ridurre la Chiesa ha una fortezza contro queste modernità. E vedeva nel Vaticano Secondo il cavallo di Troia attraverso il quale i nemici sarebbero potuti entrare. Lui non ha rinnegato il Vaticano II  ma lo ha interpretato alla luce del Vaticano I completamente centrato sulla figura del Papa con un potere monarchico, assolutista e infallibile. Così si è prodotto una grande centralizzazione di tutto a Roma sotto la direzione del Papa che poveraccio, deve dirigere una popolazione cattolica della grandezza della Cina. Tale opzione ha portato grande conflitto nella Chiesa e perfino tra interi episcopati come quello tedesco e francese e ha contaminato l’atmosfera interna della Chiesa con sospetti, creazioni di gruppi, emigrazione di molti cattolici dalla comunità e con accuse di relativismo e di magistero parallelo. In altre parole nella Chiesa non si viveva più la fraternità franca e aperta, un focolare spirituale comune a tutti.

Il profilo del prossimo Papa, nel mio a mio modo di vedere, non dovrebbe essere di un uomo di potere o dell’istituzione. Dove c’è potere non esiste amore e sparisce la misericordia. Dovrebbe essere un pastore, vicino ai fedeli e a tutti gli esseri umani, poco importa la sua situazione morale e etnica e politica. Dovrebbe prendere come motto la frase di Gesù che ho già citato prima: «se qualcuno viene da me, io non lo manderò via», perché accoglieva tutti, da una prostituta come Maddalena fino al teologo come Nicodemo. Non dovrebbe essere un uomo dell’Occidente che ormai è visto come un accidente nella storia. Ma un uomo del vasto mondo globalizzato che sente la passione dei sofferenti e il grido della terra devastata dalla voracità consumista. Non dovrebbe essere un uomo di certezze, ma uno che stimolasse tutti a cercare i migliori sentieri.

Logicamente si rientrerebbe con il Vangelo ma senza lo spirito di far proseliti, con la coscienza che lo spirito arriva sempre prima del missionario e il verbo illumina tutti coloro che vengono a questo mondo, come dice l’evangelista San Giovanni. Dovrebbe  essere un uomo profondamente spirituale e aperto a tutti i sentieri religiosi per mantenere viva tutti insieme la fiamma sacra che esiste in ogni persona: la misteriosa presenza di Dio. E infine un uomo di profonda bontà, sullo stile di papa Giovanni 23º, con tenerezza verso gli umili e con fermezza profetica per denunciare chi promuove l’accentramento e fa della violenza e della guerra strumenti di dominazione degli altri e del mondo.

Che negli accordi stipulati dai cardinali, in conclave e nelle tensioni  delle tendenze, prevalga un nome con un simile profilo. Come agisca lo spirito Santo lì dentro è un mistero. Lui lì non ha nessuna voce e nessun’altra testa che quella dei cardinali. Che lo Spirito non venga loro a mancare.

Traduzione: Romano Baraglia







sabato 16 febbraio 2013

Bagnare le radici


di Leonardo Boff


Nella vita sperimentiamo un paradosso curioso: quanto più avanziamo in età, tanto più regrediamo ai tempi dell’infanzia. Pare che la vita ci inviti a unire i due estremi e cominciare a fare la sintesi finale. O chissà, il tramonto della vita con la perdita inevitabile di vitalità e i limiti non circoscrivibili di quest’ultima fase, inconsciamente ci portano a cercare un appoggio là dove tutto è iniziato. La stanca esistenza viene a bagnare le radici in quegli inizi di anni passati per tentare ancora una volta di ringiovanire e arrivare bene alla traversata finale.
È quello che è successo a me in questa prima settimana di febbraio. Sono tornato alla terra, alle vecchie terre (“terre vecchie”, come diciamo in famiglia): Concordia, nella regione interna dello Stato di Santa Catarina. La città e quelle vicine sono conosciute in tutto il Brasile per i loro prodotti: chi non ha comprato polli della Sadia di Concordia, prosciutto della Perdigão di Herval do Oeste, salami di Aurora di Chapecó e salsicce della Seara? Questi depositi di carni in frigo distano pochi Km l’uno dall’altro. È una regione ricca, di contadini italiani, tedeschi e polacchi, luoghi dove, a quanto pare, il Brasile ha funzionato bene. Tutto è praticamente integrato, le case sono eleganti e colorate, il benessere generalizzato e non si conoscono favelas come quelle moltissime che circondano la maggioranza delle città del paese.
Innanzitutto abbiamo visitato i sopravvissuti della famiglia. Da parte di mia madre, solo una zia carica di anni e di dolori, dal lato di mio padre, più nessuno. Restano cugini e cugine. La maggioranza è andata nelle città, uno lavora a Montreal, come creatore di giochi Internet, un altro è diplomatico, gli altri in professioni liberali. Alcuni sono rimasti sul posto.
Poi abbiamo visitato i luoghi cari dell’infanzia: ogni collinetta ogni curva della strada ogni salita o discesa e vasti orizzonti da tutte le parti si intravedono le montagne di Rio Grande do sul e gli altopiani di Campos Gerais di Santa Caterina. Lo sguardo infantile esagera nelle proporzioni. Quello che a noi sembrava una salita faticosa e ripida, non è più che una semplice discesa o salita. I monti immensi sono soltanto colline. ma sono rimaste uguali le profonde conche, pietre da ogni parte che rendevano penoso il lavoro dei contadini: la coltivazione del grano e del granoturco. Le viti così abbondanti, pergolati e filari in ogni casa in pratica sono scomparse, siccome il vino di qualità è diventato accessibile.
Qui noi ci sentiamo parte di quel paesaggio, qui stanno le nostre radici il luogo a partire dal quale abbiamo cominciato ad alimentare sogni, a contemplare le stelle nelle fredde notti d’inverno e a prendere posto nel mondo. Curiosamente quando ho davanti agli occhi i luoghi ritenuti importanti come l’Assemblea generale del’ ONU o Harvard mi abbandono al tempo della pietra scheggiata da cui io sono venuto; rammento il ragazzotto scalzo e pieno di pulci del deserto, che io sono stato, alimentato con molta polenta e letture di libri a tempo e fuori tempo. Per quanto splendidi paesaggi io abbia avuto occasione di contemplare, nessuno è interiormente più bello di quello della mia infanzia. Perché essa è unica al mondo. Tutto quello che è unico nell’universo non torna mai a succedere e per questo è intrinsecamente bello.
Ma quello che mi marca ogni volta che visito i parenti sono le feste che improvvisano: si mangiano molti prodotti regionali “i radicci”, vari tipi di biscotti, dolci tedeschi, paste, formaggi e salami fatti in casa e immancabilmente carni da churrasco.
La maggioranza di quelli che sono rimasti nelle campagne hanno poca scolarizzazione: parlano un intreccio delizioso di dialetto veneto e di portoghese. La cantilena è la stessa, con forte accento italiano del quale io stesso mai mi sono liberato. Le mani ruvide per il lavoro e le facce marchiate dalla lotta per la vita fanno una forte impressione. Ed esiste tra tutti una benevolente cordialità da fare piangere. Gli abbracci sono da spezzare le costole e i baci delle cugine più anziane della nostra età, sono lunghi e schioccati. Qualcuna mi riporta perfino l’odore di mia madre, lo stesso sguardo, lo stesso modo di tener le mani sui fianchi. Chi resisterà all’emozione?
I tempi tornano all’inizio misterioso della camminata della vita. Ma dobbiamo proseguire. Essi ci accompagnano, stanno insieme a noi nel nostro cuore, adesso leggero e ringiovanito perché ha bagnato le radici nell’essenza della vita che sono il sangue, l’affetto, l’amore.

Traduzione: Romano Baraglia

mercoledì 13 febbraio 2013

Il cerchio dei pochi..ma non sempre buoni.


di Carlo Felici

L'atto dimissionario del pontefice della chiesa romana cattolica, o meglio, come si addice nel linguaggio che riguarda non solo un papa, ma anche un re, come di fatto egli è, anche se in maniera elettiva, la sua abdicazione, non ci interessa tanto per i suoi precedenti o per la sua specificità, ma di più per riflettere sullo stesso operato di Benedetto XVI.
In particolare, cercheremo di ripercorrere alcuni elementi della sua peculiarità  dottrinale, arrivando a quello che ci appare come il cuore del suo messaggio.
Per capire bene l’intento che sta alla base del significato dottrinale delle encicliche di questo pontefice, bisogna prendere in considerazione la coerenza dell’operato e degli scritti di questo Papa.


Non vi è nulla di nuovo infatti nelle sue recenti posizioni, o in quelle messe in atto durante il suo pontificato, che ribadiscono per altro dei principi già noti e più volte resi pubblici nei precedenti documenti ufficiali della Chiesa Cattolica.

Quel che a molti pare dunque un irrigidimento ed un ritorno indietro, è invece, dal punto di vista di Joseph Ratzinger, la diretta espressione di una continuità di fede e di pensiero già esplicitata fin dai suoi primi scritti.

La sua concezione della fraternità cristiana è ben nota già da uno dei suoi primi libri del 1958, e che reca appunto il medesimo titolo: “La fraternità cristiana.”

Egli vede la fraternità cristiana estrinsecarsi soprattutto nella comunità degli apostoli, piuttosto che nelle folle che seguirono Gesù e alle quali fu rivolto il suo insegnamento. Essa dunque si esprime nella fede e nell’operato di “pochi” al servizio di molti.
Egli dice esplicitamente nel suo scritto: “Stando alle parole del Signore i discepoli di Gesù rimarranno sempre “pochi” e si contrapporranno come tali alla massa, ai “molti” così come Gesù, l’uno, sta di fronte ai molti, vale a dire a tutta l’umanità”
Pochi son quelli che attraversano la porta stretta (Mt. 7,14). Pochi sono eletti (Mt.22,14) Piccolo è il gregge (Lc.12,32).

E’ vano dunque attendersi da questo Papa, che è così fermo nei suoi principi dottrinali, una sorta di evangelismo delle masse, che si badi, non era proprio nemmeno del precedente, poiché i riferimenti in fondo erano gli stessi, ma non invece il modo di esprimerli.
La stessa concezione dei due pontefici si può intendere nel rapporto dei pochi verso i molti e cioè nel servizio e nella testimonianza che il piccolo gregge dà ai molti che costituiscono le masse.
Però, mentre Giovanni Paolo II enfatizzava l’apertura ai molti, Benedetto XVI tende invece ad enfatizzare la purezza dei pochi, senza la quale non ci si può rivolgere ai molti, anzi si rischia di essere quasi contaminati da loro. E ciò è particolarmente vero in un contesto in cui i molti sono rappresentati dai mezzi di comunicazione di massa, i quali non fanno che accentuare la loro appartenenza ad un mondo rispetto al quale il cristiano non deve ritenersi posseduto
Ecco, io credo proprio che il cuore della spinta evangelica di questo Papa vada ricercato nella cura di rendere i pochi esenti dal rischio dell’appartenenza ad un mondo che sembra sempre più orientato verso una sorta di globalizzazione del pensiero unico mediatico.
Ciò è un rischio ed una grande sfida allo stesso tempo che torna a riproporci, a distanza di millenni, l’interrogativo sul perché i pochi abbiano a poco, a poco, convertito i molti, fino ad imporsi come guide.
E qui evidentemente torniamo all’origine di tutto e cioè alla croce, essa sola infatti resta il tramite trai pochi ed i molti, essa stessa è la porta stretta; allora come oggi, senza di essa, i pochi restano pochi ed i molti restano molti, indifferenti ed incommensurabili, però, gli uni agli altri. Senza di essa, la Chiesa sarebbe rimasta sempre una sorta di setta come tante se ne sono viste avvicendarsi ed anche permanere nei secoli, rigidamente endoteriche.

Ma la Chiesa, ecco il punto, porta ancora la sua croce? I pochi sono ancora quelli che si immolarono al seguito di Gesù, per rendergli testimonianza?
Certamente sì, anche se non sono loro però in molti casi a rivolgersi ai tanti, anzi quelli che lo fanno, che veramente si immolano, o trascorrono la loro vita nelle comunità crisitane di base, passano quasi inosservati e nascosti, persino da quei pochi che vorrebbero rivolgere la loro dottrina ai molti.
La loro santità resta misconosciuta come vediamo per esempio nel caso del vescovo Romero.
I pochi che si rivolgono ai molti solo nelle parrocchie, restano nella maggior parte dei casi confinatì nel loro piccolo "recinto", e non vanno in mezzo ai molti, e dei molti condividono poco o niente.
Giovanni Paolo Secondo ha preferito collocarsi tra quei pochi che sono sempre stati in mezzo ai molti, anzi i molti li ha cercati fin all’ultimo respiro, con una corrispondenza indissolubile tra popolo e suo “pastore” che ha reso necessaria e inevitabile la sua sovraesposizione, fino alla consunzione finale, metafora di una croce, dai profondi chiodi mediatici
Ecco Benedetto XVI ci è sembrato piuttosto rivolgersi ai molti, pur restando sempre tra i pochi e quindi inevitabilmente si è esposto ad essere meno efficace nella sua testimonianza, almeno sul piano mediatico, anche se, su quello filosofico e teologico, sarà solo la storia a dire quanto e come avrà potuto incidere nel cammino millenario della chiesa cattolica. Ma una vera testimonianza può limitarsi ad essere filosofica o mediatica?
Eppure egli scrive ne “La fraternità cristiana”: “Proprio quando è chiamata a soffrire per gli altri la Chiesa adempie la sua missione più intima, vale a dire lo scambio di destino con il fratello errante e ottiene così la sua nascosta riammissione nella figliolanza piena e nella piena fraternità”
Quanti sono infine quei pochi che ribadiscono con fermezza i principi dottrinali, e non con la sicumera del giusto, quanto piuttosto con la sofferta condivisione del cireneo?
Pochi? In realtà non lo sappiamo bene perché essi rischiano di essere, almeno nella concreta e visibile testimonianza, ancor meno, sempre di meno, tanto da risultare quasi invisibili.
Specialmente se si sa già a priori che i pochi non diventeranno mai molti, anche perché forse fa comodo che non siano granello di senape destinato a fruttificare, ma piuttosto piccolo ovile di un recinto dove le pecore sono già scappate e non è possibile riprenderle. E quindi è meglio che quelle rimaste restino lì, poche ma buone, a belare di saggezza ai tanti che restano fuori, a costringerli a seguire il loro belato, ma a distanza e senza raggiungerle mai.

Questo però può essere il passaggio più subdolo ed efficace della vera scristianizzazione
Perché il numero, nella concezione di questo papa abdicante, non conta mai veramente nella Chiesa “in base al suo numero esteriore essa non sarà mai pienamente cattolica, cioè non abbraccerà mai tutti, ma rimarrà in fondo piccolo gregge e lo rimarrà addirittura in misura maggiore di quanto la statistica lasci presagire, perché la statistica mente, quando cataloga come fratelli molti che in realtà sono semplicemente pseudoàdelphoi, cristiani solo di nome e in apparenza. Ma nella sua sofferenza e nel suo amore essa continua a stare sempre per i “molti”, per tutti. Nel suo amore e nel suo patire essa supera tutti i confini ed è veramente cattolica” (Ratzinger: La fratellanza cristiana)
Possiamo dunque supporre come il testo di questo pontefice lascia intendere, che ci siano “falsi fratelli”, ovvero coloro che non sono conformi pienamente alla dottrina della chiesa cattolica? O non è vero forse che i veri “fratelli nella fede” sono solo coloro che continuano un cammino di “metànoia”, di rovesciamento cioè della dimensione della “pochezza” di un vivere conformi a dettami, dottrine e catechismi, in nome di una concreta e oblativa capacità di accogliere l'altro nella sua immediatezza e specificità? Per essere cioè con l'altro “nel mondo” e non “del mondo”
Un mondo che, nella sua concupiscenza diabolica, può assumere le vesti del gran seduttore mediatico o anche quelle di una saggezza dottrinale calata dall'alto, magari assai ammirabile sul piano della “mondanità accademica”, ma assai povera e del tutto incapace di coprire situazioni spesso assai più meschine e corrotte, che non si superano certo né con le denunce e tanto meno con il rinnovamento gerarchico, ma con la pura, semplice e trasparente testimonianza.

Essa è sempre “apertura”, è quell' “effatà” che si disvela veritativamente nell'accoglienza dell'altro, fino al “supremamente Altro”, perché il cammino cristiano non è una salita ascetica a vette supreme, ma piuttosto una “kènosis”, uno spogliamento progressivo di tutte le sovrastrutture mentali, materiali e soprattutto dottrinali, che incrostano la nostra psiche e il nostro agire. Solo così, l'agàpe diventa amore condiviso e al tempo stesso pienezza del vivere, solo così la Resurrezione acquisisce, dopo quella Croce che si configura nell'assumere su di sé un destino che non è solo nostro ma anche quello che ci viene incontro con la prossimìa, specialmente del più povero e sofferente, la fisionomia della piena potenziazione della nostra capacità di essere pienamente umani, poiché totalmente disvelati alla meraviglia dell'infinito e dell'eternamente Altro.

Auguriamo quindi a questo papa che la sua "rinuncia" corrisponda a questa "kènosis"

Ma ecco dunque svelato il motivo vero per cui, nonostante i suoi sforzi, la Chiesa non arriva più tanto al cuore della gente, non viene capita nei suoi sforzi di evangelizzare con un amore esigente; il motivo è che non soffre e non ama abbastanza e “La messe è molta ma gli operai sono pochi…”
Che fare è nel seguito: “…pregate perciò il padrone della messe che mandi operai alla sua messe”
Operai capaci di amare, soffrire e soprattutto condividere.

La Grecia condotta fuori dall'euro


di Riccardo Achilli

"La Grecia deve uscire subito dall'euro e svalutare del 30-40%", dice oggi Hans-Werner Sinn. Hans-Werner Sinn non è uno qualsiasi. E' il direttore dell'IFO, prestigioso ente di ricerca tedesco, molto vicino alle posizioni politiche della Merkel e di Schaeuble, molto ascoltato negli ambienti governativi tedeschi. Esprime, al di là di un pietismo sempre fuori luogo nella bocca di un economista "di governo", il calcolo costi/benefici che i tedeschi stanno facendo circa la permanenza della Grecia nell'euro. Oramai l'economia greca è fallita, spremuta dalle ricette neoliberiste sostenute dallo stesso Sinn, il suo debito sovrano è fuori mercato, e non si sa quando potrà tornarvi, le sue potenzialità di crescita strutturale, cioè dal lato dell'offerta, distrutte: la posizione competitiva dell'industria greca sui mercati comunitari è diminuita del 12% fra fine 2010 ed inizio del 2013; l'indice di produzione dell'industria in senso lato, (ivi comprese le costruzioni, l'attività estrattiva e la distribuzione di elettricità e gas) a settembre 2012 è pari al 66,8% del suo livello nel 2005, in calo dal 77,3% di settembre 2010. 

In queste condizioni di default finanziario e di distruzione del suo apparato produttivo, la Grecia non può più dare niente, in termini di rimborso del suo debito estero ai suoi creditori, tanto che la Merkel ha già anticipato un nuovo haircut del debito sovrano greco nel 2014, dopo i due tagli che la Grecia ha già implementato nel 2011/2012 (l'ultimo dei quali mascherato da riacquisto di parte del debito sovrano a prezzi stracciati). A questo punto, per la Germania, meglio che la Grecia esca: il costo in termini di mancato rimborso del debito estero residuo è comunque inevitabile, anche se la Grecia resta, e d'altra parte si potranno risparmiare preziose risorse pubbliche a valere sugli aiuti erogati dall'ESM, per concentrarle sulle economie il cui fallimento sarebbe catastrofico (spagna ed Italia).

 Un abbandono brutale non è quello di cui avrebbe bisogno la Grecia. Un ulteriore biennio di recessione da fuoriuscita dall'euro, come da previsioni dell'IFO, sarebbe fatale per un'economia che è in recessione già da tre anni. finirebbe per distruggere completamente la base produttiva residua, e condurrebbe il Paese dritto dritto alla dichiarazione ufficiale di default, con l'impossibilità di rifinanziarsi sui mercati finanziari per decenni, e mettendolo costantemente sotto il ricatto dei suoi creditori esteri (come accade in Argentina, nonostante il fatto che l'Argentina abbia onorato il 93% del suo debito estero). La Grecia ha certamente bisogno di uscire dall'euro, ma nel contesto di una banda di oscillazione del suo tasso di cambio con l'euro che non consente svalutazioni superiori al 20%, onde evitare l'importazione di eccessiva inflazione, e rimanendo dentro i programmi di assistenza finanziaria della Ue, al fine di avere le risorse per continuare a onorare i suoi impegni finanziari, ed evitare una catastrofica dichiarazione ufficiale di default.Programmi che devono essere pensati come erogazioni a fondo perduto, e non prestiti, che vanno ad incrementare il debito pubblico del Paese. Ed ha bisogno di un programma pubblico di ricostruzione della sua domanda aggregata, operato attraverso le risorse della politica di coesione, iniziando da un riorientamento "keynesiano" delle risorse residue del ciclo 2007-2013 (visto che il tasso di spesa è soltanto del 20% circa, sui 26 Meuro disponibili per il Paese) in direzione di investimenti pubblici in infrastrutture ed Ict, nonché di programmi di assistenza finanziaria e trasferimenti di reddito alla popolazione. Ha poi bisogno di un haircut del debito estero, ed una moratoria di pagamento del debito estero residuo per almeno 10 anni. 

E' semplicemente immorale, dopo i sacrifici mostruosi imposti, dire alla Grecia "uscite e che Dio ve la mandi buona", come pensa di fare la Germania. L'Europa ha il dovere di assistere il Paese nel suo percorso di fuoriuscita dall'euro, nelle modalità che ho sopra indicato. Certo che la esplicita dichiarazione di fallimento dell'impostazione neoliberista che è contenuta nelle dichiarazioni di Sinn non potrà non avere conseguenze sul futuro: l'era dell'ossessione tedesca per l'austerità finanziaria ad ogni costo sta finendo, e si sta probabilmente aprendo una fase in cui si cercherà di bilanciare rigore e politiche di stimolo alla crescita. Solo Monti non lo ha capito. Occorrerebbe, per l'Italia, una forte capacità nazionale di negoziazione delle nuove condizioni di politica macroeconomica europea. Ma certo se il negoziatore sarà Bersani, insufflato dalle ossessioni personali di Monti, c'è poco da stare allegri.

sabato 9 febbraio 2013

SORTIRNE INSIEME



di Carlo Felici

Chi segue i miei interventi sa che non ho mai smesso di riferirmi ad una questione di cruciale importanza che è alla base della metastasi che sta divorando questo paese, fin quasi a minarne le basi costituzionali e la sua stessa unità nazionale: è la questione del lavoro ormai purtroppo indissolubile da una continua emorragia di risorse umane e di vite di imprenditori e lavoratori.
Oggi, paradossalmente, si muore per precarietà, mancanza o perdita di lavoro più al Nord che al Sud, e in particolare, in quella zona che, fino a qualche tempo fa, veniva descritta come una sorta di isola felice e di modello innovativo e propulsivo per l'economia italiana: nel Nord-Est.
Lì, infatti si è sviluppata da circa trenta anni, ma, analizzando bene la situazione, anche da molto prima, una forma particolare di economia produttiva, e cioè da quando il fascismo scardinò profondamente il sistema della cooperazione che si era prepotentemente affermato negli anni 1919-20, con il controllo delle Case del Popolo e delle Leghe di contadini e operai, e ad esso sostituì forzosamente un altro sistema di piccola imprenditoria, di mezzadria sotto ricatto padronale, ove fosse necessario, in ogni caso incentivando più la conduzione del piccolo padroncino, magari responsabile verso i suoi lavoratori, che un sistema produttivo basato su una struttura più grande di produzione, fondata su una contrattazione permanente e organizzata, o magari anche autogestita per stabilire orari di lavoro e salari. L'economia produttiva del “piccolo è bello perché è nostro”, fondata sul legame quasi famigliare e paternalistico tra imprenditore e lavoratore, non funziona più in un mondo scardinato dalla globalizzazione.
Ricordiamoci poi, che tutto ciò,allora, venne imposto con una guerra civile, a suon di bastonate, di omicidi, di devastazioni e di ricatti messi in opera con la metodologia della criminalità organizzata.
Perché ricordare tutto questo? Ebbene, perché Monti, pochi giorni fa, ha fatto riferimento proprio al 1921, e non a caso, accennando ad un Partito Democratico che alcuni vorrebbero complice ed artefice di tutti i mali ma che, invece, va seguito con molta attenzione nella sua prassi e sicuramente molto di più di un pifferaio magico dell'ultima ora come Grillo.
Bersani ha fatto una proposta significativa che è la premessa per rivedere tante altre misure che stanno stringendo il cappio intorno al collo degli italiani, in vista della loro balcanizzazione definitiva.
Bersani ha infatti dichiarato: “Se toccherà a noi, nel 2013, pagheremo gli arretrati alle aziende che hanno lavorato per la Pubblica Amministrazione per un importo pari a 10 miliardi di euro l’anno per 5 anni” Ciò comporterebbe la necessità di emettere Titoli di debito pubblico vincolati, per un totale di 50 miliardi di euro in 5 anni, per saldare i debiti delle P.A. nei confronti di molte piccole e medie imprese.
Questa, al di là dell'aria fritta su cui molti stanno facendo a gara per dimostrarsi i più esperti nel settore, mi pare effettivamente la proposta più ragionevole e concreta che un politico potesse fare in questa campagna elettorale, oltre, evidentemente, a quella su una forte riduzione dell'IMU sulla prima casa.
Molti non sanno, o forse non vogliono sapere infatti, che la maggior parte delle aziende bonsai, del Nord-Est, in cui il suicidio di massa sta dilagando, falliscono proprio perché lo Stato e gli enti locali, in particolare, sono insolventi nei loro confronti, nel senso che non pagano o pagano con forti ritardi, i servizi da essi erogati.
Con l'unico risultato che a permettersi di poter eseguire servizi in stato di insolvenza risultano essere solo aziende che hanno alle spalle magari ingenti capitali, provenienti da attività illecite, o comunque fuori controllo. Inutile aggiungere da chi e come esse possono essere controllate.
L'Europa, in ogni caso, tra le altre norme ha emanato una direttiva 2011/7 UE, la quale prevede che le Pubbliche Amministrazioni paghino le imprese entro 30-60 giorni al massimo. L’Italia l' ha recepita con il Dlgs 192/2012 e, con la Circolare del 23 gennaio 2013 ed ha dichiarito che le norme sui pagamenti valgono anche per il settore edile.
Il problema è come finanziare tale onere. Ma la soluzione sarebbe ottenuta per il 60% tagliando l’acquisto di cacciabombardieri F35, e per il 40% attingendo ai Fondi strutturali europei. Possiamo dire che questa sicuramente, nella situazione assai critica in cui ci troviamo, è una proposta concreta non solo fattibile, ma anche sicuramente in controtendenza, perché è del tutto evidente che una emissione di titoli farebbe nell'immediato aumentare il debito, ma porterebbe anche inevitabilmente a rimettere seriamente in discussione il capestro del fiscal compact.
La maggior parte del debito pubblico nostrano è in mano a banche e istituti finanziari che con tutta probabilità, non reggerebbero ad uno sforzo del genere se non in condizioni di pieno risanamento e di mancata esposizione a titoli tossici, non è escluso quindi che lo stesso PD, per acquisire maggior credibilità, abbia voluto avviare verso un profondo risanamento quella che molti definiscono una banca ad esso contigua: il Monte dei Paschi di Siena. I cui titoli, come sempre avviene quando si mette in opera una procedura del genere, prima vanno a picco e poi però volano, a tutto vantaggio di chi ha fiuto speculativo
Se dunque Monti che è “salito” in campo, proprio perché ha visto sfumare la prospettiva della Presidenza della Repubblica e avvicinarsi sempre di più lo spettro di una sua estromissione dalla futura Presidenza del Consiglio, a favore di Bersani che, anche se con margini di vantaggio minori, i sondaggi danno tuttora in testa, oggi entra a gamba tesa, evocando addirittura con toni berlusconiani l'origine comunista del PD, nel 1921, non è un caso. Vuol dire che anche il compassato professore può perdere le staffe.
Quelli che danno quindi per scontata l'intesa tra Monti e Bersani dopo le elezioni, a tutto svantaggio del secondo, a mio avviso prendono un sonoro abbaglio.
Monti non vuole che il debito aumenti di un centesimo, in ossequio a quella che è oggi la politica dominante della Germania in Europa, e indipendentemente da chi ha o non ha in mano il debito pubblico italiano.
Bersani invece conta proprio su un suo aumento parziale e a breve termine (sempre che in Europa glielo lascino fare) e, comunque, su Monti è stato piuttosto esplicito e lapidario: «Ognuno pensi ai poli suoi. Monti pensi alla sua coalizione. Ancora non ho visto la sua foto con Fini e Casini» Battute elettoralistiche destinate a svanire nel nulla, nel dopo voto? Può darsi, ma consideriamo quali potranno essere gli scenari futuri più probabili e sempre secondo l'andamento dei sondaggi..
Quello che fino ad ora era voto astensionista, probabilmente andrà all'ultimo demagogo di turno, pluridecorato con cinque stelle (in effetti per il suo mestiere è perfetto)
Chi voterà l'ultima falce e martello rimasta si immolerà sul ponte della nave come il capitano prima che affondi, dato che il quorum non sarà mai conseguito e quelli saranno tutti voti andati a mare.
Chi non voterà, farà la scelta di Celestino, definito da Dante: "colui che fece per viltade il gran rifiuto" egli non lo fece per viltade, lo sappiamo benissimo, ma con altrettanta certezza sappiamo che al suo posto andò Bonifacio VIII, con tutto quello che ne seguì..
Chi voterà la lista Ingroia che pare sia piuttosto lontana dal superare abbondantemente il 4%, di fatto, indebolendo Il PD al senato, non favorirà altro che il ricatto di Monti, qualora il PD non avrà forze sufficienti in quella sede per una maggioranza solida.
Chi voterà SEL invece, potrà cercare di vincolare l'operato del PD ad una direzione contraria a quella verso la quale Monti vorrebbe portarlo, quest'ultimo infatti ha dichiarato più volte che con Vendola non governerà mai.
L'unica prospettiva dunque che potrebbe riportarlo prepotentemente al potere sarebbe quella di un sostanziale pareggio delle forze politiche in campo, che metterebbe in evidenza i limiti già per altro noti da tempo di una legge porcata e illiberale che nessuno si è curato di cambiare. E proprio a questo pare che, in queste ultime settimane, di fatto, egli stia puntando.
E' del tutto evidente che un ritorno di Monti al potere sarebbe considerato da molti peggio di una ennesima vittoria berlusconiana, e sarebbe anche ingenuo sottovalutare le risorse dell'indomabile illusionismo del Cavaliere, che si sta inventando di tutto pur di accaparrarsi qualche percentuale di consensi in più: condono tombale, edilizio e fiscale, restituzione dell'IMU, e via dicendo, manca solo che prometta agli italiani e soprattutto alle italiane, di restituire loro la verginità perduta...magari per prenderci più gusto la prossima volta..
Se l'Italia vuole ripartire deve, indipendentemente da chi vincerà le elezioni, cambiare il suo modello di sviluppo, favorendo quell'unico merito che è degno di essere valorizzato, quello cioè che risalta dal mettere le proprie capacità creative al servizio di uno sforzo di innovazione e competizione di cui anche altri possano avvantaggiarsi, è quell'impegno responsabile che presuppone di non invadere indebitamente il campo altrui, per impedire anche ad altri di trovarvi spazio, ma, al contrario, di poterci stare tutti, a condizioni di pari vantaggio. In un sistema dinamico ed interattivo.
Non più quindi l'ottica della impresa famigliare di dimensioni bonsai, o della avidità padronale incentivata dal monopolio indiscusso, ma quella del progresso cooperativo e della partecipazione statale, come incentivo allo sviluppo e alla responsabilità. Non solo dell'imprenditore verso i suoi operai, ma anche degli operai e degli imprenditori, di aziende di ogni tipo, verso un sistema-paese. E soprattutto con un sistema-paese fondato sulla responsabilità verso chi fornisce servizi, e che onora il lavoro senza ritardi e senza essere evasivo.
Come si può infatti tollerare una amministrazione che esige la riscossione di tasse in maniera estremamente sollecita, pena il sequestro dei beni, mentre, allo stesso tempo non onora i suoi debiti a tempo indeterminato verso i cittadini? Può un cittadino reclamare il sequestro a suo vantaggio di un bene dello Stato, se tale Stato è insolvente? No! Questa dunque è la prova che uno Stato di questo genere va incontro alla sua autodistruzione. Il suicidio di cittadini messi in condizione di non dovere essere sollecitamente pagati dallo Stato per i servizi che essi gli hanno erogato, è la prova più chiara e lampante che lo Stato è talmente irresponsabile fino a diventare un feroce carnefice che induce i suoi cittadini alla violenza contro se stessi, e ad una disperazione tale che può portare, alla fine, anche alla violenza contro delle istituzioni ritenute non più credibili e fortemente oppressive.
Noi che crediamo nella Costituzione, invece, vogliamo onorare i suoi principi, a partire dal primo suo articolo. Noi, per questo, esigiamo che essa venga pienamente applicata, prima ancora che qualcuno ci ammannisca con le sue litanie, che è una costituzione borghese o che è troppo datata .
Noi sappiamo che non si tutela la casa di ogni singolo cittadino senza prima tutelare bene la casa di tutti, che è lo Stato. Perché se crolla la casa di tutti e non c'è contemporaneamente un'altra casa in cui tutti possano trovare rifugio, la tua casa sarà presto invasa da chi avrà un'arma migliore della tua.
Diceva Matteotti poco prima dell'avvento definitivo del fascismo, osservando i suoi primi provvedimenti: “I profitti della speculazione e del capitalismo sono aumentati di tanto, di quanto sono diminuiti i compensi e le più piccole risorse della classe lavoratrice e dei ceti intermedi, che hanno perduta insieme ogni libertà, ed ogni dignità di cittadini” E noi aggiungiamo oggi..molto tristemente..anche la loro vita. Noi abbiamo avuto ed abbiamo ancora, di fatto, in Italia una sorta di “fascismo morbido e subdolo” con intenti analoghi che però ha imparato a conquistarsi l'impunità usando al posto del manganello e dell'olio di ricino, i mezzi mediatici e la precarietà endemica.
Oggi il primo dovere di forze che vogliono seriamente creare una discontinuità, sia rispetto ad un ventennio berlusconiano, interrotto solo da tiepide varianti di un modello politico che ha considerato il problema del lavoro come un sorta di bollettino meteorologico degli inevitabili tsunami speculativi a cui attrezzarsi solo con qualche sacchetto di sabbia, oppure con la bacchetta magica dell'illusionista, sia rispetto al tutoraggio dei padrini di tale quadro “atmosferico” dato per ineluttabile, quelli che ti fanno sopravvivere finché paghi il pizzo e poi ti invitano a buttarti nella discarica da solo se non puoi più farlo, è quello di unirsi con una cultura, con una prassi e con un impegno volto a promuovere e valorizzare i beni comuni ed una democrazia partecipativa, il quale implica, come condizione indispensabile, l'abbandono della concezione della politica legata al nome di un leader.
Per far questo, è necessario un grande partito di ispirazione democratica e socialista, pienamente rispondente alle esigenze dei cittadini ed espressione dei loro bisogni più vitali. Oggi non c'è, perché manca la sua forza propulsiva, mancano delle efficaci organizzazioni politiche che non vadano a ruota dei partiti, ma siano il loro propellente migliore. Ma noi possiamo vogliamo e dobbiamo guidare questo processo di formazione ancora, come sempre, con il suo vessillo più congeniale: la Bandiera Rossa. 
I risparmi degli italiani stanno finendo o sono già finiti, inutile dunque risparmiare anche altro tempo. La dignità e il valore della persona umana sono il primo comandamento necessario per far sopravvivere uno stato democratico degno di tale nome
Non votiamo dunque per un nome, votiamo per una democrazia viva e partecipativa, perché come diceva Lorenzo Milani: “Sortirne insieme è la politicasortirne da soli è l'avarizia”

C.F