Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

lunedì 31 dicembre 2012

BILANCIO ANNUALE DEI SISTEMI MACROECONOMICI: STIAMO ANDANDO DI MALE IN PEGGIO.


di Leonardo Boff*

La realtà mondiale è complessa. È impossibile fare un bilancio unitario. Proverò a farne uno che riguarda la macroeconomia del nostro tipo di civilizzazione, organizzata nella realtà e un altro che riguarda la microeconomia.

Se consideriamo il modo in cui i padroni del potere stanno affrontando la crisi che deriva dallo sfruttamento sfrenato della natura, e anche dall’accumulo illimitato delle risorse e nella conseguente creazione di una duplice ingiustizia: quella sociale, con le perverse diseguaglianze a livello mondiale e quella ecologica, con la destrutturazione della rete della vita che garantisce la nostra sussistenza e se prendiamo inoltre come punto di riferimento la “COP 18”, realizzata in questo fine d’anno a Doha, nel Qatar, sul riscaldamento globale, possiamo dire senza esagerazione: stiamo andando di male in peggio. Se seguiamo questo sentiero, troveremo là davanti – e non ci vorrà molto – un “abisso ecologico”.

Finora non sono state prese le misure necessarie per cambiare il corso delle cose. L’economia speculativa continua a fiorire, i mercati sempre più competitivi, il che equivale a dire sempre meno regolati, e l’allarme ecologico reso tangibile dal riscaldamento globale messo praticamente da parte. A Doha è mancato soltanto di dare l’estrema unzione al Trattato di Kyoto. E per ironia si dice nella prima pagina del documento finale che nulla è stato risolto perché è stato rimandato tutto il 2015: “Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta e questo problema ha bisogno di essere affrontato senza indugio da tutti i Paesi.” E invece non viene affrontato. Come ai tempi di Noè, noi continuiamo a mangiare, a bere e a sistemare le tavole del Titanic che sta affondando, ascoltando ancora la musica. La casa sta prendendo fuoco e noi ci raccontiamo storie l’un l’altro.

Vedo due ragioni per questa conclusione realista che pare pessimista. Direi con José Saramago: “Io non sono pessimista, è la realtà che è pessima, io sono realista.”

La prima ragione ha a che fare con la premessa falsa che sostiene e alimenta la crisi: l’obiettivo è la crescita materiale illimitata (aumento del PIL), realizzato sfruttando l’energia fossile e con il flusso totalmente liberato dei capitali, specialmente speculativi.

Questa premessa si trova presente in tutte le programmazioni dei Paesi, incluso quello brasiliano. La falsità di questa premessa risiede nella completa mancanza di considerazione dei limiti del "sistema terra". Un pianeta limitato non riesce a sostenere un progetto illimitato. Questo non possiede sostenibilità, anzi, si evita la parola sostenibilità che viene dalle scienze della vita; essa è non-lineare, si organizza in reti di interdipendenza di tutti con tutti, che mantengono in funzione tutti e fattori che garantiscono la perpetuazione della vita e della nostra civiltà. Si preferisce parlare di "sviluppo sostenibile", senza rendersi conto che si tratta di un concetto contraddittorio perchè è lineare, sempre crescente, e suppone la dominazione della natura e la rottura dell'equilibrio ecosistemico. Mai si arriva a un qualche accordo sul clima perchè i magnati del petrolio influenzano politicamente i governi e boicottano qualsiasi misura che diminuisca i loro guadagni e per questo non appoggiano le energie alternative. Soltanto cercano la crescita annuale del PIL.

Questo modello viene rifiutato dai fatti: non funziona più nemmeno nei Paesi centrali, come lo dimostra la crisi attuale, e nemmeno nei periferici. O si cerca un altro tipo di crescita, che è essenziale per il sistema-vita, ma che per noi deve essere fatto rispettando la capacità della Terra e i ritmi della natura, oppure andremo incontro all'innominabile.

La seconda ragione è più di ordine filosofico e per questa io mi sono battuto per circa trent'anni. Essa implica conseguenze paradigmatiche: il riscatto dell'intelligenza cordiale o emozionale per equilibrare il potere distruttore della ragione strumentale, sequestrata già da secoli dal processo produttivo di accumulazione. Come ci mostra il filosofo francese Patrick Viveret "La ragione strumentale senza l'intelligenza emozionale può perfettamente portarci alla peggiore barbarie" (Por uma sobriedade feliz, Quarteto 2012, p. 41); tieni conto della nuova mappa dell'umanità disegnata nel progetto di Himmler e che è culminata con lo Shoa, la liquidazione degli zingari e dei deficienti.

Se non unissimo l'intelligenza emozionale alla ragione strumentale-analitica, mai sentiremmo il grido della madre-Terra, il dolore delle foreste abbattute e la devastazione attuale della bio-diversità nell'ordine di quasi centomila specie ogni anno (E. Wilson).

Insieme con la sostenibilità deve esserci la cura, il rispetto e l’amore per tutto ciò che esiste e vive. Senza questa rivoluzione della mente e del cuore andremo, di sicuro, di male in peggio.

Vedi il mio libro Proteger a terra - cuidar da vita: como escapar do fim do mundo, Ed. Record 2010.

* Leonardo Boff teologo, filosofo.
Traduzione: Romano Baraglia (romanobaraglia@gmail.com)





martedì 25 dicembre 2012

Natale: un mito cristiano vero




di Leonardo Boff

Poche settimane fa, con ricchezza di preparativi e circostanze studiate, il Papa si è mostrato nuovamente teologo, lanciando un libro sull'infanzia di Gesù. Ha presentato la visione classica e tradizionale, che vede in quelle relazioni idilliche una narrazione storica. Il libro ha lasciato i teologi perplessi, visto che l'esegesi biblica su questi testi, già da almeno 50 anni, ha mostrato che non si tratta di relazioni storiche, ma di alta e raffinata teologia, elaborata da Matteo e Luca (Marco e Giovanni non dicono nulla dell'infanzia di Gesù), per dare la prova che Gesù era davvero il Messia, il figlio di David e il figlio di Dio. A questo scopo ricorrono a generi letterari, che hanno l'aspetto di storia, ma che di fatto sono espressioni letterarie, come per esempio i Magi dell'oriente (per dire i pagani), i pastori (i più poveri, considerati peccatori, perché stanno sempre in giro con gli animali), la stella e gli angeli (per dimostrare il carattere divino di Gesù); Betlemme, che non sarebbe un referente geografico, ma un luogo teologico, il luogo da dove verrebbe il Messia, differente da Nazareth, totalmente sconosciuta e dove probabilmente Gesù sarebbe nato di fatto.
Possiamo die che davanti al racconto commovente del Natale stiamo in presenza di un grandioso mito, inteso positivamente come si usa in antropologia, il mito come la trasmissione di una verità così profonda, che soltanto il linguaggio mitico, figurato e simbolico è adeguato a esprimere. È quello che il mito fa. Il mito è vero quando il senso che vuole trasmettere è vero e illumina tutta la comunità.Così il Natale è un mito cristiano pieno di verità.
Noi oggi usiamo altri miti per dimostrare l'importanza di Gesù. Per me, è di grande importanza un mito antico che la Chiesa ha usato per significare la commozione cosmica davanti alla nascita di Gesù. Lì si dice: «quando la notte stava a metà del suo corso e si faceva un profondo silenzio, le foglie smisero di tremolare come se fossero morte; il vento che prima sussurrava restò come fermo nell'aria, il gallo che cantava troncò il suo canto a metà; le acque del ruscello che scorrevano, rimasero bloccate; le pecore che pascolavano, rimasero immobili; il pastore che aveva alzato il bastone per colpirle, rimase come pietrificato. Insomma tutto rimase fermo, tutto in silenzio, tutto sospeso perché nasceva Gesù, Il salvatore dell'umanità e dell'universo».
Il Natale ci vuol comunicare l'idea che Dio non è quella figura severa e di occhi penetranti che scruta le nostre vite. No lui si erge come un bambino. I bambini non giudicano. Solo vogliono carezze e poter giocare.
Ecco che dal presepio mi viene una voce che mi sussurra: «O umana creatura, perché hai paura di Dio? Non vedi che sua madre ha fasciato il suo corpicino fragile? Non senti che non minaccia nessuno, non condanna nessuno? Non senti il suo pianto flebile? Più che aiutare noi, è lui che ha bisogno d'aiuto e di essere coperto di tenerezza. Non sai che lui è il Dio-con-noi- come-noi? A questo punto non pensiamo più, ma lasciamo spazio al cuore che sente, è compassionevole e ama. Che altro potremmo fa e davanti a un bambino, sapendo che è Dio fatto uomo?
Nessuno forse há scritto meglio sul Natale che il poeta Portoghese Fernando Pessoa: "Egli è l'eterno bambino, il Dio che ci mancava. Lui è il divino che sorride e scherza. È un bambino così umano che è divino".
Più tardi hanno trasformato il Bambino Gesù in Santa Claus e alla fine in Babbo Natale. Poco male, perché in fondo è lo spirito di bontà, del farsi prossimi e del regalo divino sta là. Ha colto nel segno l'editorialista Franz Church del giornale The New York Sun nel 1897, rispondendo a una bambina di 8 anni, che gli aveva scritto: “llustre Giornalista, mi dica la verità, Babbo Natale esiste o no?" E lui saggiamene rispose: "Sì, Babbo Natale esiste di sicuro come è sicura l'esistenza dell'amore e della devozione. E tu sai che tutto questo esiste davvero e porta più bellezza e allegria alla nostra vita. Non ci sarebbe la fiducia dei bambini e nemmeno la poesia e la fantasia che rendono la nostra esistenza bella e leggera. Ma per questo dobbiamo imparare a vedere con gli occhi del cuore e dell'amore. Dunque capiamo che non c'è nessuna prova che Babbo Natale non esista. Se esiste Babbo Natale? Grazie a Dio lui vive e vivrà sempre fino a quando ci saranno bambini grandi e piccoli che hanno imparato a vedere con gli occhi del cuore”.
In questa festa, proviamo a vedere con gli occhi del cuore, dato che tutti siamo stati educati a guardare con gli occhi della ragione. Per questo siamo freddi. Oggi andiamo a riscattare i diritti del cuore. Lasciarci commuovere con i nostri bambini, permettere che sognino e ci facciano fremere di tenerezza, davanti al Divino Bambino che ha sentito piacere e allegria a decidere di essere uno di noi.

domenica 23 dicembre 2012

NATALE: ATTUALITA' DEL PUER AETERNUS, DEL BAMBINO ETERNO



 di Leonardo Boff

Il Natale rappresenta sempre un'occasione per ritornare al cristianesimo originario. In primo luogo, esiste il messaggio di Gesù: l'esperienza di Dio come padre, con tratti di madre, l'amore incondizionato, la misericordia e l'abbandono totale a un sogno: il regno di Dio. In secondo luogo, esiste il movimento di Gesù: di quelli che senza aderire a nessuna confessione o dogma, si lasciano affascinare per la sua saga generosa e radicalmente umana e lo tengono come valore di riferimento. In terzo luogo, ci sono le teologie su Gesù, già contenute nei Vangeli, scritti 40/50 anni dopo la sua esecuzione sulla croce. Le comunità soggiacenti a ciascun evangelo, elaborarono la loro interpretazione sulla vita di Gesù, il suo comportamento, i suoi conflitti con le autorità, la sua esperienza di Dio e sul significato della sua morte e resurrezione.
Nel frattempo coprono la sua figura com tante dottrine, che diventa difficile sapere qual era il Gesù storico, vissuto tra di noi. Infine esistono le chiese, che tentano di portare avanti l'eredità di Gesù. Tra queste la Chiesa cattolica, con la rivendicazione di essere l'unica vera guardiana del suo messaggio e interprete esclusiva del suo significato. Tale pretesa rende praticamente impossibile il dialogo ecumenico e l'unità delle chiese, se non mediante la conversione. Oggi la tenenza consiste nell'affermare che nessuna chiesa può appropriarsi di Gesù. Lui appartiene all'umanità e rappresenta un dono offerto da Dio a noi in qualsiasi quadrante. Prendendo a riferimento la Chiesa Cattolica, notiamo che nella sua storia millenaria, due tendennze – tra altre minori - hanno fatto molta strada. La prima si fonda molto sulla colpa, sul peccato e sulla penitenza. Su tali realtà volteggia lo spettro dell'Inferno, del Purgatorio e della paura.
Effettivamente possiamo dire che la paura sia stata uno dei fattori fondamentale nella penetrazione del Cristianesimo, come ha dimostrato Delumeau nel suo classico Paura in Occidente (1978). Il metodo ai tempi di Carlo Magno era: o ti coverti o verrai passato a fil di spada. Leggendo i primi catechismi fatti in America Latina, come il primo di frei Pedro de Cordoba, Doctrina Christiana(1510 e 1544) si vede chiaramente questa tendenza. Si comincia com una descriziane idilliaca del cielo, una terrificante dell'Inferno, dove stanno tutti i vostri antenati, padri madri, nonni, parenti e dove andrete anche voi se non vi convertirete. Settori dell'attuale chiesa maneggiano ancora oggi le categorie della paura e dell'Inferno.
Un'altra tendenza più contemporanea e – penso – più vicina a Gesù, enfatizza la compassione e l'amore, la giustizia originale e il fine buono della creazione, intendendo che la storia della salvezza avviene dentro la storia umana e non come alternativa ad essa. Da qui appare un profilo di Cristianesimo più gioviale in dialogo con le culture e con i valori moderni.
La festa del Natale si riallaccia a questa ultima tendenza del cristianesimo. Quello che si celebra è un dio-bambino, che piagnocula tra una vacca e un asinello, che non fa paura e non giudica nessuno. E' bene che i cristiani tornino a questa figura. Archetipicamente essa rappresenta il PUER AETERNUS, l'eterno bambino, che in fondo non abbiamo mai tralasciato d'essere. Una delle migliori alunne di C.G.Jung, Marie-Louise von Franz, ha analizzato nei dettagli questo archetipo nel suo libro Puer Aeternus (Paoline, 1992) esso possiede una certa ambiguità. Se mettiamo il bambino dietro di noi, questo rilascia energie regressive di nostalgia di un mondo che è passato e che non è stato completamene superato e integrato. Continuiamo a essere infantili. Ma se mettiamo il bambino davanti a noi, allora egli suscita in noi rinnovamento di vita, innocenza, nuove possiblità di azione in direzione del futuro.
Insomma sono questi i sentimenti che vogliamo incrementare in questo Natale, in mezzo a una situazione buia della Terra e dell'umanità. Sentimenti da cui ancora avremo futuro e che possono salvarci, perchè la stella è maganima e il puer è eterno e perché lui si è incarnato in questo mondo e non permetterà che affondi del tutto. In lui si è manifestata l'umanità e la giovialità del Dio di tutti i popoli. Tutto il resto è vanità.
Leonardo Boff ha scritto O Sol da Esperança: Natal, Histórias, Poesias e Símbolos (Mar e Idéias, Rio 2007).
Traduzione: Romano Baraglia

venerdì 21 dicembre 2012

BISOGNI FONDAMENTALI



di Leonardo Boff

L'essere umano è, per sua natura un essere carente sotto molti aspetti. Ha bisogno di un grande impegno per sodisfarle e poter vivere, non una vita miserabile ma una vita di qualità.
Dietro ogni bisogno, si nasconde un desiderio e un timore: desiderio di poter soddisfarlo nella forma più conveniente possibile e il timore di non riuscirci e quindi dover soffrire. Chi possiede, teme di perdere: chi non ha, desidera avere. Questa è la dialettica dell'esistenza. Maestri delle più grandi tradizioni dell'umanità e delle scienze dell'umano, convengono più o meno sui seguenti bisogni fondamentali: abbiamo bisogni biologici: in una parola dobbiamo mangiare, bere, abitare, vestirci e avere sicurezza. Gran parte del tempo è impegnato nel soddisfare tali bisogni. Le grandi maggioranze dell'umanità li soddisfano in forma precaria o per mancanza di lavoro o perché la solidarietà e la compassione sono beni scarsi.
La prima petizione del Padre Nostro, è per il pane quotidiano perché la fame non può aspettare. Ma noi non chiediamo a Dio che ogni giorno faccia miracoli e così ci lasci liberi di produrre il pane. Chiediamo che il clima e la fertilità dei suoli siano favorevoli.
Oltre a questo abbiamo bisogno di sicurezza. Possiamo ammalarci e soccombere a rischi che ci privano della vita. Possono provenire dalla natura, dalle tempeste, dai fulmini, da secche prolungate, dasmottamenti di terreno, da qualsiasi tipo di incidente. Possono provenire soprattutto dall’essere umano, che ha dentro di sé non solo l’istinto della vita, ma anche quello della morte. Può perdere l’autocontentamento e eliminare l’altro. Tutto questo genera in noi paura. E nutriamo la speranza di neutralizzarlo. Il fatto che siamo vissuti in caverne e poi in case dimostra la nostra ricerca di sicurezza.
Il fatto è che mai controlliamo tutti i fattori. Sempre possiamo essere vittime innocenti o colpevoli. E’ a questo punto che gridiamo invocando Dio, non perché ci allontani dall’abisso, ma perché dia il coraggio di evitarlo e così continuare a vivere.
In terzo luogo abbiamo bisogno di appartenenza: siamo esseri societari, apparteniamo a uma famiglia, a una etnia, a un determinato luogo, a un paese, al Pianeta Terra. Quello che rende penosa la sofferenza è la solitudine, il non poter contare con una spalla amica e una mano accogliente, dato che siamo il frutto delle attenzioni delle nostre mamme, che ci hanno tenuti in braccio, vogliamo moriré stringendo la mano di qualche vicino o di chi ci ama.
In fondo all’abisso esistenziale invochiamo gridando la mamma o Dio e sappiamo che lui ti dà retta, perché lui è sensibile alla voce dei suoi figli e delle sue figlie, e sente il batticuore del nostro cuore spaventato.
Per questo bisogna garantire il sentimento di appartenenza, caso contrario noi ci sentiamo come cani sperduti e abbandonati.
In quarto luogo abbiamo bisogno di autostima. Esistere non basta. Noi abbiamo bisogno che qualcuno ci dica: “Sii benvenuto in mezzo a noi, tu sei importante per noi. Il rifiuto ci fa provare ancora da vivi l’esperienza della morte. Abbiamo quindi bisogno di essere riconosciuti come persone con le nostre differenze e individualità. Caso contrario siamo come una pianta senza nutrienti che va peggiorando fino a morire. E come è importante quando qualcuno ci chiama per nome e ci abbraccia. La nostra umanità negata ci viene resa e possiamo continuare il cammino con speranza e senza paura.
Infine abbiamo necessità di autorealizzazione. Questo è il grande miraggio, la grande e sfida dell’essere umano: di poter realizzarsi e diventare umano. Siamo un mistero per noi stessi. Non è che non sappiamo niente dell’essere umano. Al contrario, quanto più sappiamo, tanto più si allargano le dimensioni di quello che non sappiamo. Abbiamo nostalgia delle stelle da cui siamo venuti.
Ma sappiamo quanto basta per poterci definire esseri di apertura all’altro, al Tutto. Per quanto andiamo alla ricerca dell’oggetto che sazi il nostro desiderio, non lo troviamo tra gli esseri che ci stanno intorno, ma sappiamo quanto basta per poterci definire esseri di apertura all’altro. Siamo esseri dal desiderio illimitato. Desideriamo l’essere essenziale e troviamo solo esseri accidentali. Come riusciremo dunque la nostra autorealizzazione, se ci percipiamo come progetto infinito?
E’ in questo cammino affannoso há um senso parlare di Dio come essere essenziale e oscuro oggetto del nostro desiderio infinito. Autorealizzarsi pertanto implica un coinvolgersi con Dio. Coinvolgersi con Dio è risvegliare in noi la spiritualità, quella capacità di sentire un’energia poderosa e amorosa, che sorpassa tutta la realtà. È poter vedere il mare in un’onda e in una goccia d’acqua l’immensità dell’Amazzonia.
Spiritualità è avere sete e fame di un estremo abbraccio riposante, dove finalmente tutte le nostre necessità saranno soddisfatte, dove spariscono tutti i timori e ci riposeremo. Fino a quando non elaboriamo questo centro, ci sentiamo nella preistoria di noi stessi, esseri interi ma non rifiniti e letteralmente frustrati. Entrando in comunione con l’essere essenziale, per abbandonarci a lui, silenziosamente e senza condizioni, con l’orazione e la meditazione, apriamo una fonte di energie incomparabile e irresistibile. Effetto: gioia pura, leggerezza di vita, beatitudine come consentita a viandanti.
Traduzione; Romano Baraglia
romanobaraglia@gmail.com

lunedì 19 novembre 2012

50 anni del Concilio Vaticano II





Leonardo Boff
Teologo e Filosofo
Celebriamo 50 anni del Concilio Vaticano II (1962-1965). Esso rappresenta cesura sul sentiero che la Chiesa Cattolica aveva percorso per secoli. Era una chiesa fortezza in stato d’assedio, che si difendeva da tutto quello che veniva dal mondo moderno, scienza, tecnica e dalle conquiste della civiltà come la dmocrazia, diritti umani e la separazione tra Chiesa e Stato.
Ma un soffio di aria fresca venne da un papa anziano, dal quale non ci si aspettava niente, Giovanni XXXIII (+1963). Lui spalancò porte e finestre della Chiesa. Disse: “Lei non può essere un museo rispettabile, essa dev’essere la casa di tutti, arieggiata e gradevole a starci dentro”.
Prima di tutto, il Concilio ha rappresentato nel linguaggio creato dal papa Giovanni XXIII, un aggiornamento, cioè un’attualizzazione e una ricostruzione della sua auto comprensione e del tipo di presenza nel mondo.
Più che riassumere gli elementi principali introdotti dal Concilio, ci interessa come questo aggiornamento è stato accolto e tradotto dalla chiesa latinoamericana e dal Brasile. Questo processo si chiama “Ricezione” che significa una rilettura e un rifacimento delle intuizioni conciliari dentro il contesto latinoamericano, ben differente da quello europeo, nel quale si elaborarono tutti i documenti. Sttolineiamo soltanto alcuni punti essenziali.
Il primo, certamente, è stato il profondo cambiamennto dell’atmosfera ecclesiale: prima predominava la grande disciplina, l’uniformizzazione romana e l’atmosfera triste e antiquata della vita eclesiale. Le chiese dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia erano chiese-fotocopia di quella romana. Improvvisamente cominciarono a sentirsi Chiese-fonte. Potevano inculturarsi e creare nuovi linguagggi. Ormai si irradiano entusiamo e coraggio di creare.
In secondo luogo, in America Latina hanno fatto una ridefinizione del luogo sociale della chiesa. Il Vaticano II è stato un Concilio universale, ma nella prospettiva dei paesi centrali e ricchi. Lì venne definita la Chiesa dentro al mondo moderno.
Ma esiste un sub-mondo di povertà e di oppressione. Questo è stato captato dalla chiesa latinoamericana. Questa deve dislocarsi dal centro umano verso le periferie subumane. Se qui vige l’oppressione, la sua missione di liberazione. L’ispirazione venne dalle parole del Papa Giovanni XXIII: “La chiesa è di tutti, ma principalmeente vuol esere una chiesa dei poveri”.
Questa virata si tradusse nelle varie conferenze episcopali latinoamericane da Medellin in poi (1968) fino ad Aparecida (2007) per l’opzione di solidarietà e preferenziale per i poveri, contro la povertà. Essa si trasformò in marchio registrato della chiesa latinoamericana e della teologia della liberazione.
In terzo luogo è la concretizzazione della chiesa come Popolo di Dio. Il Vaticano II collocò questa categoria davanti a quella della gerarchia. Per la chiesa latino americana Popolo di Dio non è una metafora. La grande magggioranza del popolo è cristiana e cattolica, dunque Popolo di Dio, che geme sotto l’oppressione come anticamente in Egitto. Da lì nasce la dimensione di liberazione che la chiesa assume ufficialmente in tutti i documenti di Medellin (1968) fino ad Aparecida (2007). Questa visione della chiesa Popolo di Dio, ha favorito la nascita dell CEB e delle pastorali sociali.
In quarto luogo, il Concilio sentiva la parola di Dio contenuta nella Bibbia come anima della vita ecclesiale. Questo è stato tradotto attraverso la lettura popolare della Bibbia e dai mille e mille circoli biblici. In essi i cristini paragonano la pagina della vita con la pagina della Bibbia e tirano conclusioni pratiche nella linea della comunione, della partecipazione e della liberazione.
In quinto luogo, il Concilio si aperse ai diritti umani. In America Latina furono tradotti come diritto a partire dai poveri e per questi, prima di tutto, diritto alla vita, al lavoro, alla salute e all’educazione. A partir da lì si concepiscono anche i rimanenti diritti, andare e venire e altri.
On sesto luogo, il Comcilio accolse l’ecumenismo tra le chiese cristiane. In America latina l’ecumenismo non tende tanto alla convergenza nella dottrina, ma alla convergenza nella prassi: tutte le chiese insieme si impegnano per la liberazione degli oppressi. È un ecumenismo di missione.
Infine dialoga con le religioni, vedendo in esse la presenza dello Spirito che arriva prima dei missionari e per questo devono essere rispettate con i loro valori.
Infine dobbiamo riconoscere che l’AL è stato il continente dove più si è preso sul serio il Vaticano II e ha portato più trasformazioni, proiettando la chiesa dei poveri come sfida per la chiesa universale e per tutte le conscieze umanitarie.
Traduzione: Romano Baraglia

sabato 3 novembre 2012

La risposta immediata del NPA alla proposta di Ferrero

LETTERA DI ADESIONE NPA AL POLO DELLA SINISTRA ALTERNATIVA


Caro Ferrero,
il rapporto di collaborazione, credo intessuto di reciproca stima e di reciproca lealtà, fra il Nuovo Partito d'Azione ed il Partito della Rifondazione Comunista, è cominciato nell'aprile del 2009, in occasione delle ultime elezioni Europee. Non facemmo in tempo allora per motivi tecnici ad entrare nella lista da voi presentata, ma subito dopo ci mettemmo al lavoro per portare avanti la battaglia del COMITATO PER IL NO. Archiviata anche quella battaglia politica, partecipammo sin dall'inizio ad un'altra vostra importante iniziativa, quella della Associazione per la Democrazia Costituzionale di cui siamo tuttora parte. Oltre a questo lavoro politico in comune, il PRC e il Nuovo Partito d'Azione (NPA) sono tra i pochissimi partiti, credo quattro in tutto, che aderiscono al Comitato Nazionale per il Reddito Minimo Garantito. In aggiunta, l'NPA è stato sabato scorso al NO MONTI DAY l'unico partito di derivazione non comunista ad aver partecipato alla manifestazione. Per concludere, siamo insieme nel Comitato per il referendum sull'art. 18 e voi del PRC avete aderito anche alla nostra iniziativa del Comitato per la Patrimoniale con i vostri dirigenti del Dipartimento Economia.
Come se non bastasse, il mio partito è già da tempo convinto che non rimanga altro da fare per le forze della sinistra critica che concentrarsi in una lista unitaria di opposizione morale, sociale e politica, in grado di far tornare la vera sinistra in Parlamento per lottare contro le politiche conservatrici e, non di rado, reazionarie portate avanti dai governi degli ultimi anni. Siamo anche convinti che in questa lista ci debba stare un ventaglio, il più ampio possibile, di partiti, movimenti, associazioni di categoria e comitati. Ognuno deve contribuire al risultato elettorale servendosi dei propri punti forti e delle proprie specificità, in modo di comporre un mosaico plurale, ma, al tempo stesso, unitario ed organico in grado di sconfiggere le manovre di chi vuole la sinistra critica e di opposizione fuori dal Parlamento e dalla mappa politica del nostro Paese.
Siamo molto attenti alle cose che vai dicendo da un paio di mesi a questa parte e quanto fin qui appena detto sembra a noi neoazionisti essere esattamente la sostanza della tua proposta di costruzione di un nuovo Polo della sinistra alternativa.
Rebus sic stantibus con la presente ho il grande piacere di annunciarti che il Nuovo Partito d'Azione aderisce fin da questo momento alla proposta tua e del PRC di costruire il Polo della Sinistra Alternativa.
Il Nuovo Partito d'Azione entra in questo Polo forte dell'appartenenza ad una delle grandi culture politiche che hanno edificato l'Italia democratica, forte delle cose che ha realizzato in quasi sette anni di attività pur nella totale assenza di mezzi materiali, forte dei suoi principi e dei suoi valori, in primis la difesa di quella che noi nuovi azionisti definiamo la seconda società degli emarginati, dei disoccupati, dei precari cronici, dei non-garantiti e degli invisibili; la moralizzazione della politica e della società con un senso dell'etica pubblica assolutamente intransigente e con una sensibilità speciale a tale riguardo che a noi azionisti deriva dai nostri remotissimi antenati puritani e giacobini e naturalmente dalla profonda onestà di un Parri, di un Lombardi e degli altri uomini del vecchio Partito d'Azione degli anni '40; la non meno spiccata predisposizione a conferire centralità alla lotta alle mafie.
E' con questo bagaglio che racchiude le specificità del partito orange che entriamo nel nuovo polo da te proposto con la convinzione che l'obiettivo più immediato, il ritorno della sinistra d'opposizione in Parlamento, sia assolutamente alla portata se sapremo tutti insieme entrare davvero in sintonia politica ed emotiva con milioni e milioni di italiani scontenti e disillusi e con un numero sempre crescente di italiani disperati e quasi sull'orlo del suicidio, di nostri connazionali che, oltre al dolore per una vita divenuta ormai infernale, si sentono politicamente soli ed abbandonati da tutti. Il nascente Polo della Sinistra Alternativa dovrà servire anche ad alimentare la loro speranza in una esistenza migliore e dovrà servire anche a non farli sentire più soli.
Un caloroso saluto.

Pino A. Quartana
Presidente Nazionale del Nuovo Partito d'Azione

La proposta di Ferrero per una nuova sinistra italiana

Le politiche del governo Monti aggravano la crisi sociale, la recessione e alimentano la drammatica perdita di posti di lavoro, ormai molto al di sopra della media europea. Politiche tese a salvaguardare i poteri forti con una spiccata connotazione antipopolare e antioperaia che conferma il carattere “costituente” di un nuovo regime, incarnato dalle misure strategiche dei provvedimenti presi che vanno dalla manomissione dell’articolo 18 alla “controriforma” delle pensioni al pareggio di bilancio in Costituzione fino all’approvazione del Fiscal Compact. Questi provvedimenti vanno oltre la situazione contingente e predeterminano – se non aboliti – il quadro in cui agiranno i governi dei prossimi anni, una vera e propria ipoteca sul futuro.
Il governo ha quindi tracciato una strada di destra destinata a perdurare negli anni, indipendentemente dalla presenza di Monti, ma ai provvedimenti già assunti e votati da PD, PDL e UDC.
L’intreccio tra la paura e il carattere necessitato delle ricette, taglia ogni discussione e impedisce un confronto nel merito dei provvedimenti fino a criminalizzare qualunque posizione dialettica si esprima, anche utilizzando la distruzione di ogni credibilità della politica, Un vero e proprio “bonapartismo” economico, che, oltre a produrre recessione e distruzione dei diritti sociali e del welfare, corrode in profondità la democrazia.

Il superamento e la sconfitta delle politiche di Monti non può essere affidato al centro sinistra, che è indisponibile a mettere in discussione le scelte sin qui operate, a partire dall’articolo 18, dal pareggio di bilancio e dall’applicazione del Fiscal Compact.

Occorre quindi proporre una prospettiva politica di uscita dalla crisi che è: economica, sociale, culturale e morale consapevoli che questo significa riportare il paese nella democrazia, superando lo stato di eccezione con cui oggi il governo giustifica le sue scelte presentate come obbligate.
La campagna referendaria, che rappresenta, sia la nostra principale azione politica e organizzativa nei prossimi mesi, sia la parte fondamentale del programma politico con il quale presentarsi al Paese è un’impresa politica importante, che coinvolge il complesso delle forze che si sono opposte, da sinistra, alle politiche del governo Monti, sia sul piano politico che sociale, ed è a partire da questa condivisione che la Federazione della sinistra chiede a tutti i soggetti impegnati nei referendum, di costruire unitariamente l’alternativa di programma e di Governo in grado di rivolgersi al Paese ed in particolar modo a chi subisce pesantemente gli effetti delle politiche del governo Monti.

Proprio a partire dai temi dei referendum: sui diritti dei lavoratori – ripristino dell’articolo 18 ed abolizione dell’articolo 8– a cui si aggiunge quello per cancellare la riforma delle pensioni, per impedire la svendita del patrimonio pubblico, la campagna per il reddito minimo garantito, rappresentano i punti fondamentali per un programma ed una coalizione di sinistra e di alternativa. Le elezioni regionali in Sicilia, sulle quali dovremmo produrre un approfondimento, soprattutto per quanto attiene all’astensione di massa dal voto, ci consegnano una prima riflessione: o si è in grado di produrre una proposta credibile, che parli direttamente alle condizioni di vita delle persone, che proponga un terreno comune di battaglia per la difesa ed il rilancio dei diritti e della democrazia, una visione sul mondo capace di interpretare i sentimenti diffusi delle persone e in grado di proporre un terreno di proposta politica percepita come utile e necessaria. Il nostro risultato elettorale si colloca dentro questa cornice. Certamente ha pesato il cambio in corsa del candidato alla presidenza, e, tuttavia il risultato complessivo ci indica che se avessimo presentato una sola lista avremmo eletto una delegazione di consiglieri, da qui la necessità di produrre maggiore unità e non meno, perché la sua stessa percezione, forse, avrebbe potuto essere più credibile. Tuttavia è evidente che anche la nostra formazione non è stata in grado di produrre un’ipotesi di cambiamento come invece è accaduto per le elezioni a Palermo e Napoli.

Per questo proponiamo la costruzione di una coalizione politica che possa diventare uno schieramento elettorale di tutte le forze politiche, sociali e associative che si oppongono da sinistra al governo Monti. Proponiamo che la Federazione della sinistra lavori per trasformare le forze referendarie e la coalizione elettorale siciliana in un vero e proprio schieramento politico nazionale in vista delle prossime elezioni politiche. La nostra proposta politica che si rivolge in primo luogo a Sel, all’IdV, ad Alba e al complesso delle forze associazionistiche, sociali e culturali disponibili, alle forze che hanno organizzato la manifestazione del 27 ottobre, è finalizzata a costruire un ampio polo di alternativa che si ponga l’obiettivo di governare il paese su un programma antitetico a quello imposto da Monti e dalle politiche europee. Si tratta di rovesciare le politiche di austerità e questa prospettiva di radicale cambiamento delle politiche economiche e sociali non è presente nella posizione del PD. E’ quindi necessario, per la prossima tornata elettorale, uno schieramento politico ed elettorale alternativo,che avanzi una proposta di governo finalizzata ad uscire dalla politiche neoliberiste a partire dalla non accettazione del Fiscal Compact e delle fondamenta neoliberiste e monetariste dei trattati di Maastricht e Lisbona. Al di la delle modifiche della legge elettorale avanziamo quindi la proposta di dar vita ad uno schieramento di alternativa per il governo del paese e l’uscita dalle politiche di austerità.

Riteniamo necessario unire la sinistra. Il nostro obiettivo è la costruzione di un effettivo spazio pubblico della sinistra, che faccia i conti fino in fondo con la critica della politica e sia portatore di una forte critica dell’economia politica. Occorre, da subito, uscire da ogni politicismo per avviare, all’interno dell’attuale fronte di opposizione, a partire dalla Federazione della sinistra, un processo costituente di sinistra e di alternativa e di dare vita ad una nuova stagione politica basata sulla democrazia partecipata. Questo è l’obiettivo centrale che ci poniamo come Federazione della Sinistra e che proponiamo al complesso delle forze politiche e degli uomini e delle donne che vogliono costruire una sinistra antiliberista nel nostro paese, anche in vista della prossima scadenza elettorale. La costruzione di un processo inclusivo e partecipato, che allarghi il terreno della partecipazione politica unitaria a sinistra, la realizzazione in Italia del progetto della Sinistra Europea, la costruzione del corrispettivo di Syriza, del Front de Gauche, di IzquierdaUnida, della Linke, insomma recuperare le migliori esperienze politiche che si sono prodotte in Europa, rappresenta l’obiettivo fondante il nostro progetto politico, su cui lavorare nei prossimi mesi.

Nella consapevolezza delle diverse posizioni che vi sono nell’ambito della Federazione della Sinistra, e al fine di ricercare una comune posizione politica si propone che, laddove il Consiglio Politico Nazionale della Federazione della sinistra non addivenisse ad una posizione politica chiara da avanzare unitariamente, di dar luogo ad una consultazione referendaria di tutti i compagni e le compagne iscritte alla Federazione, così come previsto nello Statuto, in modo da definire attraverso un processo unitario, democratico e partecipato il nostro comune orientamento politico.

Paolo Ferrero
Irene Bregola
Mimmo Caporusso
Roberta Fantozzi
Marco Gelmini
Claudio Grassi
Gianluigi Pegolo
Rosa Rinaldi
Augusto Rocchi

LA FAME: SFIDA ETICA E POLITICA

di Leonardo Boff

A causa della recessione economica provocata dall’attuale crisi finanziaria, il numero degli affamati, secondo la FAO, è passato da 860 milioni a 1 miliardo e duecento milioni. Dati perversi che implicano una sfida etica e politica. Come andare incontro alle necessità vitali di questi milioni milioni?

Storicamente questa sfida è sempre stata grande, perché il bisogno di soddisfare la richiesta di alimenti non ha mai potuto essere soddisfatto pienamente, per ragioni di clima, di fertilità dei suoli o per disorganizzazione sociale. Ad eccezione della prima fase del paleolitico, quando la popolazione era scarsa e i mezzi di vita sovrabbondanti sempre c’è stata fame nella storia. La distribuzione degli alimenti è stata quasi sempre diseguale.

Il flagello della fame non costituisce propriamente un problema tecnico. Esistono tecniche di produzione di straordinaria efficacia. La produzione di alimenti è superiore alla crescita della popolazione mondiale. Ma questi sono pessimamente distribuiti. Il 20% dell’umanità dispone dell’80% dei mezzi di vita. L’80% dell’umanità si deve accontentare de 20% appena delle risorse. Qui risiede l’ingiustizia. All’origine di questa situazione perversa sta la mancanza di sensibilità etica degli esseri umani verso i loro compagni. È come se avessimo dimenticato totalmente le nostre origini ancestrali, soprattutto quella della cooperazione originaria che ci ha permesso di essere umani.

Questo deficit di umanità risulta da un tipo di società che privilegia l’individuo sulla società, valorizza di più la proprietà privata invece che la compartecipazione solidale, più la competizione che la cooperazione, preferisce mettere al centro i valori tipici del sesso maschile (nell’uomo e nella donna), come la razionalità, il potere, l’uso della forza piuttosto che i valori legati al sesso femminile (anche nell’uomo e nella donna) come la sensibilità ai processi vitali, la cura e la disposizione alla cooperazione. Come si intuisce, l’etica in vigore è egoista e escludente.Non si mette al servizio della vita di tutti e delle cure loro necessarie. Ma sta al servizio di interessi di individui o di gruppi con esclusione degli altri. Una disumanità basica si trova alla radice del flagello della fame. Se non ci sarà un’etica della solidarietà, della cura degli uni verso gli altri non avverrà nessun superamento.
Importante anche considerare che il disastro umano della fame è pure di ordine politico. La politica ha a che vedere con l’organizzazione della società, con esercizi del potere e con il bene comune. Già molti secoli fa in Occidente, e oggi in forma globalizzata, il potere politico è ostaggio del potere economico, articolato secondo le regole di produzione capitalistica. Il guadagno non è democraticamente spalmato a beneficio di tutti, ma privatizzato per i detentori del’avere, del potere e del sapere, e solo secondariamente beneficia i rimanenti. Pertanto il potere politico non serve al bene comune. Crea diseguaglianze che rappresentano reale ingiustizia sociale oggi mondiale. In conseguenza di questo per milioni di persone avanzano soltanto briciole senza poter sodisfare le loro necessità vitali. O semplicemente muoiono in conseguenza di malattie legate alla fame, per lo più bambini innocenti. Se non ci sarà un’inversione di valori, se non si instaurerà un’economia sottomessa alla politica e la politica orientata dall’etica e una etica ispirata alla solidarietà basica non ci sarà possibilità di soluzione per la fame e per la denutrizione mondiale. Gridi canini di milioni e milioni di affamati salgono continuamente al cielo senza che risposte efficaci arrivino da un posto qualsiasi e facciano tacere questo clamore.

Infine è necessario riconoscere che la fame risulta pure dal non riconoscimento della funzione delle donne nell’agricoltura. Secondo stime della FAO sono loro che producono gran parte di quello che si consuma nel mondo: dal 50 all’80% in Asia e 30% in Europa centrale e dell’est. Non ci sarà sicurezza alimentare senza le donne contadine, se non si darà loro più potere di decisione sui destini della vita sulla Terra. Esse rappresentano il 60% dell’umanità. Per loro natura di donne sono più legate alla vita e la sua riproduzione. È assolutamente inaccettabile che, col pretesto di essere donne, si neghi loro la capacità di possedere terreni,e l’ accesso ai crediti e agli altri Beni Culturali. I loro diritti riproduttivi non sono riconosciuti e si impedisce loro l’accesso alla conoscenza tecnica concernente la miglioria della produzione alimentare. Senza queste misure , rimane valida la critica di Gandhi: “La fame è un insulto, essa avvilisce, disumanizza e distrugge il corpo e lo spirito… se non addirittura l’anima stessa; è la forma di violenza più assassina che esiste”.
Dello stesso autore: Comer e beber juntos e viver em paz, Vozes 2003.

Traduzione: Romano Baraglia

domenica 28 ottobre 2012

NOI C'ERAVAMO, NOI CREDEVAMO, NOI LOTTIAMO.



C'eravamo il 15 Ottobre dello scorso anno a sfidare i black blok e la polizia che spezzava il corteo, per protestare contro le politiche che consentono a pochi di essere sempre più ricchi e lasciano interi popoli nell'abbandono e nell'indigenza, ci siamo stati anche quest'anno, ieri, 27 Ottobre, prima volta in cui l'Italia che non soggiace ai ricatti, che mette al primo posto la necessità di tassare i più ricchi e garantire ai più deboli un reddito di cittadinanza tale da impedire che la disperazione da abbandono e da marginalità dilaghi nel suicidio di massa, ha alzato finalmente la testa con dignità, per dire un basta forte e chiaro.
Avremmo voluto essere ancora di più, avremmo voluto marciare uniti ad un sindacato che invece di mandare in ordine sparso i lavoratori in sciopero a farsi colpire da ulteriori tasse mascherate da proteste di singole categorie, avrebbe già dovuto convocare uno sciopero generale di proporzioni oceaniche. Ma tant'è, noi c'eravamo, noi credevamo..
Oggi c'è in ballo la dignità e il futuro di un intero popolo che ha di fronte un bivio: o seguire i ricatti dei mercati, i cui arbitri non sono Zeus nell'Olimpo o la sua consorte Giunone, e nemmeno il Dio senza nome dell'universo giudaico-cristiano, ma hanno precisi nomi e cognomi di personaggi e istituti finanziari da rapina speculativa globale, oppure, non come dicono certuni millantatori del nulla, certi poveri e meschini scherani della meteorologia del capitalismo senza regole e freni, rovesciare il tavolo, ma piuttosto rinegoziare seriamente i vincoli con cui interi popoli sono tenuti con il cappio al collo e si preferisce salvare le loro banche piuttosto che i servizi vitali di cui i cittadini non possono fare a meno. Tenendo soprattutto conto che, salvare gli stati con i loro servizi sociali, costa, tra l'altro, anche meno che salvare gli istituti finanziari.
Oggi, in Italia, con la piena complicità di un sistema mediatico che sistematicamente manganella ogni possibilità di dissenso, impedendole anche minimamente di apparire e di rialzare la testa, perché la costringe alla nullità da mancanza di finanziamenti e di mezzi per comparire, un apparato politico trasversale di complici della millantatrice meteorologia del mercati, non fa altro che assicurarsi la continuità dei propri privilegi, scaricando i costi della sua inefficienza e della crisi strutturale del sistema capitalistico sulla gente, sul popolo, fino a costringerlo alla mancanza di libertà e di democrazia, con la fiducia ad un governo di tecnici arroganti e inefficienti, il cui compito è palesemente quello di scongiurare ogni qualsiasi tipo di cambiamento.
Novanta anni fa entrava in scena una dittatura rozza e violenta, oggi ne abbiamo una che pretende di essere raffinata e morbida, ma che, di fatto, ha azzerato sia la sovranità popolare sia ogni tipo di dissenso.
Ieri, nonostante la furia denigratoria dei nuovi dittatori della tecnocrazia grigia dell'Italia contingente che vorrebbero far lavorare i servitori di uno Stato che loro usano per incrementare i loro privilegi, di più, ma con stipendi inferiori, esattamente come si fa con un servo, nonostante la protezione indebita offerta ad un popolo, in pieno stile taglieggiatorio, con tasse invereconde che si abbattono indiscriminatamente su tutto e su tutti, anche sui beni essenziali ed indispensabili, come la casa di abitazione, mentre i grandi patrimoni restano sempre intoccabili, nonostante il silenzio acquiescente della pseudosinistra che si candida a governare proseguendo la strada dell'imbambolamento delle masse dei lavoratori con la litania dei sacrifici a senso unico, noi c'eravamo, noi lottavamo.
Perché noi credevamo, noi crediamo e noi crederemo che un'altra Italia e un altro mondo non solo sono possibili, ma anche doverosi e necessari.
Purtroppo abbiamo constatato che anche certa sinistra antagonista prosegue con degli slogan astratti che il popolo non capisce e di conseguenza non segue, provate infatti a chiedere cosa ne sa del fiscal compact il cittadino che chiude le saracinesche per paura della devastazione o l'anziano che capita per caso per strada o lo studente che ancora studia la storia delle date e delle grandi battaglie, oppure la casalinga che deve solo far quadrare i conti in famiglia.
Per questa gente gli slogan sui massimi sistemi del capitalismo in crisi strutturale non funzionano più, e non per niente questa gente o non vota o lo fa seguendo le suggestioni di un leader populista e demagogo, ancor di più se sa divertire, da autentico professionista del settore.
La sinistra che vuole riconquistare alla causa del vero cambiamento, in nome della giustizia e della libertà quel consenso miseramente desertificato nell'astensionismo o nell'applauso che si mescola alla risata dissacratoria e sgangherata, ha bisogno non di una narrazione, magari senza nemmeno il lieto fine, ma con l'unico epilogo dell'imbroglio consociativo, ma di una seria e convincente proposta politica alternativa che parta dalla tutela dei beni e dei sevizi comuni, dalla necessità di far pagare chi non ha mai pagato, e dalla garanzia che non ci sarà mai nessuno lasciato morire di disperazione e di abbandono, tanto meno chi sta peggio ed è pure colpito da una disabilità.
Le forze della sinistra non di matrice strettamente comunista hanno una grande responsabilità nel portare avanti questo compito, come per un dovere morale immancabile, per un imperativo categorico della coscienza morale, prima ancora che politica, così come hanno fatto da sempre quelle minoranze illuminate che hanno seriamente e concretamente cambiato la storia di questo Paese, dal Risorgimento alla Resistenza.
Per questo, esse hanno il dovere di emergere prima come soggetti politici autonomi sicuramente riconoscibili, combattendo una battaglia di avanguardia con altre forze politiche, contaminandole con un linguaggio ed una prassi nuova, e non limitandosi alla mera lotta di retroguardia che resti confinata in un associazionismo trasversale permanentemente relegato nell'apnea dell'inazione politica da altri partiti, di piccole o grandi proporzioni.
E' tempo di finirla con i perché rivolti ai tutori, e tempo di assumersi la responsabilità di dare in prima persona delle risposte, che implicano un impegno diretto sul campo e il diretto sostegno anche a chi scende concretamente nel teatro della lotta, come chi si candida ad amministrare la capitale ha fatto ieri, partecipando alla collegialità di una protesta comune, in tutti i modi nascosta e scongiurata anche con false previsioni meteorologiche, dai media servi dell'ideologia dominante. Quella della ineluttabilità del presente come fenomeno naturale, come se la speculazione e la corruzione fossero niente altro che terremoti o tsunami o inondazioni, di fronte ai quali non ci restano che i sacchetti di sabbia ed i loro insabbiatori.
La Lega dei Socialisti diventati grandi e adulti, e senza quindi né bavaglio e né tutore, è scesa in campo ieri insieme al Nuovo Partito d'Azione, piccoli passi per due piccoli gruppi politici, ma salti straordinari per l'umanità e la capacità dell'Italia libera nuova di esserci e di testimoniare un'altra verità, che dirada sia le nebbie di quella ideologica dei mass media dominanti, sia quella sterilmente polemica ed autoreferenziale che non di rado si dispiega nel web.
La verità di ieri non ha bisogno di narrazioni e tanto meno di narratori, si narra da sola, con i fatti, abbiamo gridato a chiare lettere che l'Italia non ha bisogno di papponi di stato che facciano pagare il costo della sua prostituzione di massa ai più poveri e disgraziati, riservando le migliori “prestazioni” ai più ricchi e privilegiati.
Questo è il linguaggio che la gente capisce perché lo sente, lo soffre e lo sconta sulla propria pelle.
Siamo sicuri che in molti ci hanno intesi. Non è che un debutto, altri scenari ci attendono per scelte e lotte sempre più concrete, decisive e soprattutto unitarie.
La piccola sinistra laica degli antichi e intramontabili valori etici prima ancora che politici, vuole sfidare quella ideologicamente identitaria alla prova dei fatti e della condivisione, lo fa senza spocchia ma semplicemente con la tenacia del camminatore instancabile che vuole arrivare ad una meta importante e condivisa.
Non ci fermeremo, continueremo, fino alla vittoria, sempre!
C.F.




lunedì 22 ottobre 2012

Convivialità: passaggio dallo stadio animale all’umano


Leonardo Boff

La specificità “essere umano” è sorta in forma misteriosa e di difficile ricostruzione storica. Ma ci sono indizi che 7 milioni di anni fa a partire da un antenato comune sarebbe cominciata la separazione lenta e progressiva tra le scimmie superiori e gli umani.
Etnobiologi e archeologi ci indicano un fatto singolare. Quando i nostri antenati antropoidi uscivano a raccogliere frutti, sementi, cacciagione e pesce non mangiavano ognuno per conto suo. Prendevano gli alimenti e li portavano al gruppo. E così praticavano la convivialità, il che vuol dire: dividevano gli alimenti tra di loro e li mangiavano in modo comunitario. Questa convivialità ha permesso il salto dall’animalità in direzione dell’umanità. Piccola differenza, totale differenza.
Quello che ieri ci ha resi umani continua ancora oggi a farci di ancora umani. E se non c’è, diventiamo disumani, crudeli e senza pietà. Non è questa, purtroppo, la situazione dell’umanità attuale?
Un elemento produttore di umanità strettamente legato alla convivialità è la culinaria, tecnica relativa alla preparazione degli alimenti. Bene ha scritto Claude Lévy-Strauss, eminente antropologo che ha lavorato molti anni in Brasile: «Il dominio della cucina costituisce una forma di attività umana veramente universale. Come non esiste società senza linguaggio, così pure non c’è nessuna società che non cucini qualcuno dei suoi alimenti».
500.000 anni or sono l’essere umano ha imparato a fare il fuoco e a controllarlo. Con il fuoco ha cominciato a cucinare gli alimenti. Il «fuoco culinario» è ciò che differenzia l’essere umano dai mammiferi complessi. Il passo dal crudo al cotto è considerato uno dei fattori di passaggio dallo stadio animale allo stadio di essere umano civilizzato. Con il fuoco è nata la culinaria, propria di ciascun popolo, di ciascuna cultura e di ciascuna regione.
Non si tratta mai soltanto di cucinare gli alimenti ma di dar loro sapore. Le varie culinarie creano abiti culturali, non raramente vincolati, da noi, a certe feste come il Natale (tacchino), la Pasqua (uova di cioccolata), primo dell’anno (carne suina), la festa di San João (granturco bollito) e altre.
Nutrirsi non è mai un meccanismo biologico individuale. Mangiare in modo conviviale è comunicare con gli altri che mangiano con noi. È comunicare con le energie cosmiche che soggiacciono agli alimenti, specialmente la fertilità della terra, il sole, le foreste, le acque e i venti.
In ragione di questo carattere sacro del mangiare/consumare/comunicare tutta la convivialità è in qualche modo sacramentale. Abbelliamo gli alimenti, perché non mangiamo soltanto con la bocca ma anche con gli occhi. Il momento di mangiare è uno dei più attesi del giorno e della notte. Esiste la coscienza istintive e riflessa che è senza mangiare non c’è né vita, né sopravvivenza, né allegria di esistere e di coesistere.
Per milioni di anni di essere umani sono stati tributari della natura, prendevano da lei quello di cui avevano bisogno per sopravvivere. L’appropriazione dei frutti della natura si evolve e viene isolata la loro produzione mediante la creazione dell’agricoltura che suppone la domesticazione e la coltivazione di sementi e piante.
Dieci o dodici mila anni or sono è avvenuta forse la maggiore rivoluzione della storia umana: da nomadi, gli esseri umani diventarono sedentari. Fondarono le prime città (12.000 a.C.), inventarono l’agricoltura (9000 a.C.) e cominciarono a domesticare e allevare animali (8500 a.C.). S’innescò un processo di civilizzazione estremamente complesso con successive rivoluzioni: industriale, nucleare, cibernetica, nanotecnologica e dell’informazione fino ad arrivare a noi.
Innanzitutto si domesticarono cereali e vegetali selvatici, probabilmente a opera di donne più osservatrici del ritmo della natura.
Tutto ha inizio a quanto pare nel Medio Oriente tra il Tigri e l’Eufrate nella valle degli indù dell’India. Lì vennero domesticati grano, avena, lenticchie e piselli. In America Latina, granoturco, avocado, pomodoro, mandioca e fagioli. In oriente, riso e risino, in Africa granturco e sorgo.
In seguito verso il 8500 a.C., si domesticarono specie animali, a cominciare da capre, pecore, poi il bue e il porco. Tra i gallinacei la gallina fu la prima e tutto il processo agricolo è stato facilitato dall’invenzione della ruota, della zappa, dall’aratro e da altri utensili di metallo verso il 4000 a.C.
Questi pochi dati oggi sono presentati scientificamente da archeologi e etnobiologi che usano le più moderne tecnologie: carbonio radioattivo, microscopio elettronico, analisi chimica dei sedimenti, delle ceneri, del polline, degli ossi e carboni di legna. I risultati permettono di ricostruire com’era l’ecologia locale come si operava l’utilizzazione economica da parte delle popolazioni umane.
Siccome si seminava e si raccoglievano grano o riso, si potevano creare delle riserve, organizzare l’alimentazione di gruppi, fare crescere la famiglia e la popolazione. C’era da guadagnarsi la vita con il sudore della fronte. Fu fatto con furore. Il progresso dell’agricoltura e dell’allevamento di animali fece scomparire lentamente la decima parte di tutta la vegetazione selvatica e degli animali. Non c’era ancora la preoccupazione per la gestione responsabile dell’ambiente. E’ difficile anche solo immaginarlo, data la ricchezza delle risorse naturali e la capacità di rigenerazione degli ecosistemi.
A ogni modo neolitico mise in marcia un processo che giunge fino ai giorni nostri. La sicurezza alimentare e il grande banchetto che la rivoluzione agricola avrebbe potuto preparare per tutta l’umanità nel quale tutti sarebbero ugualmente commensali, non ha potuto ancora essere e celebrato. Più di 1 miliardo di esseri umani stanno ai piedi della mensa aspettando qualche briciola per potere calmare la fame. Il vertice mondiale dell’alimentazione celebrato a Roma nel 1996 che si propose di sradicare la fame entro il 2015, dice che “la sicurezza alimentare esiste quando tutti gli esseri umani hanno, in qualsiasi momento, un accesso fisico economico a una alimentazione sufficiente, sana e nutritiente, permettendo loro di soddisfare le loro necessità energetiche e le loro preferenze alimentari per poter condurre una vita sana e attiva”.
Questo proposito è stato assunto dalle Mete del Millennio dell’ONU. Purtroppo la stessa FAO ha comunicato nel 1998 e adesso l’ho fatto anche l’Onu, che questi obiettivi non saranno raggiunti a meno che non sia superato il fossato troppo grande delle diseguaglianze sociali.
Finché non facciamo questo salto non completiamo ancora la nostra umanità. Questa è la grande sfida del secolo 21º, quella di arrivare a essere perfettamente umani.