Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

venerdì 23 agosto 2013

Un nuovo Irak?

    



                                           di Riccardo Achilli

E' davvero molto presto per poter dare informazioni oggettive su quanto avvenuto la scorsa mattina, in un distretto di Damasco est occupato dai ribelli. Che si sia verificato un atto di gravissima violenza sulla popolazione civile è fuor di dubbio, che tale atto sia stato un attacco con armi chimiche sulla popolazione civile è estremamente probabile, stanti le fotografie ed i video di cadaveri privi di ferite da armi da fuoco, e le testimonianze dirette di operatori di Paesi diversi, ma soprattutto (se si vogliono accusare gli operatori di essere al soldo dei nemici di Assad) di singoli residenti di quell'area affetti dai sintomi dell'intossicazione da gas Sarin (bruciore agli occhi, vomito, incontinenza, difficoltà respiratorie) ivi compresi bambini che certo difficilmente possono essere indottrinati a raccontare bugie sofisticate. Non voglio in nessun modo difendere o giustificare Bashar al-Assad, a mio avviso un brutale tiranno sanguinario, che oggi, con la sua proterva volontà di rimanere attaccato al potere, blocca qualsiasi ipotesi di pacificazione nazionale, che dovrebbe necessariamente passare per un governo di transizione in cui i principali protagonisti, ivi compreso lui, dovrebbero fare un passo indietro. 

Il problema è un altro. Il problema è che l'Occidente, alle prese con la più grave crisi economica dell'ultimo secolo, ha la necessità, tipica del capitalismo in grave crisi, di tentare avventure militari per dare utilizzo a capitale inutilizzato, riavviando cicli di accumulazione basati sull'industria militare, oltre che al fine di distrarre le opinioni pubbliche dai problemi economici e sociali interni. In questo momento, l'obiettivo più succulento potrebbe essere quello di una guerra globale, sia militare che politica, alle espressioni politiche della componente sciita dell'Islam. Una guerra santa contro gli sciiti, infatti, consentirebbe di unire le forze dell'Occidente a quelle dei regimi e delle petromonarchie, di stampo sunnita, tradizionalmente alleati dell'imperialismo occidentale (non è un caso se i primi a gettarsi sulla presunta reponsabilità delle forze governative siriane nell'attacco chimico siano stati i sauditi). L'attacco alla Siria, infatti, sarebbe solo il primo passo per dotarsi della base logistica indispensabile per minacciare di un possibile attacco l'Iran, vero obiettivo dell'imperialismo USA da anni, giustificato di fronte alle opinioni pubbliche agitando un (allo stato attuale ancora improbabile) spauracchio nucleare imminente. L'obiettivo è chiaramente quello di minacciare, e quindi indurre a più miti consigli, l'unico attore regionale che ha la forza di contrastare la politica imperialistica occidentale sull'intero scacchiere mediorientale, tenendo sotto costante minaccia Israele tramite Hezbollah (finanziata e supportata dal governo degli ayatollah) e supportando il regime alawita di Assad e il controllo sciita nel sud dell'Irak, tramite le forze che fanno riferimento a Moqtada Al Sadr. 

Mettere la museruola allo sciismo politico potrebbe ripristinare il controllo USA su quell'area nevralgica per gli interessi economici, energetici e politici globali, oggi reso estremamente precario dai fallimenti "de facto" in Irak ed Afghanistan. Il controllo del territorio siriano è però essenziale per qualsiasi credibile minaccia contro l'Iran. Come infatti sostengo nell'articolo http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2012/01/i-rischi-non-calcolati-dello-scacchiere.html attaccare l'Iran, che è una potenza militare di buon livello, seppur ancora convenzionale, senza passare dalla Siria, costringerebbe gli occidentali a penetrare dallo Shatt el Arab, zona paludosa fra Irak ed Iran meridionale, passando quindi per un terreno estremamente favorevole a chi lo deve difendere, confidando su una retrovia posta nell'instabile ed infido territorio iracheno, che non è minimamente sotto controllo dei governanti di Baghdad amici degli USA, e quindi rischiando una sconfitta. Il passaggio dal nord curdo è impraticabile, sia per il territorio impervio, che per l'insostenibile cambiale politica che andrebbe riconosciuta ai curdi. L'unico modo per rendere credibile una minaccia di possibile attacco terrestre all'Iran è quindi quello di controllare la Siria. Inoltre, il controllo della Siria taglierebbe i ponti logistici e di rifornimento fra Teheran ed Hezbollah, che passa proprio dalla Siria, isolando gli sciiti libanesi e rendendoli molto vulnerabili, come Israele chiede da anni. 

Il problema è che il tentativo di acquisire il controllo della Siria senza intervento militare diretto è sostanzialmente fallito, con la sempre più evidente incapacità dei "ribelli" siriani di rovesciare un regime militarmente sempre più saldo, e politicamente ancora in grado di attirare consenso da strati ampi della società. E per un intervento militare diretto nel Paese, serve una scusa, buona sia per le opinioni pubbliche interne, sia per acquietare le fortissime resistenze di Russia e Cina nei confronti di una simile ipotesi. Poiché la fantasia non è una delle virtù dei nostri governanti, ecco che riappare, come in Irak nel 2003, l'alibi delle armi di distruzione di massa, degli arsenali chimici. 

Che si tratti di un alibi è evidente: quand'anche l'attacco chimico di ieri mattina fosse stato realmente condotto dall'esercito governativo, il problema è che anche i "ribelli" difesi dalle potenze imperialistiche occidentali hanno armi chimiche, e ne fanno uso. Come dimostra la Rete Voltaire, i ribelli utilizzano grossi arsenali di precursori per produrre armi chimiche (cfr.http://www.voltairenet.org/article179389.html) e, d'altra parte, l'ex capo degli arsenali chimici del governo siriano, generale Adnan Sillu, è passato dalla parte dei ribelli già nel 2012, consegnando ai ribelli la mappa precisa dell'ubicazione di tutti i depositi di armi chimiche del Paese (47.libero.it/focus/22544622/0/siria-l-ex-capo-dell-arsenale-chimico-passa-con-i-ribelli/). Diventa quindi molto difficile sostenere la possibilità "morale" di un attacco ad Assad, basata sull'uso delle armi chimiche, quando anche il direttorio dei ribelli, ufficialmente riconosciuto e protetto dalla Ue e dagli USA, utilizza a sua volta tali armi. E poi naturalmente è ancora da verificare che l'attacco chimico di ieri sia stato effettivamente condotto dalle forze armate governative. Il fatto che il segretario generale dell'ONU non abbia ancora deciso l'avvio di una inchiesta, pur avendola preannunciata, potrebbe forse indicare il timore di darsi la zappa sui piedi, "scoprendo" che a eseguire l'attacco non è stato affatto l'esercito di Assad, ma magari la sua controparte, o magari qualche servizio segreto esterno al Paese. La Russia infatti pretenderebbe una inchiesta oggettiva, e non "propagandistica". D'altra parte, attaccare un sobborgo della capitale situato a pochi chilometri in linea d'aria da dove sono alloggiati gli ispettori ONU incaricati di indagare sull'utilizzo delle armi chimiche nel conflitto sembra essere una provocazione talmente imbecille, che si fa fatica a credere che Assad,  astuto politicante, possa averla ordita. 


Il punto politico è che occorre opporsi nel modo più intransigente possibile all'utilizzo strumentale, da parte del Governo USA e dei nostri Governi, di eventi come il tragico bombardamento chimico di un quartiere di Damasco di ieri, dei quali non sappiamo abbastanza in ordine allo svolgimento effettivo dei fatti e delle responsabilità delle parti  in causa. Infatti, tale utilizzo strumentale è finalizzato ad ordire una trama bellica di tipo imperialistico cui occorre opporsi fermamente.



sabato 17 agosto 2013

Vim vi repellere licet (i filosofi e lo sceriffo)



La questione se sia lecito o meno respingere la forza con altra forza è piuttosto annosa, ed andrebbe affrontata sotto vari punti di vista: filosofico, religioso, morale, politico, sociale economico e via dicendo..
La cultura cristiana ed in particolare il Vangelo di Luca 6, 27-38, così recita: Gesù disse ai suoi discepoli: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro…”
Però sappiamo molto bene che la “civiltà cristiana” è avanzata e si è diffusa nel corso della storia, dai tempi di Costantino fino a Carlo Magno, alle crociate, ai conquistadores e persino a Porta Pia, schiaffeggiando abbondantemente e oltre misura chiunque le sbarrasse la strada.
La non violenza assoluta, tra l'altro, è smentita dalla stessa Buona Novella di Gesù, con Luca 22, 38: “Signore, ecco qui due spade, egli poi disse a loro: ciò può bastare”
Alcuni esegeti traducono con: “basta così!”, lasciando intendere che lo stesso Gesù rifiutasse sdegnato l'offerta, ma il vocabolo greco non lascia indurre molto a tale congettura perché “ikànos” vuol dire proprio degno, capace, sufficiente..addirittura soddisfacente..dal verbo ikàno: giungo..giungo a proposito...insomma, anche la cultura cristiana, se andiamo un po' al di là delle facili interpretazioni non è per nulla non violenta, per non parlare poi del fatto che lo stesso Gesù agisce con violenza contro i mercanti del tempio, rovesciando i loro tavoli, oppure condannando alla Gheenna: che allora letteralmente era la discarica, anche se poi quel vocabolo è stato comunemente tradotto con Inferno.
La religione islamica, sebbene all'inizio di ogni Sura coranica si invochi Dio Compassionevole e Misericordioso, non è affatto non violenta, anzi, nel Corano, non pochi sono gli inviti a combattere e se necessario, ad uccidere i nemici della fede.
Non parliamo poi di quella ebraica, in cui il “Dio degli eserciti” è più volte menzionato ed agisce con estrema violenza contro chi non si sottomette al suo volere o viola il patto con Lui.
Nel buddhismo, poi, tutto dipende dalla motivazione, per cui, se essa è buona, anche un omicidio diventa lecito, come quello di un terrorista o persino di un pilota che sta per sganciare una bomba atomica sulla testa di centinaia di migliaia di persone inermi.
Così, la violenza accompagna ineludibilmente il corso della storia umana che purtroppo gronda del sangue non solo degli esseri umani, nelle recenti guerre sempre più indifesi, ma ormai anche di parecchie specie viventi, sterminate da un modello di civiltà che ha le sua fondamenta ben radicate nella stessa violenza.
Per Severino è lo stesso credere nell'esistenza dell'ente come oscillante tra essere e nulla che fa sussistere la radice della violenza dell'Occidente. La disperazione della finitudine è quindi la perfetta regia di tutti gli orrori che si dipanano da sempre sotto il nostro sguardo. Cosa dunque replicare al detto latino: “Vim vi, repellere licet”?
Filosoficamente e religiosamente lascio ad ognuno la interpretazione che può trovare più congeniale, ma, giuridicamente, non posso che constatare che tale detto proviene dal diritto romano, in particolare, dal codice giustinianeo, ed è stato recepito anche dal codice penale italiano all'articolo 52, secondo cui: "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa".
Eccoci dunque alla questione cruciale, rapportata a dei fatti concreti che sono i seguenti:
Lo Stato italiano, o meglio, dei governanti eletti con “lex ad porcum” (la definizione non è la mia ma la loro) hanno deciso di proseguire ad oltranza un'opera faraonica che anche la Francia ha decretato non indispensabile, e di cui abbiamo già parlato, senza minimamente prendere in considerazione le proposte concrete delle popolazioni locali, sottoposte a tale sfregio della natura, e mettendo in atto anche azioni violente contro chiunque si opponga a tale iniziativa, consistenti, tra l'altro, in sonore bastonature e in lanci di lacrimogeni ad altezza d'uomo, ma dovremmo anche dire di bimbo o di anziani e disabili in carrozzella, perché a difendere il territorio e la popolazione dallo scempio ambientale, in quella zona sono scesi in strada tutti, ma proprio tutti, nessuno escluso.
Qualcuno però lì, ormai sta perdendo la pazienza, ed ha deciso anche di reagire in maniera non del tutto “passiva”, è questa una reazione lecita?
Possiamo o no chiamare, seguendo l'art. 52 del codice penale già menzionato, “necessità di difendere un diritto proprio” quella di salvaguardare l'ambiente in cui si è nati e cresciuti dallo sventramento, dall'inquinamento e dal rischio di una opera faraonica inutile e dannosa che, come altre molto numerose, potrebbe un giorno non lontano essere persino lasciata a metà, monumento perenne all'ostinata idiozia umana?
E non è forse la mobilitazione permanente di quelle popolazioni una azione per tutelarsi contro “il pericolo attuale di un'offesa ingiusta”?
Gianni Vattimo, di recente, è intervenuto su tale questione in maniera molto esplicita, affermando tra l'altro: "La vera violenza è quella dello Stato che militarizza il territorio per realizzare un’opera inutile" e ancora: "Io non sono un violento ma appoggio le reazioni anche non legali contro le scelte di un Parlamento non legittimo, se non formalmente".
Diego Fusaro, che è stato suo allievo, rincara la dose: “chi vuol essere coerente non può puntare il dito contro i No Tav senza condannare la vera violenza che ci viene perpetrata quotidianamente: quella dell’economia sugli uomini, delle agenzie di rating, del Fondo monetario internazionale, dell’Europa. Oggi la democrazia non esiste. Oggi lo Stato italiano e quindi il suo popolo non sono sovrani sul proprio territorio, basti pensare allo scempio delle basi militari americane. E’ il mercato la violenza di tutte le violenze e il presupposto che la velocità con cui viaggiano le merci sia più importante di quanto pensi una comunità ne è la testimonianza»
Ovviamente i giornalisti e i politici embedded non hanno tardato a rispondere, evocando addirittura risonanze incombenti di stagioni terroristiche trascorse da decenni e, tra tutti si è distinto, come al solito, quello che ormai appare lo sceriffo piddino più solerte della Val di Susa, il quale ha tirato in ballo addirittura Pasolini per replicare in maniera sprezzante a Vattimo e a Fusaro: «Non abbiamo mai apprezzato certe filosofie “à la carte” e alle parole di Vattimo preferiamo molto di più quelle di Pasolini, che con una surreale attualità ci racconta ancora una volta come certi teppisti di eletta tradizione risorgimentale, appartengono a quella agiata e benestante società alla quale Vattimo ha aderito da tempo che alla noia preferisce il movimento sovversivo volto a discriminare chi del lavoro ne fa una ragione di vita»
Ecco Pasolini dovrebbe leggerlo tutto, anche quando scriveva nella medesima poesia citata e stracitata sul '68:


Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.

Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!”



Oppure quando scriveva questi versi:


        A gridare è, straziata
    da mesi e anni di mattutini
    sudori - accompagnata
     
    dal muto stuolo dei suoi scalpellini,
    la vecchia scavatrice: ma, insieme, il
    fresco
    sterro sconvolto, o, nel breve confine
     
    dell'orizzonte novecentesco,
    tutto il quartiere... È la città,
    sprofondata in un chiarore di festa,
     
    - è il mondo. Piange ciò che ha
    fine e ricomincia. Ciò che era
    area erbosa, aperto spiazzo, e si fa
     
    cortile, bianco come cera,
    chiuso in un decoro ch'è rancore;
    ciò che era quasi una vecchia fiera
     
    di freschi intonachi sghembi al sole,
    e si fa nuovo isolato, brulicante
    in un ordine ch'è spento dolore.
     
    Piange ciò che muta, anche
    per farsi migliore. La luce
    del futuro non cessa un solo istante
     
    di ferirci: è qui, che brucia
    in ogni nostro atto quotidiano,
    angoscia anche nella fiducia
     
    che ci dà vita, nell'impeto gobettiano
    verso questi operai, che muti innalzano,
    nel rione dell'altro fronte umano,
     
    il loro rosso straccio di speranza.



Chi sono i lavoratori della “Val di Susa” che vanno e vengono con i loro TIR? Sono quelli dello "straccio rosso di speranza" o  forse gli stessi che hanno costruito le centinaia di opere incompiute che, come una condanna, devastano tuttora il territorio italiano, da Nord a Sud? Guardate quante sono in questo sito che le enumera tutte, ed avrete la misura di una inciviltà perdurante in cui lo spreco, la devastazione ambientale, la corruzione politica e la criminalità organizzata si intrecciano indissolubilmente fino a costruire una rete mortale per il futuro del nostro paese. Guardate quanti soldi delle nostre tasse, tra le più salate del mondo, vanno a rimpinguare le casse dei parassiti del nostro popolo..http://www.incompiutosiciliano.org/opere/elenco
L'impressione che abbiamo, infatti, è che questa ennesima truffa faraonica ai danni dei contribuenti italiani serva solo per fare cassa, in un senso duplice: in quello della risonanza permanente rispetto ad un presunto stato di emergenza sociale, spacciato per terrorismo, con lo scopo di ricompattare un consenso in caduta verticale intorno ai soliti noti, e in quell'altro senso del malloppo da distribuire a ditte compiacenti il cui unico fine è far spendere e spandere fino a che ci saranno quattrini, poi, eventualmente, se proprio i francesi dovessero desistere, sarà lasciato tutto lì, a marcire come uno sfregio alla natura e alle popolazioni locali, magari incolpando solo loro per l'ennesimo monumento nel nulla.
Ci sono in Val di Susa circa 2000 agenti, poliziotti, carabinieri e agenti mobilitati permanentemente e lo stesso “sceriffo piddino”, nel suo blog, riconosce che Anche io penso che la spesa per la sicurezza in valle sia esagerata. Però, poiché militari e forze dell’ordine non sono in villeggiatura ma a difesa dello Stato e dei lavoratori, Vattimo faccia una cosa utile: lanci un appello ai suoi amici No Tav affinché cessino le violenze in modo da poter disimpegnare le forze dell’ordine dal cantiere di Chiomonte
Insomma, rebus sic stantibus, ci sarebbe da credere che lo Stato si sia trasferito in pianta stabile in Val di Susa e che chi chiede a gran voce che i soldi utilizzati per quei cantieri si debbano piuttosto utilizzare per scuole che cascano a pezzi, ospedali che vengono chiusi irrimediabilmente o per una Protezione Civile che tra poco cercherà di dirottare le cicogne che portano i bimbi, per convincerle a scaricare qualche damigiana d'acqua sugli incendi, sia solo un poveretto che, per evitare colpi di sole, se ne sta sotto l'ombrellone a pontificare sui castelli di sabbia.
Vogliamo ricordare a tali solerti difensori della spesa faraonica sul nulla, come ha votato il loro partito quando si è trattato di ridurre le pensioni d'oro oppure per ripristinare l'articolo 18?
E' lo stesso Landini a riconoscere, parlando dei lavoratori, che Il Pd ci ha lasciati soli. Il Pd non ha cancellato l’articolo 8, addirittura ha contribuito alla modifica dell’articolo 18 che ora serve solo a fare i licenziamenti. Ha votato quelle leggi e non ha fatto nulla per cancellare quelle adottate da Berlusconi.”
E' così che si bestemmia il mondo del lavoro nella più totale indifferenza? Dove è stato buttato quello straccio un tempo "rosso di speranza"?
Diceva Алекса́ндр Алекса́ндрович Блок:  : “La persecuzione più terribile è l'indifferenza”, stigmatizzando in maniera efficacissima lo stretto legame tra violenza ed indifferenza, la stessa che genera odio, come anche Gramsci ci fa notare: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. [...] Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? [...] Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”
Noi dunque siamo convintamente partigiani, perché parteggiamo per i popoli che difendono i loro diritti, noi continuiamo a credere che il nostro posto sia accanto a loro, che questo sia il nostro preciso dovere.
Siamo già abbondantemente scottati dal tradimento delle istanze dei lavoratori con cui decenni di lotte sindacali e di dure conquiste sono stati liquidati con furia inciucista e prona indifferenza prostrata nel culto del dio mercato.
Non abbiamo ombrelloni a proteggerci da tali scottature, ma solo una vigile intelligenza, quella che sa come, quando, dove e perché lottare, fino alla vittoria, sempre!
Vim vi repellere licet: E' e sarà sempre lecito respingere la forza di un potere autoreferenziale con quella della consapevolezza, dell'intelligenza e della mobilitazione popolare.


C.F.

venerdì 9 agosto 2013

Humanitas: le radici del Socialismo






                                                          di Carlo Felici


Due righe per riflettere sul concetto di humanitas, che non è solo traducibile con la parola umanità, ma, più ampiamente, con la capacità di relazionarsi ed essere consapevoli. Con il rispetto della propria e dell’altrui natura.
Tre concetti erano associabili per i latini a tale parola: 1) il considerarsi tutti egualmente parte della medesima natura e per questo destinati a sviluppare una sorta di amicizia universale rivolta agli esseri umani e al contesto naturale in cui essi vivono, a prescindere dalla loro condizione e dalla loro provenienza. 
2) Il principio per cui ogni essere umano è tale perché riconosce nell’altro la stessa insopprimibile dignità e specificità, che va oltre l’appartenenza ad una qualsiasi nazione, religione o cultura
3) E infine l’attitudine a coltivare, mediante l’otium (lo studio) e il negotium (l’attività politica e civile), una crescita personale e collettiva con la stessa dedizione e lo stesso impegno.
Possiamo purtoppo riconoscere che questi tempi sono alquanto avari di humanitas, perché è fin troppo facile incappare nel mancato riconoscimento delle ragioni degli altri, un po’ ovunque, e spesso con un carico disgustoso di volgarità, insulti, tentativi di delegittimazione e inevitabilmente menzogne. Così come è altrettanto facile osservare come si cerchi di costruire la credibilità di uno schieramento politico, non creando una seria alternativa, ma solo rincorrendo la delegittimazione e la demonizzazione dell’altro schieramento, ritenuto per questo nemico più che avversario

Coltivare l’odio per il “nemico” è proprio ciò che impedisce all’humanitas di crescere, svilupparsi e farsi riconoscere. A tutti i livelli: da quello famigliare, a quello scolastico, lavorativo, per finire con quello politico. L’inconsapevolezza, l’indifferenza, l’avversione e l’attaccamento solo a se stessi, sono quel veleno con cui l’humanitas può essere abortita prima ancora di nascere. La competitività esasperata e la ricerca di un merito che sia solo individuale, sono la risultanza di questa disumanizazione che è quasi sempre collegata ad un modello di capitalismo disumano e senza regole, in cui a vincere non è chi può far crescere la propria humanitas con quella di tutti, con un livello superiore di consapevolezza condivisa, ma si impone piuttosto chi sfrutta, a suo esclusivo vantaggio materiale, i conflitti che si generano tra gli esseri umani, da quelli interpersonali a quelli sociali o nazionali, costruendo appositamente monopoli oppure oligopoli, nei quali il mancato riconoscimento della dignità e libertà dell'altro é funzionale al suo sfruttamento e alla sua reificazione

Eppure per superare le attuali sfide generate da una globalizzazione serva spesso di una disumanizzazione progressiva, derivante dall’annientamento di ogni singola specifica cultura ed attitudine umana, il bisogno di humanitas non può che farsi sempre più urgente.
Sarebbe interessante capire come in ciascun ambito: famigliare, politico ed ecologico essa potrebbe essere coltivata, magari lo farò in seguito, con altre note.
Per ora sarà bene constatare che essa implica a tutti i livelli il “rispetto”, il quale non vuol dire, come comunemente potrebbe intendersi, un “tenere le distanze”, il conservare uno spazio idoneo di privacy per sé e per l’altro, ma piuttosto, dal verbo latino respicio, il conoscersi, il superare progressivamente i limiti della diffidenza, del pregiudizio e della paura.
E per fare questo, mettersi in ascolto, aprirsi alla imprevedibilità dell’altro, senza paure o senza quei sarcasmi spesso reiterati, che ne sono sovente solo lo specchio deforme.
Rispettarsi vuol dire dunque conoscersi, scoprirsi, stupirsi vicendevolmente, ma non rinunciare mai a credere nell’altro, oltre che alla propria dignità personale, consapevoli che, nella relazione tra noi e l’altro, c’è sempre molto di più di ciò che possiamo o vogliamo immaginare. C’è innanzitutto il senso autentico della libertà, la quale non finisce dove inizia la nostra, ma piuttosto si amplia tanto più progressivamente e maggiormente, quanto più il suo orizzonte coincide e viene condiviso con il nostro. “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” Sono un essere umano, non c’è nulla di umano che mi sia estraneo, nulla che debba fare per doverlo dimostrare, perché si tratta solo di riconoscere, di scoprire che nella mia umanità e libertà è sempre inclusa e condivisa necessariamente anche quella di tutti coloro che si affacciano nel mio orizzonte, fino all'infinito.
E’ proprio quella libertà necessariamente relazionata e solidale che è l’essenza stessa di ogni autentico Socialismo.

lunedì 5 agosto 2013

Un colore stampato sulla pelle



                           
  



E così Berlusconi è stato condannato in via definitiva, la sua sembra più la storia di un papa che va in “cattività” avignonese (in questo caso dovremmo dire graziolese o arcorese…vedremo) che quella di un normale “galeotto”
E’ il primo politico di spicco a subire questa sorte, sarà anche l’ultimo? Non ci è dato di saperlo.
Fatto sta, che dall’abbattimento della prima Repubblica, o per lo meno dall’azzeramento di tutta la sua nomenklatura politica, tranne quella della opposizione consociativa, che si è allegramente e impunemente riciclata e che perdura così da più di 30 anni, ben più di “papa Silvio”, Berlusconi è l’unico politico che affronta un processo (purtroppo per lui pare che non sia l’ultimo) e ne esce con una condanna definitiva, anche se ridotta ad un anno e in una “prigione dorata”.
Non è scappato, ma anzi si affaccia sorridente al balcone, mette su comizi che il neosindaco di Roma dichiara abusivi, solo il giorno dopo, mentre il suo compagno di partito oggi premier: Letta, il giorno prima, non vedeva l’ora di sentire cosa sarebbe stato detto da quello stesso palco, così come la gran parte di chi tuttora nel PD governa con il PdL.
Evidentemente, ce n’è abbastanza per proseguire una farsa che potrebbe ancora divertire molti italiani, se essi non avessero ben altri problemi a cui badare, e lo stesso Silvio, consapevole di ciò, si affaccia al suo balcone e, con aria del tutto divertita (mai “galeotto” fu più contento, con tanti che ne vediamo bastonati a morte nelle nostre carceri), chiede se si deve “buttare” oppure no.
E’ del tutto lapalissiano  che, anche se non si butterà dalla finestra, dalla politica non uscirà davvero, lui che è stato il principale artefice del governo Letta, senza il cui plauso esso non si sarebbe mai insediato, lui che è stato uno dei principali sponsor della rielezione di Napolitano e, senza il quale, oggi non avremmo di nuovo quel Presidente della Repubblica.
Vi pare poco? E credete davvero che, uno così si lasci intimorire da una sorta di “usa e getta” giudiziario?
Che pensi davvero che dovrà fare, come gli chiedono ormai anche le monache di clausura di “Famiglia Cristiana”, un “passo indietro”, per finire nella padella del perfetto “gamberone d’estate”? O nella brace dell’estromissione perpetua dalle aule parlamentari?
Crediamo sul serio che, al suo inevitabile “imprimatur” ci possa essere una alternativa nelle urne oppure in un nuovo governo “grillesco”, magari grazie solo ad un pentimento tardivo con un Grillo che, dopo avergliene dette di tutti i colori, adesso possa sentire la “nostalgia” di Bersani, e questa volta mandando “affanculo” non lui, ma addirittura Casaleggio?
Beh, qui anche all’alta fantasia del sommo Poeta, mancherebbe di sicuro “possa”, nell’immaginare uno scenario diverso dal quello da cui non si esce nemmeno con la “natural burella”...o tanto meno con la “trombetta del cul”.
Il Presidente della Repubblica non manderà mai nessuno alle urne con questa legge elettorale, e, molto difficilmente, deciderà di dare l’incarico di governo a qualcuno che lo avrebbe voluto già da un pezzo in pensione.
Il Pd, governando con i grillini, (sempre ammesso e non concesso che questa sia una ipotesi plausibile) sarebbe strizzato continuamente da loro per il residuo degli “attributi” che gli restano. E i grillini perderebbero l’ulteriore possibilità di accreditarsi come partito di vera e unica opposizione politica.
Ergo, anche dalla “cattività arcorese”, papa Silvio continuerà a decidere le sorti di questo sgangheratissimo paese…in attesa che la sua sede non sia più “vacante”.
Chi ha più da temere, in questa situazione è un simulacro di sinistra che, non avendo mai avuto un serio progetto alternativo di governo, nemmeno in senso socialdemocratico, ma essendosi tenuta in piedi solo grazie al suo tanto perdurante quanto inconcludente “antiberlusconismo”, non avrà più di che strillare o non avrà più cosa “snobbare”, a seconda se sia all’opposizione oppure abbracciata al suo finto nemico.
Il Pd, con certa sua “corte sindacale”, si configura come il principale sostenitore dell’ordine neoliberale, boccia irrimediabilmente un emendamento che avrebbe potuto annullare lo stravolgimento dell’articolo 18, se ne infischia di ridurre privilegi e pensioni d’oro, così che, come dice giustamente il filosofo Diego Fusaro: “la cessazione palese dell’ostilità verso il nomos dell’economia è stata riconvertita in conflitto moralistico-legalistico verso un unico individuo. Dalla questione sociale alla questione morale, da Carlo Marx alla signora Dandini. Tutto questo farebbe ridere, se non facesse piangere. È una tragedia sociale, politica e culturale. Forse la più grave degli ultimi trent’anni”
C’è ancora una sinistra in Italia? Noi siamo pienamente convinti che non esiste, sbaglia pertanto questa volta anche Diego Fusaro quando dice che “questa la base dell’odierno capitalismo che si riproduce culturalmente a sinistra” A meno che non vogliamo prendere per buona la definizione autoreferenziale di “asino che vola” da parte di chi raglia e tira calci sempre alle medesime categorie di persone: precari, disoccupati, impiegati e stipendiati fissi, esodati e via dicendo, nei confronti delle quali poco o nulla ha fatto l’altisonante “decreto del fare”…come se nulla fosse.
Lo stesso alfiere di quella che si ostina ancora a chiamarsi Sinistra, coniugando questa parola ormai priva di significato addirittura con l’Ecologia e la Libertà, ci avverte che il “rimedio”, udite, udite, può essere persino peggiore del male: Renzi come alternativa al monopartitismo imperfetto, come botta “de panza”contro  il governo “obeso”..
Come fare a legittimare “sta botta de panza” è presto detto: sarebbe l’unico detonatore contro, udite, udite: berlusconismo, fascismo e craxismo, messi tutti insieme.
Alla faccia della progettualità politica! Ma Vendola non è per caso lo stesso che qualche tempo fa diceva: “Cara Valeria, non mi piace la politica che puzza di morte. Io auguro lunga vita a Berlusconi, e auguri a tutti noi di riuscire a sconfiggerlo”
Oppure che declamava: “Penso che Craxi abbia interpretato un’idea della modernizzazione dell’Italia che in qualche maniera era dentro il tempo in cui cominciava ad aprirsi la stagione della globalizzazione liberista.” E ancora: ““Non si può ridurre la vita politica di Craxi alla cifra di una vicenda giudiziaria”
La verità palese ed evidente è che né l’Italia di Berlusconi, né quella della pseudosinistra baciapile dei mercati e tanto meno quella mussoliniana possono tuttora competere e reggere il confronto con un’Italia craxiana che riduceva l’inflazione da due a una cifra, aumentava il PIL da una a due cifre, entrava nel novero della quinta potenza industriale mondiale, con aziende italiane in ottima salute, e che a Sigonella rispondeva in piedi agli ingombranti alleati di farsi i fatti loro, perché qui, ai nostri, badiamo noi. E tutto ciò senza alcuna supina accondiscendenza verso una Europa monetaristica che lo stesso Craxi profetizzò, che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe stata un limbo e nella peggiore un inferno.
Bene (anzi male), alcuni stati come la Grecia nell’inferno monetaristico europeo già ci sono, con gente che fa la fila per la distribuzione dei viveri gratis, noi, invece, siamo già nel limbo, con la maggior parte della nostra popolazione che non va più né al mare e tanto meno ai monti. E non è detto che non scendiamo più giù..
I palliativi acchiappa allodole che il PD cerca di inventarsi in vista della cosiddetta fine del berlusconismo, la quale porterebbe inevitabilmente anche alla implosione di un partito nato e cresciuto preponderantemente per essere “anti”, ma in nessun modo del turbocapitalismo imperante, i vari Civati, Renzi, Vendola e via dicendo, sono solo l’ultima flebo di un aggregato politico-contenitore di interessi, solidamente affiancati, in stato ormai comatoso.
L’Italia affonda perché non è capace di rinnovarsi mediante una seria progettualità socialista che coniughi la libertà con la giustizia sociale, essa pratica piuttosto il giustizialismo strumentale e la permanente servitù delle categorie più fragili e deboli, irrimediabilmente bastonate, incarcerate, precarizzate, esodate, depredate di ricchezza ed oberate di tasse.
C’è seriamente da domandarsi se un regime del “comunismo reale” potesse davvero e concretamente risultare peggiore.
Ancora una volta tutto un popolo non sarà altro che in ginocchio, in attesa di una decisione che verrà ancora una volta dalla Magistratura, per capire se davvero abbiamo votato per più di una volta e ci siamo fatti governare con una legge incostituzionale come quella “ad porcum” vigente
Ancora una volta faremo in tutto il mondo la figura di coloro che, come il bimbo che appena mette un piede dietro l’altro si attacca alla gonna della mamma, sono continuamente attaccati alle toghe dei magistrati.
Non siamo capaci di sconfiggere un avversario politicamente, non siamo capaci di  varare una legge elettorale democratica…di che diavolo di democrazia siamo ancora capaci di cianciare?
Il nero in Italia resta un colore intramontabile, sia che rappresenti una storia passata in cui la ragione dello stato etico si è sostituita a quella della politica sia che manifesti quella recente in cui la ragione di quello giudiziario ha lo stesso messo in ombra e sotto tutela la vita della "polis", e  sia quando tale colore rinnova il lutto di tutti coloro che hanno strenuamente combattuto e si sono sacrificati per avere dignità, libertà e vera democrazia.
 Qui anche il colore della nostra pelle dovrebbe essere non marrone, ma solo e rigorosamente nero.
C.F.

Il Papa della libertà di spirito e della ragione cordiale


                                              

                                               di Leonardo Boff

Una delle maggiori conquiste della persona umana nel suo processo di individuazione è la libertà di spirito. Libertà di spirito è capacità di essere doppiamente liberi: liberi da ingiunzioni, regole, norme e protocolli, inventate dalla società e dalle istituzioni per uniformare comportamenti e fabbricare personalità secondo tali determinazioni. E significa fondamentalmente essere libero per essere autentico, pensare con la propria testa e agire di accordo con la norma interiore, maturata nel corso della vita intera nella resistenza e nella tensione con quelle ingiunzioni.

È una lotta titanica. Tutti infatti si nasce dentro a certe determinazioni, indipendenti dalla nostra volontà. Si tratti della famiglia, della scuola, del giro d’amici, di religione o cultura che plasmano le nostre abitudini. Tutte queste istanze funzionano come dei super ego che possono essere limitatori e in certi casi perfino castranti. Logicamente, questi limiti svolgono un’importante funzione regolatrice. Un fiume arriva al mare proprio perché dotato di argini e limiti. Ma questi possono trattenere acque che dovrebbero scorrere. E così esondano e si trasformano in acquitrini.

Gli atteggiamenti e i comportamenti dell’attuale vescovo di Roma – come a lui piace presentarsi –, chiamato comunemente Papa Francesco, evocano questa categoria tanto determinante della libertà di spirito.

Normalmente un cardinale eletto Papa adotta immediatamente lo stile classico, sacrale e ieratico dei Papi, sia nel vestire, sia nei gesti, nei simboli del supremo potere sacro e nel linguaggio. Francisco, dotato di immensa libertà di spirito, ha fatto il contrario: ha adattato la figura del Papa al suo stile personale, alle sue abitudini e alla sue convinzioni.Tutti conoscono le rotture che haintrodotto senza tante storie. Si è alleggerito di tutti i simboli di potere, specie la croce d’oro e pietre preziose e e la mantellina (mozzetta) messa agli altri e piena di broccati e preziosità, in altri tempi simbolo degli imperatori romani pagani: sorridendo disse al segretario che voleva metterglielo sulle spalle: “Visto che il carnevale è passato, la metta da parte per l’anno prossimo”. Si veste con il massimo della sobrietà, un abito bianco, le scarpe nere di sempre e sotto la veste, calzoni pure neri. Ha rinunciato a tutte le comodità proprie del Supremo Pastore della Chiesa, a cominciare dal Palazzo Pontificio, sostituito da una specie di casa del clero, dove mangia insieme agli altri. Pensa anzi al povero Pietro che era un rozzo pescatore e a Gesù, che secondo il Poeta Fernando Pessoa non s’intendeva di contabilità e non consta che avesse una biblioteca perché era un factotum un semplice peone mediterraneo. Si sente successore del primo e rappresentante del secondo, non vuole che lo chiamino Santità, perché si sente fratello tra fratelli e nemmeno vuole presiedere la chiesa nel rigore del Diritto Canonico, ma in calorosa carità.

Nel suo viaggio in Brasile ha mostrato, senza la minima spettacolarizzazione questa sua libertà di spirito; per il trasporto desidera una macchina popolare, una jeep coperta per i suoi spostamenti in mezzo al popolo, per abbracciare i bambini, per prendere un tè di mate, o addirittura per scambiare la sua papalina bianca con un'altra mezzo gualcita offerta da un fedele. Nela cerimonia ufficiale di accoglienza da parte del governo che obbedisce a un rigoroso protocollo, dopo il discorso, va dalla presidentessa Dilma Rousseff e la bacia tra lo sbalordimento del maestro di cerimonia. E molti sarebbero gli esempi. A questa libertà si spirito è connesso un alone fatto di tenerezza e forza caratteristiche personali di San Francesco di Assisi.

Si trata di un uomo di grande rettitudine. Tali atteggiamenti sereni e forti mostrano un uomo di grande tenerezza che ha realizzato una significativa sintesi personale tra il suo io profondo e il suo io cosciente. È quanto ci aspettiamo da un leader, specie se religioso. Lui evoca leggerezza e al tempo stesso sicurezza.

Questa libertà di spirito è potenziata dal riscatto splendido che fa della ragione cordiale. La maggioranza dei cristiani sono stanchi di dottrine e sono scettici davanti a campagne contro i nemici della fede, reali o immaginari. Siamo tutti impregnati fino al midollo dalla ragione intelletuale, funzionale, analittica ed efficentistica. Adesso qualcuno viene a parlare ad ogni momento come lo ha fatto nel suo discorso nella comunità (favela) di Varginha o nell’isola di Lampedusa. E’ nel cuore che abita il sentimento profondo per l’altro e per Dio. Senza il cuore le dottrine sono fredde e non suscitano nessuna passione. Davanti a sopravvissuti venuti dall’Africa, confessa: ”Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del pianto, ’del patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere”. Sentenzia con sapienza: “la misura della grandezza di una società è data dal modo con cui si trattano i più bisognosi”. In relazione a questa misura la società mondiale è un pigmeo, anemica e crudele.

La ragione cordiale è più efficiente nella presentazione del sogno di Gesù di qualsiasi dottrina erudita e renderà il suo principale araldo, Francesco di Roma, una figura affascinante che va al fondo del cuore dei cristiani e di altre persone.

giovedì 1 agosto 2013

Antifascismo e '68 (ancora zanzare per Diego Fusaro)



In un mio intervento di ieri avevo scritto che avrei rimandato ad altra sede alcune mie ulteriori critiche al caro amico Diego, che pur continuo a stimare e a considerare uno dei più validi filosofi italiani di oggi (non aggiungo giovani, perché Epicuro guarda anche me)
Ebbene, egli, in particolare, in quasi tutti i suoi interventi, mette in risalto che ci sono due date cruciali che inaugurano l'era del capitalismo assoluto: la caduta del muro di Berlino nel 1989, e, ancor prima il 1968.
Quest'ultimo momento, in particolare, segnerebbe una sorta di divaricazione assoluta tra capitalismo e borghesia, tale da portare ad una rimozione completa di quella coscienza “infelice” di cui buona parte della stessa borghesia, fino ad allora, era stata dotata, e che le aveva consentito di impugnare la bandiera rossa anche quando non ne aveva bisogno.
Il 1968, come movimento definito da Diego, antiborghese ma non anticapitalista, avrebbe inoltre generato una sorta di annichilimento dello stesso “métron” di cui, pur nei suoi valori spesso bacchettoni, la borghesia sarebbe stata sempre dotata, inducendo al “vietato vietare” al “tutto è possibile” e, in definitiva, alla smodatezza della dsimisura, conseguenza della quale, sottolinea sempre Diego, mutatis mutandis, sarebbe anche il fenomeno del “berlusconismo”.
Fu davvero così? E' questa una definizione sufficientemente documentata di quel fenomeno, in particolare, da parte di chi non lo ha vissuto in prima persona?
Sul 1968 esiste una analisi molto ben documentata e ben dettagliata, svolta da uno dei suoi protagonisti: Roberto Massari e condensata in un libro che consiglio a tutti di leggere con attenzione, dal titolo: “il '68 come e perché”Roberto Massari editore.
In quest'opera viene spiegato dettagliatamente quel fenomeno, che si dimostra essere stato non una specificità italiana, ma un evento di portata internazionale e globale. E per di più, si dimostra che esso fu accompagnato da una straordinaria stagione di lotte sociali e salariali, spesso coronate da successo (basti pensare solo allo Statuto dei Lavoratori e al nuovo Diritto di famiglia), che oggi, in piena regressione e recessione non solo economica, ma anche sociale, fa molto comodo rimuovere anche dalla memoria.
Scrive Massari: “Chi crede ancora oggi che pesanti attacchi al livello di vita delle masse implichino o favoriscano necessariamente decise risposte da parte degli stessi lavoratori colpiti, dovrebbe solo confrontare lo svolgimento dimesso e assai insoddisfacente dei rinnovi contrattuali del '66 con l'ondata delle lotte del '69” Non gli consigliamo ulteriori confronti con il presente perché sarebbero assai deprimenti.
Quelle lotte furono condotte, infatti, autenticamente contro un modello di capitalismo che incentivava lo sviluppo economico a scapito della forza lavoro.
Nella parte finale dell'opera di Massari vi è un intero paragrafo dedicato al significato anticapitalista del '68, che vorrei che Diego leggesse con attenzione, per ovvie ragioni di spazio non lo posso menzionare tutto, ma una parte significativa la posso riportare ed è la seguente:
Per chi volesse negare che vi fosse una forte carica anticapitalista nel movimento degli studenti e/o quello dei lavoratori, si potrebbe citare l'atteggiamento dell'avversario. I principali responsabili del funzionamento del sistema capitalistico italiano non ebbero dubbi: l'unità degli operai con gli studenti era percepita come una minaccia rivolta contro le fondamenta stesse del potere, dello Stato e, in quanto tale, venne affrontata come un autentico pericolo. I provvedimenti che furono adottati (dalla strategia della tensione al graduale inserimento dei riformisti nella compagine di governo) [il '68 fu anche, come movimento radicale, antiriformista n.d.r.] lo stanno a dimostrare.”
Per gli ulteriori ed innumerevoli aspetti di un fenomeno che va tuttora studiato con perizia storiografica, e che non si può certo liquidare con due o tre slogan, rinvio alla lettura dettagliata del libro menzionato.
Certo che, in un momento di particolare tensione sociale come quello contingente, in cui sia il mondo giovanile che quello del lavoro risultano fortemente penalizzati dal modello imperante di turbocapitalismo globalizzato, rimuovere la memoria storica di un fenomeno che fu la prima concreta reazione globale al suo progredire inarrestabile fa molto comodo, soprattutto a chi, come ripete anche Diego, “lavora per il re di Prussia”


E veniamo dunque anche all'altra questione sulla quale vale la pena di soffermarsi e che emerge da alcuni scritti e da alcune dichiarazioni di Diego, quella che riguarda l'antifascismo.
In una intervista egli afferma, in particolare: “Per questo io dico che il lavoro precario è la forma lavorativa più meschina dal tempo dei sumeri ad oggi; è una schiavitù perfetta quella del lavoro precario, perché ti rende sempre disponibile alla “chiamata” del capo e, di più, ti priva di ogni possibilità di progettarti l’esistenza. Oltre a costringerci a questo schifo, ci dicono che il problema era il fascismo, il nazismo o il comunismo, che certamente sono stati problemi nel Novecento, ma sono problemi per fortuna estinti. Il mio problema non è il fatto che ci sia il fascismo o il comunismo o il nazismo, il mio vero problema è l’oggi, e si chiama capitalismo: il mio problema, in altri termini, è  il fatto che non ci sia lavoro, che a fine mese non arrivi lo stipendio, che si possa licenziare senza una giusta causa, che tutto – anche l’uomo – sia considerato merce. Per questo trovo indecente questa retorica di antifascismo, anticomunismo e antinazismo, in assenza completa di fascismo, comunismo e nazismo.”
Già qui possiamo rilevare che, ad un attento osservatore dei fenomeni storici e sociali, il fatto di accomunare nazismo, fascismo e comunismo, sebbene in una sorta di opposizione che viene individuata come “retorica” è piuttosto improprio, data la specificità di ciascun fenomeno, e che, oltre a ciò, ognuno di essi (in particolare, il fascismo e il nazismo) non è avulso dal capitalismo e da ciò che esso ha generato e continua a generare nella storia, in piena continuità tra Ottocento, Novecento e Terzo Millennio incipiente, solo la lettura di un libro come quello di Rehinard Kuhn “Due forme di dominio borghese: Liberalismo e Fascismo” lo dimostra ampiamente.
La chiamata autoritaria di un capo fascista, non era altro che il prodotto generato dalla chiamata di un capo capitalista, lo stesso che aveva abbondantemente sovvenzionato l'ascesa del capo fascista al potere e che oggi genera forme analoghe di poteri a cui ci si dice in continuazione che non si può opporre alcuna alternativa.
Certo, i fenomeni storici non si presentano mai nello stesso modo nel tempo e tanto meno con lo stesso nome, lo stesso fascismo, nella sua dinamica e dialettica diacronica, fu soggetto a trasformazioni interne: una cosa fu il Sansepolcrismo, altra lo squadrismo, altra ancora il regime-stato fascista, altra infine l'epilogo repubblichino. Solo il regime-stato fascista si è suicidato definitivamente il 25 luglio del 1943, ma il resto?
Altra è infatti la forma con cui il neofascismo si è ripresentato, talvolta anche in giacca e cravatta, nel dopoguerra e che tuttora festeggia il centenario di certi sgherri nazisti.
Pochi nostalgici? Poca cosa, specialmente su scala internazionale? Non direi, specialmente considerando certe reiterate violenze ed insulti contro categorie specifiche di persone, come omosessuali, immigrati, persino ministri italiani di origine africana ed osservando varie e crescenti recrudescenze come Alba Dorata che sembrano alimentate oggi, come nel periodo della crisi del 29, proprio dalla miseria, dall'insicurezza e dal disorientamento sociali determinati dalla crisi generata dal turbocapitalismo.
Possiamo dunque dire con Diego che siamo “in assenza totale di fascismo”? Che il fascismo è solo stato rappresentato dalla sua forma più eclatante incarnata dallo stato-regime?
Lascio serenamente la risposta alla coscienza storica, civile e politica di ciascuno.
E ancora: si può, oggi, socraticamente, dialogare con tutti, anche se tra quei tutti vi è chi, in spregio ai valori costituzionali, si richiama espressamente a ciò che considera tuttora valore e cultura fascista, dimostrando, quanto meno, con ciò, di “rispettarla”, come pare che lo stesso Diego faccia, rilasciando certe interviste?
Certamente ognuno, quando qualcuno le chiede (che sia ANPI o Cultura Fascista forse per Diego è lo stesso), è libero di accettarle o rifiutarle, ma noi siamo ancora convinti che una società libera non possa includere negli orizzonti della libertà e del rispetto chi fa aperta professione di voler cancellare tali prospettive, avendo dimostrato ampiamente nel corso della storia di averlo già fatto.
Sandro Pertini, che per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di stimarlo, resta di gran lunga, specialmente oggi, il Presidente della Repubblica più amato dagli italiani, alla domanda: “lei rispetta anche i fascisti?” rispose seccamente: “no perché il fascismo è l'antitesi della fede politica, perché opprime tutti coloro che la pensano diversamente”
Antifascismo e anticapitalismo sono infatti tuttora la stessa cosa, è quindi del tutto inopportuno ed antistorico separare i due fenomeni o addirittura vederli come contrapposti.
Questo, ovviamente, senza indulgere in alcuna forma di retorica celebrativa autoreferenziale o, peggio, senza fare in modo che l'uno adombri l'altro con improprie strumentalizzazioni
Un libro purtroppo assai raro e difficile da leggere tuttora, e non si sa perché, di Giacomo Matteotti: "Un anno di dominazione fascista" che circolava, ovviamente solo all'estero, prima che egli fosse assassinato dagli sgherri fascisti, prova ampiamente la natura capitalista del fascismo ed il suo intento di precarizzare il mondo del lavoro, rendendolo anche corporativamente dipendente dagli interessi del capitale.
Nella sua introduzione egli scrive: “l'economia e la finanza italiana, nel loro complesso, hanno continuato quel miglioramento e quella lenta ricostruzione delle devastazioni della guerra, che erano già cominciati ed avviati negli anni precedenti; ma ad opera delle energie sane del paese, non per gli eccessi o le stravaganze della dominazione fascista; alla quale una sola cosa è certamente dovuta : che i profitti della speculazione e del capitalismo sono aumentati di tanto, di quanto sono diminuiti i compensi e le più piccole risorse della classe lavoratrice e dei ceti intermedi, che hanno perduta insieme ogni libertà e ogni dignità di cittadini”
Le ultime tre righe sono piuttosto emblematiche e si adattano perfettamente anche alla realtà odierna di un regime politico che ci appare sempre di più come quello di un monopartitismo imperfetto
Il fascismo appena salito al potere, come ci ricorda lo stesso Matteotti nel libro menzionato: “ha tassato per la prima volta (ma possiamo aggiungere non l'ultima) tutti i salari dei dipendenti dello Stato, Enti, Comuni, Società ferroviarie e tranviarie e di navigazione (Decreti 16/novembre 1922n.1660 e 21 dicembre 1922 n.1661), decurtandoli in una ragione media del 10%, ha iniziato nuove imposte sui redditi anche pei piccoli agricoltori, e mantenute le 20 lire sui prodotti vinicoli nonostante la riduzione dei prezzi” Altre misure tributarie che ci ricordano dannatamente il presente.
Se i banchieri di JP Morgan, cardinali supremi del monoteismo del mercato, dicono apertamente che per arrivare a creare il Nuovo Ordine Mondiale, (Governo Mondiale) bisogna che gli Europei smantellino la loro Costituzione Antifascista e troppo spostata a Sinistra, una ragione pur c'è, e quindi non vorremmo che la rimozione dell'antifascismo fosse proprio il “lavoro del re di Prussia” di cui tanto Diego parla e che non ci pare di voler svolgere, tanto meno da cottimisti.
Diceva Alain (Émile-Auguste Chartier), ne Le avventure del cuore, 1945 : “La storia è un grande presente, e mai solamente un passato.” Non può dunque esistere né sussistere alcuna piena coscienza del presente in atto se non sia indissolubilmente accompagnata da quella del corso degli eventi storici. La “magistra vitae” non insegna nulla a chi non vive con un Io pienamente attualizzato e storicizzato, ma questo Diego lo sa meglio di chiunque altro, come ha ampiamente dimostrato nel suo ultimo libro, molto ben riuscito: “Idealismo e Prassi”.
Tuttora il “fare” coincide con l'agire, per affrontare e vincere gli ostacoli e non arrestarsi al contingente, in questo Diego è bravissimo, nel medesimo testo, a notare, seppur da prospettive con esiti divergenti, la consonanza filosofica tra Gentile e Gramsci.
E se allora questo è vero, dobbiamo anche chiederci se la missione di un “dotto” sia solo quella di parlare e di scrivere o non piuttosto anche quella di lottare e partecipare o almeno protestare, specialmente se i suoi conterranei cercano strenuamente di salvare la loro terra dalla devastazione ambientale e dalle speculazioni mafiose, con un progetto che la Francia ha di fatto accantonato e che qui, invece, si vuole portare avanti a tutti i costi solo per far tornare un clima da "anni di piombo".
Anche in questo caso, in ultimo, come nell'intervento precedente, non vorremmo che la riposta fosse consegnata ai posteri, e tanto meno..agli attuali poteri..
E con questo le “punture inoculanti” sono finite..per ora..
C.F.