Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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lunedì 7 marzo 2022

IAIDO

                                               


                                                      di Carlo Felici

Viviamo in un mondo in cui la guerra che avrebbe dovuto essere sepolta con le macerie del secolo scorso, appare purtroppo di nuovo repentinamente, questa volta accompagnata in maniera esponenziale anche da devastazioni ambientali e ingiustizie sociali che, con il loro progredire, possono mettere a serio rischio la sopravvivenza degli esseri umani su questo pianeta.

Non di rado i “rimedi” che si sono adottati in passato per emendare questi pericoli, si sono poi rivelati purtroppo peggiori degli stessi mali, originando anche guerre di religione o per la contrapposizione di modelli politici, religiosi ed ideologici di potere.

La costruzione della pace nel mondo che appare oggi come l'imperativo categorico più impellente che l'umanità deve affrontare, passa piuttosto inevitabilmente mediante la costruzione della pace interiore, e cioè mediante la consapevolezza della interconnessione di tutto ciò che, prima ancora di esistere ed essere sottoposto alle leggi del divenire, “è”, di per sé insieme al tutto, da sempre e per sempre

L'unione con l' “essere” è la suprema consapevolezza che ci apre al destino dell'eternità, al fatto che cioè noi siamo già “eterni” prima di nascere e non possiamo non esserlo dopo la nostra morte.

La filosofia occidentale ci ha insegnato a scoprire, a disvelare l'essere, aletheia, per i Greci, non è altro che la verità in quanto scoperta e “disvelamento”, anche in senso etimologico. Ma non ci ha insegnato ad unirci ad esso, ad essere cioè tutt'uno con esso.

In questo l'Oriente può darci una grande lezione, in particolare con la “pratica dell'unione con l'essere”, un' arte ed una disciplina marziale, tra le più antiche al mondo.

Lo Iaido è, anche in questo caso pure etimologicamente, l'unione con l'essere. Scopo perfetto di tale disciplina è infatti l'unione con noi stessi e con il microcosmo che c'è in noi, al fine di unirsi con tutto l'universo, tagliando ciò che ancora ci separa e ci ostacola, mediante le nostre imperfezioni.

Non è quindi un'arte astratta o teorica, ma una pratica di vita adatta a qualsiasi età, un percorso non solo da seguire in un Dojo, ma da vivere quotidianamente

Lo Iaido è spesso associato allo Zen e ogni pratica nel Dojo è preceduta da una adeguata meditazione, e da precisi insegnamenti da parte di un Sensei che è il “Maestro della Via”. Lo Iaido precede tutte le arti marziali e si è sviluppato nell'antico Giappone.

Abbiamo notizie sulle prime scuole di Iaido intorno al VII secolo, durante l'era Nara, con il loro pieno sviluppo tra il XVI e il XVII secolo. Da allora, questi antichi e preziosi insegnamenti si sono tramandati fino ad oggi e la loro pratica, anche se non particolarmente estesa rispetto ad altre discipline come il Kendo, è ormai diffusa in tutto il mondo e tuttora in auge.

Si imparano con lo Iaido le tecniche di estrazione di spada, mediante i Katà, ma il vero scopo è la coordinazione tra mente, corpo (nella sua dimensione cinetica e scheletrica) e respiro, nell'esecuzione di ogni Katà, fino a che tutto ciò avvenga con piena naturalezza. Nella pratica sono necessarie molta pazienza, e particolare perseveranza, oltre ad una estrema precisione nell'eseguire i movimenti, L'arte quindi è particolarmente rigorosa, ma ricca di fascino, e la spada in essa diventa il modo in cui mente e corpo si integrano e si manifestano pienamente nell'unione con l'Essere, nella sua vitalità ed autenticità.

Per praticare lo Iaido è necessario un equipaggiamento costituito da uno IAI-GI, (casacca) doppio, bianco e nero, e una HAKAMA (gonna pantalone) nera.

Inizialmente si utilizza un BOKKEN (spada di legno), poi uno IAITO (spada in lega metallica non affilata) e, per coloro che sono più esperti, anche una vera Katana (Shinken)

Tutto avviene a debita distanza e sotto il controllo assiduo di un Maestro a cui si deve sempre pieno rispetto e assoluta obbedienza.

L'essenza dello Iaido, nell'anima del Giappone da cui proviene, credo sia espressa pienamente in questa affermazione di Yukio Mishima in un suo dialogo con Michel Random (alias Stefano Balossini):

È una perfezione, un rigore, un’armonia, una segreta bellezza. La spada è l’immagine compiuta di questa tensione a due facce: essa esprime la perfezione dell’opera realizzata, il senso sacro della vita e della morte, l’attacco fulmineo stesso. È difficile dire se noi siamo in grado di condividere una tale sensibilità o anche solo di comprenderla realmente. Ma poiché questa è la sensibilità del popolo giapponese, dobbiamo almeno sapere che questa faccia invisibile è come un codice creatore, sorridente e implacabile al tempo stesso”

Sembra impossibile poter parlare di perfezione, rigore, di armonia e di segreta bellezza in un mondo afflitto dal consumismo in cui il cattivo gusto e la bruttezza ormai straripano dai vari media, telematici e televisivi, eppure esiste, se ancora si ha la forza, la pazienza e soprattutto la perseveranza di volerla non solo cercare, ma soprattutto attuare in noi stessi prima ancora che altrove.

Nello Iaido sembra vivere una giocosa finzione che solo apparentemente resta tale, anche se animata da situazioni (katà) in cui il nemico è un signor Nessuno, ma che in realtà è sempre il signor Pericolo, quando si manifesta repentinamente in ogni circostanza della vita, persino con l'intento di uccidere. Uccidere il nemico, quindi, diventa, nell'arte dello Iaido, l'abilità dell'uccidere la paura costante di un nemico che vive in noi e ci appare esista anche fuori di noi.

Non bisogna quindi confondere lo Iaido con un passatempo alimentato dall'autocompiacimento di acquisire gradi sempre superiori. Lo Iaido piuttosto è la consuetudine quotidiana con la morte, pericolo supremo del vivere ma allo stesso tempo suprema consapevolezza del nostro destino ultimo, quello che ci riporta sempre, volenti o nolenti, all'Essere supremo.

Dicevano i latini: “Ducunt volentem fata, nolentem trahunt” Di qui l' “Amor fati” assunto dallo stoicismo come viatico supremo del confronto con una morte che non è mai nemica ma “sorella”, anche francescana, del vivere. Ebbene, nello Iaido si è tutt'uno con i “fata”, con l'Essere e con il destino, tanto da non lasciarsi nemmeno condurre, ma al punto da incedere con la sua stessa andatura.

Così il pericolo, in qualsiasi circostanza esso si manifesti nella nostra vita, diventa il Maestro che ci insegna ad essere presenti, fisicamente e mentalmente, tanto da non scindere mai mente e corpo, ed essere preparati sempre ad ogni situazione, anche imprevista.

La pratica non è quindi una gestualità in senso stretto, ma piuttosto una “mimica” per entrare in un habitus nuovo, fin dalla vestizione del GI e dell’HAKAMA (l’abito dell’arte) e ben oltre il Dojo. Perché la “mimica” dello Iaido è innanzitutto un “atto puro” che somma simultaneamente una valenza ascetica, una esorcistica ed un’ altra artistico-rituale mediante “gesti formalizzati e codificati”, essa è animata da uno spirito proteso alla realizzazione della Via mediante un rito (Katà) che anche etimologicamente vuol dire “azione giusta mediante un gesto appropriato”.

Essa consiste dunque nell’ “essere” il duellante: un uomo nuovo, unificato, completo, libero da rincorse motivate da pretese o aspettative, che taglia innanzitutto la sua miseria e piccolezza, simultaneamente al Maestro che gli si manifesta mediante il pericolo.

Senza percepire il Maestro-Pericolo, nel Dojio e nella vita, lo Iaido non ha valore, quindi non può essere confinato ad un'arte estetica e ancor meno ad una sorta di “gestualità” o “balletto”. Nel Dojo c'è la morte, anche in piena sicurezza, così come c'è nella vita quotidiana anche se esorcizzata dai nostri sistemi economici, sanitari, veicolari, persino bellici. Se non siamo noi a condurla per mano, è lei che conduce noi. Non si scappa. Condurla per mano, non significa unirsi a lei, ma integrarla nella nostra vita affinché la vita stessa sia più piena e degna di essere vissuta.

Significa capire che la vita stessa, con questa sorella che conduce per mano, e con cui lotta in continuazione per imparare ad essere sempre più pronta e consapevole, ha un senso e una validità immensamente superiore ad un vivere meschino, conformista, indifferente e pavido.

Con questa consuetudine quotidiana, noi possiamo acquisire una “perfetta inquietudine” per spaziare liberamente verso un “dove” mai predefinito, restando svegli, vivi nell'entusiasmo, ma anche quando tendiamo ad apparire reietti in un mondo che è esso stesso gretto e reietto, nella sua immagine illusoria, e goffa di superficialità.

Lo scopo della vita non è dunque eliminare tale “perfetta inquietudine”, ma assumerla come “maestra della Via”. Lo Iaido è combattere e tagliare la devastazione di coloro che “hanno capito” una volta e per sempre, per esempio che il benessere è lo scopo supremo dell'umanità, che la giustizia dirime la vita di chi è in prigione da quella di chi resta libero, che la guerra è giusta e ingiusta, che la mia fede è meglio della tua, che il mio territorio confina col tuo, che la mia ricchezza determina la mia identità rispetto a quella di un altro...che il mio essere si costituisce simultaneamente al tuo non essere.

Ebbene, nello Iaido il “non essere” resta sempre una pura illusione, è il nemico-non nemico, solo un velo da tagliare, con una mente che vive sul filo della spada.

Per un mondo che sta assistendo al prologo di quello che potrebbe essere un suicidio collettivo in cui guerra e devastazione ambientale si saldano nel più perfetto degli Armageddon, l'unione con l'Essere può essere una fondamentale chiave risolutiva, non apre soluzioni globali, ma apre la soluzione in ciascuno di noi. E senza che ciascuno di noi sia aperto ad una vera soluzione, non ci sarà mai una autentica soluzione globale.

Una vita degna di essere vissuta è “una vita attenta”.

Quando ci si accinge a praticare lo Iaido, in una delle migliori associazioni che esistono in in Italia: la TAI-A NO KAI (http://www.taianokai.org/) si legge sempre il viatico per una “lunga vita” che è il seguente:

L'intera famiglia, armoniosa e devota, consapevoli dei debiti verso i nostri genitori e antenati, Riverenti verso la natura, grati per la società. Sempre umili imparando dagli altri. In grado di dare, dimostrando gentilezza. Facendo proprio il motto: “una vita che brilla”. Tollerando i difetti degli altri, correggendo i propri. Moderati nel linguaggio, senza arrabbiarsi. Dolci, gentili, onesti. Apprezzando la gioia di vivere. Pazienti, pacifici. Senza arrabbiarsi. Cauti nel parlare. Questo porta ad una lunga vita” Possiamo solo aggiungere: non solo per ciascuno di noi, ma anche per l'Essere del nostro pianeta e di tutto l'Universo che in noi si rispecchia.

La Via dell'Unione con l'Essere può comportare anche delle sconfitte, ma non comporta mai la resa, nemmeno alla pioggia battente, nemmeno a quella incessante.


Alla pioggia non si arrende,
al vento non si arrende,
alla neve e al caldo estivo non si arrende,
ha un fisico robusto.
Mai adirato,
non ha smanie,
sempre sereno e sorridente.
Ogni giorno mangia settanta grammi di riso integrale,
il riso e un po’ di verdura.
In tutti i casi
non bada a se stesso
per conoscere, capire
e non dimenticare.
Vive in una piccola capanna di paglia
all’ombra di un bosco di pini.
Se ad est c’è un bambino ammalato
va ad assisterlo,
se ad ovest c’è una madre stanca
va per portarle quei fasci di riso,
se a sud c’è un moribondo
va per dirgli di non avere paura,
se a nord c’è un litigio o un contenzioso
va a dire di lasciar perdere le cose insignificanti.
Quando è periodo di siccità piange,
quando è estate fredda cammina preoccupato.
Da tutti viene detto un sempliciotto,
non è mai lodato,
però non è nemmeno causa di sofferenza.
Io voglio diventare
una persona così.

Miyazawa Kenji (1896-1933)




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