Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

venerdì 17 maggio 2024

I DANNATI

 



Il film “I Dannati” di Roberto Minervini, che esce in questi giorni nelle sale cinematografiche e che è stato presentato al Festival di Cannes, è ambientato nel 1862, durante la guerra civile americana, in quel West allora ancora tutto da scoprire e da “colonizzare”, in cui si prefigurava già la corsa all'oro.

Un drappello di soldati yankees viene mandato ad esplorare quei territori che furono una delle concause del conflitto, per la questione dei “free soils”, dei territori ancora liberi, dove gli unionisti non volevano che l'economia schiavista del Sud potesse espandersi

Di conseguenza, a guerra in corso, drappelli di soldati di ambo le parti, venivano mandati ad Ovest non tanto per esplorare, ma per verificare se in essi ci fosse già una presenza nemica.

La trama del film è piuttosto semplice, il drappello nordista avanza verso Ovest, fino alle Montagne Rocciose e contemporaneamente al suo interno si intrecciano le vite di tre generazioni a confronto e messe a dura prova da quella guerra fratricida.

Ci sono giovani che sembrano dover diventare uomini solo usando le armi, uomini che hanno sostituito alla fede il senso morale di ciò che è giusto o sbagliato ma che sembra non possano trovarlo più, altri che sono ancora sorretti da una fede messa a dura prova da una guerra che appare completamente contraddittoria rispetto a tutti i principi religiosi, e chi trova nell'oro l'unica ragione per giustificare la sua presenza in quei luoghi.

Il film dunque presenta varie tipologie umane a confronto e messe a dura prova da un conflitto che non si svolge solo contro un nemico umano, che appare, colpisce e scompare come una presenza demoniaca, ma anche contro una natura incontaminata, ostile ed impervia e ancora in gran pare sconosciuta.

Di fronte a questo destino che porterà il gruppo a subire attacchi, vittime e a disperdersi fino a che i superstiti appaiono avanzare ancora nel nulla di montagne innevate e orizzonti sconfinati, il regista ci porta ad interrogarci sulla “dannazione” che incombe su chiunque possa trovarsi a combattere una guerra che è destinata a stravolgere ogni convinzione morale e ogni valore religioso, mettendo la sopravvivenza al primo posto e riportando l'essere umano ad una condizione bestiale, come quella di un branco di lupi, gli stessi che aprono il film e fanno da sottofondo in varie sequenze.

Il film ha il pregio di saper focalizzare un mosaico di personalità umane che, mano a mano che la marcia procede e le difficoltà aumentano, si presenta sempre più espressivo nella sua eterogeneità e nel confronto che emerge tra loro, assieme alla disperazione di poter trovare un senso a tale vicenda che sia convincente e definitivo.

Tuttavia, nell'incrociare i paesaggi naturali con le vicende dei protagonisti, la narrazione procede con eccessiva lentezza, nei panorami, nei primi piani, in immagini come quella dei lupi che divorano la preda in apertura, del cavallo restato legato, dopo che al campo base non è sopravvissuto nessuno, in un simbolismo che appare a tratti esasperato.

Inoltre manca del tutto una riflessione sulla controparte, il nemico spara nascosto, compare all'improvviso e colpisce, oppure sfila nella boscaglia, ma non c'è nessun controcampo, non si sa cosa pensi, quale sia la sua ragione, quali i suoi drammi interni. E' solo una controparte incombente, pressoché disumanizzata, e tutto ciò in una guerra civile stona parecchio, perché confina la vicenda all'interno di un solo orizzonte umano, quello di chi poi sarà il solo vincitore, ma che nella vicenda rappresentata dal film è ancora lungi da venire. Il film appare dunque una bella riflessione sul sé, quasi come una sorta di autocoscienza collettiva, ma manca del tutto quella sull'altro da sé.

La conclusione quasi metafisica dei soldati che persi nelle montagne e nella neve, sollevano il capo verso l'alto, quasi anelando ad una salvezza impossibile nel cielo che li copre di fiocchi di neve, è ancora più emblematica del senso di abbandono e di “dannazione” che incombe su chi combatte una guerra che non si sa più che senso abbia, ieri come oggi, specialmente se ha davanti un nemico che parla la stessa lingua con la stessa faccia incrudelita dal nulla in cui sprofonda.


Carlo Felici

giovedì 9 maggio 2024

9 MAGGIO, GIORNATA DI QUALE VITTORIA?

 



Sebbene la firma della capitolazione del Reich nazista fosse avvenuta a Berlino il 9 maggio 1945, essa entrò in vigore retroattivamente dalle ore 23,01, ora dell'Europa centrale, che equivale alle 01, 01 del 9 maggio, ora di Mosca.

Sono passati 79 anni da quel momento decisivo della Seconda Guerra Mondiale, e l'Europa sembra quasi aver dimenticato il suo passato, vedendo risorgere al suo interno forme di nazionalismo,  antisemitismo, e di neonazismo e neofascismo che, soprattutto appropriandosi dei mezzi di comunicazione, cercano, soprattutto agitando, così come ieri il pericolo bolscevico, oggi quello russo, di consolidare il proprio potere

Eppure l'Europa, anche grazie al sacrificio di 27 milioni di sovietici, non ha mai vissuto, in epoca moderna, un periodo più lungo di pace che, dalla caduta del muro di Berlino, si è reso, prima con le guerre nella ex Jugoslavia, oggi con quella in Ucraina, sempre più fragile e precario.

Oggi più di ieri la russofobia si è fatta, a tutti i livelli, dalle gare sportive alle università, persino più forte dell'antibolscevismo di un tempo. Così come la stretta contro chi dissente rispetto alla guerra in corso, in Russia, è persino più oppressiva in vari casi di quella che veniva messa in opera un tempo contro il dissenso degli oppositori al governo sovietico.

Molti si chiedono oggi cosa potrà accadere se Putin sfonderà le difese ucraine, dilagherà in Europa? Avremo di nuovo cosacchi che si abbeverano alle fontane di S. Pietro? Ma i cosacchi di un tempo, sarà bene ricordarlo, erano ucraini..

Molti così hanno dimenticato cosa poteva accadere se Hitler avesse sfondato a Stalingrado e l'Unione Sovietica fosse stata sconfitta.

Tutte le sue armate sarebbero state trasferite contro gli angloamericani che avrebbero fatto la fine degli italiani a Caporetto. I campi di sterminio sarebbero dilagati in tutta Europa, le risorse alimentari ed energetiche russe avrebbero consentito di unire il Mediterraneo sotto la croce uncinata.

Si sa, la fantapolitica non sostituisce la storia, e la storia è quella davanti ai nostri occhi.

Oggi la giornata della vittoria si celebra in Russia molto più in sordina e con toni meno trionfalistici rispetto al passato, soprattutto non è condivisa con altri rappresentanti di altre nazioni che pur contribuirono alla disfatta del nazifascismo.

E soprattutto non abbiamo più una classe politica ed una Europa unita in nome dell'opposizione al fascismo, addirittura equiparato al comunismo.

Ricordiamoci però molto bene che gli sbarchi in Sicilia e in Normandia degli alleati avvennero più di 6 mesi dopo la vittoria sovietica a Stalingrado e mentre l'Armata Rossa avanzava a passi da gigante verso Berlino, raggiungendola prima degli alleati.

Molti governi europei non sono consapevoli che oggi il popolo russo, un po' per la propaganda, un po' per convinzione, è veramente persuaso di dover combattere una nuova Guerra Patriottica come quella del passato, per evitare che la propria nazione venga accerchiata dalle armi nucleari della NATO.

Molti quindi non considerano che, così come in questi due anni, la Russia non è stata scalfita dalle sanzioni e ha trovato nuovi mercati per le sue materie prime soprattutto in Oriente, in Sudamerica e in Cina, di contro l'Europa ha visto calare il PIL, fino quasi alla recessione, e pagare sempre di più le risorse energetiche con la crescita conseguente dell'inflazione.

C'è però una sostanziale differenza rispetto al passato. Il sistema comunista prevedeva una rete internazionalista di rapporti politici ed economici, spesso basata anche su scambi ineguali e tali da garantire all'Unione Sovietica l'egemonia sui Paesi satelliti, ma tale però al contempo da impedire conflitti economici e militari all'interno della propria rete di influenza, garantendo comunque una rete di servizi, magari non efficientissimi ma utile in ogni caso alla maggioranza dei cittadini dei Paesi dell'intero blocco sovietico, per vivere dignitosamente.

Oggi, tuttavia, con l'estendersi dei nazionalismi, spesso contigui a quello emerso in Russia, la forbice tra ricchi e poveri è destinata sempre di più a tagliare risorse per coloro che sono così spinti verso l'indigenza, mentre allo stesso tempo fenomeni di corruzione e malavitosi contigui al potere nazionalista, emergono con sempre maggiore virulenza.

Putin, da ex funzionario del KGB, è solito dire: "Chi non rimpiange l'URSS non ha cuore, chi la vuol rifare non ha cervello"

E già questa frase dice tutto su chi vive separando cuore e cervello al punto da non considerare le conseguenze dei suoi bombardamenti rovinosi su quello che un tempo era lo stesso popolo sovietico.

Ma la questione è un'altra, ed è che finché questa guerra continuerà, Putin avrà buon gioco a mantenersi al potere, contando sul consenso dei russi impauriti dalla incombenza della NATO, dal terrorismo internazionale e da una situazione di instabilità politica che potrebbe portare alla stessa disgregazione della Russia. 

Quindi molti, in Russia oggi, anche se sono contrari alla guerra, di fatto la sostengono obtorto collo, in mancanza di alternative e garanzie di maggiore integrità per quella che tuttora considerano la loro Patria.

E noi pensiamo che interrompendo l'inno russo per una atleta che ha vinto una competizione sportiva internazionale o vietando lo studio di Dostoevskij nelle università, il popolo russo possa considerare di avere molti amici in Europa se saprà liberarsi da Putin?

Stiamo andando verso elezioni europee inutili, specialmente esaltando i cosiddetti "Stati Uniti d'Europa" che sono una caricatura inesistente dei veri Stati Uniti rimasti, una superpotenza in decadenza che vede oggi milioni di suoi cittadini dormire per strada, e al contempo assiste all'arricchimento stratosferico di personaggi che lucrano sulle speculazioni e sul nulla virtuale, magari comprandosi persino gli yacht giganti sequestrati agli oligarchi russi, o che preparano nuove forme illusorie di propaganda mediatica grazie all'uso della cosiddetta Intelligenza Artificiale

Ma una vera Intelligenza che non può fare a meno di rapportarsi con la sfera umana dei valori etici e di quelli affettivi, non sarà mai artificiale. Perché sarà sempre basata su una esperienza concreta e reale del mondo e di ciò che vive in esso, non su una proiezione illusoria di esso.

Stiamo per votare un Parlamento Europeo che è persino riuscito ad equiparare nella sua condanna nazismo e comunismo, cioè mettendo sullo stesso piano la giustizia sociale e l'eguaglianza tra uomo e donna, con la supremazia della razza dell'uomo bianco ariano su tutto fino alla sottomissione e allo sterminio dei diversi, azzerando e misconoscendo quindi non solo il sacrificio di 27 milioni di cittadini sovietici comunisti, ma anche il loro contributo alla vittoria sul nazismo...tanto nazismo e comunismo sono la stessa cosa...no?

E' quindi del tutto evidente che una Europa che azzera la memoria storica e celebra se stessa stravolgendo lo stesso passato che l'ha resa possibile, non solo è inutile ma persino dannosa.

Mi si dirà che non vi è alternativa ad essa se non nel rigurgito dei nazionalismi riemergenti, ma la replica a questo è fin troppo facile

Noi abbiamo bisogno di una Europa protagonista di pace e benessere non solo in essa, ma capace di promuoverlo in tutto il mondo. E per rifarla bisogna azzerate i grandi feudatari soprattutto finanziari di questa, con tutti i loro vassalli, valvassori e valvassini, come fecero un tempo i Comuni contro un impero fatiscente e vessatorio, come i patrioti di ogni paese europeo nella “Primavera dei Popoli” del 1848, come i patrioti-partigiani fecero contro il Reich nazifascista.

Con un nuovo '68, se necessario, e soprattutto con tanti giovani in movimento decisi più che mai a spezzare le catene della loro marginalizzazione, del loro precariato, e della loro mancanza di futuro, ripiegati oggi su piccole ombre, che come un braccialetto elettronico, segnano il tempo della loro schiavitù mediatica nel palmo della loro mano.

In poche parole una Europa basata sulla speranza, non sulla paura della guerra totale.


Carlo Felici




lunedì 6 maggio 2024

COSA E' DAVVERO LA GRATITUDINE




Viviamo decisamente in un mondo ingrato, in cui i rapporti sono sempre di più veicolati dal “do ut des”, dall'utilitarismo con cui le persone si sfruttano a vicenda, oppure trovano il modo per sfruttarne altre e trarne profitto. Ma ci siamo mai chiesti che cosa è veramente la gratitudine?

Cominciamo ad analizzare la parola che deriva da latino gratus, che non significa solo grato e riconoscente ma anche gradito, quasi a significare che non si può essere grati per ciò che non si è gradito. Ma “gratus” a sua volta, conserva in sé la radice che ci riporta al semitico karis e all'accadico karasu che animano anche il greco kardia, cioè il cuore, il sentimento. E gratus è anche stato accostato al sanscrito gurthah, che vuol dire celebrato

In buona sostanza, la gratitudine è indissolubile rispetto al sentimento che si nutre nei confronti di chi la suscita, propiziandoci più che il rispetto, la sua celebrazione, la gioia che si prova per colui o colei che suscitandola ne diventano oggetto

Possiamo dire per questo che la gratitudine è un sentimento basilare nella vita di ogni essere senziente, perché chiunque nasca e viva in questo mondo, non può fare a meno di avere rapporti con altri, è interdipendente e connesso inevitabilmente con altri esseri viventi, lo sono tutte le specie viventi in questo pianeta, dalle piante, agli insetti, agli animali e ovviamente lo siamo noi.

Però, mentre tutti gli altri esseri viventi della natura vivono la loro “gratitudine” con naturalezza, cioè senza esagerare si nutrono solo di ciò di cui hanno bisogno, fanno parte di una catena alimentare che prevede per tutti, tra specie vegetariane e carnivore, un equilibrio del loro ecosistema, in modo tale che nessuna specie, nella biodiversità, si estingua a beneficio di un'altra, l'essere umano che non è “grato” ma sfrutta ogni cosa a suo piacimento, si impone su tutti gli altri esseri viventi, con l'unico scopo di dominarli e sfruttarli a suo piacimento senza limiti. E ovviamente tende a fare lo stesso con i suoi simili.

Tutt'al più l'essere umano è grato ad un principio religioso che spesso usa per legittimare il suo dominio, quindi è grato solo a Dio perché lo ha fatto (secondo lui) signore dell'universo a sua immagine e somiglianza.  E questa somiglianza, in particolare, tende a diventare sempre più stretta, specialmente se si incontrano popolazioni diverse e di diverso credo, tanto da identificarla con la propria nazione, il proprio colore della pelle e la propria cosiddetta “civiltà”.

Ne consegue che per chi è diverso dallo standard di “uniformità” a cui si pensa debba conformarsi la “normale” gratitudine umana, non ci sta alcun riguardo, anzi, si manifesta un palese respingimento. Nella società dei consumi, standardizzata in base agli stereotipi della bellezza veicolata spesso da immagini sempre più virtuali e prodotte con sistemi telematici, l'ingratitudine per il diverso tende addirittura ad essere enfatizzata, se non addirittura a diventare un canone ideologico. Al punto che persino un militare può passare dalla caserma al pulpito mediatico e raccogliere vasti consensi ideologizzando un sistema del tutto discriminatorio basato sulla ingratitudine verso i diversi: omosessuali, disabili, grassi, storpi, transessuali, immigrati, e via dicendo..a cui è riservato, nella migliore delle ipotesi, un piccolo ghetto in cui non devono disturbare i “normali”

Eppure noi dovremmo nascere, vivere e morire con questo senso di gratitudine permanente, non tanto verso un principio divino spesso astratto e lontano, magari originatosi millenni addietro, ma verso tutto ciò che ci circonda. 

Noi esseri viventi, infatti, abbiamo sempre bisogno di tutti in ogni momento e tanto più gentilezza e riconoscenza animano la nostra vita, tanto meglio si accresce la qualità dei nostri rapporti con ogni creatura con cui entriamo in contatto.

Non solo dovremmo essere grati ai nostri genitori e a chi ci ha educato e fornito una cultura, ma sempre a tutti coloro che, facendo parte di una comunità che si estende dagli umani alla natura, ci consentono di nutrirci, di agire nel mondo e persino di respirare, come le piante.

Nessun essere vivente è un'isola autosufficiente, nessuno può vivere isolato e privo di rapporti con altri esseri viventi, in ogni tempo e in ogni luogo, ma gli animali, specialmente domestici sono consapevoli di questo più di noi, in particolare nei rapporti affettivi e famigliari. Nessun gatto e nessun cane tradirebbe mai la fiducia dell'essere umano con cui vive, mentre gli umani spesso abbandonano cinicamente proprio coloro che a loro sono più grati, e non solo, lo fanno anche con i genitori, i fratelli, le sorelle, i figli..anche quelli disabili.

Possiamo dunque affermare che non esiste essere più ingrato dell'essere umano, soprattutto osservando come dopo millenni di scontri e guerre rovinose, esso sia ancora preda dell'incubo dell'annientamento reciproco, acuito da armi sempre più micidiali, da quelle chimiche a quelle batteriologiche, a quelle atomiche

Eppure noi dovremmo essere grati anche a quelli che consideriamo come i nostri peggiori nemici, proprio perché, mediante loro, apprendiamo maggiormente la pazienza e la lungimiranza, così come verso tutti coloro che sono in difficoltà, perché ci consentono di essere ancora più generosi e disponibili, migliorando così le qualità più significative del nostro animo.

Spesso invece capita che proprio a partire dai rapporti affettivi, si confonde la gratitudine con la mancanza di reciprocità nell'utile, perciò siccome io sono servita a te, tu devi servire a me, anzi in non pochi casi “servire me”, altrimenti è meglio se sparisci.  Ed è del tutto evidente che, in questo “do ut des” manca, per tornare all'accezione etimologica originaria, sia la “celebrazione” dell'altro, sia il “sentimento” verso un altro che risulta in tal modo definalizzato a strumento di affermazione.

E' così che i rapporti spesso finiscono per avvitarsi su se stessi, e anche per degenerare in conflitti a volte molto violenti. Si è grati solo a chi ci fa quello che ci fa comodo, ma in nessun modo verso chi ci ha messo in difficoltà, magari distrattamente, o anche poi pentendosi di averlo fatto.

Si vive permanentemente e conflittualmente nell'ossessione di poter dare solo per dover ricevere, fino addirittura ad accusare violentemente chi non corrisponde a questa nostra aspettativa.

Eppure non c'è gratitudine maggiore di quella verso ciò che non ci sia aspetta, e che non si è chiesto di ricevere. E non ce n'è di più grande di quella che ci spinge a perdonare chi ci offende, perché ci libera dall'odio e dal rancore

Pertanto anche in un contesto politico e civile tutti dovrebbero nutrire gratitudine verso chi ha restituito libertà e democrazia al Paese, mostrandosi contrari all'ingratitudine di coloro che affermando se stessi negavano a tutti gli altri la possibilità di esprimere il loro pensiero, perseguitandoli fino alla prigionia e alla morte, ma non mostrando loro né odio né risentimento

Chiunque voglia migliorarsi e perfezionare la sua personalità, davvero non può che apprendere il cammino della gratitudine universale perché come diceva anche Churchill: “la gratitudine non è solo la più grande delle virtù, ma anche la madre di tutte le altre.”

Anche la scienza ha di recente scoperto che la propensione alla gratitudine sviluppa notevoli benefici sulla nostra salute e ci porta a vivere meglio e ad essere più longevi, in particolare aumenta l'autostima, migliora il nostro umore potenziando ricordi positivi, migliora le relazioni spingendoci ad essere più gentili, ci fa tollerare meglio lo stress, tende a eliminare i rimpianti, riduce l'attaccamento e il senso di avversione, modificando il cervello che diventa più adattabile e la pressione sanguigna che si abbassa, favorendo un sonno più sereno.

Impariamo a dire “grazie”, anche a chi ci offende, saremo sicuramente più forti e meno preda del rancore e della violenza anche verbale, scopriremo inoltre di avere e portare sempre con noi qualcosa di buono che niente e nessuno ci potrà sottrarre e lo stesso mondo sarà migliore

Diceva infatti Gandhi: “La gratitudine è un desiderio profondo, non solo di avere qualcosa di buono, ma di rendere il mondo un posto migliore”


Carlo Felici