Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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sabato 25 giugno 2022

LA DISABILITA' DEL QUIZ



                                                di Carlo Felici

 

Quella che definirei “quizomania” ha preso piede in Italia da svariati anni, partendo dalle trasmissioni televisive che hanno indotto la gente a pensare che si potesse essere premiati rispondendo a dei quiz, raddoppiando il proprio capitale o perdendolo del tutto (lascia o raddoppia), e progressivamente affermandosi, almeno dagli ultimi venti anni, in tutti i settori.

Per cui oggi siamo arrivati al punto che gli itinerari didattici vengono misurati e valutati in base ai quiz, la selezione nei concorsi viene espletata mediante quiz, e persino i corsi di formazione si superano in base ai quiz, come se la vita di una persona fosse vivibile solo mediante una sorta di “patente a punti” che ci accompagna sino alla pensione...sempre che in futuro possano ancora esserci delle pensioni o non si possa accedere anche ad esse in base ad un quiz.

Il quiz è quanto di più stupido possa aver concepito la mente umana, anzi è la stupidità assunta a métron del vivere

Non ci vuole infatti una solida cultura Zen per comprendere che le opposizioni binarie sono solo frutto di una coscienza illusoria, in quanto ogni discriminazione, ogni aut aut esclude miriadi di possibilità che potrebbero integrare e migliorare una scelta, perché la coscienza umana è tanto più ampia e concretamente capace di scegliere e fare la scelta giusta, quanto maggiormente è in grado di considerare le interrelazioni che si vanno a determinare con tale decisione

E quindi facendo un esempio banale, se a qualcuno chiedo di rispondere con un sì o con un no alla domanda; è giusto aprire l'ombrello quando piove? Chi risponde solo con un sì e pensa di essere nel giusto, trascura il fatto che deve mettersi le scarpe adatte, che gli è necessario un impermeabile, che è giusto solo se si trova all'aperto, che se all'aperto si trova ad una fermata dell'autobus accanto ad altre persone, deve fare attenzione a non urtarle con l'ombrello, o persino che è sbagliato se tira troppo forte il vento.

In buona sostanza ogni scelta binaria è sbagliata perché tende ad escludere a priori la consapevolezza di quante scelte sono correlate ad essa, come se un teorema escludesse a priori tutti i suoi corollari.

Di qui la necessità di una mente aperta, o “vuota” come si direbbe nel buddismo, cioè in grado di accogliere tutte le eventualità che si presentano, volta per volta, nella complessità del vivere, senza escluderne nessuna, o almeno considerando la maggior parte di esse. Come chi guida un'automobile non può concentrarsi solo sul percorso e sui suoi movimenti di guida ma deve essere sempre in grado di sviluppare un'attenzione a 360 gradi intorno a sé per poter saper reagire prontamente anche agli imprevisti.

Se questo è necessario in una vita ordinaria, lo è ancor più in circostanze che, pur essendo straordinarie per la maggior parte degli individui, diventano ordinarie per chi le deve affrontare tutta la vita, come chi è colpito da una disabilità.

Cerchiamo di capire innanzitutto una cosa fondamentale, prima di sviluppare ulteriormente il discorso. Siamo tutti, nessuno escluso, potenzialmente disabili. Perché non solo può capitare la sfortuna di nascerci, ma molto più frequentemente capita la disavventura di diventarlo per un incidente fortuito, magari non dovuto a noi stessi.

Se una società capisse bene questo assunto, metterebbe al primo posto la cura del disabile, cercando di trovare soluzioni efficaci, efficienti, e soprattutto permanenti tali da rendere la vita della persona colpita da disabilità il più “normale” possibile, specialmente considerando che per ciascuno di noi una “normalità” concreta non esiste. Quindi offrendo al disabile innanzitutto l'opportunità di formarsi una coscienza ed in particolare fornendogli i mezzi per la sua “abilità” e per una sua autonomia il più ampia possibile.

E' del tutto evidente che, anche se questi obiettivi fossero raggiunti o si raggiungessero più che in passato, resterebbe comunque un carico di responsabilità e di oneri per chi assiste una persona disabile, che chi vive in altre condizioni non ha. Di qui la necessità di considerare, caso per caso, quali bisogni materiali oltre che psicologici hanno tali famiglie quando si trovano in queste condizioni.

E' un compito delicato e difficile, che non si può standardizzare, quello di capire come una società possa intervenire per alleviare e ridurre le difficoltà di famiglie che si trovano a sostenere situazioni che per molti appaiono spesso insormontabili. Una società seria e consapevole deve dunque predisporre adeguati servizi in primis di ascolto, e successivamente in grado di intervenire con assistenti sociali, psicologi e medici, ad personam, in ogni caso specifico, valutando bene le peculiarità che ciascun caso presenta.

Da tutto ciò si evince che valutare con un quiz le necessità e gli oneri che riguardano le famiglie che si trovano in queste condizioni è quanto di più riduttivo e deleterio possa esistere, anzi presentare ad esse un questionario in base al quale una Regione o un Comune si regolerà per erogare fondi o assisterle, può seriamente risultare una profonda offesa alla sensibilità di chi per una vita affronta le difficoltà quotidiane che gli derivano dall'assistenza a un disabile.

Ciò nonostante, questo è quello che hanno fatto la Regione Lazio e il Comune di Roma con una sorta di metodo chiamato “Zarit Burden Inventory” che tradotto suona più o meno così “Inventario degli oneri di fardello”. E già il nome ci fa capire come una amministrazione pubblica consideri il problema di persone vive in difficoltà, in buona sostanza, come la necessità di “inventariare gli oggetti eterogenei di un magazzino”

Ma se passiamo alle domande di questo assurdo e spersonalizzante metodo, la questione appare ancor più parossistica.

Prendiamone solo alcune di tale florilegio dell'orrore :

“Si sente arrabbiato quando è con il suo famigliare? Si sente in imbarazzo per il comportamento del suo famigliare? Si sente di non avere l'intimità e la privacy che vorrebbe avere a causa del suo famigliare? Si sente a disagio ad invitare a casa gli amici a causa del suo famigliare?...e via dicendo fino alle più assurde e scontate, retoriche all'ennesima potenza.. Sente che il suo famigliare è dipendente da lei? Si sente affaticato quando sta dietro al suo famigliare?

Ora non ci vuole una laurea in psicologia per rendersi conto che per delle famiglie che hanno passato una vita tra ospedali, day hospital, richieste di farmaci e ossigeno, corse spasmodiche al pronto soccorso in caso di repentini aggravamenti, richieste ed attese spesso estenuanti ai centri protesici per ottenere i mezzi necessari all'assistenza e via dicendo, tutto ciò appare eufemisticamente come “paradossale”, se non concretamente molto offensivo.

Diciamolo chiaramente, il sistema sanitario italiano ancora funziona egregiamente, ma tutto quel che ruota burocraticamente intorno ad esso rischia di limitare parecchio la sua efficienza, e altrettanto chiaramente diciamo che lo Stato italiano, in termini di assistenza ad personam, fornisce alle famiglie dei disabili molto meno di quanto altri Stati europei sono in grado di offrire, così che nella maggior parte dei casi la cura e l'assistenza è scaricata per intero sulle famiglie a cui è stata concessa solo una legge 104 per ottenere permessi retribuiti, che qualcuno ogni tanto, a fasi alterne, mette pure in discussione, reputando che chi ne fruisce in fondo vada in vacanza

Invece sarebbe necessaria un'opera di adeguata sensibilizzazione, in particolare coinvolgendo i media e la scuola, per far comprendere che la cura di un disabile non è un onere ma una opportunità, non soltanto per il singolo e per la famiglia in cui esso si trova, ma, in particolare, per la intera comunità in cui vive. Una straordinaria occasione per incrementare sensibilità, attenzione, cura, pazienza, lungimiranza, generosità...insomma per tutte quelle che sono le qualità migliori che caratterizzano un essere umano. Per cui dovendo proprio ridursi a valutare con un quiz tutto ciò, più opportune sarebbero domande come: Quanto ti ha fatto diventare più paziente il tuo famigliare? Quanto ha migliorato la tua consapevolezza sui rapporti umani? Quanto ti ha fatto capire in merito ai tuoi difetti caratteriali? Quante e quali opportunità hai avuto per migliorarti grazie a lui o a lei?

E via dicendo..se ne potrebbero addurre molte altre cambiando radicalmente la prospettiva di approccio, non mettendo in risalto quasi a darla per scontata la sofferenza e il disagio così come la mancanza di efficienza, ma piuttosto la gioia, la consapevolezza la straordinaria opportunità che ci viene offerta quando ci troviamo in tali condizioni.

E' evidente che per far questo, ci vuole una rivoluzione copernicana non solo sul piano psicologico e sociale, ma della stessa civiltà umana globale

E' palese infatti che non solo la disabilità è una condizione che potenzialmente riguarda tutti noi, ma che noi stessi stiamo causando sempre di più la disabilità del nostro stesso habitat di vita, della Terra, con ripetuti ed inarrestabili “incidenti di percorso” dovuti ad un modello sbagliato di civiltà che mette al primo posto la competitività, l'efficienza e la forma esteriore, non la cura, la sostanza e il valore inestimabile dell'essere umano, perché lo ha ridotto disumanamente a capitale, e se non produce capitale si dà per scontato che non è normale e gli si dà quel che avanza al resto.

Un resto che inconsapevolmente e globalmente rischia di passare in tempi non molto lunghi dalla disabilità alla morte, per mancanza di sensibilità, di mezzi, di risorse, in quanto è persino così folle non solo da sprecarle, ma da provocare rovina e disabilità a dismisura mediante guerre e devastazioni ambientali

Perciò l'unica domanda a quiz a cui tutti dovrebbero saper rispondere oggi risulta la seguente: "Vuoi o no che l'umanità sappia sopravvivere a se stessa, superando la sua disabilità?"

Una domanda solo apparentemente retorica, perché è del tutto evidente che, nonostante siano passati millenni di storia, l'umanità non ha ancora imparato a conoscersi bene, anzi, nonostante tutta la sua letteratura, arte scienza e filosofia, sembra che ne sappia sempre meno.

Carlo Felici

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