Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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sabato 19 gennaio 2019

IL VATE RIVOLUZIONARIO



                                                                 

                                                    di Carlo Felici


"Ieri, come oggi, oggi come domani, quando la stirpe o l'uomo sta per diventare la ragione di vivere, insorgere è risorgere" G. D'Annunzio



 Uno degli aspetti più sconosciuti e interessanti dell’opera di uno dei più grandi artisti e poeti italiani, è quello della sua vita rivoluzionaria, un vivere che, come lui scrisse, e ci possiamo davvero credere, fu “chiamato inimitabile”
 Sino ad ora, l’aspetto della vita di D’Annunzio, dedito alla causa rivoluzionaria, era stato esplorato solo in parte da De Felice, con alcuni testi in merito alle esperienze del poeta nella Repubblica del Carnaro, oggi abbiamo invece uno studio più approfondito che è il frutto di una bella ricerca svolta da Antonio Alosco, il quale ha pubblicato di recente un libro dal titolo: Gabriele D’Annunzio socialista, oltre ad una bella raccolta di suoi scritti rivoluzionari curata da Emiliano Cannone, dal titolo “manuale del rivoluzionario”. Diciamo subito che è un titolo alquanto azzardato, dato che, strictu sensu, il Vate, socialista, non lo fu mai, almeno nell’accezione ordinaria del termine che possiamo riferire alla militanza in un partito e, in particolare, alla adeguazione della propria prassi verso le sue gerarchie interne.
 Fu però autenticamente rivoluzionario e vedremo perché. D’Annunzio adeguò il mondo in cui visse, in maniera mirabilmente cosmica e storica, a se stesso, pur imprimendo alla sua epoca una sua personalissima, originalissima e vitalissima impronta caratteriale, artistica e anche politica.
 La sua esperienza con la sinistra storica di fine Ottocento inziò nel 1897 nelle file della destra, ma con intenti tutt’altro che conservatori, il suo, infatti, fu solo un voler portare in Parlamento “la causa dell’intelligenza contro i barbari”, lo disse testualmente: “dopo il guerriero, dopo il sacerdote, dopo il mercante, venga colui che pensa”, fu quindi forse il primo ad inventare in Italia il ruolo dell’intellettuale impegnato, organico, in un’ epoca, per altro, non esente da corruttele e trasformismi, purtroppo mali endemici del nostro paese.
 Fu presente nelle file della destra, ma non pronunciò mai alcun discorso, stette lì solo in veste di osservatore, fino all’avvento al potere del generale Pelloux e al varo di una serie di leggi liberticide che seguirono ai moti di piazza e alla strage di Milano del 1898.

venerdì 18 gennaio 2019

Il misterioso destino di ognuno di noi





Leonardo Boff* 

Ognuno di noi ha l'età dell'universo, che ha 13,7 miliardi di anni. Eravamo tutti virtualmente insieme in questo puntino, più piccolo della testa di uno spillo, ma pieno di energia e materia. La grande esplosione avvenne e generò le enormi stelle rosse all'interno delle quali si formarono tutti gli elementi fisico-chimici che compongono l’universo e tutti gli esseri. Siamo figli e figlie delle stelle e della polvere cosmica. Siamo anche quella porzione della Terra vivente che è arrivata a sentire, a pensare, ad amare e a venerare. Secondo noi la Terra e l'universo sentono di formare un grande “Tutto”. E possiamo sviluppare la consapevolezza di questa appartenenza.
Qual è il nostro posto all'interno di questo “Tutto”? Più precisamente, nel processo di evoluzione? All'interno di Madre Terra? All'interno della storia umana? Non ci è ancora permesso saperlo. Forse questa sarà la grande rivelazione quando faremo il passaggio alchemico da questo  lato della vita all'altro. Li, spero, tutto sarà chiaro e saremo sorpresi perché saremo tutti collegati, in modo ombelicale, formando l'immensa catena di esseri e il tessuto della vita. Cadremo, credo, nelle braccia di Dio-Padre-e-Madre di infinita misericordia per coloro che ne hanno bisogno a causa delle loro cattive azioni e in un eterno abbraccio amorevole per coloro che sono stati guidati dal bene e dall'amore. Dopo aver attraversato la clinica di Dio-misericordia, arriveranno anche gli altri.

domenica 13 gennaio 2019

CARLO ROSSELLI E TROZKI




                                                       di Carlo Felici

Varie volte il pensiero e l’esempio di Carlo Rosselli sono stati utilizzati da una certa pseudosinistra per giustificare una sorta di distacco dal marxismo, oppure un riformismo di tipo liberale, molto annacquato e sostanzialmente collateralista rispetto alla deriva neoliberista in atto, con un modello a senso unico di globalizzazione che tende a sfruttare popoli e materie prime per puri fini di profitto.
Lo fece Veltroni in Italia, ma ancor prima Craxi, ora ci prova maldestramente anche Calenda assieme ai sostenitori di un fantomatico terzo polo, e  bisogna dire che tali tentativi di recupero del pensiero di Rosselli appaiono sempre piuttosto grossolani e strumentali, almeno a chi conosce seriamente il pensiero e gli scritti di Carlo Rosselli. Il tutto rimane confinato nell’ambito di slogan, senza invece portare ad un serio approfondimento delle opere di Carlo Rosselli che, purtroppo, non sono nemmeno state ristampate frequentemente.
In particolare, è stato completamente messo in ombra sia il taglio rivoluzionario del contributo di Rosselli sia il forte legame che egli cercò di intraprendere con i movimenti rivoluzionari internazionalisti, compreso quello bolscevico di Trotsky.
Non molti sanno che Rosselli incontrò personalmente il rivoluzionario bolscevico ed ebbe con lui un fruttuoso scambio di idee, che però non si tradusse in una prospettiva ad ampio raggio, di collaborazione attiva ma che avrebbe potuto preludere, almeno in Spagna, ad una convergenza di azioni comuni.

Il tutto è documentato in un articolo-intervista di Carlo Rosselli uscito su Giustizia e Libertà a Parigi il 25 maggio 1934. Lo scritto è addirittura preceduto da una citazione dagli scritti giovanili dello stesso Trotsky in cui si dice: “La gioia più grande è quella della lotta per la grande causa della giustizia e della libertà” Rosselli volle quell’incontro per proporre al rivoluzionario sovietico una collaborazione alla rivista di GL, e nell’articolo trapela una chiara ammirazione nei suoi confronti, scrive Rosselli: “Vi fu mai nella storia esule più vittorioso? Una dopo l’altra si chiudono davanti a lui le frontiere, proletarie, borghesi. Le classi di governo sono prese da un immenso sgomento a ragione di quella vittoria che Trotsky porta seco, la rivoluzione d’Ottobre, onde il suo nome sarà ricordato nei secoli accanto a quello di Lenin. Né sorprende che la frontiera più arcigna sia quella della sua rivoluzione. L’eroe di ottobre è troppo dinamico, non c’è posto per lui in Russia nei periodi di quiete. E’ un genio da ammirarsi in segreto e a distanza, vicino è troppo incomodo e pericoloso..”
La conversazione tra i due non fu particolarmente lunga ma restò comunque significativa. Trotsky non escluse la sua collaborazione anche se conservò delle riserve pregiudiziali verso il movimento socialista rivoluzionario di Rosselli che gli ricordava la sua prima esperienza, poi superata, di social rivoluzionario a Nicolaieff. Gli disse Trotsky: “Credo di conoscervi e di essere abbastanza informato sul movimento Giustizia e Libertà, vi ho già incontrato più volte nella mia vita, nella lotta rivoluzionaria in Russia..” ma poi replicò seccamente: “Oggi siete feroci contro Mussolini e il fascismo, è naturale. Ma domani? Domani, quando tornerete in Italia e gli abissi tra le classi si spalancheranno, da che parte starete?”
Ma Rosselli replicò altrettanto duramente da vero rivoluzionario: “Crediamo di avere capito la lezione di Ottobre, la vostra lezione. Non attenderemo Costituenti. Non forniremo Kerenskj. Gli obiettivi supremi li conquisteremo subito. Giustizia e Libertà è un movimento giovane, appena agli inizi, non potete imprigionarlo nelle formule ed esperienze del passato”
Trotsky allora quasi si persuase e replicò: “Finché il fascismo era un fatto che si svolgeva ai margini della vita europea, si poteva supporre che il popolo italiano si sarebbe sottratto alla legge comune. Ma dopo la Germania, una rivoluzione italiana non sfuggirà ai binari obbligati” e quindi, messo di fronte ai concreti fatti dell’azione antifascista, non si sottrasse alla possibilità, un giorno, di poter collaborare, però, da vecchio bolscevico non si fece molte illusioni e concluse: “Ma domani, in pieno processo rivoluzionario, vi combatterò”. Egli infatti prevedeva una rottura netta tra borghesia e proletariato in Italia, insistendo sull’aut aut tra l’essere bolscevichi e leninisti o alleati della borghesia. Naturalmente Rosselli non ebbe difficoltà a replicare che in Italia il proletariato doveva necessariamente tener conto dei ceti medi e piccolo borghesi e che Trotsky stesso aveva sostenuto la tesi che dove la rivoluzione non segue il disastro militare è necessaria e inevitabile una lunga fase di transizione.
Il colloquio infine si chiuse per la necessità di Trotsky di adempiere ad altri impegni e l’impressione di Rosselli fu che il rivoluzionario russo fosse “prigioniero del suo passato, e della storia polemica con Stalin, col bolscevismo, che lo ha saccheggiato rinnegandolo”
Pur tuttavia Rosselli torna ad ammirarlo chiudendo il suo articolo con queste parole: “Trosky è la rivoluzione vittoriosa...e la limitazione [della sua opera] è piuttosto dovuta alla straordinaria forza di astrazione di un pensiero che si svolge nel suo intimo in modo così coerente e completo da non aver bisogno dei contributi altrui”..L’unico contributo di cui può avere bisogno uno come lui è quello di un popolo, conclude Rosselli, anche se dubita che questo popolo possa essere quello occidentale.
Perché ricordare oggi tutto questo?
Innanzitutto per sfatare una sorta di uso strumentale del pensiero di Rosselli in funzione pseudo liberale e antirivoluzionaria o contraria ad una vera e propria lotta di classe, di cui Rosselli, con Gobetti, lo ricorda esplicitamente in quel dialogo, voleva ardentemente essere partecipe e che oggi si configura nella contrapposizione tra potentati economico-finanziari, grandi multinazionali e masse destinate alla marginalizzazione, al precariato e allo sfruttamento delocalizzato. E poi anche per capire che attualmente, la migliore attuazione del pensiero social rivoluzionario di Rosselli che, non dimentichiamocelo, intende il liberalismo come il cammino della lotta per la libertà dall’oppressione del capitalismo che impone la miseria ai lavoratori, è la creazione di un partito che sia coerente con quel che egli stesso scrisse pochi mesi prima di morire, in circostanze non ancora del tutto chiarite, e che forse videro, proprio in funzione antisocialista e antitroskista, convergere gli sforzi congiunti dei servizi segreti fascisti e stalinisti.
Ricordiamo le sue parole sul bolscevismo e sulla Rivoluzione Russa:
"Prima di ogni consacrazione marxista e di ogni atrocità dittatoriale sta la rivoluzione che ha distrutto l’autocrazia, che ha dato la terra ai contadini. Questa rivoluzione noi l’amiamo e la difenderemo.
La rivoluzione non è la dittatura di Stalin, è evidente. Ma se fossimo posti a scegliere tra il mondo capitalista, così come ci fu rivelato dalla guerra e dalla crisi, e il mondo bolscevico dovremmo risolverci, non senza angosce, per il secondo.
Ma è questa alternativa che rifiutiamo; è questo dualismo rozzo e brutale – Dio o il Diavolo; il comunismo o il capitalismo – che ci ripugna. Tra Dio e il Diavolo stiamo, molto semplicemente, per l’Uomo. Il nostro sforzo sarà rivolto a superare il dissidio nel nome di una nuova sintesi; nel nome di un socialismo penetrato dall’idea di libertà nel quale i Piani servano gli uomini, e non gli uomini i Piani.
Se oggi difendiamo la rivoluzione russa è anche perché essa, malgrado tutti i suoi errori ed orrori, rappresenta nel mondo dell’economia l’alternativa. La dimostrata possibilità di esistenza di una economia collettivista è una esperienza interessante per il genere umano. L’economia collettivista era sino a ieri per la scienza ufficiale una eresia, una economia impossibile; in ogni caso una economia statica destinata al rapido crollo per la sua impotenza a risparmiare e accumulare" 
«Quaderni di Giustizia e Libertà», n. 2, marzo 1932
 Cosa scrisse Rosselli sui comunisti italiani è noto: "Probabilmente il Partito Comunista, così come è oggi è costituito e funziona, non può modificare i suoi caratteri essenziali.
Ma un nuovo partito unito del proletariato nel quale i comunisti portassero le loro grandi virtù di organizzazione, di disciplina, di entusiasmo, di lavoro, e trovassero quella libertà intellettuale, quel fermento critico che loro difetta, consentirebbe non solo di superare su un piano di rinnovamento e di vita la scissione proletaria, ma di condurre con risolutezza e con frutto la nuova politica dai comunisti auspicata."

 Rosselli lo scrisse quasi come in un testamento, il 9 aprile 1937..solo due mesi prima di morire.
 Questo oggi potrebbe essere tranquillamente il programma fondativo di un vero grande partito della sinistra solidamente ancorato all'Internazionale Socialista.  Carlo Rosselli resta un grande rivoluzionario sostenitore, ieri come oggi, di una lotta di classe che attualmente è da intendersi in forma globale, esattamente come Trotsky intendeva dovesse svolgersi la sua “rivoluzione permanente”. Cambiano senza dubbio, nel contingente, gli strumenti per concretizzarla, perché non abbiamo un’armata rossa in cui arruolarci, ma un mondo in cui scegliere da che parte stare. O dalla parte degli speculatori che fanno crescere i prezzi delle derrate alimentati e lucrano oltre che sui prezzi del cibo e delle materie prime anche sui fattori eversivi che spingono i popoli a ribellarsi, traendo enormi profitti dalle guerre che ne conseguono, oppure dalla parte di chi si ribella e coordina i suoi sforzi su scala globale, avendo ben chiaro in mente che una lotta comune, non può avere obiettivi meramente nazionalistici, ma mete convergenti condivise su scala planetaria.
“Il compito di una società socialista non è di distruggere la concorrenza degli uomini e delle organizzazioni ma di renderla veramente effettiva e libera” affermava Carlo Rosselli.

Carlo Felici

PS L'articolo-intervista di Rosselli si può trovare integralmente nel libro edito da Massari Editore della collana Contro Corrente, intitolato: Lev Trotsky "Scritti sull'Italia" introduzione e cura di Antonella Marazzi.

mercoledì 9 gennaio 2019

Contro il nuovo governo di ultra-destra san Giorgio ci aiuti




Leonardo Boff* 

Contro il nuovo governo di ultra-destra, furioso e persecutore, che già tocca i diritti fondamentali dei cittadini, in particolare i salari e le persone di un diverso orientamento sessuale, dobbiamo unire le nostre forze di resistenza e di critica, per l’imperativo etico di salvaguardare la democrazia e i beni comuni, che appartengono al popolo brasiliano.
Oltre a questo sforzo civico, abbiamo bisogno dell'aiuto del santo preferito dai cariocas, San Giorgio. La sua storia leggendaria può darci coraggio e forza.
Un terribile drago minacciava una piccola città nel Nord Africa. Richiedeva vite umane scelte a sorte. Un giorno, la sorte cadde sulla figlia del re. Questa con l’abito di sposa andò incontro alla morte. Ecco che San Giorgio irruppe con il suo cavallo bianco e la sua lunga lancia. Ferisce il drago e lo doma. Lega la sua bocca con la cintura della principessa e lo guida, docile come un agnello, fino al centro della città.
Dobbiamo interpretare questa leggenda in quanto può migliorare la nostra consapevolezza di chi siamo veramente. Seguo qui le riflessioni sulla psicologia analitica di Jung, soprattutto del suo allievo preferito, Erik Neumann (vedi la “Storia della origini della coscienza”, Astrolabio 1978). Secondo lui, il drago spaventoso e il cavaliere eroico sono due dimensioni dello stesso essere umano. Il drago in noi è il nostro inconscio, la nostra oscura ancestralità, le nostre ombre, la nostra rabbia e odio.