Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

venerdì 29 giugno 2018

L'alternanza scuola-schiavetto ovvero “noi siamo i gattopardi”






E' cambiato il governo, ma poco cambia della cosiddetta “buona scuola”, il neo ministro ha preso solo un impegno che sta per essere mantenuto secondo il cosiddetto contratto, dato che il nome programma pare sia stato abolito.
Non ci sarà più la cosiddetta “chiamata diretta” da parte dei presidi che, in realtà, di per sé non è elemento negativo. Esiste infatti in tutti i paesi anglosassoni, in cui il docente risponde in primis non al Dirigente Scolastico, ma al Consiglio di Istituto (che lì si chiama Consiglio di Amministrazione, perché l'autonomia è vera anche sul piano economico) a cui presenta le sue referenze e a cui risponde per il suo operato che, per questo, può essere rinnovato o no.
Nel paese delle mafie, evidentemente, questa possibilità se da una parte dava più ampio spazio al merito, dall'altra apriva al rischio di non poche deviazioni clientelari. Anche perché, diciamocelo chiaramente, un giovane promettente, con vari titoli, se una volta poteva anche scegliere la scuola come fonte di reddito sicuro, magari da integrare con altri lavori o ricerche, oggi non la sceglie più perché, con la triennalizzazione del contratto, essa non offre più nemmeno le garanzie di stabilità del posto di lavoro di un tempo. Nella precarietà endemica, quindi, magari preferisce andarsene persino all'estero, dove anche il Latino è apprezzato più che in Italia.
Ma il massimo della truffa neogovernativa gattopardesca in cui tutto cambia per non mutare nulla, per insegnanti, docenti e famiglie, non è tanto il poco o niente nella differenza del reclutamento o nella dislocazione degli insegnanti, ma la continuità vera e sostanziale di due capisaldi della buona scuola: le prove INVALSI e l'alternanza scuola-lavoro.

mercoledì 13 giugno 2018

Per un Socialismo patriottico, partecipativo ed ecologista



                                                            


                                                           di Carlo Felici


Le prospettive della cosiddetta sinistra, alla luce dei nuovi esiti elettorali e anche rispetto a quelle che tuttora sono le sue scelte in merito all'immigrazione e alla prevalenza dei diritti civili su quelli sociali, sono quasi azzerate.
Se infatti il PD non è palesemente configurabile come partito di sinistra, ciò che esiste alla sua sinistra risulta politicamente irrilevante e con una rappresentanza parlamentare quasi nulla.
Tutto ciò, evidentemente, è frutto di una storia di collateralismi e di consociativismi che risulta alquanto datata. Non stiamo a ripercorrerla perché è già molto nota.
Quello che ci interessa capire è invece come si debba colmare tale vuoto e se per l'appunto questo è realmente possibile.
Cominciamo con il dire che l'appellativo sinistra, come d'altronde quello di destra, in Italia risulta scarsamente significativo, prova né è il fatto che a conseguire la maggior parte dei consensi e a governare, oggi, nel nostro Paese sono partiti che si sono sempre collocati in un'area poco assimilabile alla destra o alla sinistra, almeno in senso stretto.
Lega e M5S sono, infatti, definibili, in linea di massima, come movimenti populisti piuttosto che come partiti di centrodestra o centrosinistra, anche se, almeno la Lega, del centrodestra ha fatto e fa tuttora parte ma non in maniera ortodossa come le altre componenti di questo schieramento.
Se dunque la parola sinistra ha ormai significato nullo per la stragrande maggioranza degli italiani fino a far risultare il fatto evidente che non ci sarà mai, in queste condizioni, un governo di sinistra, allora vale davvero la pena di chiedersi cosa possa esserci al suo posto.
Evidentemente prima che la parola sinistra esistesse, è sempre esistito il Socialismo il quale, pur non manifestandosi sempre e ovunque nello stesso modo, ha rappresentato dall'Ottocento, le migliori istanze di libertà e giustizia sociale oltre che di democrazia partecipativa e non solo rappresentativa da offrire per il miglioramento dell'umanità e da contrapporre alla barbarie della riduzione dell'essere umano e della natura a merce per scopo di profitto.
Questo avviene da moltissimo tempo, almeno da quello della Repubblica Romana del 1849 (che non fu un fenomeno politico strettamente socialista ma comunque legato ad istanze socialiste) e della Comune di Parigi (primo vero esperimento di governo socialista)
Una storia dunque assai lunga e gloriosa che, specialmente nel nostro Paese, dai tempi di Turati a quelli di Matteotti, di Nenni, Pertini e diremmo anche Craxi (almeno sul piano della crescita economica e della sovranità nazionale), ha contribuito moltissimo al progresso e al benessere degli italiani.
Oggi tutto questo non esiste più, anche se sopravvive una sigla socialista di un partito che ha rinnegato esplicitamente soprattutto negli ultimi anni, con il sostegno ed il voto esplicito a politiche che hanno demolito la scuola pubblica, le leggi sulla tutela del lavoro e lo stato sociale, la sua ragione sociale originaria.
Se vogliamo quindi costruire o meglio ricostruire un soggetto politico autenticamente socialista in Italia, non possiamo che seguire alcuni indispensabili passaggi.
Il primo evidentemente è quello di uscire dalla logica del collateralismo e del consociativismo, negando ogni eventuale riferimento con una sinistra in via di autodemolizione, il secondo è il recupero della ragione sociale originaria del Socialismo ed il terzo è inevitabilmente l'aggiornamento di un progetto che ha antiche radici, con le sfide attuali del nuovo secolo e millennio che stiamo vivendo. Vediamo quindi di analizzare ogni punto.
Innanzitutto per realizzare il primo punto, bisogna evitare di entrare in liste elettorali in cui questa sinistra residuale cerca ancora spazio per svolgere le sue ulteriori politiche consociative quasi sempre legate ultimamente alle iniziative del PD. Quindi, un soggetto politico che va a infilarsi in una stessa lista elettorale in cui sono presenti altri soggetti della sinistra residuale, non può che subire la loro stessa sorte: essere cioè sconfitto in partenza. L'esempio delle liste arcobaleno o di potere al popolo parla da solo. Il risultato è minimale e per i socialisti coinvolti inesistente. Per un soggetto autenticamente socialista che ha attraversato tale passaggio fallimentare la prima cosa da fare dovrebbe essere quella di liberarsi immediatamente del leader che l'ha spinto ad intraprenderla. Se si vuole costruire una novità, bisogna che essa risulti tale, nei personaggi che la rappresentano, nella proposta politica e soprattutto nella sua capacità di farsi valere politicamente in ogni spazio in cui essa voglia attuarsi, dai territori al web.
Passando poi al secondo punto, e cioè per recuperare la ragione originaria di un autentico movimento Socialista, bisogna riflettere su quali sono i suoi valori di sempre. Libertà, giustizia sociale, tutela dei servizi sociali e dei beni comuni: casa, scuola, ospedali, trasporti, ordine pubblico, patrimonio ambientale ed artistico, difesa dei lavoratori e delle categorie più svantaggiate, dai disabili ai pensionati, stabilizzazione del lavoro, con la lotta al precariato e al lavoro nero, capacità di combattere la corruzione e tutto ciò che ruota intorno ad essa, sicurezza sociale nel perseguimento del crimine individuale ed organizzato, equità fiscale con tasse progressive in base al reddito, ma senza inutili patrimoniali una tantum e senza accanirsi sui ceti produttivi, indispensabili per la crescita economia e per la competitività del Paese, che, anzi, bisogna sostenere per scongiurare rovinose delocalizzazioni.  Capacità di cooperazione ed integrazione soprattutto culturale, al posto dell'accoglienza indiscriminata. Chi viene in Italia deve avere il dovere e anche il diritto di sentirsi italiano tra italiani, specialmente se contribuisce legalmente al benessere di tutti i suoi concittadini. Deve sentire la Costituzione Italiana come il vero salvagente dall'annegamento nella disperazione e nello sfruttamento.
Tutto ciò quindi deve essere unito ad una capacità permanente di adeguata informazione, mobilitazione, e di coscienza e difesa proprio di quei diritti e doveri individuali e collettivi che sono mirabilmente rappresentati nella nostra Carta Costituzionale. Questo, in sintesi, vuol dire recuperare, se lo si applica concretamente, la vera ragione sociale per cui un soggetto politico socialista è degno di esistere. Non è quindi né scontro di classe e tanto meno incoscienza di classe, è piuttosto la consapevolezza che un sistema-paese ha bisogno di funzionare soprattutto nella capacità di essere cosciente ed attivo come Paese, come un tutto organizzato, in cui le parti collaborano per il bene collettivo e per conquistare un futuro nella storia.
Questo è il senso di un Soggetto politico concretamente patriottico che trae, dalla sua storia e dai valori che essa ha saputo esprimere, la linfa vitale per dare a quella stessa storia uno sbocco futuro, così come un padre e una madre fanno per i loro figli. Questo è il senso di un autentico patriottismo che non deborda nel nazionalismo, proprio perché cerca legami fruttuosi e concrete iniziative solidali con altri Paesi che vogliono intraprendere e condividere, anche se in rispettosa autonomia, una strada analoga di dignità e di sviluppo nel rispetto reciproco.
Si può essere patriottici pur appartenendo ad una comune federazione di patrie, anzi sappiamo bene che i migliori momenti della storia umana sono stati proprio il frutto di questa unità nella diversità: dalla antica civiltà delle poleis greche alla stessa storia romana, in cui la civitas di Roma corrispondeva alla capacità di essere soprattutto all'unisono città e civiltà insieme ad altre culture e civiltà, accomunate con essa stessa solo da un diritto condiviso e romano solo nel senso universale del termine, fino alla straordinaria stagione del Rinascimento.
Matteotti, quando parlò di "Stati Uniti d'Europa", intese questa prospettiva come tale da favorire l'ascesa al potere delle classi lavoratrici, non la concepì certo come il dominio delle oligarchie finanziarie
"Lega delle Nazioni, e più immediatamente degli Stati Uniti d'Europa, che si sostituiscano alla frammentazione nazionalista in infiniti piccoli Stati turbolenti e rivali. Dovrà rafforzare i sentimenti di solidarietà tra i lavoratori di tutto il mondo, per modo che si aiutino scambievolmente nella comune opera di redenzione sociale, dovrà soprattutto sospingere in ogni nazione la classe lavoratrice al potere politico, per assicurare il suo massimo interesse alla pace universale e alla prosperità di tutti coloro che lavorano, e per preparare in un più lontano avvenire il regno universale del lavoro"
Questo può essere il destino odierno di una Europa migliore che è accomunata da intenti sociali, difensivi ed economici, pur restando autonoma nel suo interno per perseguire e sviluppare l'originalità di tutte quelle culture e tradizioni che la caratterizzano e la possono arricchire.
Patriottismo e Internazionalismo, senza debordare in alcun modo nel nazionalismo e nell'imperialismo, apertura e collaborazione con altri popoli, pur mantenendo quella specificità che è l'unico elemento possibile e necessario della crescita, perché solo mediante essa, si può alimentare la creatività ed una sana ed equa competitività.
Venendo dunque all'ultimo punto, e cioè alla possibilità e necessità di proporre un socialismo aggiornato alle sfide del secolo XXI e del II millennio, non possiamo che mettere al primo posto due grandi questioni globali, perché questo secolo e questo millennio sono nati sotto l'egida e a all'insegna della globalizzazione purtroppo, aggiungiamo, solo dei mercati e del neoliberismo. Cioè di quel capitalismo selvaggio che ha come suoi principali strumenti per esercitare ovunque la sua volontà di accrescimento e di potenza, fino a superare ogni limite anche con la violenza più brutale, la guerra e la devastazione ambientale.
La vera dicotomia tra l'homo demens e homo amans, in questo millennio e in questo secolo e oggi più che mai, come discrimine tra capacità di costruire o distruggere un destino globale, è proprio nella scelta tra pace e guerra, tra cura e devastazione dell'ambiente
Quindi, se fino al secolo scorso alcuni socialisti si potevano ancora professare interventisti oppure propensi al dominio della natura mediante la tecnica, oggi, al contrario, per essi diventa un imperativo categorico di carattere morale prima ancora che politico, la difesa della pace (che non è però astratto pacifismo ma soprattutto impegno per contrastare e se necessario combattere tutto ciò che la minaccia) e l'innovazione tecnologica rivolta all'utilizzo di risorse ecologicamente sostenibili e rinnovabili, anche a costo di compromettere il mito della crescita a tutti i costi.
Il binomio libertà-giustizia sociale, oggi va sostituito con il trinomio libertà-responsabilità sociale e responsabilità ambientale. Solo chi resta confinato nei secoli scorsi e non è capace di proiettarsi nel futuro non riesce a comprenderlo ed esita o evita addirittura di portare avanti il necessario impegno e le battaglie indispensabili per attuare ciò che deve propiziare tale futuro.
La lotta di classe non è la guerra di un gruppo sociale contro un altro per conseguire il suo annientamento; un grande studioso libertario della terra come Jacques Élisée Reclus già dalla Comune di Parigi, fece notare che “L'ambiente è sempre infinitamente complesso e l'uomo è di conseguenza sollecitato da migliaia di forze diverse che si muovono in tutti i sensi, sommandosi le une alle altre, alcune direttamente, altre seguendo angoli più o meno obliqui, oppure contrastando reciprocamente la loro azione” La lotta di classe è quindi necessaria piuttosto per ritrovare un equilibrio nel mondo che, altrimenti, a causa dei suoi dirompenti squilibri, rischia di autodistruggersi; il suo obiettivo rivoluzionario è permanente e innanzitutto morale, perché consiste nell'acquisire sempre nuovi strumenti di consapevolezza tali da contrastare quella ignoranza che accentua gli squilibri e tende ad annientare parallelamente la biodiversità, la multiculturalità e la coesistenza dei popoli sulla terra.
Solo un autentico soggetto Ecosocialista che sappia guardare alto e mantenere però fermamente i piedi per terra può non solo trovare il modo di affermarsi con un respiro più ampio e credibile rispetto a soggetti di consorteria, demagogici o campanilistici, ma può anche riuscire a competere con chi altrove nel mondo cerca disperatamente una strada diversa per una umanità che, proseguendo ostinatamente per la china di sempre, al limite solo con qualche palliativo in più, rischia di trovarsi improvvisamente e tragicamente di fronte all'abisso.

lunedì 11 giugno 2018

La crisi brasiliana nasce dalla crisi globale


Leonardo Boff*

Impossibile analizzare il Brasile partendo soltanto dal Brasile. Nessun paese sta fuori dalla connessione internazionale, nemmeno la chiusa Corea del Nord, che la planetarizzazione inevitabilmente ha creato. Inoltre il nostro paese è la sesta economia del mondo, cosa che risveglia l’avidità delle grandi corporazioni che vorrebbero stabilirsi qui, non per aiutare il nostro sviluppo attraverso l’inclusione, ma per accumulare ricchezza su ricchezza, data l’estensione del nostro mercato interno e la super abbondanza di commodities e di beni e servizi naturali, sempre più necessarie per sostenere il consumismo dei paesi opulenti.
Tre nomi da ricordare, nomi di studiosi che hanno configurato il quadro attuale dell’economia e della politica mondiale. Il primo è senza dubbio Karl Polaniy che già nel 1944 notò “la grande trasformazione” che stava avvenendo nel mondo. Da una economia di mercato stavamo passando a una società di mercato. Vale a dire tutto è commercializzabile, perfino le cose più sacre. Possiamo trarre vantaggio con qualsiasi cosa. Marx nel su libro “Miseria della filosofia” chiamò grande corruzione e venalità generale. Per fino gli organi umani, la verità, la coscienza , cioè si trasformarono in occasione di guadagno. Tutto è fatto secondo la logica del capitale, che è la concorrenza e non la solidarietà, il che rende le società una contro l’altra in lotte  feroci tre le imprese.