Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

domenica 31 marzo 2013

La Pasqua degli Zombies




E' tempo di Resurrezione e di uova pasquali con sorprese annesse, ma la comitiva di “saggi” uscita dall' “uovo del presidente” a noi tutti destinato, oltre a non essere una sorpresa, ci appare più che altro come una allegra congrega di “zombies”, in special modo se consideriamo il delicato compito che dovrebbe portare a termine.

Non solo per la “datata” esperienza conservatrice dei suoi componenti, ma soprattutto perché alcuni in passato si son rivelati più che altro esperti nel “quagliare” le questioni “particolari” di chi bazzica i palazzi del potere da circa venti anni.
Inoltre, sebbene per chi esercita il compito di Capo dello Stato in Italia non sia obbligatorio leggere i dialoghi di Platone, in cui tra l'altro, si teorizza il governo dei filosofi, e nei quali è presente il Simposio dove Socrate (dall'oracolo di Delfi definito l'essere umano più saggio del mondo) mostra di attingere la sua saggezza suprema proprio da una donna: Diotima, ci saremmo forse aspettati almeno la presenza di una saggia donna fra i famosi dieci “saggi”. Però ci rallegriamo lo stesso che non ci sia, confortati dal fatto che il cosiddetto “gentil sesso” non sia stato destinato a tale ruolo postsepolcrale, e resti dunque ancora sinonimo di speranza.

Nessuna novità, quindi, ma solo la disperata difesa di un sistema autoreferenziale, per mettere in salvo i suoi interessi, affidandoli ad un gotha che avrà lo scrupoloso compito di non disturbare i mercati, accarezzandoli delicatamente, più o meno come si fa con un cane dormiente senza museruola, con l'unica preoccupazione che non si svegli e cominci a mozzicare senza tanti scrupoli.

Doppia fregatura dunque: non abbiamo un governo che sia rappresentativo della volontà popolare appena uscita anche se piuttosto sgangheratamente dalle urne, e ci viene imposta una oligarchia, per il cosiddetto “bene” di un paese sempre più astrattamente mercantilistico che reale.

Il varo di tale “pacco doppio”, che ricorda un po' quello che allegramente fanno certi truffatori, quando ti vendono una merce che credi di aver acquistato a buon prezzo, per scoprire che di essa ti rimane solo il contenitore (dato che al cittadino medio europeo, più del contenitore della UE, sta restando principalmente il vuoto del suo impoverimento), coincide con il nuovo regolamento di stabilità economica che assegna alla Commissione europea la possibilità di deliberare in maniera vincolante sui bilanci nazionali dei 17 Paesi della zona euro (a partire dal 2014), ponendo, se necessario, il suo veto, mentre, fino ad oggi, poteva esprimere solo raccomandazioni.

Questo evidentemente interessa a chi sa di volere portare a compimento un processo di concreto svuotamento della sovranità popolare, per garantire un assetto finanziario ed economico fondato su profonde e progressive disuguaglianze sociali, sulla tutela inossidabile di enormi privilegi, e sul permanere di equilibri geostrategici finalizzati a mantenere solide egemonie di controllo imperialistico di aree fondamentali nell'attuale scacchiere mondiale.

Di fronte a tutto ciò, è sempre più evidente la tendenza a marginalizzare, reprimere e canalizzare il dissenso, controllandolo sul nascere ed impedendo che esso cresca e si saldi, soprattutto a livello europeo e globale.

Questa è una manovra che viene portata a compimento in maniera scientifica su vari fronti.

Il primo è quello della distruzione sul nascere di ogni coscienza di classe, sia minando le istituzioni scolastiche pubbliche alla loro base, sia marginalizzando la cultura e le istanze socialiste (e questo anche quando autorevoli fonti anglosassoni rivalutano lo stesso pensiero di Carlo Marx).

Il secondo è di distruggere sul nascere ogni forma che rappresenti in maniera visibile tali istanze, sia impedendo che possano rappresentarsi con il loro vero nome sia riducendo tale nome a “questione archivistica" del secolo scorso, e, infine, sia infiltrando ed inquinando un movimento di tale natura con elementi o personaggi di tutt'altra provenienza o scopi, aggregati più per spirito polemico che per una matura convergenza di programmi concretamente rivoluzionari e di classe (con l'aggravante di snaturare e imbarbarire lo stesso senso del processo rivoluzionario, mediante una etichetta che di “civile” ha solo la sua millantatura)

Il terzo è quello di mettere in atto operazioni gattopardesche, con la nascita di movimenti virtuali, tanto attivi nella rete quanto del tutto assenti nei veri luoghi della sofferenza e della emarginazione sociale, che corrispondono perfettamente al processo di pollificazione attualmente in atto, con cui quello che una volta poteva essere il “compagno di lotta” viene trasformato subdolamente in “utente di rete”, una sorta di “pesce in barile globale” che è tanto solleticato nella sua illusoria onnipotenza comunicativa, quanto frustrato inesorabilmente nella sua effettiva prassi sociale. Ovviamente per questo servono a tutti i livelli abilissimi guru che possano essere molto convincenti nello spacciare cambiamenti radicali per operazioni di subdolo conservatorismo, con le quali si urla di cambiare tutto, salvo poi constatare che tale “tutto” può persino diventare più “tutto” di prima, in una sorta di "dementia ad infinitum".

Per una crescente massa di persone a cui la realtà virtuale viene offerta a costi sempre più bassi ed in dimensioni sempre più ampie e globali, questo è il modo migliore affinché le ombre vengano sempre più spacciate per realtà persino rivoluzionarie, ma senza uscire rigorosamente dalle pareti della caverna mediatica globale. Per restare veri ed autentici trogloditi della rivoluzione, sia in senso etimologico che concreto.

Il quarto ed ultimo fronte reazionario con cui si impedisce al dissenso di crescere e di consolidarsi, è quello che brutalmente si mette in atto quando, nonostante tutti i mezzi più sofisticati di persuasione e di dissimulazione siano stati adoperati, il “pollo troglodita” sfugge lo stesso alla sua catena e pretende di uscire dalla “casella” a cui è stato destinato, ovviamente per produrre e consumare in tanti ovetti, come merce, anche la sua vita.

Quando il dissenso prova a farsi conflitto sociale e soprattutto ad organizzarsi su scala planetaria o continentale, allora si scatena la repressione più brutale e diretta, come abbiamo visto in varie occasioni anche in Italia da Genova a Roma, in questi ultimi anni, durante grandi manifestazioni di respiro europeo o mondiale. In quelle occasioni, infatti, si mette in moto la solita macchina ben oliata della infiltrazione, della devastazione e della repressione più brutale.

Così come si fa quando la gente si organizza per occupare o resistere in aree strategiche, per impedire opere faraoniche e devastanti sul piano ambientale, oppure semplicemente per presidiare il posto di lavoro. In questi casi, la repressione è tanto più brutale quanto meno visibile nelle pareti della “caverna mediatica globale” a cui l'utente deve restare incatenato.

Le pareti ormai hanno molte fessure dalle quali poter guardare fuori, ma, come tali, sono fruibili da pochi, e sicuramente sono fatte in modo da impedire una fuoriuscita di massa.

Una volta appurato tutto ciò, viene lapalissiano considerare la necessità di un percorso individuale e collettivo di fuoriuscita da tali schemi repressivi.

Il primo è quello dell' autoformazione e della “resistenza formativa”, con gli strumenti culturali che ancora si possono reperire per migliorare la propria coscienza individuale, il secondo è quello di un confronto sempre meno virtuale e sempre più diretto che passi, per nuove forme organizzate di lotta, le quali devono maturare mediante una consapevolezza da acquisirsi di persona e “insieme” altre persone, dal vivo e non da dietro la parete virtuale di una “caverna mediatica” in cui anche l'ombra migliore è destinata ad apparire come illusoria.

Questo confronto deve avvenire ovunque: nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli spazi urbani e suburbani e in tutte le forme in cui una aggregazione e una coscienza collettiva possa crescere. E' questa la vera strategia della “gallina in fuga”, prima che pavlovianamente possa gioire del pollificatore che si presenta quotidianamente per offrirle il becchime prima di tirarle il collo, in qualche crisi economica o in qualche guerra.

Tutte le occasioni per incontrarsi sono buone, l'importante è che siano conviviali, che si allarghino, che non siano eterodirette da qualche funzionario dei pollificatori e soprattutto che siano rivolte ad un allargamento della capacità di essere vigili e pronti a mobilitarsi.

Il livello sempre più duro ed aspro con cui si mette in atto la repressione anche in mancanza di una lotta armata ed organizzata della controparte, dimostra che un tale sistema teme l'allargamento del conflitto sociale, perché sa che se esso trova modo di saldarsi anche solo sul piano delle proteste pacifiche ma continuative e di massa in senso continentale, non potrebbe più reggere all'impatto e collasserebbe esattamente come è già accaduto a certi regimi nel passato.

Bisogna dunque insistere nella capacità di essere vigili ed organizzati e soprattutto pronti in ogni momento a mobilitarsi, facendo proprio un motto di tanto tempo fa, quando si lottava contro un regime europeo forse meno subdolo e anche più facile da identificare e combattere, per la sua brutalità e la sua scoperta mania liberticida, ma sotto molteplici aspetti non meno repressivo: Insorgere e Risorgere!

E' l'unica garanzia di sopravvivenza quando si mandano gli zombies a governare.

Buona Insurrezione e buona Resurrezione

C.F.

venerdì 29 marzo 2013

Francesco di Assisi e Francesco di Roma




Da quando ha preso il nome di Francesco, il vescovo di Roma eletto e, per questo, Papa, diventa inevitabile il paragone tra i due Francesco, quello di Assisi e quello di Roma. Tanto più che il Francesco di Roma esplicitamente si è rimesso al Francesco di Assisi. Evidentemente non si tratta di mimetismo, ma di constatare punti di ispirazione che ci indicheranno lo stile che Francesco di Roma vuole conferire alla direzione della chiesa universale.
C’è un punto in comune, non si può negarlo: la crisi dell’istituzione ecclesiastica. Il giovane Francesco dice di aver sentito la vocina del crocifisso di San Damiano che gli diceva: “Francesco, ripara la mia Chiesa in rovina”. Giotto l’ha ben rappresentata, mostrandoci Francesco mentre sostiene sulle spalle il pesante edificio della chiesa. Noi viviamo anche una grave crisi per causa degli scandali, interni alla stessa istituzione ecclesiastica. È stato udito un clamore universale (“la voce del popolo è la voce di Dio”): riparate la Chiesa che è in rovina proprio nella sua moralità nella sua credibilità”. È stato allora che si è affidata a un cardinale della periferia del mondo, Bergoglio, di Buenos Aires la missione di, come Papa, restaurare la chiesa alla luce di Francesco di Assisi.
Al tempo di San Francesco di Assisi trionfava il papa Innocenzo terzo (1198-1216 (che si presentava come “rappresentante di Cristo”). Con lui si è raggiunto il supremo grado di secolarizzazione dell’istituzione ecclesiastica con mire esplicite al “dominium mundi”, al dominio del mondo. Di fatto, per un momento, praticamente tutta l’Europa e perfino la Russia, erano sottomesse al Papa. Si viveva nel maggior lusso e aria di trionfo.
Nel 1210, con molti punti dubbi Innocenzo terzo riconosceva il cammino di povertà di Francesco di Assisi. La crisi era teologica: una Chiesa-impero temporale e sacrale contraddiceva tutto quello che Gesù voleva. Francesco visse in antitesi al progetto imperiale di Chiesa. Al Vangelo del potere, presentò il potere del Vangelo: nello spogliamento totale, nella povertà radicale e nell’estrema semplicità. Non ha preso posto nel quadro clericale o monacale, ma come laico si è orientato con il Vangelo vissuto alla lettera nelle periferie delle città, dove stavano i poveri e i lebbrosi e in mezzo alla natura, vivendo una fratellanza cosmica con tutti gli esseri. Dalla periferia ha parlato al centro, chiedendo conversione. Senza fare una critica esplicita, iniziò una grande riforma partire dal basso ma senza rompere con Roma. Noi siamo di fronte a un genio cristiano di una umanità seduttrice e di un’affascinante tenerezza e premura che mettono allo scoperto il meglio della nostra umanità. Stimo che questa strategia deve avere impressionato il Francesco di Roma. Bisogna riformare la curia e le abitudini clericali di tutte le chiese. Ma non bisogna procurare rotture che potrebbero dilacerare il corpo della cristianità.
Altro punto che sicuramente avrà ispirato il Francesco di Roma: la centralità che Francesco di Assisi conferì ai poveri. Non organizzò nessun’opera per i poveri, ma visse con i poveri come i poveri. Il Francesco di Roma da quando lo conosciamo vive ripetendo: il problema dei poveri non si risolve senza la partecipazione dei poveri, non con la filantropia ma con la giustizia sociale: questa diminuisce le diseguaglianze che affliggono l’America Latina e, in generale, il mondo intero.
Il terzo punto di ispirazione è di grande attualità: come relazionarci con la Madre Terra e con beni e servizi scarsi. Nel messaggio inaugurale della sua intronizzazione, Francesco di Roma ha usato più di otto volte le parole aver cura. E’ l’etica della cura, come io stesso ho insistito fortemente, quella che salverà la vita umana e garantirà la vitalità degli ecosistemi. Francesco di Assisi, patrono dell’ecologia, sarà il paradigma di una relazione rispettosa e fraterna con tutti gli esseri, non sopra ma ai piedi della natura. Francesco di Assisi intravide con Chiara una relazione di grande amicizia e di vero amore. Esaltò la donna e le virtù considerandole «dame». Magari ispiri al Francesco di Roma una relazione con le donne, maggioranza nella Chiesa, non solo di rispetto, ma di valorizzazione del loro protagonismo, nel prendere decisioni sui cammini della fede e della spiritualità nel nuovo millennio.
In fine Francesco di Assisi è, secondo il filosofo Max Scheler, il prototipo occidentale della ragione cordiale e emozionale. E questa che ci fa sensibili alle passioni di chi soffre e ai gridi della Terra. Francesco di Roma, a differenza di Benedetto XVI, espressione della ragione intellettuale, è un chiaro esempio di intelligenza cordiale che ama il popolo, abbraccia le persone, bacia i bambini e guarda amorosamente verso le moltitudini. Se la ragione moderna non viene amalgamata alla sensibilità del cuore, difficilmente saremo portati ad aver cura della Casa Comune, dei figli e delle figlie diseredati e ad alimentare la convinzione ben francescana che abbracciando affettuosamente il mondo, staremo abbracciando Dio.
Leonardo Boff è autore di Francesco di Assisi: una alternativa umana e cristiana, Citadella 1982.

Traduzione di Romano Baraglia -  romanobaraglia@gmail.com




martedì 26 marzo 2013

Il male crematistico (la droga del profitto)




Forse in nessuna epoca come la nostra è stato tanto forte il desiderio di profitto, la tendenza ad accumulare ricchezza e a speculare su di essa, quasi come se, alla fine, essa debba risultare per tutti come una sorta di orizzonte metafisico su cui proiettare l'intero senso della vita e della civiltà dei singoli individui.
Tanto forte è questa tendenza, che la maggior parte delle persone oggi ha persino difficoltà ad immaginare o a ritrovarsi in una dimensione in cui la sicurezza e la stabilità del vivere non siano rappresentate dal possesso di ricchezza e di denaro. 
Sintomatico è il fatto che le masse sono sempre più propense ad affidarsi politicamente a chi viene ritenuto più credibile proprio perché ha saputo accumulare tanta di quella ricchezza, da farsi rappresentate non solo di quella propria, ma anche dell'altrui, per quanto l'altrui possa risultare comunque sempre più misera nel confronto.
Purtroppo questa sorta di “fuga” ed esaltazione al tempo stesso del profitto, che trova la sua celebrazione liturgica nelle banche, nelle società finanziarie, negli investimenti in borsa, con i suoi riti satanici che coincidono con gli aggiotaggi, con i riciclaggi e le speculazioni finanziarie, trae fondamento soprattutto da un deficit progressivo di memoria storica e culturale, lo stesso che rende piuttosto flebile e vana qualsiasi forma di resistenza e di possibilità di invertire, mediante un seria alternativa, tale processo che, in definitiva, si rivela tanto illusorio quanto distruttivo. Poiché in nome del profitto si sta sacrificando l'essenza stessa della vita nella sua sacralità, integrità e diversità.
Lo studio dunque della cultura antica, non riproposta come meno antiquariato filologico, oppure come ermeneutica di un tempo sempre attuale e da giustificare ad ogni costo cercando appigli nel passato, ma come patrimonio di valori intramontabili e riproponibili, mutatis mutandis, in ogni tempo ed in ogni luogo, pur essendo maturati in circostanze uniche e non più ripetibili, può, anzi, deve essere il fondamento di una vera resistenza morale, culturale e civile.
Osservando in un breve excursus lo sviluppo della civiltà e del pensiero greco, ci rendiamo conto che lo scontro e la critica serrata contro la crematistica e l'accumuazione di profitto, è una vera e propria costante, sia in senso diacronico che sincronico.
Nell'Iliade Achille si rivolge ad Agamennone apostrofandolo come : “Uomo impudente ed avido di guadagno” (v148). Nell'Odissea prevale su tutto, non il desiderio di avventura e di ricchezza, ma la nostalgia della patria e della gloria perduta.
Nelle Opere e i Giorni di Esiodo si dice esplicitamente che il “guadagno travia la mente degli umani”(v.326)
Solone esorta a “curarsi delle cose oneste” e a non desiderare mai “nulla di troppo” Talete invitava a “non arricchirsi malamente” e ad “essere moderati”
Eraclito è molto esplicito nel merito: “La città si mantiene in pace e concordia solo se ci si accontenta di ciò che si ha a disposizione, senza avere bisogno di cose lussuose”
In tutta l'epoca aurea dello sviluppo del pensiero tragico troviamo massime analoghe, da Eschilo che nelle Eumenidi ci ricorda che: “la ricchezza porta sciagura, perché basta solo per chi ha una mente saggia” a Sofocle che fu citato anche da Marx nel Capitale: “Per l'uomo nulla ha poteri così tristi e larghi come il denaro, che città devasta, uomini strappa dalle case, istruisce le menti pure a concepire il male, le perverte e le muta, del delitto indica il passo e l'esperienza schiude ad ogni empietà” (Antigone)
Socrate e Platone, anche reagendo ad una tendenza verso la crematistica che sembrò affermarsi con la sofistica, ma che pur restò nell'ambito di patrimoni accumulati per fama e gloria di perizia retorica, più che per puro desiderio di profitto, confermano e rafforzano la condanna della ricchezza fine a sé stessa.
Così si esprime Socrate nell'Apologia: “Ottimo uomo, dal momento che sei Ateniese...non ti vergogni di occuparti delle ricchezze, e della fama e dell'onore, e invece non ti occupi e non ti dai pensiero della saggezza, della verità e della tua anima...?” e Platone conferma: “La libertà consiste nell’essere padrone della propria vita e nel fare poco conto delle ricchezze."
Aristotele infine, come ci ricorda Plutarco, che cita il suo dialogo perduto Sulla Ricchezza, disapprovava fermamente che la ricchezza potesse produrre da sola altra ricchezza e piacere smodato.
Tutta la filosofia cinica, stoica ed epicurea fu infine un continuo esortare l'essere umano alla cura di sé e all'incremento della libertà interiore, soprattutto dal condizionamento dei beni esteriori, una tradizione che sarà fatta propria dal Cristianesimo, rileborata e rilanciata nella sua storia millenaria.
Potremmo continuare con questa storia della resistenza culturale alla crematistica, ma tanto basta a dimostrare che essa ha fondamenta solide radicate nei millenni e che è stata confermata da secoli di pratica della saggezza.
Tornando dunque al presente, rileviamo e ribadiamo che oggi l'ineluttabilità e la necessità di un ordine mondiale fondato sulla “sopportazione” della povertà, solo affinché non sconfini in pratiche eversive, ed in modo tale che lasci comunque inalterato un assetto tale da consentire in modo tanto illusorio quanto distruttivo lo sviluppo e la crescita illimitata della ricchezza, con pratiche sempre più speculative, si fonda proprio sulla ghettizzazione e la rimozione della cultura, in particolare di quella antica. Tanto da riservarla ad ambiti sempre più ristretti e selettivi, riducendola a studio ed applicazione di un programma, svuotandola del suo contenuto “eversivo” e impedendo la sua discussione, meditazione ed attualizzazione.
Evidentemente la costruzione del consenso, per caste o individui che fondano il loro potere sulla ricchezza personale, sempre più avulsa da regole di controllo o da conflitti di interessi, passa per la rimozione di ogni possibile alternativa di senso, culturale, morale e sociale a tale assetto, fino a proporlo come unica salvezza possibile da condizioni ancora più rovinose.
Tutto questo non fa che consentire il travaso della ricchezza dai molti ai pochi, sempre più inevitabile ed imprescindibile, costruendo anche quel consenso di cui le democrazie, almeno formalmente, hanno comunque bisogno.
Il “si salvi chi può” infatti si costruisce e viene indotto in particolare dall'illusione che ci si possa salvare meglio degli altri, saltando prima sopra e tirando servilmente poi il carro di chi ha dimostrato più di altri di potersi salvare meglio e di essere per questo più credibile nell'orizzonte della crematistica assunta a metafisica globale, e ritenuta così tanto necessitante da non presentare alcuna alternativa alla sua ineludibile attuazione.
Nella pratica della resistenza con i mezzi mediatici esistenti, non ci può essere dunque che la sua rappresentazione e caratterizzazione, affinché possa almeno suscitare disgusto e lanciare qualche stimolo culturale, perché ciascuno possa trovare, in un patrimonio inestinguibile comune, almeno il farmaco necessario a scongiurare l'assuefazione, e aggiungo infine, alla luce degli ultimi eventi della crisi economica globale, a propiziare la vera salvezza.

C. Felici
 

lunedì 25 marzo 2013

Il Papa che paga il conto


                                                        
                                                      di Leonardo Boff 


È la pratica, non la predica a convincere la gente. Le idee possono illuminare, ma sono gli esempi che attirano e ci mettono in cammino. Questi sono capiti da tutti. Le molte spiegazioni più che chiarire, confondono. Le azioni pratiche parlano da sé.
Ciò che ha definito  il nuovo Papa Francesco come quello “che viene dalla fine del mondo”, cioè da fuori dei quadri europei così carichi di tradizioni, palazzi, spettacoli principeschi e dispute interne di potere, sono gesti semplici, popolari, ovvi per chi dà valore al buon senso comune della vita. Lui sta stracciando i protocolli e mostrando che il potere è sempre una maschera e un teatro ben puntualizzato dal sociologo Peter Berger, anche trattandosi di un potere che pretende avere origine divina. Il Papa Francesco semplicemente ubbidisce al mandato di Gesù che esplicitamente disse che i grandi di questo mondo comandano e dominano: “Ma tra voi non deve essere così; se qualcuno vuol essere grande, che sia servitore; chi vuole essere il primo sia il servo di tutti; perché il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire” (Marco, 10-43.45).
 Bene se Gesù ha detto questo, come può il garante del suo messaggio, il Papa, dire qualcosa di diverso? In verità, con la costituzione della monarchia assoluta dei Papi, specialmente a partire dal secondo millennio, l’istituzione ecclesiastica ha ereditato i simboli del potere imperiale romano e della nobiltà feudale: vesti vistose (come quelle dei cardinali), orpelli, croci e anelli di oro e d’argento e abiti da palazzo. Nei grandi conventi religiosi che vengono dal medioevo si viveva in spazi tipici dei palazzi. Come studente, nella stanza che mi ospitava nel convento francescano di Monaco che risale al tempo di Guilherme Ockham (secolo 14º) un solo quadro del rinascimento alle pareti valeva alcune migliaia di euro. Come accostare la povertà del Nazzareno, che non aveva dove posare il capo con mitrie, e pastorali dorati, e stole, e vesti principesche degli attuali prelati? Onestamente, non è possibile. E il popolo che non è ignorante ma fine osservatore nota questa contraddizione. Tale apparato non ha niente a che vedere con la tradizione di Gesù e degli apostoli.
Secondo alcuni giornali, quando il segretario del conclave ha voluto mettere sulle spalle di Papa Francesco la “mozzetta”, quella mantellina, riccamente adornata, simbolo del potere papale, semplicemente ha detto: “il carnevale è finito, metti da parte questa roba". Si è fatto vedere con la sua veste bianca, come era solito vestirsi anche Dom Helder Câmara che, lasciato il palazzo coloniale di Olinda era andato a vivere al pianterreno di un un palazzo, nella Chiesa das Candeias, in periferia; come ha fatto anche il Cardinale Don Evaristo Arns, per non parlare di Dom Pedro Casaldaliga che vive in una povera casetta condividendo la stanza con qualche ospite.
Secondo me, il gesto più semplice onesto e popolare di Papa Francesco è stato quello di tornare all’alberghetto dove era stato ospitato (mai alloggiava nella grande casa centrale dei gesuiti a Roma) ed è andato a pagare il suo conto: 90 euro al giorno. E’ entrato, ha preso lui stesso i suoi effetti personali, ha messo tutto nella valigetta, ha salutato il personale e se n’è andato.
Quale potente del mondo civile, quale miliardario, quale artista famoso farebbe una cosa del genere? Sarebbe tralignare dall’intenzione del Vescovo di Roma voler vedere in questo gesto, normale per tutti i mortali una intenzione populista. Non faceva la stessa cosa quando era cardinale di Buenos Aires, andando a comprare il suo giornale, facendo la spesa per cucinare i suoi pasti, andando in autobus o in metrò e preferendo presentarsi come ”Padre Bergoglio”?
Frei Betto ha coniato un’espressione di grande verità: “le testa pensa a partire dal posto dove i piedi poggiano”. Effettivamente, se qualcuno bazzica sempre palazzi sontuosi e Cattedrali, finisce col pensare con la logica dei palazzi e delle Cattedrali. Per questa ragione, la domenica ha celebrato la Messa nella Chiesina di Sant’Anna , dentro il Vaticano che è considerata la Parrocchia romana del Papa. E dopo è andato a chiacchierare con i fedeli sulla porta.
Cosa notevole e carica di contenuto teologico: non si è presentato come Papa, ma come “Vescovo di Roma”. Ha chiesto preghiere non per il Papa Emerito BenedettoXVI ma per il Vescovo Emerito di Roma Joseph Ratzinger. Con questo lui ha ripreso in mano la più antica tradizione della Chiesa, quella di considerare il Vescovo di Roma come “il primo tra pari” Per il fatto che nella città di Roma stavano sepolti Pietro e Paolo, Roma aveva il primo posto. Ma questo potere simbolico e spirituale era esercitato nello stile della carità e non nella forma di potere giuridico sopra le altre chiese, atteggiamento predominante nel secondo millennio. Non mi meraviglierei assolutamente se, come voleva Giovanni Paolo I, decidesse di abbandonare il Vaticano e andasse ad abitare in un luogo semplice, con ampi spazi esterni per ricevere le visite dei fedeli. I tempi sono maturi per questo tipo di rivoluzione nei costumi papali e che sta rappresentando una sfida per gli altri prelati della Chiesa: vivere la semplicità volontaria e la sobrietà condivisa.
Traduzione di Romano Baraglia 

venerdì 8 marzo 2013

Contro la dimenticanza dello Spirito Santo




*Leonardo Boff

Nell'articolo precedente ci siamo sforzati di riscattare la dimensione di "spirito" vastamente affogata nella cultura consumista e materialista della modernità. Adesso vogliamo riscattare la figura dello Spirito Santo, sempre lasciata a margine o dimenticata nella Chiesa latina. Siccome si tratta di una chiesa di potere, mal convive con il carisma proprio dello Spirito Santo. Lui è la fantasia di Dio e il motore delle trasformazioni, proprio tutto quello che la vecchia istituzione gerarchica non desidera. Ma lui sta ritornando.
Il Concilio Vaticano II afferma con enfasi: "lo spirito di Dio dirige il corso della storia con ammirabile provvidenza, rinnova la faccia della Terra e è presente nell'evoluzione" (Gaudium et spes, 26/281). Lui sta sempre in azione. Ma appare più intensamente quando succedono cesure instauratrici del nuovo. Quattro cesure, vicino a noi, meritano di essere menzionate: la realizzazione del concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965); la conferenza episcopale dei vescovi latinoamericani a Medellin (1968); la nascita della chiesa della liberazione; il rinnovamento carismatico cattolico.
Con il Vaticano secondo (1962-1965) la Chiesa ha raccordato il suo passo con il mondo moderno e con le sue libertà. Soprattutto ha stabilito un dialogo con la tecno-scienza, con il mondo del lavoro, con la secolarizzazione, con l'ecumenismo, con le religioni e con i diritti umani fondamentali. Lo Spirito ha ringiovanito con aria nuova l'edificio crepuscolare della chiesa.
A Medellin (1968) ha sintonizzato il passo con il sotto-mondo della povertà e della miseria che caratterizzava e ancora caratterizza il continente latino americano. Con la forza dello spirito, i pastori latinoamericani fecero un'opzione per i poveri e contro la povertà e decisero di implementare una pratica pastorale che fosse di liberazione integrale: liberazione non solo dai nostri peccati personali e collettivi, ma liberazione dal peccato di oppressione, dall'impoverimento delle masse, dalla discriminazione dei popoli indigeni, dal disprezzo per i discendenti dei popoli africani e dal peccato di dominazione patriarcale degli uomini sulle donne fin dal neolitico.
Da questa pratica è nata la Chiesa della liberazione. Essa mostra il suo volto attraverso l'appropriazione della lettura della Bibbia da parte del popolo, attraverso un nuovo modo di essere Chiesa mediante le comunità ecclesiali di base, le varie pastorali sociali (degli indigeni, degli afro discendenti, della terra, della salute, dei bambini e altre) e della loro corrispondente riflessione che è la teologia della liberazione.
Questa chiesa della liberazione ha allevato cristiani impegnati politicamente dalla parte degli oppressi e contro le dittature militari, soffrendo persecuzioni, imprigionamenti, torture e assassinii. Forse è una delle poche chiese che può contare con tanti martiri come suor Doroti Stang e perfino vescovi come Angelelli  in Argentina e Oscar Arnulfo Romero a El Salvador.
La quarta irruzione è stata il sorgere del rinnovamento carismatico cattolico a partire dal 1967 negli Usa e in America Latina a partire dagli anni 70 del secolo 20º. Questo ha portato di ritorno la centralità della preghiera, della spiritualità, della vivenza dei carismi dello spirito. Furono create comunità di preghiera, per la coltivazione dei doni dello Spirito Santo e per l'assistenza ai  poveri e malati. Questo rinnovamento ha aiutato a superare la rigidezza dell’organizzazione ecclesiale, la freddezza delle dottrine, ha rotto il monopolio della parola tenuto dal clero, aprendo spazi per l’espressione libera dei fedeli.
Questi quattro eventi sono ben valutati  teologicamente unicamente quando li osserviamo con l’ottica dello Spirito Santo. Lui irrompe sempre nella storia e in forma innovatrice nella Chiesa che allora si fa generatrice di speranze e di allegria di vivere la fede.
Oggi viviamo forse la maggiore crisi della storia dell’umanità. Questa è la crisi maggiore perché può essere l’ultima. In effetti, ci siamo dati gli strumenti dell’autodistruzione. Abbiamo costruito una macchina di morte che può ucciderci tutti e liquidare tutta la nostra civiltà, costruita con tanta fatica in  migliaia migliaia di anni di lavoro creativo. E insieme a noi potrà perire gran parte della biodiversità. Se questa tragedia avverrà, la Terra continuerà la sua traiettoria, coperta di cadaveri, devastata e impoverita, però senza di noi.
Per questo motivo, diciamo che con la nostra tecnologia di morte abbiamo inaugurato una nuova era geologica: l’Antropocene. Voglio dire, l’essere umano sta mostrando di somigliare alla grande meteora che passa radente  minacciando  la vita. Lui è capace di preferire l’autodistruzione di se stesso e il danno perverso della Terra viva, di Gaia, piuttosto che mutare lo stile di vita, di relazione con la natura e con la Madre Terra. Come un tempo nella Palestina, i giudei preferirono Barabba a Gesù. Gli attuali nemici della vita potranno preferire Erode ai santi innocenti. Di fatto appariranno come il Satana della Terra invece di essere  l’angelo Custode della creazione.
È in questo momento che invochiamo, imploriamo e gridiamo la preghiera liturgica della festa di Pentecoste: “Veni, sancte Spiritus, et emitte caelitus lucis tuae radium”: vieni, Spirito Santo e manda dal cielo un raggio della tua luce”. Se lo Spirito non torna, corriamo il rischio che la crisi smetta di essere una opportunità di purificazione e degeneri in tragedia senza ritorno. Nelle comunità ecclesiali si canta: “vieni, o Spirito Santo e rinnova la faccia della terra”.
Leonardo Boff è teologo, filosofo e scrittore.
 Traduzione: Romano Baraglia – romanobaraglia@gmail.com


venerdì 1 marzo 2013

L’erosione delle fonti di senso



 Leonardo Boff*
Filosofo-teologo
E’ già stato detto, e a ragione, che l’essere umano è divorato da due tipi di fame: di pane e di spiritualità. La fame di pane è saziabile. La fame di spiritualità, invece, è insaziabile. È fatta di valori impalpabili, e non materiali come la comunione, la solidarietà, l’amore, la compassione, l’apertura verso tutto quello che è degno e sacro, il dialogo e la preghiera al Creatore.
Questi valori sospirati in segreto dagli esseri umani, non conoscono limiti nella loro crescita. C’è una richiesta infinita che sta nascosta dentro di noi. Soltanto un infinito reale può farci riposare. L’eccessiva centralizzazione nell’accumulazione e nello sfruttamento dei beni materiali, finisce per produrre un gran vuoto e una grande delusione. Questo è quanto hanno concluso gli analisti dell’Università di Losanna. Qualcosa in noi richiede gridando qualcosa di più grande e più umanizzante.
È in questa dimensione che si pone la questione del senso della vita. È una necessità umana cercare un senso coerente. Il vuoto e l’assurdo producono angustie e il sentimento di essere soli e sradicati. Ora, la società industriale e consumista, montata sulla ragione funzionale, ha messo al centro l’individuo e i suoi interessi privati. Con ciò, ha frammentato la realtà, ha dissolto qualunque canone sociale, a carnevalizzato le cose più sacre e ironizzato su convinzioni secolari, chiamate “grandi saghe”, considerate metafisiche essenzialiste, proprie di società di altri tempi. Adesso funziona l’«anything goes», il passi per i vari tipi di razionalità, di posture e letture della realtà. Si è creato il relativismo che afferma che niente ha valore definitivamente.
E tutto ciò è stato chiamato post modernità che per me rappresenta la fase più avanzata e decadente della borghesia ricca mondiale. Non soddisfatta di distruggere il presente, vuole distruggere anche il futuro. Essa si caratterizza per un assoluto disimpegno nella trasformazione e per un confessato disinteresse per una umanità migliore. Tale atteggiamento si traduce in una assenza dichiarata di solidarietà per il destino tragico di milioni che lottano per avere una vita minimamente degna, per avere abitazioni migliori di quelle degli animali, per poter accedere ai beni culturali che arricchiscano la loro la visione del mondo. Nessuna cultura sopravvive senza che una saga conferisca dignità, coesione, coraggio e senso alla camminata collettiva di un popolo. La postmodernità nega irrazionalmente questo dato originario.
E invece in qualsiasi parte del mondo, le persone stanno elaborando significati per la loro vita e sofferenza, cercando stelle-guida che le orientino e aprano loro il cammino per un futuro speranzoso. Possiamo vivere senza fede, ma non senza speranza. Senza di lei si sta a un passo dalla violenza, dalla banalizzazione della morte e, al limite, dal suicidio.
Ora, le istanze che storicamente rappresentavano la costruzione permanente di senso, sono entrate modernamente in una fase di erosione. Nessuno, nemmeno il Papa, né Sua Santità il Dalai Lama possono dire sicuramente che cosa è buono o cattivo in questa frazione planetaria della storia umana.
Le filosofie e altri cammini spirituali rispondevano a questa domanda fondamentale dell’umano. Ma esse, in gran parte, si sono fossilizzate e hanno perso l’impulso creatore. Fanno ragionamenti sempre più sofisticati su quello che già si conosce, sempre nuovamente ripensato e ridetto, ma prive del coraggio per progettare nuove visioni, sogni promettenti e utopie mobilizzatrici. Viviamo un “malessere da civiltà”, simile a quello del tramonto dell’impero romano, descritto da Sant’Agostino in “La città di Dio”. I nostri “dei” come i loro ormai non sono più credibili. I nuovi “dei”che stanno spuntando all’orizzonte non sono forti quanto basta per essere riconosciuti, venerati e direttamente guadagnarsi gli altari.
Queste crisi saranno superate soltanto quando si farà una nuova esperienza dell’Essere essenziale da dove ci proviene una spiritualità viva. Vediamo alcuni luoghi dove i “nuovi dei” si annunciano e una nuova percezione dell’Essere compare. Per quanto siano numerose le critiche che le dobbiamo fare nel suo aspetto economico e politico, la globalizzazione è, prima di tutto, un fenomeno antropologico: l’umanità si scopre una specie, che abita l’unica Casa Comune, la Terra, con un destino comune. Tale fenomeno esige una governance globale per gestire i problemi collettivi. È qualcosa di nuovo.
I Fori Sociali Mondiali che dall’anno 2000 hanno cominciato a realizzarsi a partire da Porto Alegre, nel Rio Grande do Sul, rivelano una particolarissima irruzione di senso. Per la prima volta nella storia moderna, i poveri del mondo intero, facendo contrappunto alle riunioni dei ricchi nella città svizzera di Davos, sono riusciti ad accumulare tanta forza e capacità di articolazione che a migliaia hanno finito per incontrarsi prima in Porto Alegre, e in seguito in altre città del mondo, per presentare le loro esperienze di resistenza e di liberazione, per scambiare esperienze su come creano microalternative al sistema di dominazione imperante, come alimentano un sogno collettivo per gridare: un altro mondo è possibile, un altro mondo è necessario. È qualcosa di nuovo.
Nelle varie edizioni dei Forum Sociali Mondiali, ai livelli regionale e internazionale, si notano polloni del nuovo paradigma di umanità, capace di organizzare in forma differente la produzione, il consumo, la preservazione della natura e l’inclusione di tutta l’umanità nel progetto collettivo che garantisca un futuro di vita e di speranza per tutti. Da questo la sua importanza: dal fondo della sprotezione umana sta spuntando un fumo che rimanda a un fuoco interiore della spazzatura al quale sono state condannate le grandi maggioranze dell’umanità. Questo fuoco è inestinguibile. Esso si trasformerà in brace e luce per illuminare un nuovo senso per l’umanità.
Magari! Dio voglia!
*Leonardo Boff è autore di Tempo de trascendência, Vozes, 2010.
Traduzione: Romano Baraglia - romanobaraglia@gmail.com