Parlare
di Ernesto Che Guevara a più di mezzo secolo dalla sua morte è come contemplare
un cielo stellato, non si sa da dove cominciare né dove finire.
I
mortali, infatti, dovrebbero limitarsi, in questi casi, a tacere di
fronte all'incommensurabilità degli immortali.
Ma
anche un mortale può, come Kant scrisse efficacemente, considerare
la morale che c'è in lui e oltre ad essa il cielo stellato che
permane sopra di lui.
Perciò, nonostante il fiume di inchiostro che è stato versato,
narrando la vita ed il pensiero del Che, fino a farlo divenire una
icona rivoluzionaria, cercheremo di capire che la sua rivoluzione fu
soprattutto etica e morale, prima ancora che sociale, economica o
politica. E che fu, anche per questo, una delle vittime più illustri
di un comunismo divenuto artificio e negazione della stessa morale su
cui esso avrebbe dovuto fondarsi.
Il
Che scoprì fin da bambino la ribellione e l'ingiustizia e fu spinto
a trovare un modo per combatterle nell'immediato, anche dall'urgenza
di una vita incalzata da una malattia che gli consentì di essere
riformato nel servizio militare, nonostante poi sia diventato un
grandissimo Comandante militare rivoluzionario, così sembra che
anche il destino abbia voluto unire la sua ironia a quella
proverbiale del Che. La sua vita, infatti, non bruciò lentamente
come una candela, ma arse di un fuoco impetuoso e trascinante
dall'inizio fino alla fine, espandendo la sua luce ed il suo calore
oltre i confini dello spazio e del tempo. Tanto che ancora oggi essa
perdura intatta nella sua fulgida essenza, infatti per quelli come
lui, finisce sempre una vita terrena per iniziarne una leggendaria,
che sicuramente anche gli esploratori spaziali o i futuri combattenti
di guerre stellari di liberazione non potranno fare a meno di
ricordare e tramandare.
Le
tappe di questa vita straordinaria sono arcinote, per cui faremo a
meno di ricordarle, lasciando ai biografi la narrazione dettagliata
di questo percorso, dall'inizio fino alla fine, e raccomandando,
però, a coloro che davvero vogliono pensare al Che e non limitarsi a
parlarne o a scriverne o a sproloquiare su di lui, di leggere queste biografie, magari
mettendole a confronto, per scoprirne anche le autenticità e le
incongruenze.
Tra
le migliori, ci sentiamo di raccomandare quella di Paco Ignacio Taibo
II e di Castaneda, gli scritti di Moscato, quella di Massari (purtroppo mutila dell'ultimo
periodo, dato il tempo in cui fu scritta) oltre a quella di
Anderson, che però invitiamo a leggere per ultima dato che,
apparentemente può sembrare la più documentata e celebrativa oltre
che la più famosa, ma concretamente risulta una delle più
mistificatorie, a partire dalla data di nascita e dalle circostanze
della morte del Che.
Anderson,
infatti, scrive che il Che nacque un mese prima, di quanto lui stesso
ricordò persino nel suo diario boliviano, adducendo solo delle prove
testimoniali, quasi volendo fare intendere che la sua vita sorse da
una bugia. Un modo direi alquanto subdolo di fondare la biografia di
un rivoluzionario, e conclude narrando una sorta di riappacificazione
nell'abbraccio tra il suo carnefice e la sua vittima, lasciando
intendere che la CIA volesse il Che più vivo che morto, tutte
panzane per altro smentite da un rapporto dettagliato di due
scrittori e storici cubani: Adys Cupull e Froilàn Gonzàles,
intitolato “La CIA contra el CHE” e pubblicato in italiano da
Edizioni Achab nel 2007.
Anche
i film di recente usciti anche in Italia, per la regia di Steven
Soderbergh, rivelano più o meno lo stesso intento, forse meno nel
primo sulla vicenda rivoluzionaria cubana, ma sicuramente di più nel
secondo sull'impresa boliviana: rappresentare il Che come un
rivoluzionario straordinario ma molto donchisciottesco, cioè
utopistico e sostanzialmente poco cosciente della realtà e della
contingenza in cui si trovò ad operare, insomma una sorta di eroe e
Cristo solitario, immortalato dalla sua ultima immagine cadaverica
del lavatoio di Vallegrande. Una icona da venerare ed esaltare ma
concretamente sempre fuori dal tempo.