Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

domenica 27 ottobre 2013

Il mondo in cui viviamo è ecocida




                                      di Leonardo Boff 
        
Il 27 settembre le centinaia di scienziati riuniti a Stoccolma, nel Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) per valutare il livello di riscaldamento globale,  ci hanno trasmesso dati preoccupanti: “le concentrazioni di biossido di carbonio (CO2), metano (CH4) e protossido d’azoto (N2O), i principali responsabili del riscaldamento globale, ora superano in modo sostanziale le concentrazioni più elevate registrate nelle croste di ghiaccio nel corso degli ultimi 800.000 anni”. L'attività umana ha influenzato questo riscaldamento con una certezza del 95 %. Tra il 1951 e il 2010 la temperatura è aumentata tra 0,5 °C e 1,3 °C e in alcuni luoghi ha già raggiunto 2 °C. Le previsioni per il Brasile non sono buone: dal 2050 in poi, avremo un’estate permanente tutto l'anno.
Questa temperatura potrebbe avere effetti devastanti per molti ecosistemi, per i bambini e per gli anziani. Gli scienziati dell'IPCC rivolgono un accorato appello alle persone per avviare un intervento immediato a livello mondiale, in termini di produzione e di consumo, che possa fermare questo processo e ridurre i suoi effetti nocivi. Come disse uno dei coordinatori del rapporto finale, lo svizzero Thomas Stocker: "La questione più importante non è dove siamo oggi, ma dove saremo tra 10, 15 o 30 anni. E questo dipende da quello che facciamo oggi".
Apparentemente molto poco o nulla è stato fatto in modo equilibrato né completo. Gli interessi economici di accumulazione illimitata a scapito dell'esaurimento dei beni e dei servizi naturali prevalgono sulle preoccupazioni per il futuro della vita e sull'integrità della Terra.
La percezione di base che si ha leggendo il riassunto 31 pagine, è che viviamo in una sorta di mondo che distrugge sistematicamente la capacità del nostro pianeta di sostenere la vita. Il nostro modo di rapportarci  con la natura e con la Terra, nel suo complesso, è ecocida e geocida. Seguendo questa direzione andremo tutti incontro sicuramente ad una tragedia ecologico-sociale .
Lo scopo di innumerevoli gruppi, movimenti e attivisti è centrato sulla individuazione di nuovi modi di vivere, in modo da garantire la vita nella sua grande biodiversità e per vivere in armonia con la Terra, con la comunità di vita e con il cosmo.
In un lavoro di più di dieci anni d’intensa ricerca, un educatore canadese esperto in cosmologia moderna, Mark Hathaway ed io abbiamo cercato di svolgere un’attenta riflessione includendo il contributo tra Oriente e Occidente, per delineare una direzione praticabile per tutti. Il libro si chiama: "Il Tao della Liberazione: Esplorando l’Ecologia della Trasformazione" (Vozes 2012). Fritjof Capra stesso ha fatto una bella prefazione e la comunità scientifica nordamericana ha accolto l'edizione inglese favorevolmente, mentre l’Istituto Nautilus ci ha conferito nel 2010 la medaglia d'oro nella scienza e cosmologia .
La nostra ricerca parte dalla seguente osservazione: c'è un' acuta patologia inerente al sistema che attualmente domina e sfrutta il mondo: la povertà, la disuguaglianza sociale, l'impoverimento della Terra e il forte squilibrio del sistema-vita; le stesse forze e ideologie che sfruttano ed escludono i poveri sono anche devastatrici della intera comunità di vita e minano le fondamenta ecologiche che sostengono la Terra.
Per uscire da questa tragica situazione, siamo chiamati, in un senso molto reale, a reinventare noi stessi in quanto specie. Per questo, abbiamo bisogno di saggezza, per condurci ad una profonda liberazione/trasformazione personale, passando  dall'essere dominatori delle cose, a fratelli e sorelle delle cose. Questa trasformazione implica anche una reinvenzione/ liberazione collettiva attraverso un altro disegno ecologico. Tale che sia per noi da rispettare e vivere secondo i ritmi della natura. Dovremmo sapere cosa estrarre dalla Terra per la nostra sopravvivenza collettiva e come imparare di lei, perché la Terra è strutturata sistematicamente nelle reti di inter-retro-relazioni che assicurano la cooperazione e la solidarietà di tutti per tutti e danno sostenibilità alla vita in tutte le sue forme, soprattutto alla vita umana. Senza questa cooperazione/solidarietà, noi insieme alla natura e per noi stessi, come esseri umani, non troveremo alcuna via d'uscita che sia efficace.
Tutto questo è nella virtualità del processo cosmogénico e anche nelle possibilità umane. Bisogna credere in questa realtà. Senza la fede e la speranza umana non costruiremo un'Arca di salvezza per tutti.

sabato 26 ottobre 2013

E le stelle non stanno a guardare..


Purtroppo non molti cittadini si rendono ancora conto concretamente di quanto sia cruciale la battaglia per la difesa della Costituzione, la quale, con i suoi principi e con la sua avanzatissima concezione dei valori democratici ereditati dalla stagione migliore del Risorgimento (quella mazziniana della Repubblica Romana) e dalla Lotta di Liberazione, ha garantito all'Italia, pur nell'ambito di una sovranità limitata dagli assetti geostrategici e anche dall'adeguamento in gran parte passivo ad essi dei maggiori partiti italiani, una lunga stagione di libertà e di pace, ponendo fine agli aspetti più cruenti della guerra civile e resistendo agli anni di piombo e del terrorismo.
Purtroppo gli stessi partiti che hanno contribuito a fondarla o sono spariti o hanno subito una tale e profonda metamorfosi, da considerarla oggi più un problema che una opportunità.
Percorrere le numerose tappe che, fino ad ora, hanno contribuito a snaturare i principi della Carta Costizionale sarebbe doveroso ma ci prenderebbe, in questa sede, troppo spazio e ci distoglierebbe dal nodo cruciale che invece dobbiamo considerare con la massima attenzione.
Quello a cui siamo arrivati oggi, purtroppo, con la complicità di alcuni Presidenti della Repubblica che avrebbero dovuto garantire la tenuta e lo scrupoloso rispetto dei sacri principi costituzionali, e invece hanno svolto opera collaterale di demolizione e di snaturamento di essi, fino ad esserne definiti “picconatori”, è forse il colpo di grazia: lo stravolgimento dell'articolo 138, infatti, costituisce un vulnus gravissimo e di inaudite proporzioni, tale da potersi ritenere, a tutti gli effetti, l'equivalente di un colpo di Stato. Soprattutto considerando che ciò avviene in mancanza di una Assemblea Costituente eletta con sistema proporzionale, senza alcun passaggio referendario e ad opera di un Parlamento eletto con legge “porcata”, in cui i padroni dei partiti maggiori, ormai riuniti in una nefasta ammucchiata governativa, si sono arrogati il diritto esclusivo di cambiare le regole fondamentali dello Stato. Mai un tale attacco così micidiale alla democrazia italiana è stato sferrato nel corso della sua storia.
Di fronte a ciò, crediamo che la reazione dei cittadini, pur manifestatasi in una grande mobilitazione recente a Roma, debba essere ancora più dura e risoluta.
Di fronte a tale scempio di inaudite proporzioni, l'unica vera opposizione avutasi oggi di grande rilevanza politica e popolare è stata quella del Movimento 5 stelle, sebbene anche altri partiti della sinistra tradizionale, come SEL, si siano rifiutati di essere complici di tale ferita mortale.
Il Movimento 5 stelle ha messo in atto forme di protesta eclatanti, ha pronunciato in Parlamento discorsi che non si sentivano più da tempo e che ci hanno riportato alla memoria la testimonianza dei nostri padri costituenti, come quello della senatrice Taverna, straordinario esempio di impegno politico e civile.
Chi accusa questo Movimento di derive autoritarie ed autoreferenziali, dovrebbe riascoltarlo con molto attenzione, in tutti i suoi passaggi e soprattutto nella scrupolosa denuncia di come e quando i principi costituzionali sono stati violati e disattesi negli ultimi anni.
C'è chi parla di fine del ventennio berlusconiano, ma dimentica altresì che l'obiettivo principale ampiamente dichiarato di Berlusconi è ed è sempre stato quello di cambiare radicalmente la Costituzione e che questo governo, nato ampiamente sotto la sua egida ed iniziativa, sta, nonostante la parziale estromissione attuale di Berlusconi dall'ambito della politica, operando esattamente secondo quelli che sono stati sempre i suoi obiettivi ed, in particolare, il suo principale: infliggere un colpo mortale e definitivo alla Costituzione Italiana.
Chi scrive ha più volte manifestato la sua diffidenza verso Grillo, considerandolo un “gate-keeper”, uno che cioè sta sostanzialmente “a guardia del cancello” delle istituzioni, regola il traffico in entrata ed in uscita, specialmente quando esso rischia di congestionarsi troppo a causa della rilevanza e virulenza dello scontro sociale. Lui stesso ha, in ogni caso, dichiarato che senza il suo apporto la protesta, in Italia, avrebbe potuto raggiungere livelli di lotta di ben altra proporzione e forse anche di inaudita violenza, dato che la condizione di crisi e di prostrazione sociale, raggiunta oggi dal nostro Paese, non solo non ha precedenti nella storia repubblicana, ma nemmeno in quella di tutto lo Stato unitario.
Essere dunque uno “stabilizzatore” del dissenso non è un fatto del tutto positivo se il dissenso, in base a ciò, resta frenato e trattenuto nella sterile e demagogica protesta o permane nell'ambito dell'insulto fine a se stesso. Mettere in moto però un processo di mobilitazione popolare che, volenti o nolenti, entra nelle stanze del potere e dà vita e voce all'Italia più emarginata bistrattata e sfruttata, ad opera dei suoi stessi cittadini, di ogni ceto e di ogni levatura, è comunque una grande opportunità per la libertà e per la democrazia, anche se non si sono ancora realizzate forme di aggregazione e di lotta che possano concretamente incidere per cambiare effettivamente l'assetto vigente.
Per impedire cioè che un Movimento che ha avuto uno straordinario successo elettorale si veda sprecato sul nascere dalla prospettiva gattopardesca che “tutto debba cambiare affinché nulla di sostanziale cambi” bisogna entrarci, e nel suo interno lavorare affinché esso raggiunga una fisionomia di forza politica compiuta, con una sua organizzazione territoriale ben articolata ma in senso plurale e in nessun modo verticistico, e infine affinché essa non resti ostaggio di alcuna forma di leaderismo, nemmeno di quello del suo fondatore.
Una volta questo si chiamava Socialismo Libertario, e cioè processo politico basato sulla autonomia, sulla partecipazione e soprattutto sull'esercizio scrupoloso della democrazia diretta in ogni luogo.
Oggi i nomi contano poco, sempre meno, di fronte alle sfide epocali a cui siamo, volenti o nolenti, chiamati a rispondere, e soprattutto di fronte alla perdurante ed inossidabile struttura autoreferenziale dei partiti, e alla vocazione satellitare che anche i più piccoli hanno verso i più  grandi, per mera tendenza a conservare e gestire il potere.
Tale assetto, in mancanza di risorse e di opportunità di lavoro, diventa ancora più pericoloso perché la politica così si trasforma, in tali contingenze storiche, in una pericolosissima “professione feudale”, riducendosi a struttura di controllo clientelare del territorio. A mafia istituzionalizzata.
Questo, che ci piaccia o no, è quello che abbiamo di fronte a noi in Italia oggi.
Sapendo dunque distinguere tra le esternazioni di Grillo e la reale portata del Movimento nato grazie alla sua iniziativa, non dobbiamo perdere la capacità di cogliere la grande opportunità nata con lo sviluppo di quello che appare oggi l'unico soggetto politico autenticamente popolare non colluso con le strutture di quel potere autoreferenziale il cui unico obiettivo, nell'angoscia di essere realmente messo all'angolo, è quello di piegare le regole ai suoi scopi e persino di rieleggere, a tal fine, un Presidente della Repubblica che qualsiasi Stato autenticamente democratico e civile avrebbe da tempo mandato in pensione, con un'età superiore a quella di un papa dimessosi per ragioni di età, e dell'ultimo leader maximo: Fidel Castro, autonomamente già dimessosi da ogni carica di partito e di potere.
Il massimo della assurdità e dell'ipocrisia lo abbiamo raggiunto quando questo Presidente della Repubblica ha prima rivolto un appello affinché la legge elettorale venisse finalmente cambiata mediante un largo consenso e confronto parlamentare, per poi rinnegare tale intento, convocando a tal fine, e prima di ogni altro, le maggiori forze politiche che oggi sono al governo con il principale intento di demolire la Costituzione.
Il Movimento 5 stelle è l'unica aggregazione politica oggi, pur con i suoi inevitabili difetti dovuti alla sua struttura “in fieri”, che denuncia in continuazione tutto ciò dalla prospettiva di un largo consenso popolare e senza alcuna benché minima apertura ad alleanze politiche di fatto “satellitari”, ma pur restando aperta a votare, se necessario, e volta per volta, provvedimenti utili e necessari al Paese. Che piaccia o no, tale forza politica oggi esprime anche una necessità “morale”, un imperativo categorico, tale da costituire un punto di non ritorno nella costruzione di una fase non solo politica, ma per di più civile, concretamente nuova nel nostro Paese.
Demonizzarla quindi non servirà in alcun modo, specialmente ai collateralisti criptici del sistema feudalmete partitocratico oggi in atto, e tanto meno infiltrarla per demolirla dal suo interno, esacerbando certe sue contraddizioni.
Servirà piuttosto lavorare in essa e con essa, per affrontare e risolvere i nodi cruciali con i quali la nostra democrazia è chiamata a sostenere una sfida mortale: di vita e di sopravvivenza, di giustizia sociale e di libertà, o di morte civile ed istituzionale.
Se le stelle stanno sempre, come diceva Kant, “sopra di noi”, a configurare la permanente opportunità di un'utopia possibile, è bene quanto meno che non “restino a guardare” se non altro a dimostrare che essa, una volta tanto e per tutte, è anche vitale ed improrogabilmente necessaria.
C. F.  

martedì 22 ottobre 2013

Fossa Italia




Ci sono tre elementi caratterizzanti di una autentica democrazia, tre specificità indispensabili senza le quali persino una dittatura, alla fine, può diventare più “sopportabile”, fino a sostituirla inevitabilmente.
Il primo è dato da una legge elettorale autenticamente democratica, con la quale i cittadini hanno una concreta possibilità di esercitare la loro “sovranità”, facendosi rappresentare "personalmente" nel miglior modo possibile e consentendo la nascita di un governo che possa svolgere il suo lavoro stabilmente.
Il secondo è una corretta alternanza e dialettica democratica tra governo e opposizione, tale da fare in modo che l'uno si prenda la responsabilità di portare a termine il suo mandato e l'altra controlli l'operato governativo, collaborando solo in casi eccezionali e di vitale importanza per la stessa tenuta democratica complessiva delle istituzioni (come ad esempio quando si vara una nuova legge elettorale o costituzionale, che però andrebbe seguita sempre da un referendum popolare).
Il terzo, infine, è l'apparato con cui uno Stato democratico funziona, rappresentato dai settori dei servizi pubblici essenziali per il cittadino, dalla loro efficienza, dalla loro trasparenza e dalla loro onestà nel rapportarsi con ognuno di noi. Questo evidentemente richiede adeguati controlli sui metodi di selezione di chi lavora per lo Stato, sul loro compito e sulla “disciplina e l'onore” con cui essi, secondo la Costituzione, devono svolgere il loro lavoro, con una lotta spietata ad ogni forma di corruzione e di parassitismo. Questo, altrettanto evidentemente, richiede adeguati investimenti ed incentivi per migliorare e potenziare tale apparato nevralgico con cui ogni istituzione svolge un servizio utile al cittadino.
Se, dunque, analizziamo singolarmente ognuno di questi elementi summenzionati, ci rendiamo conto piuttosto facilmente di come la democrazia in Italia sia ormai con i piedi nella fossa.
Abbiamo una legge elettorale non democratica, che non consente ai cittadini di farsi rappresentare ma che mette lo Stato in mano ai padroni dei partiti spesso collusi con apparati lobbistici e organizzazioni malavitose, e che, per di più, però, non riesce nemmeno a consentire una stabilità di governo, oltre che una alternanza nell'esercizio del potere. Nonostante sia stata definita dai suoi stessi artefici: “legge porcata”, essa viene mantenuta in vigore ormai da molti anni con un palese disprezzo verso coloro che devono subirla, che, ormai, pur di non farlo più, si astengono dal voto nel 40% dei casi, ed in maniera sempre più crescente.
Abbiamo un governo “ammucchiata” in cui la distinzione tra centrodestra e centrosinistra è sparita, non parliamo poi di destra e sinistra che non esistono più da tempo, ormai inghiottite nel gorgo di una spasmodica rincorsa al centro di ogni inossidabile potere e poltrona..Non c'è dunque più alcuna forma di controllo o di limite, anche nel voler stravolgere a forza di “numeri schiaccianti” persino la legge fondamentale dello Stato: la Costituzione., fino al paradosso che se, puta caso, i parlamentari del centrodestra e del centrosinistra volessero accordarsi per far decadere in blocco la Costituzione o la democrazia stessa, potrebbero tranquillamente farlo con una semplice votazione.
Abbiamo, infine, un susseguirsi di provvedimenti e leggi che non migliorano l'assetto dello Stato, ma impongono ad esso sempre e solamente tagli, evitando scrupolosamente ogni forma di incentivo al miglioramento dei servizi ed ogni forma di investimento nel settore pubblico, con l'aggravante della beffa di un blocco “sine die” degli stipendi per chi lavora al servizio dello Stato, ridotto alla funzione di “paria statale”.
Tutto questo basta ed avanza per dichiarare senza tema di smentita che la democrazia italiana è ormai ben oltre il suo stato comatoso, ed è già abbondantemente nella fossa in cui è destinata ad essere sepolta dai potentati economici al servizio del militarismo neocoloniale occidentale e della plutocrazia oligarchica della Unione Europea.
Sono questi, dei meccanismi piuttosto ricorrenti nella storia, che però non durano in eterno e che portano inevitabilmente a nuove forme di autoritarismo, sentite come persino più tolleranti e benevole dal popolo, di un assetto in cui i suoi bisogni restano del tutto ignorati o schiacciati.
Accadde nell'antica Grecia, con l'avvento delle tirannidi che furono originate dalla degenerazione delle aristocrazie in timocrazie, accadde nell'antica Roma con l'avvento del cesarismo facente leva sul perdurante conflitto tra le classi più umili con i potentati dell'aristocrazia terriera e schiavista, accadde nel passaggio dal Medioevo all'Età Moderna, con l'avvento delle signorie che posero fine ai perduranti conflitti di classe interni ai comuni, accadde con l'instaurarsi del Comitato di Salute pubblica nella Francia Rivoluzionaria, accadde in età contemporanea con l'avvento di regimi totalitari nati dalla dissoluzione o dalla implosione delle cosiddette democrazie liberali rigidamente oligarchiche.
Accadrà dunque di nuovo con l'implosione non lontana di una Europa incapace di darsi un governo politico ed un assetto che rappresenti più le istanze dei suoi popoli, piuttosto che quelle dei suoi organismi finanziari ed economici. In fondo, anche il denaro ha un suo punto debole, rappresentato dal fatto che la gente crede, nella maggior parte dei casi, che esso possa risolvere ogni problema e “rimediare” ad ogni dolore. Quando infatti un rimedio viene percepito come peggiore del male che si riteneva con esso di poter curare, inevitabilmente, tale “rimedio” viene spazzato via prima dall'orizzonte della “fede” e poi da quello della pratica corrente. E' accaduto con la religione e con Dio, figuriamoci se non potrà accadere anche con il denaro, nella sua ultima e metafisica versione globalmente “mammonica”.
In Italia, ormai, la politica è palesemente ridotta a terreno di scontro per la sopravvivenza nel perdurare dei privilegi negati ai più, un territorio ormai sempre più ristretto, da “riserva protetta”, e sempre più assediato dal malessere e dall'antagonismo sociale che ormai tocca tutte le categorie, persino quelle deputate a “difendere” le istituzioni dallo scontro sociale.
Qui si danza allegramente su un lago di benzina con almeno cinque cerini tra le dita in ogni mano..basta solo uno scivolone e...bum! Ce ne rendiamo conto bene se pensiamo che oggi, persino certi media asserviti al perdurante potere autoreferenziale di una politica senza più né capo né coda, sono costretti ad ammettere che la nostra situazione economica e sociale, mutatis mutandis, è peggiore di quella che si ebbe in Italia subito dopo la fine della prima guerra mondiale, sicuramente il momento più critico di tutta la “storia patria”. E sappiamo altrettanto bene cosa accadde dopo..
Quando lo Stato muore e con esso muore il simulacro di democrazia che esso aveva assunto come ultima foglia di fico per mascherare le sue vergogne, anche una dittatura (ovviamente nessuna mai si presenta con lo stesso volto nella storia) può essere percepita come “risolutrice” e “rivoluzionaria” e la medesima dittatura può persino impegnarsi di più per migliorare l'assetto dello Stato, per il semplice motivo che ciò le torna assai utile per accrescere su di sé il consenso.
In Italia siamo quindi già nella “fossa democratica” e la terra che si sta già spargendo sopra per seppellirla è data dalla perdurante opera distruttiva dello Stato italiano e dei suoi servitori, perché sia l'uno che gli altri, evidentemente, sono solo un ostacolo all'imporsi di governi economici transnazionali in cui contano più le leggi di bilancio che quelle costituzionali.
Non è detto però che a ciò si accompagni solo e sempre un lugubre e rassegnato “de profundis” da parte dei ceti sempre più immiseriti e marginalizzati da leggi che si chiamano di “stabilità” perché hanno solo l'arroganza di “stabilizzare” le oligarchie dominanti in Europa. Non è detto che i dipendenti pubblici, i pensionati, gli esodati, i precari, i licenziati, gli “incapienti”: nuova categoria di persone con redditi così bassi da non presentare nemmeno la dichiarazione dei redditi, si rassegnino ad essere “suicidati” in massa.
Quando Luigi XVI annotò il 14 luglio del 1789 nel suo diario.. “niente” era perfettamente convinto che quella, come tante altre giornate precedenti e successive, avrebbe continuato ad essere assai salutare per il “suo” popolo ed anche per il suo “collo”. Così non è una novità che chi vede morire l'economia e la tenuta sociale di un paese allo stremo, e pur tuttavia continuamente terra di sbarco per centinaia di poveri disgraziati ogni giorno in fuga da quelle stesse guerre e miserie di cui l'Europa e l'Occidente sono pienamente responsabili con la loro arrogante ed aggressiva indifferenza, possa pensare che dalla crisi si esce un “passo alla volta”..pur avendo entrambe i piedi nella.. “fossa Italia”.

C.F.

Letta e quale fine del ventennio?

   



                                           di Diego Fusaro

“Si è chiuso un ventennio”: è quanto sostenuto dal premier Enrico Letta non molti giorni addietro, durante l’intervista di Maria Latella su Skytg24. Purtroppo Letta si sbaglia: e si sbaglia perché lui stesso e il suo partito sono pienamente organici – in senso gramsciano – alla stessa visione del mondo di Berlusconi e del suo schieramento. Più precisamente, portatrici della stessa visione ultracapitalistica del mondo, destra e sinistra accettano oggi in maniera ugualmente remissiva la sovranità irresponsabile di organismi economici sistemici (dal Fondo monetario Internazionale alla Banca Europea), che svuotano interamente la decisione politica, costretta a una funzione meramente ancillare. Nella forma della pura gestione dell’esistente, la politica e la democrazia non fanno altro che ratificare quanto viene autonomamente deciso dalla sapienza infallibile degli economisti, dalle multinazionali e dal mercato divinizzato.

Quale ventennio, dunque, sarebbe finito? Quello di Silvio Berlusconi come uomo politico? Può darsi. Non certo lo spirito del tempo neoliberale, giacché di esso si sostanziano in egual misura Berlusconi e il partito di Letta, ossia il tragicomico serpentone metamorfico PCI-PDS-DS-PD, che dalla lotta per l’emancipazione di tutti è oggi passato armi e bagagli a difendere le ragioni del capitale finanziario globalizzato.

La cultura della sinistra è da tempo il luogo di riproduzione simbolica del capitale: nichilismo, relativistico, distruzione dei retaggi borghesi, difesa dei diritti civili per rimuovere la difesa di quelli civili, ecc. Da Carlo Marx alla signora Dandini, da Antonio Gramsci a Massimo D’Alema: la parabola sta tutta qui. Farebbe ridere se non facesse piangere: è, come già più volte ho ricordato su queste pagine, una tragedia politica e sociale di tipo epocale.

Nella sua vera essenza di protesi di manipolazione simbolica del consenso e di addomesticamento organizzato del dissenso, la dicotomia tra destra e sinistra occulta oggi – con buona pace di Letta – il totalitarismo del mercato, che le forze inerziali della simulazione tra le due fazioni non nominano nemmeno più, metabolizzandolo come dato naturale-eterno. La sopravvivenza virtuale della dicotomia nell’epoca dell’identità in atto di destra e sinistra ricopre, in sede politica, la stessa funzione che, nell’ambito dei mass media, è svolta dalla simulazione mediatica: quest’ultima – Debord docet – crea una realtà virtuale che non solo non intrattiene alcun rapporto con la “realtà reale”, ma che, di più, la occulta e la rende programmaticamente invisibile.

Si è liberi di scegliere tra gruppi, schieramenti, partiti e fazioni che hanno preventivamente aderito al dogma della “gabbia d’acciaio” (Max Weber), ossia alla supina adesione all’integralismo economico presentato come destino intrascendibile e alternativlos, “senza alternative” (la formula preferita da Angela Merkel): la scelta è libera e, insieme, fittizia, poiché, quale che sia, si risolve nella vittoria dello stesso, frammentato in molteplicità organizzata.

Oggi il monoteismo del mercato risulta letteralmente invisibile nel proliferare ipertrofico delle dicotomie ingannatorie; di più, può agevolmente contrabbandarsi come pur sempre preferibile rispetto agli estremismi che hanno popolato un secolo breve, ma più di ogni altro denso di tragedie. Essere antifascisti in assenza completa del fascismo o anticomunisti a vent’anni dall’estinzione del comunismo storico novecentesco costituisce un alibi per non essere anticapitalisti, facendo slittare la passione della critica dalla contraddizione reale a quella irreale perché non più sussistente.

Forse che l’adesione cadaverica al nomos dell’economia e all’ordine neoliberale non si ritrova, in forma uguale, a destra come a sinistra? Letta e Berlusconi si rivelano, in ciò, a egual titolo “maschere di carattere” – come avrebbe detto Marx – della produzione capitalistica.

Può darsi che sia finito il ventennio di Berlusconi, ma il suo spirito continua a vivere negli “eroi” del centro-sinistra, che di Berlusconi sono da anni i più preziosi alleati. La differenza tra i sinistri e i destri – nell’epoca dell’identità in atto di destra e sinistra – sta solo nel fatto che i primi fanno finta di non essere berlusconiani, disapprovando sempre e solo gli aspetti folkloristici del Cavaliere (Arcore, Olgettina, Ruby, ecc.), ma condividendo in toto l’idea perversa della politica come continuazione dell’economia con altri mezzi e il disinteresse totale e conclamato per la questione sociale e per i diritti degli esclusi dal sistema. Se la sinistra smette di interessarsi a questi temi, occorre allora smettere di interessarsi alla sinistra.

da: http://www.lospiffero.com/cronache-marxiane/letta-e-la-fine-del-ventennio-13082.html

martedì 15 ottobre 2013

Lampedusa e il complesso di Achille

             


                                              di Diego Fusaro


La tragedia si è consumata pochi giorni fa, nei pressi dell’isola dei Conigli. Sull’imbarcazione, che si è incendiata e poi rovesciata, oltre 500 profughi. Lutto nazionale e pianti senza tregua. È l’usuale complesso di Achille: nel canto che conclude il primo poema omerico, Achille si commuove alla richiesta del re Priamo di riavere il cadavere del figlio Ettore, ucciso e martoriato impietosamente dallo stesso Achille. È l’eterna vicenda dell’Occidente, commuoversi di fronte alle catastrofi che esso stesso ha prodotto.

A chi attribuire la responsabilità di quanto accaduto? Tra le caratteristiche del nostro tempo, vi è anche quella della perenne deresponsabilizzazione degli attori sociali: le “tragedie nell’etico” (Hegel) – licenziamenti, tagli alla spesa pubblica, precarizzazione del lavoro, ecc. – non sono mai considerate come l’esito di scelte criminali delle politiche neoliberali; sono, invece, puntualmente giustificate tramite il ricorso all’ipocrita formula liberatoria e deresponsabilizzante “non vi sono alternative” o, da qualche anno, alla sua versione ideologicamente aggiornata: “ce lo chiede l’Europa”. Formula, quest’ultima, che rivela fulgidamente l’ipocrisia di una politica ormai asservita all’economia finanziarizzata che, in quanto vocazionalmente apolide e transnazionale, deve sempre di nuovo delegittimare ogni forma di sovranità che non sia quella del mercato: dire che alle tragedie che l’Europa sta provocando bisogna reagire con “più Europa” sarebbe come dire a un drogato che, per uscire dal tunnel, ha bisogno di “più droga”.

Imputare le colpe sistemiche agli individui e quelle individuali al sistema: sembra questa la formula in cui si condensa lo spirito del nostro tempo, secondo una precisa strategia che fa ipocritamente ricadere tutte le colpe sempre e solo sui dannati della terra. Se si tagliano gli stipendi e la spesa pubblica, è colpa del sistema; se i giovani non trovano lavoro, è colpa loro (“bamboccioni” e “choosy”).

Alla luce di quanto detto, non bisogna, dunque, aspettarsi risposte: la responsabilità di quanto accaduto viene puntualmente imputata alle leggi sistemiche, mai a concrete politiche e a gruppi effettivamente operanti. Nello scenario della mondializzazione mercatistica, la contraddizione della mercificazione universale si manifesta nitidamente in quello che resta scandalo e follia per una ragione non prigioniera del “cretinismo economico” (Gramsci) dominante su tutto il giro d’orizzonte. Le merci si muovono in modo multidirezionale nel mondo simbolicamente ridotto a piano liscio funzionale al loro libero e illimitato scorrimento, senza conoscere frontiere né limitazioni di alcun tipo. Gli esseri umani, invece, sono costretti a rispettare frontiere e limitazioni di ogni sorta, sottoponendosi al rito del passaporto (nel migliore dei casi) e a quello del “permesso di soggiorno”, troppo spesso pagando con la vita la loro fuga verso nuovi orizzonti.

È il triste caso di Lampedusa. La globalizzazione finanziaria fa circolare illimitatamente le merci e genera segregazioni e campi di controllo per gli esseri umani: quale miglior prova del carattere reificato della società di mercato di cui siamo abitatori coatti? Le merci sono i veri soggetti, gli uomini sono ridotti a loro intermediari, patendo sulla loro carne viva le contraddizioni che discendono da questa verkehrte Welt, da questo “mondo rovesciato”, come lo chiamava Marx.

Secondo una dialettica spietata di inclusione ed esclusione, la mondializzazione del flusso senza frontiere delle merci e delle operazioni finanziarie dell’economia spoliticizzata coesiste con il filo spinato e con i centri di controllo panoptico dei migranti. La strage dei profughi di Lampedusa credo possa essere con diritto inserita in questo macabro orizzonte di senso. Commuoversi non serve a niente, se non a giustificare quanto già c’è. Occorre trasformare la rabbia gravida di buone ragioni in energia politica in grado di rovesciare lo stato di cose.

Da http://www.lospiffero.com/cronache-marxiane/lampedusa-e-il-complesso-di-achille-12961.html

lunedì 14 ottobre 2013

Il Papa Francesco e la depaganizzazione del papato

        
                                           
                                            di Leonardo Boff


Le innovazioni nelle abitudini e nei discorsi di Papa Francesco hanno aperto una crisi acuta nei gruppi conservatori che seguivano rigorosamente le linee guida dei due Papi precedenti. Per loro è stato particolarmente intollerabile che il Papa avesse ricevuto in udienza privata uno dei promotori della "condannata" Teologia della Liberazione, il peruviano Gustavo Gutierrez. Sono storditi dalla sincerità del Papa, che riconosce gli errori nella Chiesa e allo stesso tempo, denuncia l’arrivismo di molti prelati, qualificando di "lebbra" lo spirito cortigiano ed adulatore di molti al potere, i cosiddetti "vaticanocentrici".
Quello che veramente li ha scioccati è l’inversione che fa, mettendo al primo posto l’amore, la misericordia, la tenerezza, il dialogo, assieme alla modernità e alla tolleranza con le persone, anche con quelle divorziate ed omosessuali, e solo dopo le dottrine e discipline ecclesiastiche.
Si sentono già le voci più radicali che, con riferimento a Papa Francesco, chiedono per "il bene della Chiesa" (la loro, ovviamente) preghiere di questo tipo: "Signore, illuminalo o eliminalo". La rimozione di papi scomodi non è una rarità nella lunga storia del papato. C'è stata un'epoca compresa tra 900 e 1000, quella chiamata "era pornocrática" del papato, in cui quasi tutti i papi sono stati avvelenati o uccisi.
Le critiche più frequenti che circolano nelle reti sociali di questi gruppi, storicamente superati e arretrati, accusano il papa corrente di dissacrare la figura del papato, secolarizzandola e rendendola banale. In realtà, essi ignorano la storia e sono ostaggi di una tradizione secolare che ha poco a che fare con il Gesù storico e con lo stile di vita degli Apostoli, ma ha molto a che fare con il lento paganesimo e con la mondanità della Chiesa, col seguire lo stile degli imperatori romani pagani e dei principi rinascimentali.
Le porte a questo processo sono state aperte nell'epoca di Costantino (274-337), che riconobbe il Cristianesimo, e da Teodosio (379-395), che lo impose come l'unica religione dell'Impero. Con il declino dell'Impero Romano, si sono create le condizioni perché i vescovi, in particolare quello di Roma, assumessero le funzioni di ordine e controllo. Questo è accaduto chiaramente con il Papa Leone I, il Grande (440-461), che fu proclamato prefetto di Roma per affrontare l'invasione degli Unni. Egli fu il primo anche ad usare il nome del Papa, una volta riservato solo agli imperatori. Ha acquisito maggiore forza con il Papa Gregorio Magno (540-604), proclamato anche lui prefetto di Roma, culminando poi con Gregorio VII (1021-1085) che si arrogò il potere assoluto religioso e laico: forse la più grande rivoluzione nel campo della ecclesiologia.
Le attuali abitudini imperiali, principesche e cortigiane di tutta la gerarchia, dei cardinali e dei papi si devono riferire soprattutto a papa Silvestro (334-335). Nella sua epoca era stata creata una falsificazione, la "Donazione di Costantino", con l'obiettivo di rinforzare il potere papale. Secondo questa falsificazione, l'imperatore Costantino avrebbe donato al Papa la città di Roma e la parte occidentale dell'Impero. Con questa "donazione", dimostrata come falsa dal Cardinale Nicola Cusano (1400-1460), erano inclusi l'uso delle insegne e dell'abbigliamento imperiali (porpura), il titolo di Papa, il pastorale d'oro, la mozetta sulle spalle adornata di ermellino e orlata di seta, la formazione della corte e la residenza nei palazzi.
Questa è l'origine delle attuali abitudini principesche e cortigiane della Curia Romana, della gerarchia ecclesiastica e dei cardinali, in particolare del Papa. Prende inspirazione dello stile degli imperatori romani pagani e dalla sontuosità dei principi rinascimentali. Quindi, è stato un processo di paganesimo e di mondanità della Chiesa come istituzione gerarchica.
Coloro che vogliono tornare alla tradizione rituale che circonda la figura del Papa non sono nemmeno consapevoli di questo processo storicamente chiuso e condizionato. Essi insistono su qualcosa che non passa attraverso il setaccio dei valori evangelici e per la pratica di Gesù.
Che cosa sta facendo il Papa Francesco? Sta restituendo al papato e all'intera gerarchia il suo vero stile, legato alla Tradizione di Gesù e degli Apostoli. In realtà, sta ritornando alla tradizione più antica, e realizzando una depaganizzazione del papato nello spirito del Vangelo, vissuto emblematicamente dal suo ispiratore San Francesco d'Assisi .
L' autentica tradizione è dalla parte di papa Francesco. I tradizionalisti sono solo tradizionalisti e non tradizionali. Essi sono più vicini al palazzo di Erode e di Cesare Augusto che alla grotta di Betlemme e all'artigiano di Nazareth. Contro di loro c'è la pratica di Gesù e le sue parole sullo spogliamento, la semplicità, l’umiltà e sul potere come servizio e non come fanno i principi pagani e i grandi che soggiogano e dominano: "Ma tra di voi non deve esser così; anzi, il più grande fra di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve" (Lc 22,26). Papa Francesco parla a partire da questa originaria e più antica Tradizione, quella di Gesù e degli Apostoli. Perciò destabilizza i conservatori che sono rimasti a corto di argomenti.
Leonardo Boff è autore di Chiesa: carisma e potere, Record, Rio 2013. La traduzione italiana è pubblicata dalla Borla.

domenica 13 ottobre 2013

La necessità di esserci e di contare




Sono stato alla manifestazione in difesa della Costituzione, così come a tante altre per testimoniare un impegno civile ed una mobilitazione popolare, sempre più indispensabili in tempi di derive oligarchiche e plutocratiche (plutocratico non è un termine fascista, ma l'esatta definizione e la più precisa etimologicamente, degli attuali assetti economici globalizzati in corso).
Per la prima volta, però, in tanti anni, mi sono sentito un po' “fesso”..chiedendomi: ma è mai possibile che in questo paese si debba arrivare a manifestare per quella che dovrebbe essere la legge fondamentale dello Stato? Per impedire che, non solo essa resti perennemente inapplicata, ma addirittura che venga stravolta? Tutto ciò mi è parso infatti in maniera tragicomica, come uno che cammina dentro casa e, all'improvviso, si mette a gridare: viva il pavimento! Viva il pavimento! Forse perché una qualche percezione che gli possa crollare sotto i piedi ce l'ha..
Gli interventi alla manifestazione di ieri hanno ben messo in evidenza che questo rischio c'è davvero, e non solo per le forzature ai vari articoli della Carta Costituzionale che ci mettono di fatto in una condizione di parallelismo istituzionale: da una parte la Costituzione formale e dall'altra quella materiale, come due rette parallele che rischiano di non incontrarsi nemmeno all'infinito, ma anche e soprattutto per il recente tentativo di volerla cambiare da parte di un Parlamento che non è Assemblea Costituente, ma Porcilaia eletta (non senza la complicità di un popolo in deriva porcilesca) con lex ad porcum, per stessa ammissione dei suoi artefici.
Chi c'era ieri a denunciare tutto cio? C'era l' “isola che non c'è”, e cioè quella sinistra “fantasma” che nei palazzi del potere è ormai del tutto assente e che, quando si tratta di presentare un progetto politico alternativo, non solo non è in grado di farlo in modo unitario, ma, per di più, continua ad avere, soprattutto tramite i suoi “capi”, “capetti” e “capettini” perduranti tentazioni satellitari verso un partito ormai dichiaratamente di centro, se non si destra, come il PD.
Ripetiamocelo dunque, fino alla nausea: a sinistra del PD non c'è nulla, e questo anche per colpa di un elettorato che, pur essendo di “sinistra”, continua a percepire il PD come un suo punto di riferimento, nonostante che abbia ormai avuto prove lampanti dell'andamento contrario di quel partito, ormai abbracciato con la destra in un unico infinito autoreferenziale mantra governativo..
Le forze politiche scese ieri in campo erano visibili, con le bandiere di SEL, quelle di Rifondazione (le più numerose), quelle della lista Ingroia (che non le ammaina nonostante la cocente sconfitta), quelle dell'IDV, quelle del M5S, (per la verità non molte) e una sola, sparuta, dei democratici di una sinistra che fu, ma che non esiste più. Peccato davvero non averne potuta vedere nemmeno una socialista, sicuramente avrebbe fatto una sua bella figura a difendere la Carta Costituzionale, e non solo sempre e comunque quello che ne è diventato un “pesante” tutore: Napolitano.
Peccato anche per le varie componenti dell'associazionismo socialista, del tutto assenti in un momento cruciale, ancor di più, se consideriamo che qualche autorevole loro personaggio è stato tra i protagonisti della denuncia della incostituzionalità di questa legge elettorale. Cari compagni, l'associazionismo dei convegni e delle riunioni di “comitato” non ha né braccia robuste, e tanto meno gambe lunghe, ogni tanto, bisogna sgranchirsele in mezzo alla gente.
Ma tra le assenze “eccellenti” non possiamo non rimarcare la mancata presenza ufficiale della CGIL e persino quella dell'ANPI (nonostante alcune componenti locali fossero ben visibili con le loro bandiere), il cui presidente non ha partecipato adducendo questioni di “metodo” francamente difficilmente comprensibili, non solo dal sottoscritto che ci è andato con il fazzoletto dell'ANPI e con il suo distintivo, ma anche da molti altri che si chiedono se non sia proprio questa l'occasione migliore per ribadire la funzione di una tale associazione. Ragioni, dunque, difficilmente plausibili e difficilmente comprensibili, se non nell'ottica di prendere le distanze da un qualcosa che si percepisce essere “competitivo” rispetto a quello che si ritiene debba essere l'unico interlocutore degno di attenzione: il Partito Democratico.
Ieri però c'erano sicuramente due leaders “in pectore” di questa “sinistra che non c'è”: Landini e Rodotà, ma di qui a pensare concretamente che loro due possano mettersi a capo di un processo politico unitario ed alternativo, sarebbe come dire che tra il dire e il fare c'è di mezzo quanto meno il superamento delle colonne d'Ercole o almeno dell' Ercolino sempre in piedi (come ho già definito altrove il PD)
A fugare alcune di queste illusioni c'è infatti pronta per il 19, la settimana prossima, un'altra manifestazione che si dichiara antagonista anche rispetto a quella dell''11, in cui c'è da sperare solamente che non si ripetano le solite fiammate di guerriglia urbana, magari alimentate ad arte dai soliti infiltrati.
La sinistra antagonista, anticapitalista, antifascista, antigovernativa e antisinistra collateralista, che più anti non si può nemmeno col gorgheggio, sfilerà allora, misurando anche le sue forze, ma anche per segnare la solita distanza incolmabile rispetto alla cosiddetta “sinistra costituzionale”.
Il punto fondamentale, dunque, resta quello di sempre, e su cui si fonda il “divide et impera” di chi va in TV convinto, come Franceschini, di rappresentare la vera “sinistra” necessaria in tempi di globalizzazione: quella “metereologica” che considera le crisi speculative del neoliberismo capitalista come tsunami inevitabili. Il punto è che di sinistre in questo paese ce ne sono sempre almeno due o tre e mai una vera, autentica, combattiva, popolare e concretamente alternativa. Tanto basta per rendere la stessa parola "sinistra" decisamente insopportabile.
Forse un tempo potevamo anche permettercelo, ma adesso non più, anzi, ciò non fa che alimentare la mancanza stessa di alternative, così come non possiamo permetterci di avere l'unico partito che ancora si chiama socialista in Italia, impegnato permanentemente nelle sue beghe congressuali interne, invece che in campo con i cittadini e i lavoratori di questo paese.
Se tra i tagli imposti da questa crisi creata ad arte, negli assetti generali di un mondo dominato da potentati economici, in cui la politica è sempre più ancella idiota della economia a sfondo crematistico, c'è il recidere da questo paese la vera possibilità di una sinistra di esistere e consistere, nella millantatura di un potere che ne desertifica “a priori” la sua stessa essenza culturale ed ideologica, allora, in mancanza di una reazione unitaria, ci dovremo seriamente rassegnare ad andarcene, magari con la bussola orientata verso in mari e gli oceani dei continenti australi.
Se, invece, non vogliamo rassegnarci e vogliamo continuare a combattere affinché ci sia Socialismo ancora in Italia e, con esso, una vera sinistra che ne sia sinonimo indissolubile, dobbiamo cogliere ogni occasione ed essere presenti, prima che questo presente, seguito a ruota da un suo idiotissimo futuro, faccia sparire noi.


C.F.

mercoledì 9 ottobre 2013

Ritornare alle radici per ringiovanire

  


                                             di Leonardo Boff

Per quanto lontano camminiamo sul nostro pianeta o anche al di fuori di esso, come gli astronauti, portiamo sempre con noi la forza delle radici. Di volta in volta, si animano e suscitano in noi un irrefrenabile desiderio di tornare verso di loro. Non sono al di fuori di noi . Sono la nostra base incosciente di sostegno e di forza vitale. Quindi, le portiamo sempre con noi e ringiovaniamo ogni volta che ritorniamo a loro. Il 9 e il 10 settembre di quest'anno, ho vissuto un'esperienza inusuale quando ho visitato la casa del nonno nel nord della Italia.

 Sentimenti profondi, provenienti dal nostro inconscio personale e collettivo, improvvisamente irruppero in me. Mi sentivo ricollegato a quella fonte: La vecchia casa, le stanze annerite, le porte che scricchiolano quando si aprono, i letti duri e di grandi dimensioni (con alcuni dormivano insieme), la stufa a legna, gli armadi pieni di ciotole e vasi antichi, il grande tavolo con le loro lunghe panche, su ogni lato, per far stare a tavola tutti. Era il paesaggio interno. Dal balcone, il paesaggio esterno, dà lassù una lunga valle, con piccole case distribuite tra il verde dei campi e, in lontananza, il famoso Monte Grappa di quasi duemila metri di altezza, dove sanguinose battaglie furono combattute durante la prima guerra mondiale tra l'esercito italiano e l'austro-ungarico

La casa del nonno paterno è nella Valle di Seren del Grappa, vicino a Feltre e Belluno, nella regione italiana del Triveneto. In realtà, è un piccolo agglomerato di case, incollate insieme, chiamato Col dei Bof. È in alto, a metà altezza della grande montagna. Era, fino a poco tempo fa, completamente abbandonato, come molte altre case della montagna. Fino a quando la " Fondazione di Seren", formata da persone di Bolzano, di Belluno e Feltre, con alcuni mezzi ed un forte senso di recupero ecologico della regione, l’ha adottata e trasformata in un centro di incontro e di cultura . Di notte è illuminata. Sembra sospesa in aria, con la montagna scura sullo sfondo.

La popolazione della valle era povera, l’agricoltura di sussistenza appena alimentava la famiglia, perché i suoli non erano molto fertili. Molti hanno sofferto la fame. Alcuni hanno avuto la "pellagra" ( fame estrema, perché mangiavano solo polenta ed acqua fino ad appassire) .

In questo contesto, gran parte della popolazione, di poco più di due mila persone, emigrò, alcuni verso Rio Grande do Sul nel 1880. Gli antenati, in particolare i due antenati Rech e Boff (si scriveva Boeuf), del secolo XV, provenivano dalla Germania (Alsazia e Lorena, Francia oggi). Erano esperti nel tagliare gli alberi di queste valli e montagne per fare il carbone, venduti poi in tutto il Veneto (Bolzano e Venezia) .

Raggiunto il luogo, mi aspettava una manciata di antichi parenti. Essi avevano decorato la casa con spighe di grano, fiori e frutti di stagione. Un coretto cantava canzoni in dialetto veneziano che conoscevamo da casa. Improvvisamente, posizionato davanti alla vecchia casa –un borgo di grandi dimensioni– ho percepito quei muri impregnati con lo spirito del "poro nonno Boff ". Sì, lui era lì. I morti sono solo invisibili , ma mai assenti. Ho visto la sua figura sempre grave, ma di un' eleganza coltivata, con il fazzoletto al collo, su un cavallo sellato che veniva a farci la visita dal villaggio vicino. Mi metteva sulle sue ginocchia e mi raccontava barzellette nello stile divertente degli italiani. E alla fine, di nascosto da mio padre, mi dava qualche soldo, quello che aspettavo di più .

Dovevo parlare ai presenti. La voce mi si è strozzata in gola. Ho lasciato che le lacrime del ricordo e della nostalgia mi scendessero dagli occhi per la barba. Sentii, con una percezione transrazionale, che lui era lì. Ho immaginato il suo coraggio: aveva abbandonato tutto, la casa, la terra degli antenati, la campagna amata, per affrontare l'ignoto e costruire la “Merica”, come dicevano: Merica, Merica, Merica, che cosa sarà questa Merica? Un massolin di fior” ( America , America, America , che cosa sará questa America? Un mazzo di fiori). Ho visitato ogni angolo e ho anche sfogliato vecchi libri rimasti lì.

Di notte ho parlato con la gente. Oggi ci sono solo duemila persone. La chiesa era gremita. Ho raccontato le storie eroiche dei nonni come all'inizio attraversarono il Rio Grande e poi i figli (miei genitori) esplorarono la zona di Concordia nel ovest di Santa Caterina. Come pregavano il rosario di domenica, cantavano le litanie della Madonna in latino e come mio padre, maestro di scuola, insegnava il portoghese ai vecchi, perché in casa parlavano solo il dialetto veneto .

Vengo del tempo della pietra scheggiata, ho perlustrato tutte le fasi della evoluzione culturale ed oggi, ho detto: sono qui con voi, a ritrovare le radici antiche ma sempre nuove. Alla fine, ho cantato quello che cantavamo nella colonia italiana: "Sia dottore o avvocato, deve tutto al suo papà. Ma bambini, sapete che il vostro nonno avanti sempre va".

Nel tramonto nella vita, ho avuto un'esperienza di ringiovanimento ritornando all'alba delle mie radici.

domenica 6 ottobre 2013

La porcilaia di casa nostra




La premessa necessaria a questo scritto è che lo scrivente ha sempre professato i valori dell'antifascismo, sia nel suo lavoro che nella vita civile, testimoniandoli concretamente, con la sua partecipazione a numerose manifestazioni ed incontri, e non solo a parole ma anche con i suoi scritti. Una vocazione che gli viene anche da una famiglia che non cedette mai alla sudditanza della “tessera del pane” e che fu impegnata pure nella Resistenza.
Perché questa premessa? Per svolgere una amarissima riflessione sul destino di una Repubblica che coloro che lottarono per conquistare la libertà ed uscire da una ventennale dittatura, avrebbero voluto sicuramente diversa e che, purtroppo, con il passare del tempo, rischia di rivelarsi persino peggiore del regime da cui essa si volle liberare, e di cui tuttora condanna l'apologia.
Questo avviene, in special modo, da quando le generazioni che lottarono per costruire ed assicurare all'Italia un futuro migliore, stanno a poco a poco, scomparendo, inghiottite dall'inevitabile gorgo del divenire storico.
In particolare, negli ultimi venti anni, abbiamo assistito ad una progressiva ed inarrestabile riduzione dei diritti del mondo del lavoro, fino al loro annientamento. Il penosissimo risultato odierno è una precarietà endemica, un livello di disoccupazione pauroso, la desertificazione del futuro delle nuove generazioni e una implacabile ingiustizia tra coloro che hanno e che si assicurano di avere sempre di più, e coloro che non hanno e sono condannati ad avere sempre meno.
Chi oggi dice che l'antifascismo è superato ha torto, diciamolo con chiarezza e senza esitazione, ma chi dice che il fascismo fu “il male assoluto” ha torto lo stesso, entrambe le categorie di persone appartengono infatti ad una specie di manicheismo storico ed ideologico che tuttora divide gli italiani, come una sorta di rottame non riciclabile di una guerra civile che è durata ben oltre il 25 aprile del 1945, e che è sorta molto prima del 25 luglio del 1943.
La guerra civile iniziò negli anni '20, quando gli agrari e gli industriali italiani, sentendosi minacciati dal progredire di una rivoluzione sindacale (ben diversa da quella bolscevica che alcuni allora reclamarono, facendo poi il gioco dei loro avversari) che mostrava di potere ottenere in maniera stabile e duratura conquiste salariali e diritti per i lavoratori, mai realizzati fino ad allora nel nostro paese, finanziarono le squadracce fasciste, ordinando loro di fare terra bruciata di tutte le organizzazioni dei lavoratori e di annientare anche fisicamente i loro capi.
Per questo, vennero utilizzati reduci e materiali di guerra opportunamente riciclati, con una strategia “mobile” da combattimento armato su vasta scala. Non è persino da escludersi che gli stessi squadristi che portarono a compimento le azioni più efferate facessero anche uso di sostanze stupefacenti come la cocaina.
Purtroppo vano fu il nobile ed eroico tentativo degli Arditi del Popolo di organizzare una forza combattente armata in grado di contrastare lo squadrismo, anche se importanti ed efficaci risultati furono ottenuti in alcune zone d'Italia per respingere gli squadristi armati che operavano con la complicità e l'indifferenza delle Forze dell'Ordine e dell'Esercito. Tra i vari esempi di eroica lotta popolare condotta dagli Arditi del Popolo, risalta quello di Parma la cui popolazione, guidata da Picelli, respinse in armi più di 10.000 squadristi comandati da uno dei più feroci Ras dell'Emilia: Italo Balbo.
E' ormai accertato storicamente che l'avvento in armi del fascismo non fu dovuto solo alla complicità dell'Esercito, della borghesia e soprattutto della Monarchia, ma, in particolare, anche alla impotenza ed indifferenza in quel periodo manifestata dalle forze di quella che allora era la sinistra italiana: i socialisti che firmarono un patto di pacificazione con Mussolini ed i comunisti che sconfessarono, con Bordiga, gli Arditi del Popolo e la loro lotta armata.
Il risultato è storia, una storia che però, tuttora, stenta ad inquadrare il Fascismo come fenomeno articolato e sostanzialmente indissolubile dalla figura di Benito Mussolini.
Il Fascismo non fu infatti un “unicum”, dato che, anche se schematicamente, si può dividere la sua storia, dal 1919 al 1945, in circa quattro periodi: Il sansepolcrismo rivoluzionario e socialmente avanzato, ma sostanzialmente strumentale e impotente, lo squadrismo, feroce e assassino, che lo stesso Mussolini a stento cercò di controllare ed irregimentare con la cosiddetta Milizia, ma che continuò sempre a sfuggirgli di mano ed arrivò persino a minacciare la sua vita, il regime fascista, che possiamo far coincidere con gli anni '30, in linea di massima, e l'epilogo repubblichino che fu una tragica farsa, sprofondata negli orrori della guerra civile. Tralasciamo gli esiti del neofascismo a cui poi accenneremo per considerare ciò che ora più ci interessa.
Il Fascismo fu concretamente espressione di un'Italia sovrana e libera nel contesto dei rapporti internazionali, come mai lo era stata e come mai riuscirà ad essere in futuro, tranne qualche sprazzo di dignità e di autonomia?
Possiamo dire che nel decennio che coincide grosso modo con gli anni '30 sì, l'Italia che Mussolini definiva “proletaria e fascista” in quegli anni, effettivamente, incuteva rispetto nel mondo, ma ovviamente con un prezzo salatissimo: la persecuzione degli oppositori, una politica imperialista da operetta e provvedimenti che sostanzialmente lasciavano inalterato un tessuto sociale ingessato in una società arcaica ed agricola incapace di un autentico sviluppo industriale che lo stesso Duce, con mentalità ottocentesca, non seppe né cogliere né sviluppare sapendo attrarre preziosi investimenti.
Ciò nonostante, lo sforzo di modernizzare lo Stato, pur facendo coincidere esso stesso con il Fascimo, ci fu, almeno rispetto al passato, e persino rispetto ad altre nazioni in cui la crisi del '29 ebbe conseguenze assai più rovinose. Questa la ragione di una popolarità di un regime fieramente avversato allora solo in gran parte dai fautori del Socialismo Liberale di Giustizia e Libertà, dai repubblicani, dai sinceri democratici, dai socialisti, ma, almeno prima della guerra, non del tutto dai comunisti che negli anni '30 si appellavano ai “fratelli in camicia nera” e che nell'immediato dopoguerra tanti fascisti accolsero nei loro ranghi.
Sarebbe lungo ora soffermarsi sugli errori e sulla vanagloria di un regime che, alla fine, arrivò addirittura a chiedere agli italiani ciò che a loro era più sacro: la fede nuziale, come segno del definitivo annullamento dell'individualità e della famiglia nella idea totalitaria di uno stato in tutto e per tutto padrone, fedi nuziali destinate poi a riempire le grosse damigiane dei gerarchi in fuga e finite nel cosiddetto “oro di Dongo”, poi misteriosamente destinato a rimpinguare le casse del PCI, così come sarebbe altrettanto lungo soffermarsi sulle opere che il Fascismo mise in atto, in tutta autonomia ed autorevolezza, per incrementare il consenso e creare un assetto più socialmente avanzato rispetto al passato. Opere che, in gran parte, gli sopravvissero, e di cui anche la neonata democrazia non volle fare a meno. Opere che, almeno nel numero, la stessa democrazia non riuscì a sopravanzare.
Questa non vuole essere infatti, una analisi retrospettiva o comparativa di un regime, per la quale è necessario procedere con molta attenzione e perizia storiografica.
Questa, piuttosto, è l'amara rappresentazione di una Italia che ha appeso a testa in giù il Fascismo, ma si ritrova, settanta anni dopo, a sua volta, con i piedi per aria sul piano sociale, economico, politico e militare.
Gli stessi neofascisti sono stati validamente utilizzati per portare a compimento la distruzione e l'annientamento della Patria, e nonostante essi si fregiassero di esserne gli ultimi difensori. Farneticando con Evola di tanto assurde quanto anacronistiche gerarchie umane e sociali, rimpiangendo permanentemente un tempo in cui, con la Repubblica Sociale, Mussolini cercò di riesumare i miti rivoluzionari mai messi in atto da un regime sempre sceso a patti con i poteri forti, con il Vaticano e con la Monarchia, e tutto ciò mentre si taceva, obbediva e combatteva agli ordini dell'invasore tedesco, i neofascisti nel dopoguerra hanno validamente contribuito, in nome dell'anticomunismo, ad incentivare la servitù contro lo stesso nemico che li assoldò, assieme alla mafia, per consolidare e incrementare il suo potere anche a suon di stragi e di omicidi eccellenti.
Mussolini, che lo stesso Montanelli definì “uno che socialista non aveva mai smesso di essere”, prima di morire, affidò i suoi a Nenni, suo compagno della prima ora e poi suo irriducibile nemico, ma i suoi, come avevano già fatto numerose volte, preferirono tradirlo anche in questa occasione, o scegliendo i comunisti, oppure arruolandosi come mercenari per i servizi segreti americani.
E questo mentre i democristiani fecero di tale perdurante servitù una sorta di perizia da satrapi e i comunisti si adattavano ad esercitare un potere consociativo, senza mai reclamare o una rivoluzione oppure quella automutazione che avrebbe consentito non solo a loro ma a tutta l'Italia una concreta alternativa e autonomia.
In questo perdurante sfacelo, brillò la stella solitaria di Bettino Craxi, che, come una cometa, passò sopra una Italia perennemente “serva e di dolore ostello”, illuminandola per un breve sussulto di dignità di cui resta fulgido esempio il caso di Sigonella e i finanziamenti ai gruppi rivoluzionari dell'Est e dell'Ovest in lotta contro un impero bipolare che si era spartito il mondo, facendo solo finta di combattersi durante la guerra fredda.
La caduta di Craxi e la cosiddetta “seconda repubblica” coincidono con un ventennio di progressivo impoverimento, di perdurante corruttela, di marginalizzazione dei giovani e degli anziani , di incremento dell'occupazione militare, di regresso vertiginoso dei diritti dei lavoratori e del potere d'acquisto degli stipendi, e di sviluppo esponenziale di mafie di vario genere, sempre più intrecciate con il tessuto economico e sociale, del lavoro nero, della schiavitù salariale e del degrado morale e civile di un intero popolo, coinciso con il berlusconismo, e con la mutazione della cosiddetta sinistra postcomunista in apparato di fiducia degli assetti militari e neoliberisti imperanti in Europa e nel mondo.
Siamo dunque arrivati al punto di non avere alternative, o meglio di avere trovato, come unica alternativa, un movimento politico velleitario, privo di sostanziali programmi di sviluppo economico e sociale, benedetto non a caso dagli ambasciatori della superpotenza che occupa il nostro paese, il cui unico scopo è l'incremento del consenso basato sulla protesta autoreferenziale, anche per prevenire che altre forme più incisive ed organizzate di ribellione possano inevitabilmente sorgere. Se ci sono nei vari territori, saranno magari , come sempre avviene da decenni, opportunamente infiltrate, per dividere i "ribelli buoni" da quelli "cattivi" e continuare a regnare su tutti
Tutto questo accade, non a caso, mentre si porta avanti un'opera “scientifica” di damnatio memoriae verso l'unica forza politica che è riuscita a rendere, pur nelle sue degenerazioni, nel corso della sua storia, l'Italia autonoma e degna di potersi mostrare in piedi da sola: il Socialismo.
Mussolini, negli anni in cui fu al potere, fu fautore di un “socialismo di regime”, tentò, rinnegando le sue origini autenticamente rivoluzionarie, persino di portare dalla sua parte alcuni “socialisti di destra” come scrive Carlo Silvestri, prima che la convergenza dei poteri forti e dello squadrismo gettasse sulla sua strada il cadavere eccellente di Matteotti. E da allora, giustamente, non poté che trovare tra i socialisti i suoi più fieri avversari. Molti dei quali però “salvò” con il contributo della “volante rossa” durante la guerra civile e mentre la Resistenza era in pieno svolgimento.
Le truppe di occupazione di entrambi i fronti che entrarono in Italia grazie alla mafia, al tradimento del re e alla feroce repressione nazista, fecero a gara per mettere gli italiani gli uni contro gli altri, preparando così per l'Italia un futuro di perdurante servitù, che si è realizzato dopo la vittoria alleata e che sarebbe stato messo in atto in maniera anche più terrificante se avessero vinto i nazisti.
I patrioti che combatterono allora per liberare l'Italia però si chiamavano tali proprio perché credevano in una Patria nuova, che coincise con una Costituzione la quale, per prima, riuscì a porre fine alle terribili conseguenze di una guerra civile durata ben oltre il 25 Aprile, con episodi di crudeltà inaudita perpetrati da ambo le parti.
Quella stessa Costituzione è riuscita a garantirci, pur nelle condizioni di una sudditanza mai messa concretamente in discussione e intervallata da bombe, terrorismo, crimini di mafia, e crimini politici (a volte coincidenti), lunghi decenni di una storia fatta di libertà, di benessere e di incremento dei diritti civili. Tutto questo fino al 1991, fino a quando si decise, come in una nuova Yalta, sul panfilo Britannia, di relegare l'Italia ad un ruolo di ulteriore e più forte sudditanza, di maggiore povertà, di precariato endemico e di progressiva esposizione ad una immigrazione di massa che, prima o poi, le avrebbe cambiato definitivamente i connotati culturali, religiosi e politici, con la complicità dei media e della TV, in primo luogo. Tutto ciò, creando appositamente un duopolio mediatico inflessibile che ha incrementato quella mutazione antropologica già in atto dalla metà degli anni settanta, e già denunciata, a suo tempo, da Pasolini.
In ben 20 anni, l'Italia ha svolto il suo ruolo di serva dell'imperialismo con precisione impeccabile, partecipando alle guerre, aumentando vertiginosamente le spese militari e accogliendo nel suo territorio il triplo delle truppe americane presenti prima del 1991.
Nei nuovi equilibri geostrategici protesi a difendere non il muro condominiale tra Est e Ovest, ma quello strutturale e portante tra Nord e Sud, l'Italia è ormai una porterei nel Mediterraneo sempre più staccata di fatto dall'Europa e sempre più protesa a intervenire e monitorare ogni eventuale zona di crisi, per un rapido intervento militare.
Destabilizzare l'Italia con una immigrazione di massa, incrementare in essa mafie e corruzione, rendere i suoi governi sempre più fragili e servili, immiserire il suo sistema culturale e formativo, evidentemente, serve per controllarla e dominarla meglio. Così come serve molto farla restare in un permanente clima di perdurante “guerra civile” tra fasci e komu, anche se in realtà il fascismo e il comunismo, come forze politiche organizzate, non esistono più da ormai molto tempo in questo paese.
L'ultima spallata non può che essere quella di cambiare la Costituzione, sia per riattizzare eventualmente odi solo sopiti, sia per impedire che vi sia un argine ulteriore alla invasione barbarica oggi in atto. Con un popolo sempre più disarmato, dato che le Forze dell'Ordine sono a ranghi ridotti e anche le agenzie di vigilantes chiudono per la crisi e, persino, data l'abolizione della leva militare, incapace di usare le armi. Un perfetto popolo di servi, pronti come i maiali, per essere ingrassati o mandati al macello, a seconda delle necessità. Maiali che ormai si azzannano tra loro anche in famiglia, dove gli omicidi crescono e le violenze contro le donne dilagano, e che grugniscono di rabbia solo per difendere il loro territorio regionale o il loro spazio individuale, o di piacere solo negli stadi e nei postriboli in Italia oppure, consumatori tra i più incalliti, all'estero. Un maiale all'ennesima potenza che si incarna, nella sua mutazione più ingombrante e lercia, nel pappone di Stato con pensione d'oro inossidabile
La porcilaia “Italia” non ha mai raggiunto in tutta la sua storia, un livello così infimo di abiezione, e crede di scamparla addossando tutte le sue colpe a Berlusconi, ritenuto il simbolo più eclatante di tale lordume. Ma dimenticando che egli non ha fatto altro che interpretare il ruolo che in questo paese è diventato più popolare negli ultimi venti anni: quello che gli antichi romani chiamavano lo “scurra” l'attore triviale, da cui la parola scurrile. Allora applaudito, oggi votato e incensato abbondantemente anche da chi nel nostro perdurante osanna, seguito furbescamente dal crucifige, gli ha voltato di recente le spalle.
In questo lordume servile che pare non abbia mai fine, dunque, anche la storia del Fascismo e dell'Antifascismo, così come, più in piccolo, quella di Craxi perennemente condannato per mali che furono di una intera Repubblica e che oggi sono elevati all'ennesima potenza, brilla su di noi come le stelle kantiane, purtroppo senza che una autentica morale ci possa interiormente riscaldare o consolare.
Dovremmo dunque piantarla, oggi, di continuare a dividerci, in modo manicheo e strumentale, tra fascisti ed antifascisti, sapendo comunque riconoscere e contestualizzare il significato di questi due riferimenti storici. Dovremmo piantarla finalmente di considerare il “socialismo” come qualcosa dei secoli passati e nemmeno da poter pronunciare, ma piuttosto dovremmo ergerlo a simbolo del nostro riscatto e di una continuità storica, di anelito ad una Patria libera ed indipendente che, dai tempi di Pisacane e Garibaldi, non è mai venuto meno.
Il solo in grado di accompagnare, con il suo immancabile Sol dell'Avvenire, un futuro degno per noi di essere vissuto, l'unico in grado di restituirci, da quelle sembianze porcine a cui la Circe della ammaliante teologia del mercato ci ha condannato, quelle finalmente umane di popolo vero, magari non di santi, non di poeti e nemmeno di eroi, ma forse di navigatori sì, e non solo virtuali, che finalmente tornano a casa loro.

C.F.

mercoledì 2 ottobre 2013

Ercolino sempre al centro

                                                     


Potranno dirgliene di tutti i colori, però Berlusconi sta dimostrando di uscire sconfitto ma non a capo chino, anche dalle terribili vicissitudini giudiziarie e politiche che lo hanno investito di recente. 
La nostra opinione è che la sua parabola discendente sia iniziata circa tre anni fa, quando negò il suo aiuto al suo “amico” Gheddafi, a cui baciò pure la mano, (tralascio di dire con quale “stile” in “camera caritatis”), da allora, e cioè da quando poteva presentarsi all'Europa e al mondo con un inossidabile asse politico-energetico Putin-Gheddafi, la sua è stata una terribile e rapida parabola discendente. L'errore di concedere basi militari per attaccare la Libia in una vera e propria guerra di aggressione aerea, tale fu infatti l'interpretazione guerrafondaia ed imperialista del cosiddetto “rispetto della no-fly zone”, lo portò prima all'isolamento internazionale, poi all'attacco scandalistico e infine a quello speculativo che fu come affondare il coltello nel burro.
Il pretesto di attaccare il suo governo bastò per indebolire l'Italia, mediante il crollo degli ultimi argini legislativi e sindacali alla rovinosa tendenza a distruggere i diritti residui dei lavoratori, aprendo così un'autostrada per un futuro saccheggio di risorse energetiche, economiche, finanziarie e patrimoniali, includenti quelle di ogni cittadino italiano, a partire dalla sua casa..o dalle isole incontaminate della nostra natura più bella.
La caduta di Berlusconi non è stata però voluta del tutto, non fino alla sua eliminazione, prima occorreva infatti che fosse vanificata sul nascere ogni eventuale alternativa politica al suo modello di governo. Era necessario, infatti, impedire preventivamente ogni eventuale alternativa di sinistra e persino di centrosinistra, non parliamo poi di alternativa socialista in un paese in cui verso tale nome esiste una sorta di damnatio memoriae.
Prima di tutto, bisognava garantire il perdurare di un inossidabile assetto centrista fortemente compatibile con le esigenze del monoteismo dei mercati, con i grandi potentati economici e con le mire egemoniche dell'imperialismo occidentale.
Berlusconi quindi andava utilizzato, adoperando però al contempo contro di lui, come ormai è costume abituale di questo sgangherato paese, l' “arma letale” del ricatto giudiziario, facendogli magari supporre cioè che si sarebbe salvato dai suoi guai se fosse stato “docile” ed avesse prima accettato e poi sostenuto il “tutoraggio massacratore montiano” e in seguito, una volta tolto di mezzo ciò che non poteva essere legittimato dalla “parvenza elettorale” (diciamo parvenza perché una legge elettorale come la nostra è l'antitesi di ogni concreta democrazia), lo si sarebbe invitato, in mancanza di alternative, a sostenere una sorta di governo “ombra” rispetto a quello tedesco..una sorta di “copia” in formato brancaleonico e comics, della grande coalizione targata Grosse Deutschland. A garanzia di tutto ciò, si è provveduto a fa rieleggere l'unico presidente mai rieletto in Italia, e nonostante sia più vecchio di Fidel Castro e persino del papa che si è dimesso per limiti di età. Pare dunque che sia Cuba che il Vaticano, esempi di sistemi non proprio “modello” per capacità di rinnovamento, si siano persino dimostrati all'avanguardia rispetto ad un sistema imbalsamato e incartapecorito come il nostro.
L'ultimo sussulto di dignità Berluconi lo ha avuto quando si è sentito “tradito” dalla irrevocabile condanna che gli è piovuta sul collo, e quando così ha visto franare una diga che potrebbe inondarlo e sommergerlo definitivamente se ne seguissero di ulteriori.
Però, e qui bisogna riconoscere che ha avuto dignità e coraggio, non è scappato, è rimasto al suo posto, ascoltando ed accettando di fatto il verdetto, anche se immancabilmente lo ha fortemente criticato ed attaccato. Non ha nemmeno voluto fare il “martire”, ma ha semplicemente continuato a giocarsi quelle carte che, a suo avviso, avrebbe potuto tirar fuori da una manica negli ultimi tempi diventata fin troppo larga, date le continue polemiche e defezioni dal suo schieramento. Forte del fatto di aver dimostrato ai suoi, per l'ennesima volta in ben 20 anni, che solo la sua permanenza come leader avrebbe potuto impedire una larga vittoria nelle elezioni politiche del Partito Democratico; e ci è riuscito, perché il PD ha vinto le elezioni ed ottenuto alla Camera il premio di maggioranza solo grazie ad una coalizione: “Italia bene comune” che lo stesso PD ha subito dopo rinnegato. Una vittoria quindi meno che di Pirro.
In tali condizioni, dopo avere sbattuto in faccia la porta del governo (concedendo solo il misero contentino della Presidenza della Camera all'alleato appena tradito: SEL) ai suoi compagni di cordata elettorale, dopo avere rinnegato e vanificato l'obolo elettorale degli elettori del PD alle primarie che avevano votato Bersani, dopo che non solo Grillo ma anche lo stesso Bersani avevano chiuso ogni possibilità di una eventuale alleanza politica anche solo su alcuni punti specifici e vitali come il varo di una nuova legge elettorale, insomma, dopo una serie di giravolte che hanno fatto rivoltare abbondantemente lo stomaco di molti elettori del PD, questo partito ha deciso di giocarsi l'ultimo jolly: quello di un governo Letta che andasse a fare il safari e la caccia grossa in mezzo ai “berluscones”, incassando intanto la fiducia dei mercati e della promettente keiserina Merkel, per continuare a far “galleggiare” l'Italia in pieno stile democristiano, senza minimamente intaccare né i privilegi della casta al potere né la pandemia da mancanza di lavoro che ha ormai desertificato il futuro di circa due generazioni di giovani.
Per questo, si è tergiversato per mesi intorno solo a due questioni: IMU e IVA, dal modico valore di circa 4 miliardi, usandole come arma di distruzione del consenso di massa dell'uno o dell'altro schieramento, consapevoli che tanto sarebbe già stato tutto deciso dai potentati europei, senza minimamente dismettere opere faraoniche ed inutili come la TAV, o il MUOS, senza sostanzialmente ridurre le esorbitanti e perduranti spese militari, senza toccare in alcun modo le pensioni d'oro che, da sole, se ridotte drasticamente a “soli” 5000 euro al mese, avrebbero fruttato circa il doppio di IVA e IMU messe insieme. Con qualche misero contentino qua e là, promettendo di non toccare con altri tagli la scuola (che è ormai al collasso) e abolendo per ora solo la prima rata dell'IMU sulla prima casa. L'IVA no, non potendo non aumentarla, la compagine inciucista si è inventata una mezza crisi di governo finta per potersi solo rimpallare le responsabilità con reciproche invereconde accuse, salvo poi rimettersi tutti insieme nella grande abbuffata governativa, contenti e coglionando ancora solo il popolo italiota, benedetti, come sempre dal papa-re Napolitano ed inossidabilmente saldati ciascuno alla sua poltrona presumibilmente fino al 2015.
Per mantenere fermo Berlusconi su più miti consigli si è addirittura inventato un gruppo parlamentare finto che però, senza i soldi del Cavaliere, non starà in piedi di sicuro a lungo.
In compenso, contando di poter replicare il continuum di un'altra vittoria finta (poiché ottenuta solo avendo perso meno del suo avversario, ma lo stesso con una perdita secca di centinaia migliaia di voti) avuta nelle elezioni amministrative, è il PD che ora mira a “restare in piedi” come un famoso personaggio di Carosello, forse noto solo agli ultracinquantenni: Ercolino che le prendeva da tutte le parti, ma, essendo di gomma, non andava mai al tappeto. Premio dato per fedeltà ai consumatori di stracchini, formaggini e mozzarelle che ci pare un degno emblema di un partito senza consistenza ideologica, culturale e politica, ma tenuto in piedi, sempre e comunque, da indiscutibili e straripanti interessi trasversali.
Il PD oggi porta a casa circa 24 trofei dal suo “safari” nel centrodestra, tanti sono gli wanted for treason scappati da Berlusconi che minacciava di sfilare la poltrona di sotto al loro culo parlamentare, per sbatterli di nuovo in strada a fare campagna elettorale, con prospettive incerte.
Un trofeo che però sa molto di “palude” e che, al cambiare dei venti mefitici, non è detto che resti in bella mostra nei salotti buoni del “fu centrosinistra”. 
Eh già, perché con questi chiari di luna (ma forse sarebbe meglio dire “ululati alla luna” pallida del potere) il centrosinistra non esiste più né potrà più esistere in mancanza di una sinistra da azzerare in partenza.
La stagione del centrosinistra e di "Italia bene comune" è definitivamente tramontata.
Manca paurosamente una sinistra democratica e convincente che possa fare da contrappeso a questa deriva democristiana del PD
Chi pensava ed auspicava una mutazione in senso socialdemocratico di questo partito può ora serenamente seppellire ogni speranza..lasciate ogni speranza o voi che entrate nel PD.
A sinistra c'è ormai solo il vuoto in Italia e, insieme ad esso, l'horror vacui della incapacità di colmarlo, frutto di una stagione storica senza ideali, senza ideologie o autentici valori culturali e politici, senza il coraggio di rischiare per riaffermarli, senza soprattutto ciò che vince nell'unico continente al mondo in cui la sinistra governa e "fa la differenza", con la libertà, con la giustizia sociale, con la crescita economica, e soprattutto contrastando validamente ogni tendenza imperialista. In quella "fine del mondo" vecchio da cui proviene un "papa nuovo" che parla di lavoro e di diritti sociali ed individuali per tutti, senza alcuna discriminazione.
Quel continente dove il Socialismo, aggiornato in Ecosocialismo, è ancora un'alternativa valida, viva e vitale, e verso il quale dovremmo almeno sollevare lo sguardo, se almeno sapessimo guardare un po' al di là del nostro fin troppo lungo naso.

C.F.