Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

sabato 13 maggio 2023

NOI NO!

 




Quando scrissi la storia del primo dopoguerra in Italia, in occasione del centenario del biennio rosso, e fu pubblicata a puntate on line sull'Avanti!, auspicai la ristampa di un libro cruciale per intendere come il fascismo si affermò, e decisivo per ricordare cosa ha rappresentato e quali metodi ha usato per mantenersi al potere.

Fu scritto da Pietro Nenni in esilio e lui volle che fosse uno strumento di denuncia di Mussolini e dei suoi metodi, oltre che del rinnegamento delle origini del Duce, all'estero, in un' epoca, i primi anni 30 del XX secolo, in cui il consenso intorno a lui si stava allargando sia in Italia che altrove. Mussolini ci teneva molto alla sua “presentabilità” internazionale, tanto da mettere in particolare nel mirino delle sue scellerate azioni repressive anche gli esuli, i quali finirono non a caso vittime delle sue trame omicide, come i fratelli Rosselli, salvo poi lavarsi le mani e attribuirle all'eccessivo zelo di altri fascisti.

Ebbene, questo libro che andrebbe adottato e letto in tutte le scuole per far capire ai giovani come tuttora non si può non essere antifascisti, finalmente è stato ristampato e si spera possa essere disponibile presto per un largo pubblico.

Una lode e un ringraziamento particolare dunque è da rivolgersi alla Fondazione Nenni, alla Arcadia Edizioni e alla UIL che ha patrocinato l'edizione, così come a coloro che hanno presentato il libro in una assemblea svoltasi nella sede di questo sindacato a Roma, in particolare al giornalista Giuseppe Vernaleone che ha moderato l'incontro e poi anche a coloro che sono intervenuti: il giornalista della Stampa, Fabio Martini; Antonio Tedesco, direttore scientifico della Fondazione Nenni, che ha curato la pubblicazione dell’opera; il prof. Giancarlo Monina ordinario presso l’università Roma Tre; Marzio del Grosso Colonna, amministratore delegato dell’Arcadia Edizioni; Pierpaolo Nenni, nipote di Pietro Nenni.

L'ultima edizione del libro di Nenni in Italia risaliva all'immediato dopoguerra, chi è così fortunato da avere quella copia si renderà conto anche della qualità “povera e fragile” della carta di allora, quando essa era anche un bene prezioso e di difficile reperibilità, la sovraccoperta dell'edizione del 1945 riprende l'immagine di copertina dell'edizione tedesca del 1930, mentre la recente ristampa riprende la copertina dell'edizione originaria francese dello stesso anno. In quel periodo si volle infatti che il libro circolasse abbondantemente in Europa per smascherare il volto “perbenista” e rassicurante che il fascismo tendeva a presentare oltre confine. Il titolo originario: “Sei anni di guerra civile in Italia” fu volutamente cambiato nella edizione in tedesco destinata ad un Paese che di lì a poco sarebbe stato travolto dalla dittatura nazista e fu: “ Todeskampf der Freiheit” erroneamente tradotto con “Agonia della libertà” ma che più propriamente vuol dire “Lotta fino alla morte per la libertà” Agonia più comunemente in tedesco si dice Qual o Agonie, lo stesso significato può avere anche Todeskampf, però la sua etimologia ci riporta meglio a cosa allora Nenni volesse far capire ai tedeschi che avevano già letto il “Mein kampf” di Hitler e che nel 1930 ancora non avevano però sperimentato la sua spietata e criminale dittatura. Todeskampf è unione di Tode che vuol dire morte e di Kampf che è la lotta, un titolo quanto mai azzeccato per un Paese in cui la libertà stava per soccombere e in cui si voleva almeno una lotta significativa prima della sua morte.

Questa digressione filologica non sembrerà sterile osservando che quel regime nazista che si affermò dal 1933 volle senza esitare proprio in quell'anno mettere all'indice quel libro tanto provocatorio e sfacciato, per chi aveva fatto carriera imitando Mussolini e che addirittura sbeffeggiava il titolo della sua “bibbia demoniaca”, quasi gli volesse replicare: se tu hai la tua battaglia noi avremo la nostra per la libertà sino alla morte. Le copie reperite furono quindi bruciate pubblicamente in piazza assieme a quelle di tanti altri libri che come sempre ogni regime liberticida ritiene di dover eliminare, se oggi qualcuna ne permane, è da conservarsi come preziosa reliquia..

Possiamo quindi ritenere che la ristampa di questo libro sia una “Resurrezione”, rispetto non solo ad allora, ma a tutti quegli anni trascorsi senza che potesse circolare nemmeno in Italia, pur essendo altre opere di Nenni già state ristampate. E ci auguriamo che esso non debba essere relegato oggi nell'ambito di pochi studiosi apostoli di libertà che scrivono magari “gridando” nel deserto affollatissimo del web, ma che trovi un ampio pubblico di lettori nella società e soprattutto nella scuola, non solo in Italia, ma anche in Europa.

Lascio alle belle introduzioni di Fabio Martini e di Antonio Tedesco l'illustrazione del contesto storico e dettagliatamente della rilevanza europea del libro, a me che ho scritto anche una storia di Fiume rivoluzionaria, interessa in particolare la lettura di un capitolo di questo libro di Nenni che ho potuto leggere solo nella recente edizione integrale. Me ne rammarico, altrimenti avrei anche affrontato questo argomento e lo avrei menzionato nel mio libro di prossima uscita che raccoglie tutte le puntate di quella mia storia edita on line, perché effettivamente Nenni fu, come egli stesso dichiara, a Fiume nel settembre del 1920, dovrò quindi aggiungere ad esso una piccola ma significativa appendice.

Nel capitolo “La marcia dannunziana di Fiume” che ritengo molto importante, troviamo “due Nenni” mescolati in uno, e solo chi conosce il prima e il poi, rispetto a Fiume e a Nenni, può riuscire ad identificarli.

Troviamo il giovane entusiasta che si trova a Fiume e si lascia suggestionare da quella atmosfera festosa e trasgressiva, il quale riconosce che alla radice dell'impresa c'è “la passione patriottica di un popolo (..) tradito dai suoi alleati e derubato dei suoi frutti della vittoria pagata con seicentomila morti e un milione di mutilati e invalidi”, che rivive il clima tra il frenetico e l'indiavolato nell'immagine del Comandante il quale “Si trasformava allora in politico o in diplomatico (..) mandava messaggi e ambasciate; aveva rapporti con i croati, con gli ungheresi, perfino con i bolscevichi (..) Passava dai soldati alle donne, dalle donne alla politica, dalla politica alle lettere, dalle lettere alla musica o all'architettura”, in una concitazione febbrile. Che aveva “interesse per la classe lavoratrice, aveva pubblicato una “carta del lavoro” anche, vero codice di uno stato corporativo”. E che “la “verve” indiavolata di d'Annunzio toccava i vertici della perfezione”...Qui il giovane “entusiasta” Nenni non capisce che la Carta era una Costituzione innovativa né l'uomo socialista maturo nomina mai l'altrettanto socialista rivoluzionario De Ambris.

D'altra parte infatti, troviamo in questo capitolo, che si mescola tra le righe anche il Nenni maturo e diremmo pure “maturato socialista” il quale, soprattutto col senno di poi e dichiarando che, benché d'Annunzio non abbia mai fondato il fascismo e si sia anche opposto ad esso, definendolo anche “schiavismo agrario”, sviluppa un parallelismo sulla base del socialismo dominante di allora, tra fascismo e movimento fiumano, ritenendo che sotto entrambe le vesti si celasse quel nazionalismo reazionario che poi il fascismo stesso avrebbe reso la base fondante del suo ventennale regime, e che la stessa marcia rivoluzionaria che d'Annunzio sognava altro non sarebbe stata che il prologo della marcia su Roma di Mussolini

E' importante considerare ciò perché in seguito gran parte degli intellettuali antifascisti adottarono questo punto di vista soprattutto col “senno di poi”

Che quel “poi” fosse davvero posdatato lo dimostrano i fatti. Nenni fu a Fiume, lo dice chiaramente, forse per un breve periodo, perché nel 1919-20 egli era ancora aderente ai Fasci di Combattimento e repubblicano, e per di più “corrispondente viaggiante” (inviato speciale) de “Il Secolo”. Fu proprio durante il viaggio del 1920 che lo portò anche in Georgia al seguito del senatore conservatore Ettore Conti, che Nenni entrò in contatto col mondo sovietico, passando ufficialmente da repubblicano a socialista militante l'anno successivo. Siamo dunque propensi a credere che anche l'esperienza fiumana, sostenuta da molti repubblicani e socialisti rivoluzionari di allora, abbia contribuito a far maturare la sua scelta.

Evidentemente nel 1930, in cui doveva per forza liberarsi da questo passato ingombrante, ma pur sempre frutto di una limpida passione giovanile, fu portato a rivedere quell'impresa sotto altre forme, anche perché lo stesso Avanti! nel 1931 su posizioni massimaliste, arringava Nenni come “Repubblicano, guerraiolo arrabbiato, fascista, comunisteggiante, riformista, egli è un poco la riproduzione – in proporzioni ridotte – di Mussolini» E Togliatti addirittura: “fascista della prima ora”, mentre lo stesso anno il comunista Giuseppe Dozza dal giornale l'Humanité sparlava di lui in termini di: «provocatore politico, un fascista camuffato, un agente del nemico nelle file della classe operaia»

Capiamo così meglio la genesi e l'importanza di questo libro non solo per condannare il fascismo in Europa, ma per sgomberare ogni ombra di dubbio sulla fede socialista e indubitabilmente antifascista di Nenni, ben prima che andasse anche lui a combattere il fascismo sul campo di battaglia in Spagna.

Capiamo il motto che lo accompagnò per il resto della sua vita: NOI NO! Il quale voleva segnare un abisso incolmabile tra l'antifascismo e il fascismo nemico giurato al contempo di ogni democrazia e di ogni forma di socialismo. Per cui o si sta da una parte o dall'altra.

E lo dobbiamo intendere anche noi, mediante la straordinaria lezione di questo grande padre della Patria, la cui storia ci affascina ancor di più quanto maggiormente siamo in grado di comprendere, anche nei dettagli, la sua drammatica e variegata vicenda biografica.

Ci sarebbero tanti altri aspetti, che però lasciamo scoprire al lettore, da evidenziare in questo libro straordinario, così come di Nenni di cui ho un indelebile ricordo in vita e anche negli struggenti funerali e nella commemorazione di Craxi il 3 gennaio 1980, quando erano presenti, tra gli altri, anche Pertini, il socialista spagnolo Gonzales e Soares per l'Internazionale Socialista

Ricordo coi miei vent'anni il grido di Signorile: Ora Nenni viene restituito alla sua famiglia, ma egli vive nei socialisti italiani e di tutto il mondo. Salutiamolo col saluto con il quale lo abbiamo sempre salutato nel tempo delle sue e delle nostre lotte: Viva Pietro Nenni!”.

Con questo libro a cui auspichiamo possano seguirne altri, pubblicando tutta la sua opera, dunque la memoria di Nenni si fa ancora vita, monito ed insegnamento e ci accompagna ancora in tempi in cui il NOI NO! conserva quanto mai intatto tutto il suo valore, per tutelare la fatica, il dolore e i sacrifici che produssero la nostra Costituzione e per ricordarci come sia il caso anche, persino dopo quasi 80 anni, di tenercela stretta.


Carlo Felici



martedì 2 maggio 2023

L'IRRIDUCIBILE VELLEITARIO

 



A latere nella discussione sull'antifascismo che è stata svolta in occasione del 25 aprile, ci sembra opportuno occuparci di una vicenda che smaschera tante ipocrisie nel merito di tale questione, facendoci capire che cosa è veramente oggi lo Stato italiano.

In Italia c'è rimasto un unico fascista “irriducibile” a credere nel nulla del fascismo (perché il fascismo è morto nel 1945), o meglio, a restare fedele ai suoi sogni giovanili nutriti dal disprezzo per una democrazia profondamente e ferocemente ipocrita.

Il suo nomen omen paradossalmente racchiude tutta la sua battaglia donchisciottesca che poi tanto donchisciottesca non è.

Si chiama Vincenzo Vinciguerra, combatte tuttora la sua guerra ma è quasi impossibile che la vinca. E' in carcere, come ergastolano, da circa 43 anni, il più vecchio d'Italia, non si è mai pentito, dopo essere stato condannato per la strage di Peteano ed il tentato dirottamento di un aereo a Ronchi dei Legionari.

Potrebbe essere libero da tempo, se si fosse pentito o se si fosse lasciato “coprire” dallo Stato, ma lui ha deciso di continuare una guerra contro quello stesso Stato che lui non ha mai riconosciuto e che ha tentato di usarlo, magari per poi disfarsene, come è successo in tante occasioni con vari soggetti durante la stagione della strategia della tensione.

Vinciguerra si è sempre dichiarato fascista in guerra contro la democrazia che nella sua mente è una millantatura, sia perché l'Italia non è mai uscita da una servitù economica e militare verso la NATO e i poteri atlantisti, sia perché la “democrazia” di questo Stato sempre a suo parere, ha promosso e coperto stragi e misfatti, assoldando criminali e coprendoli con reiterati depistaggi. Tanto è che non esiste forse al mondo un Paese in cui crimini così efferati non abbiano ancora dei mandanti riconosciuti e condannati, e questo non è un parere ma una tristissima realtà

Era partito infatti un depistaggio anche per il suo crimine, da parte della stessa Arma dei Carabinieri che lui aveva colpito con una autobomba, ma lui si è autodenunciato vanificandolo, con il preciso intento di continuare in carcere una guerra iniziata da fuori.

Altri personaggi di quella stagione nefasta hanno già ottenuto i benefici di legge sebbene siano stati condannati a vari ergastoli più di lui, ma lui no. Vinciguerra se non può vincere la sua guerra, ha deciso di combatterla sino alla fine, ovviamente la “sua” fine, perché è molto improbabile che lo Stato che lui ha ritenuto di combattere finisca con la sua vita.

Lui dice però che la sua guerra vi ha aperto crepe significative, e questo è storicamente e giuridicamente provato, dato che è la stessa Magistratura a confermare le sue dichiarazioni che coincidono con l'esito delle indagini svolte.

Vinciguerra cominciò ad subodorare di essere stato incastrato, quando gli proposero nei primi anni 70, di assassinare Rumor con la complicità della sua scorta, e dato che il leader democristiano era al potere al momento della strage di Bologna, l'intento era quello di dare la colpa a gruppi anarchici e favorire una svolta autoritaria. Vinciguerra pensò bene che non si poteva combattere lo Stato con la complicità del medesimo, e di conseguenza non si lasciò incastrare, e da allora decise di agire da solitario.

Le sue azioni però furono mirate e non accettò mai di colpire vittime civili , ma solo di avere obiettivi militari, discostandosi da quella galassia neofascista che lui, in tutti questi anni in cui ha scritto vari libri, rilasciato dichiarazioni alla Magistratura, partecipato a interviste televisive, ha sempre sostenuto essere cooptata dai servizi segreti italiani, con lo scopo di stabilizzare e rafforzare il potere e rendere impossibile ogni alternativa ad esso. In buona sostanza, come feroce braccio armato di uno Stato profondamente carente di trasparenza, credibilità e sovranità.

Per cui la stragrande maggioranza dei movimenti neofascisti era manovrata da servizi segreti nostri e americani in funzione anticomunista, nel perdurare dell'esistenza del più grosso partito comunista d'Europa che è sempre stato incapace sia di essere concretamente indipendente sia di mettere in atto il ben che minimo intento rivoluzionario, e per di più pervicacemente attaccato formalmente per decenni ad una falsa identità marxista leninista, essendo concretamente dedito al consociativismo, e sempre ostinatamente incapace di assumere una identità pienamente socialista e democratica.

Come si è già detto, Vinciguerra avrebbe potuto sparire nell'anonimato, magari all'estero dove si era rifugiato durante la sua latitanza, assieme ad altri suoi camerati transfughi, presso le sanguinarie dittature sudamericane di allora o presso il perdurante e agonizzante regime franchista in Spagna.

Ma la sua battaglia contro lo Stato comportava anche quella contro i suoi complici deviati, per cui Vinciguerra ha preferito continuare da solo, smascherando conseguentemente, durante gli interrogatori a cui è stato sottoposto, non solo le complicità dei suoi camerati, manovali stragisti, ma anche quella di tale “fiamma tricolore” che allora spesso faceva da tramite tra la manovalanza e le strutture dei servizi segreti dello Stato.

Grande burattinaio di quel periodo, che è stato pure premiato con l'elezione a Presidente della Repubblica persino coi voti dei comunisti, fu Cossiga, che spesso, prima di affrontare le sue responsabilità probabilmente più ampie e complesse dei manovali del terrore di quel periodo nell'oltretomba, ha sovente dichiarato non solo di prendersele tutte, ma ha persino suggerito la stessa metodologia repressiva a chi dovesse trovarsi nelle stesse condizioni oggi, in varie interviste. Forse ora ci è ben chiaro come sia difficile in questo Paese in cui a chi governa l'impunità è garantita, arrivare ai mandanti delle peggiori efferatezze. Cossiga riteneva o meglio voleva che la parentesi fosse chiusa in fretta e furia con il crollo del muro di Berlino e la fine del partito comunista in Italia, ma, osservando la storia con il senno di poi, vediamo bene che l'esigenza di mettere l'Italia “sotto tutela” economica, politica, geostrategica e militare non si è mai esaurita. Non solo continua tuttora, ma anzi oggi a governare il nostro Paese è quella stessa fiamma tricolore, almeno nel simbolo che per questo ci risulta profondamente indigesto, che allora era, per stessa ammissione di Vinciguerra, contigua alla manovalanza neofascista con la duplice funzione di terrorizzare e stabilizzare, anche se i protagonisti di allora ormai sono spariti o morti. Fini lo sapeva bene e per questo volle liberarsi di quel simbolo nefasto che pare però gli sia sopravvissuto non a caso politicamente, come una ciliegina su una torta rancida.

La storia del neofascismo italiano non è complessa, ma abbastanza semplice per chi la vuol osservare. I reduci di Salò furono indirizzati dallo stesso ultimo Mussolini della Repubblica Sociale verso Nenni, ex compagno di gioventù di Mussolini, con intenti socialisteggianti fuori tempo massimo. Nenni, per ovvie ragioni, li respinse, allora essi si rivolsero al Partito Comunista che in parte li accolse, la storia dei “camerati rossi” e di Stanis Ruinas è ben nota. A quel punto i servizi segreti americani cominciarono a preoccuparsi, nell'immediato dopoguerra, che intenti anticapitalisti e antiamericani rossi e neri si sommassero e potessero persino dare origine a cambiamenti rivoluzionari e geostrategici. Di conseguenza, con i loro referenti in Italia, finanziarono abilmente chi potesse “infiammare” i neocamerati e riportarli alla sacrosanta lotta contro il comunismo, creando al contempo una rete paramilitare, chiamata Gladio, in grado di attivarsi in qualsiasi momento e coordinare una strategia della tensione tale da impedire al PCI l'avvicinamento al potere, e al contempo per stabilizzare un “regime democratico” senza possibilità di alternanza politica, ma solo dotato di una certa sua dialettica interna. Non al punto però da mettere in discussione l'assunto generale che l'Italia non può essere un paese pienamente autonomo, indipendente e sovrano.

I neofascisti parlamentari ed extraparlamentari collaborarono e furono pienamente protagonisti di questo servaggio di cui Vinciguerra è diventato pienamente cosciente, tanto da decidere, lui fedele al fascismo che aveva combattuto gli Alleati e la democrazia, di combattere la sua guerra da solo, soprattutto per smascherare le millantature di quell'ambiente dove egli stesso era cresciuto e che aveva tentato di manovrarlo, diremmo fino ad oggi, in cui forse è ancora più contento di ieri di stare in carcere per non condividere il trionfo governativo di quella stessa fiamma tricolore che lui ha sempre considerato la quinta colonna dello Stato atlantista, e la più grossa artefice della millantatura della indipendenza e sovranità dell'Italia, di un patriottismo inesistente che oggi spedisce armi anche da rottamare e porterei dove il “grande capo” comanda. Tanto che se da una parte ci appare assurdo che un uomo così coraggioso e per certi versi dotato di un suo singolare "onore" debba marcire in carcere, dall'altra tirarlo fuori sembrerebbe fargli il più grave torto.

E' chiaro alla luce di tutto ciò che anche certo antifascismo odierno, non quello storico, si intenda, che si celebra il 25 aprile oppure omaggiando Matteotti che ne fu vittima illustre, ma pretestuoso e strumentale perché utile solo ad autolegittimarsi, sia un fantasma tanto velleitario ed inesistente quanto consustanziale alla negazione di ogni qualsivoglia sovranismo o patriottismo possibile che non sia quello delle celebrazioni storiche del passato.

E' tanto assurdo infatti proclamarsi antifascisti in assenza di concreto e sostanziale fascismo, perché il neofascismo, come abbiamo detto e come Vinciguerra conferma non è che una espressione dell'atlantismo, solo un'altra faccia dello stesso neoliberismo che tende a governare il mondo occidentale e non solo, quanto definirsi fascisti, perché l'unico fascista rimasto che non sia nei libri di storia pare sia Vinciguerra nella sua perdurante velleità perché, essendo nato nel 1949, non è mai vissuto durante il fascismo

La cruda realtà è che per noi in Italia il "divide et impera" è l'unica dottrina che regna sovrana e sovranista, l'unica che ci è consentita come negazione di una Patria che non ci deve appartenere. Chi davvero ha provato a scardinarla..Mattei..Moro..Craxi..ma anche coraggiosi magistrati come Falcone e Borsellino, o giornalisti come Pecorelli, scoperchiando certi intrecci con i liquami segreti di certi apparati dello Stato, collusi anche con una manovalanza mafiosa sovente usata nella stessa maniera di quella neofascista, è stato ammazzato senza tanti scrupoli, nella piena convinzione di una perdurante impunità dei vertici di ogni istituzione di una Italia che già Dante definiva più di sette secoli fa “serva e di dolore ostello”, mentre il soldato Ryan continua a guardarci sorridendo e sussurrando: “meritalo se sei capace”.


Carlo Felici