Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

giovedì 28 aprile 2022

PERCHE' UN COMUNISTA NON DOVREBBE STARE CON PUTIN

                                                        


                                                       di Carlo Felici



Tra gli slogan putiniani più diffusi vi è quello che recita: “Chi non rimpiange l'URSS è senza cuore, chi vuole rifarla è senza cervello”, e già questo ci fa capire come un ex funzionario del KGB, releghi la storia dell'Unione Sovietica alle ragioni “sentimentali del cuore” più che a quelle “economiche ed ideologiche”, ma Putin fa di più, misconosce le stesse radici leniniste della fondazione dell'Unione Sovietica, quando afferma che: “Le idee di Lenin su ciò che equivaleva in sostanza a un accordo per uno stato confederativo e uno slogan sul diritto delle nazioni alla autodeterminazione, fino alla secessione, furono poste alla base della struttura sovietica [...] L'Ucraina sovietica è il risultato della politica dei bolscevichi e può giustamente essere chiamata “l'Ucraina di Lenin” [...] È un gran peccato che le basi del nostro Stato non siano state ripulite dalle odiose e utopiche fantasie ispirate alla rivoluzione, che sono distruttive per qualunque Stato normale...»

“Odiose e utopiche fantasie” sono dunque quelle che ispirarono Lenin e le basi dell'URSS, Putin lo dice esplicitamente, ma se osserviamo concretamente la dottrina leninista ce ne rendiamo conto ancora di più.

Lenin auspicava che alla base della rivoluzione ci fosse una idea di partito che rappresentasse nella sua interezza le istanze popolari e le realizzasse mediante il metodo politico del “centralismo democratico”, con cui posizioni anche contrastanti fossero discusse anche a lungo ma, una volta presa una decisione, nessuno avrebbe dovuto contestarla, e auspicava altresì che i quadri di partito avessero una formazione adeguata sul piano culturale e ideologico, e il loro ruolo fosse acquisito per concreti meriti conquistati sul campo della lotta politica, morale e ideologica, in poche parole che fossero credibili per dare il buon esempio a tutti.

In tale modo tra movimento politico, proletariato e movimento sindacale avrebbe dovuto esserci una saldatura tale, da rendere possibile una struttura unitaria senza divisioni né contrasti interni, e tale da poter comporre in se stessa ogni eventuale contrasto e ogni dialettica politica, senza unanimismo ma con la disciplina del rispetto delle decisioni prese a maggioranza.

Solo in questo modo il partito avrebbe realizzato non la sua dittatura né quella di un gruppo dirigente ristretto (nomenklatura) e tanto meno quella di un leader indiscusso, ma quella autentica del proletariato, essendo inscindibile l'unione tra partito proletariato e bolscevismo.

Lenin riteneva tutto ciò necessario soprattutto per combattere con una struttura compatta e popolare, che poi si identificò nei momenti cruciali della storia della Unione Sovietica con l'Armata Rossa, ogni forma di controrivoluzione, di aggressione all'URSS e di imperialismo.

Una delle analisi più importanti e concretamente ancora attuali Lenin la fece sull'imperialismo, successivamente approfondita da Rosa Luxemburg, alla vigilia della prima guerra mondiale. Lenin osservò che l'imperialismo era diventato la fase suprema del capitalismo, in particolare anche con il beneplacito delle classi dirigenti dei partiti operai e popolari, corrotti dalla collusione con lo sfruttamento dei paesi poveri, dalla burocratizzazione e da un riformismo sempre più prono alle leggi del mercato capitalista. In tale maniera, i partiti socialisti dell'epoca debordavano nel nazionalismo, preferendo sostenere le mire espansionistiche delle loro nazioni in maniera sciovinista piuttosto che quelle di un proletariato internazionale, favorendo così guerre coloniali e, di fatto le guerre nazionalistiche europee. Allora l'unica eccezione fu il Partito Socialista Italiano che si schierò contro la guerra

L'obiettivo della rivoluzione , pertanto secondo Lenin, avrebbe dovuto essere l'internazionalizzazione della azione del lotta bolscevica come unione di intenti politici e popolari sostenuti da un proletariato che avesse visto l'URSS non come nazione dominante, ma come guida ed embrione di una rivoluzione mondiale che poteva nascere, contraddicendo Marx, anche in un paese non particolarmente industrializzato. Di qui la fondazione del Comintern. Teniamo conto che gli intenti originari del bolscevismo di Lenin nel 1917 erano la possibilità di eleggere e di revocare il mandato di tutti i funzionari pubblici, la stretta saldatura tra potere politico e legislativo come concretizzazione di una autentica sovranità popolare, la rotazione delle cariche pubbliche per evitare il formarsi di nomenklature di potere, il controllo dei salari, per scongiurare ogni forma di  corruzione e di carrierismo, e infine la formazione di un esercito popolare permanente costituito da milizie popolari, in nome della unità del partito proletario. Nel 1918 venne poi eliminata l'autonomia dei Soviet e nella difficilissima crisi economica e controrivoluzionaria seguita alla rivoluzione del '17 e agli anni della guerra mondiale, Lenin auspicò anche una nuova politica economica che cercasse di compenetrare l'obiettivo rivoluzionario di controllare le forze produttive, con quello di lasciare un margine di autonomia per l'iniziativa privata. Sappiamo benissimo che il programma di Lenin venne imposto con la forza e in numerosi casi con la violenza, anche perché il pericolo della disgregazione di tutto lo stato sovietico in formazione era permanentemente incombente

Sappiamo altresì che in particolare dopo Stalin venne trasformata una rivoluzione che aveva intenti patriottici ed internazionalisti nella costruzione di uno Stato che, parallelamente al ritrovare al suo interno forme di autocrazia che avrebbero dovuto scomparire con lo zarismo, eliminò contemporaneamente sia ogni barlume di centralismo democratico che ogni forma di internazionalismo proletario, realizzando nuove forme di imperialismo, con la costruzione e l'assoggettamento di repubbliche popolari non più sorelle, ma satelliti dell'URSS a cui vendere e da cui comprare materie prime e materiali a prezzo di mercato. Lo mise bene in evidenza Ernesto Che Guevara nelle sue riflessioni sull'economia sovietica che arrivavano a criticare persino Lenin, e la sua apertura alla iniziativa privata, durante il suo ultimo discorso ad Algeri nel 1965: “se non c'è economia propria, se si è dominati dal capitale straniero, non si può essere liberi dalla tutela del paese dal quale si dipende tanto meno si può fare la volontà del paese se questa urta contro i grandi interessi della nazione che lo domina economicamente”

In un mondo diviso in due blocchi che praticavano lo stesso imperialismo con basi economiche diverse non poteva esserci una critica tanto più scomoda quanto più attuale.

Ora torniamo alla Ucraina e alle immense risorse del suo martoriato territorio. E' del tutto evidente che essa è oggi oggetto di una contesa imperialista. Da una parte l'Occidente che vorrebbe espandervi con la NATO e la Unione Europea la sua economia liberista che vede sovrapporsi le esigenze economiche su quelle politiche spesso sancendo lo strapotere delle multinazionali, in particolare nello sfruttamento delle risorse agricole e minerarie, e dall'altra una Russia guidata da un capo di oligarchi che hanno accumulato immense ricchezze grazie a società contigue al potere che hanno il dominio incontrastato dell'economia e della gestione delle immense risorse del territorio russo, privi di ogni controllo fiscale e non soggetti ad alcuna limitazione sulla concorrenza e sulla corruzione, i quali ambiscono ad estendere i loro straripanti interessi sul territorio e sul popolo ucraino.

Di qui l'esigenza di far credere che l'Ucraina sia la Russia, mentre è evidente che tutta l'Ucraina non lo è, di qui il pretesto di difendere popolazioni russofone, quando la popolazione ucraina parla russo in pressoché tutta l'Ucraina, se non altro perché ai tempi dell'URSS l'insegnamento del russo era imposto in tutte le scuole.

In buona sostanza Putin, con il suo progetto di restaurazione zarista, sia sul piano territoriale, perché non si è limitato a tutelare la Crimea e il Donbass storicamente contigui alla Russia, sia sociale perché l'espansione russa è proporzionale alla creazione di divari economici crescenti, tra una ricchissima oligarchia di potere che sicuramente non sarà scalfita dalle sanzioni e un popolo abbandonato alla propaganda, alla repressione e a una povertà crescente, è l'antitesi non solo dell'URSS, ma anche di ogni coerente società comunista leninista, sempre ammesso e non concesso che tale configurazione sociale resti attuale ancora oggi, non debitamente aggiornata come in Cina.

La dissociazione tra morale e politica, già nata mezzo millennio fa, e ben evidenziata da Machiavelli, infatti ha ormai infettato tutto il globo, ben più di una pandemia, e sta seriamente minacciando la stessa sopravvivenza della specie umana su questo pianeta con le sue guerre e le sue devastazioni ambientali, tanto che fenomeni come il cosiddetto “putinismo”, o "atlantismo" appaiono come una sorta di cancrena che, con le sue minacce atomiche, rischia di devastare l'intero organismo.

Solo quindi una “rivoluzione etica e morale” può salvarci, solo vaccinando l'intera popolazione mondiale dal virus del corrotto individualismo per fini di potere economico e sociale, attraverso una opera capillare di educazione democratica e popolare, potremo invertire questa tendenza prima di una catastrofe planetaria

La Russia ha bisogno seriamente di una seconda rivoluzione più che di minacce di armi anche atomiche che sostengano non la difesa di un popolo, ma futuri progetti espansionistici di una economia capitalistica di rapina predatoria di materie prime e manodopera a buon mercato, alla ricerca di stratosferici profitti per pochi che li investono all'estero e vivono in un lusso straripante. Ha bisogno di rimettere al primo posto la centralità del suo popolo più che adattarsi a subire le direttive di una oligarchia militare, economica e politica. Perché il suo popolo merita di tornare protagonista della sua storia e non di essere narcotizzato nel paternalismo di un tutore insostituibile

E il paradosso è che il centralismo democratico, secondo cui tutti discutono e uno decide per il bene di tutti, lo ha praticato più Draghi che Putin, non però tanto nell'interesse di un popolo soggetto a precariato, a rincari e a tassazioni incombenti, o a una continua emorragia di lavoratori che crepano nei posti di lavoro, ma di quello dei grandi potentati militari ed economici di cui permaniamo di fatto sudditi.

Invece sarebbe opportuno riscoprire il significato autentico di tale “centralismo” soprattutto nella sua valenza morale, nella sua capacità di mettere a confronto progetti innovativi e realmente costruttivi di interesse generale, affinché si realizzino presto e bene, con decisioni rapide ed efficaci, messe in opera da governi che sanno dare il buon esempio a tutta la popolazione e che soprattutto abbiano il consenso di tutta la popolazione.

Perché calare dall'alto di una nomenklatura ristretta di partito o da una oligarchia di potentati economici e militari un capo di governo, non produce alcuna innovazione né tanto meno alcuna rivoluzione.

In Ucraina è in atto una guerra imperialista per il controllo delle risorse ambientali e umane di quel territorio, compito di ciascuno di noi è quello che non si trasformi in uno strumento per ridurre esseri umani a merce per scopo di profitto, né con una finta democrazia sponsorizzata dai media né con una umiliata da un autocrate che si fa eleggere eliminando sistematicamente ogni dissenso

Anche per chi è rimasto comunista e non si fa ingannare dalle bandiere rosse ridotte a stracci sui carri armati, non vi è da aggiungere altro.

Carlo Felici


giovedì 7 aprile 2022

UNA DEMOCRAZIA BAMBINA

 




Il prof. Orsini torna fare scalpore, con l'ennesima sua sua affermazione, o provocazione che dir si voglia, in base alla quale: “Meglio i bambini che vivono sotto una dittatura che quelli che muoiono sotto le bombe”. Ora, spontaneamente e coloritamente verrebbe da rispondergli con un lapidario: “E me cojioni..!” Ma, senza indulgere negli improperi, che per altro il prof attira come un parafulmine in un momento come questo in cui il manicheismo la fa da padrone dei media, dove per altro gli insulti e le diffamazioni proliferano senza tregua, varrebbe la pena di fare una riflessione sul prezzo che una democrazia può e deve pagare per restare viva e ancor più per distinguersi da una dittatura.

Diceva Sandro Pertini che “Alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie”, sarebbe fin troppo facile assumere questa frase come un teorema e decontestualizzarla, ebbene essa risale allo stesso messaggio di fine anno del 1979, quando, nello stesso discorso, egli disse che si dovevano svuotare gli arsenali e colmare i granai.

Erano gli anni di piombo, un anno prima della strage di Bologna e un anno dopo l'assassinio di Aldo Moro, in cui la nostra democrazia rivelava tutte le sue imperfezioni, pur tuttavia sapendo resistere meglio di quanto farà nel decennio successivo, rischiando di essere annichilita dagli scandali giudiziari, tanto che tuttora appare una “democrazia sotto tutela” e dopo più di dieci anni abbiamo capi di governo mai eletti dal popolo...alla faccia della imperfezione o del bicarbonato di sodio! Direbbe Totò...Eh sì che ce ne vuole per digerire l'operato di una democrazia basata sul governo di gente mai votata da nessuno, per oltre un decennio..

Mi si dirà...ma in fondo, chi governa, da noi può essere anche sfiduciato, si può votare..e risponderò..provate un po' a farlo prima che i parlamentari abbiano maturato i requisiti per la loro pensione..e vedrete come voteranno compatti la fiducia prima di avere messo al riparo il loro posteriore..

Tutto questo, non tanto per fare demagogia, ma per riflettere sui limiti dell'imperfezione di una vera democrazia. Possiamo ancora chiamare democrazia un sistema che abbia ampiamente travalicato questi limiti? C'è un limite alla imperfezione della democrazia?

E qui ci potremmo sbizzarrire con molteplici citazioni come ad esempio: “Solo in una dittatura riesco a credere in una democrazia” (Leo Longanesi) “La democrazia è una fede” (Emanuele Severino) “Troppi coglioni alle urne” (Michele Serra), frase alquanto colorita che però denota il fatto che molti votano senza conoscere bene chi o ciò a cui delegano il loro consenso. “Nelle democrazie tutte le istituzioni, senza eccezione, possono affermarsi e prosperare solo se sorrette dal consenso dei cittadini” Affermazione di Sergio Mattarella, eletto per ben due volte Presidente della Repubblica che, durante il suo mandato, non ha mai nominato un Presidente del Consiglio votato dai cittadini in elezioni politiche. “La democrazia è due lupi e un agnello che votano su cosa mangiare a colazione. La libertà un agnello ben armato che contesta il voto” Non è di Lenin ma di Benjamin Franklin. A confortarci sul “meno peggio” è Churchill che ci dice che: “La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora” salvo poi precisare egli stesso che: “la democrazia funziona quando a decidere sono in due e uno è malato” E passiamo a quelle che riteniamo le più significative e le meno “dissacranti”: “Quando natura e società vivranno nell'aula scolastica, quando le forme e gli strumenti didattici saranno subordinati alla sostanza dell'esperienza, allora sarà possibile operare questa identificazione, e la cultura diventerà la parola d'ordine della democrazia” Lo ha detto John Dewey non discostandosi molto da Giuseppe Mazzini che riteneva essere una democrazia solo quella in cui i cittadini hanno il voto, il lavoro e soprattutto una istruzione valida.

Ci sarebbero tante altre frasi famose per osservare, anche ironicamente, i limiti e le opportunità di una democrazia, per ragioni di spazio concludiamo con questa di Sam Shepard: “La democrazia è una cosa molto fragile. Devi prenderti cura della democrazia. Non appena si smette di essere responsabili verso di essa e si permette che si trasformi in tattiche intimidatorie, non è più democrazia. Diventa qualcosa di diverso che si trova alla distanza di un centimetro dal totalitarismo” In poche parole, la democrazia è un meccanismo molto delicato che presuppone cittadini ben formati e dotati di una solida cultura, che non si fanno intimidire e che sanno essere responsabili di fronte a beni comuni. Osserviamo come siamo messi oggi in Italia e vediamo un po' che bella democrazia abbiamo.

Ma, per tornare a Sandro Pertini, una vera democrazia si fonda sempre sulla Libertà e sulla Giustizia Sociale, perché la libertà di dire quel che si vuole e di crepare su un marciapiede nell'indifferenza di tutti, non è libertà e la giustizia sociale stabilita da pochi per tutti è solo una oligarchia che non consente alcuna giustizia.

Ricordiamo quindi la tanto vituperata frase iniziale e vediamo se essa può essere liquidata come un non senso: “Meglio i bambini che vivono sotto una dittatura che quelli che muoiono sotto le bombe”. Ebbene, quasi tutti i nostri nonni o padri vissero, da bambini, sotto una dittatura che non consentiva il libero voto e furono persino educati a credere, obbedire e combattere, tanto che, molti di loro si svegliarono e impararono ad opporsi solo quando videro le bombe piovere sulle loro teste. Ma questo fu possibile solo perché, si badi bene, restarono vivi nel loro Paese!

Ora, tornando alla questione ucraina, una lunga guerra rischia di sottrarre a quel Paese non solo il presente, ma anche e soprattutto il futuro. Perché i bambini che sfuggono alle persecuzioni, alla morte e persino alle torture, sono costretti ad emigrare e sarà già tanto se troveranno accoglienza e solidarietà in altri paesi, sfuggendo alle varie mafie che lucrano sul mercato infame e sullo sfruttamento dei minori. Non resteranno certo a contribuire alla crescita e alla tutela del futuro del loro Paese. Possiamo quindi dare completamente torto a chi li vorrebbe vivi in pace ora nella loro nazione, anche a costo di essere sottomessi, piuttosto che costretti ad una snaturante fuga, oppure esposti continuamente al pericolo della morte o delle torture? Chi siamo noi per decidere il futuro di questi bambini?

Si parla di una dittatura che combatte una democrazia, ma il Paese aggressore, secondo le nostre stesse fonti informative, attribuisce al suo capo, in questo momento l'80% dei consensi, e la democrazia non si basa forse sulla maggioranza, in questo caso schiacciante, dei consensi?

Quando arrivarono i carri armati a Budapest o a Praga fecero molti meno danni, nessuno si sognò allora di armare i rivoltosi, anzi, dopo breve tempo, le notizie su quei fatti sparirono persino dai giornali, eppure il pericolo di uno scontro atomico era reale, come se non più di oggi.

Nonostante ciò, dopo svariati anni, a vincere non sono stati gli aggressori, ma i popoli che furono aggrediti, e i bambini che allora videro i carri armati entrare e occupare le loro città, una volta restati vivi e cresciuti, furono i protagonisti della liberazione dei loro paesi

Quanti bambini scappati dall'Ucraina saranno protagonisti del loro futuro se ora il loro Paese è condannato ad una devastazione continua? Il presidente ucraino non fa che gridare da tutte la tribune che la guerra è necessaria e che deve continuare finché ogni lembo del suo territorio non sarà liberato dai russi e invoca per questo l'intervento armato di altri paesi che porterebbe i bambini ucraini a non trovare scampo e salvezza nemmeno in altri paesi, perché un estensione del conflitto a livello europeo e globale con le armi atomiche ci condannerebbe tutti alla devastazione e alla desertificazione.

La migliore delle democrazie è quella che sa mantenere e garantire la pace, anche a costo di sacrifici, non quella che ha la pretesa di espandersi mediante la guerra, salvo poi, rinnegare se stessa ritirandosi in buon ordine, questa piuttosto ci appare come una democrazia bambina che sbatte i piedi, urla e spacca tutto fin quando non è riuscita a ottenere qualcosa, e poi dimentica tutto il giorno dopo

Abbiamo promesso la democrazia e la libertà alle donne e agli uomini afghani e iracheni e come abbiamo mantenuto questa promessa? Cosa credete che possano pensare di noi quei bambini e soprattutto quelle bambine che si sono illuse con un intervento militare durato più di 20 anni, di ottenere diritti, istruzione, lavoro e ci hanno visto poi scappare lasciandole ad un destino di sfruttamento e sottomissione esattamente come le avevamo trovate agli inizi di quella missione per la tanto strombazzata democrazia? Ma di che democrazia stiamo parlando? Di quella in cui c'è un ricco padrone di una multinazionale che specula pure sulle forniture belliche i cui profitti ammontano a centinaia di miliardi di dollari e ci sta un cittadino, per modo di dire, che può essere licenziato e sbattuto per strada dall'oggi al domani e ritrovarsi a vivere avvolto nei giornali su un marciapiede?

Noi rischiamo di esaltare una democrazia fittizia solo perché si contrappone a una dittatura mascherata da democrazia, e ancor di più se in nome dell' “allineati e coperti” iniziamo a perseguitare e a insultare chi esercita un minimo di senso critico, considerandolo un “collaborazionista” un “amico dell'oppressore”, dimenticando che l'oppressore, prima di diventare tale, ha soppresso sistematicamente il dissenso nel suo paese, perseguitando e facendo fuori i suoi oppositori. Cerchiamo di impedire alla guerra di omologarci, impediamole di renderci simili all'oppressore e soprattutto aiutiamo i bambini a restare vivi, dentro e fuori il loro Paese, impediamo che venga assassinato il loro futuro con il proseguire di un conflitto insensato. Costi quel che costi. Non è tempo di nazionalismi che hanno devastato e distrutto più volte l'Europa e se quella Occidentale ha imparato la lezione, quella Orientale è ancora ben lungi dall'apprenderla.

Alexander Dubcek, che vide i carri armati russi entrare nella sua città, aveva una nozione ben chiara della democrazia, forse ancor più di coloro che nei paesi occidentali, godevano di essa da tempo.

Egli disse che “La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni”

Facciamoci un esame di coscienza meditando bene su queste parole, applicandole alla nostra realtà prima ancora che a quella di coloro che critichiamo o vogliamo combattere, capiremo così meglio il senso di quello che ci capita e di quello che stiamo davvero facendo o dovremmo fare, specialmente quando si parla di democrazia.


Carlo Felici