Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

mercoledì 31 luglio 2013

Una "zanzara" per Diego Fusaro (l'inoculazione della libertà)




                                                 
                                              di Carlo Felici

Il titolo di questo mio intervento già parla da solo: una zanzara non è un tafano, come poteva esserlo Socrate, forse può essere altrettanto fastidiosa, ma sicuramente risulta meno pericolosa e più facilmente eliminabile, e con ciò voglio significare scherzosamente che non pretendo certo di confrontarmi con il pensiero di Fusaro in senso ermeneutico, storico o tanto meno filologico, per fare questo bisognerebbe scrivere altrettanti libri rispetto a quelli che lui ha scritto e sta ancora scrivendo.

Guai, però, se la critica fosse riservata solo agli “accademici”, se cioè una democrazia (sempre ammesso e non concesso che di democrazia ancora si possa parlare quando si parla la lingua italiana oggi) non lasciasse alzare in piedi qualcuno a “dire la sua”..bella o brutta che sia, straordinariamente acuta o pietosamente ignorante che possa mostrarsi.

E quindi lungi da me il voler scrivere le “brevi note sull'universo fusariano”, io Diego, contrariamente a coloro che lo hanno scoperto solo ora, magari senza averlo mai letto, o a cui sembra (lo dico scherzosamente) l'ultimo profeta del pensiero libertario, lo conosco da quando muoveva i primi passi nel suo sito, di “piccolo appassionato della filosofia” e ci si incontrava lì, in un forum artigianale di filosofico.net, che non aveva né l'appeal e tanto meno la straordinaria eco mediatica delle piazze o delle televisioni a cui si rivolge ora il nostro caro Diego.

L'ho visto quindi crescere e progressivamente uscire, lanciandosi fuori da quello che lui stesso ha definito, seguendo la metafora lukàcciana: il “Grand Hotel Abisso”, in cui sicuramente i filosofi accademici e di stretta marca professionale, più che avvertire la vertigine del “burrone”, continuano ad “imburrare” le loro colazioni quotidiane.

Fu lui stesso, nell'ultima circostanza in cui ci siamo incontrati, ad esortarmi ad essere “cattivissimo” con lui, memore del fatto che, in ogni caso, la mia stima nei suoi confronti, non sarebbe mutata di un millimetro.

Ovviamente di essere “cattivissimo” non mi riesce nemmeno con il mio “peggior nemico” sempre ammesso e non concesso che ce ne sia qualcuno, mentre resto serenamente seduto sull'argine sinistro della storia, ma può darsi lo stesso che qualcuno prima o poi, passi anche di là, magari galleggiando tra una crisi ed un' altra..politica..giudiziaria..sociale..economica..basta solo avere un po' di pazienza, ovviamente non troppa. E quindi figuriamoci se posso esserlo con chi ho visto crescere passo dopo passo, come cresce un figlio..e lungi da me ogni accento paternalista.

Bene, adesso ho smesso di gironzolare e di fare..zzzzzzzzz..vediamo dunque di fare almeno qualche punturina..

Allora, la prima questione riguarda Marx (delle altre magari mi occuperò in un altro intervento), o meglio sarebbero tante le questioni di cui parlare, in merito all'interpretazione di Diego, a me ne sta a cuore una: quella della coscienza e lotta di classe, di cui mi pare che Diego non abbia fornito una particolare trattazione.

In particolare nelle pagine 290-291 del suo libro: “Bentornato Marx”, Diego ci dice che “la prospettiva marxiana, che sembra nutrirsi di un ingenuo ottimismo positivistico, nei confronti della scienza e della tecnologia, è stata adeguatamente superata dagli scrittori della scuola di Francoforte che l'hanno sottoposta a critica muovendo in particolare dall'analisi dei mass media”.

E ciò nonostante poco prima lo stesso Diego citi Marx quando afferma che: “le macchine non cesseranno di essere agenti della produzione sociale quando diventeranno, per esempio, proprietà degli operai associati”

Come è facilmente possibile capire, il passaggio dalla analisi di Marx rispetto alle prospettive future e non escatologiche del suo pensiero, e soprattutto rispetto agli esiti seguiti dalla tecnica e dalla scienza è proprio nel fatto che tale tecnica e tale scienza non sono gestite da una comunità (che oggi ovviamente non potrebbe, mutatis mutandis, essere più solo quella degli operai), ma da un gotha di potere che però persegue le stesse finalità di quelle a cui tendeva ai tempi di Marx.

In poche parole, l'autopotenziamento della scienza e della tecnica avviene tuttora (come ai tempi di Marx) per fini di profitto, ed ha come precondizione la riduzione dell'essere umano e della natura a merce per perseguire tale scopo.

Cosa c'è quindi che Diego considera ottimistico in Marx e che invece era solo “programmatico”, anche se tuttora irrealizzato? Appunto una coscienza e una lotta di classe, ottenute e condotte per fini rivoluzionari, per conseguire cioè una emancipazione umana che contraddica l'orizzonte tecnocratico che i vari sacerdoti del contingente, da Heidegger a quelli dei rotocalchi femminili, danno per inamovibile, quello che lo stesso Diego smaschera come capitalismus sive natura (o tecnicismus sive natura..è lo stesso)

Diego prosegue la sua analisi nelle pagine successive mettendo in risalto che “per questa via, contro ogni senso comune, il comunismo rappresenta il trionfo dell'individuo affrancato da ogni vincolo e finalmente posto nelle condizioni di un libero sviluppo all'interno di rapporti razionali con i propri simili”, e non possiamo che concordare con ciò che smentisce seccamente il fatto che Marx sia l'ispiratore di una società totalitaria che asservisce l'individuo allo Stato e alla sua nomenklatura di potere.

Però, ed ecco la domanda da un milione di dollari..(dico dollari perché l'euro a Diego piace poco..ma di questo parleremo poi..)..come si arriva a tutto ciò?

Ecco il punto dolente che forse, oggi, è più necessario capire: siamo arrivati alla soluzione, o meglio alla enumerazione scientifica, partendo dalla evidenza, ma saltando a piedi pari il metodo di analisi e della sintesi del processo di lotta necessario per conseguirla.

In effetti, nelle sue varie e pregevolissime conferenze pubbliche, a cui i sacerdoti del contingente o si sottraggono o per le quali essi non vogliono essere contraddetti, oppure  lautamente remunerati, a Diego, mi pare a Leuca, qualcuno ha provato a chiedere se esiste una alternativa, se esiste un modo per uscire dalla cosiddetta “gabbia di ferro” della meteorologia turbocapitalista, ma egli si è limitato a rispondere che una adeguata coscienza del mondo in cui si vive e si opera è già una valida alternativa..può bastare?

L'ardua risposta non vorremmo fosse consegnata necessariamente ai posteri, mentre oggi resta saldamente in mano ai poteri, dato che la crisi, purtroppo, sta facendo già moltissime vittime, specialmente tra coloro che difficilmente potranno permettersi di partecipare ad un dibattito filosofico, ma che pur restano essi stessi portatori di una cultura e di una filosofia le quali, gramscianamente, non si negano a nessuno.

Karl Mannheim, in Sociologia sistematica. Introduzione allo studio della società, 1967 ci spiega molto bene la differenza che passa tra Coscienza di classe e "falsa coscienza" in Marx:

"L'esistenza di interessi di classe non significa che di essi si rendano sempre conto i membri della classe medesima. Si può appartenere ad una classe, secondo Marx, perché si è salariati, ma se si è piccoli impiegati, verosimilmente si cela a se stessi il fatto di essere salariati e si sposano gli interessi ed i pregiudizi della classe capitalista. In questo caso, dice Marx, si ha "una falsa coscienza", ed è solo attraverso il chiarimento e la propaganda che potrà essere compresa la reale posizione nella società. E' difficile mostrare chiaramente l'esistenza della coscienza di classe. Per esempio, una classe dirigente può cercare di sminuire il sentimento di appartenenza ad una classe, o può darsi anche che fra i membri di una classe interessi temporanei siano in contrasto con interessi generali oppure con interessi a lungo termine. Secondo Marx, la coscienza di classe nelle classi oppresse può restare celata per lungo tempo, ma prima o poi l'antagonismo esistente nella società conduce ad una rivoluzione sociale: "Prima o poi, quando le forze produttive della società raggiungono un punto in cui il loro ulteriore sviluppo è ostacolato dalle istituzioni sociali esistenti, la lotta di classe diventa acuta ed è allora che essa diventa la principale forza verso la riorganizzazione sociale". In questa rivoluzione il proletariato deve impadronirsi dello Stato e del suo intero apparato al fine di far scomparire quelle vecchie istituzioni che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive e che mantengono la struttura di classe"

Questo è dunque l'anello di congiunzione che manca e che segna la profonda differenza tra l' “ottimismo” e la “programmazione della lotta”, particolarmente dolente oggi in una realtà in cui, come appare ormai del tutto evidente, le forze produttive stanno già scardinando a livello transnazionale, le istituzioni sociali esistenti e, pur tuttavia, manca una adeguata lotta di classe o popolare che si faccia acuta e che la porti a diventare il motore della riorganizzazione sociale.

Possiamo dire che oggi le “classi subalterne” non esistono più? Che il “proletariato”, per definizione è scomparso? Direi proprio di no, perché, nonostante la polverizzazione del dissenso e della subalternità sociale, dovuta a marginalizzazione e a precarietà endemica, il conflitto di classe esiste come se non più di un secolo o due fa, specialmente se oggi lo osserviamo su scala globale.

Quelle che mancano, invece, sono una coscienza ed una lotta globale adeguate ad eliminarlo.

Ma cos'è, in definitiva, la tanto vituperata “lotta di classe”, che moltissimi imbonitori o demistificatori delle lotte sociali, fino a demonizzarle sotto le false spoglie del “terrorismo”, ci vorrebbero far credere superata dal “migliore dei mondi possibili” o meglio, da quello a cui è impossibile trovare alcuna alternativa, per diktat istituzionale?

Ebbene, ce lo spiega con spirito altrettanto scientifico rispetto a Marx, uno studioso libertario della terra come Jacques Élisée Reclus che partecipò attivamente alla lotta per la Comune di Parigi: la lotta di classe non è altro che «la ricerca dell'equilibrio».
Tale lotta oggi, quindi, è imprescindibile per riequilibrare il mondo, e va dunque affrontata con strumenti culturali, economici e sociali globalmente avanzati. Perché oggi salvare la Terra e salvare l'Umanità dal terribile squilibrio messo in atto da una economia a senso unico globale turbocalitalista che non accetta freni e nemmeno regole, preda come è della dittatura dei “mercati”, è la stessa cosa, e vuol dire proprio mettere in atto tale prassi rivoluzionaria su scala globale.

Quindi, tornando a Diego, possiamo dire che la sua è una interpretazione di Marx molto in linea con quella di Gentile e di Preve, ma non è detto che sia la migliore, anche se è sicuramente fondata e coerente con certe sue premesse hegeliane e fichtiane.

Marx fu sicuramente anche filosofo, e filosofo assolutamente antidogmatico, lo stesso materialismo storico ci appare come una ontologia dell'essere sociale in nuce ed in fieri. Probabilmente, però, dire di lui ciò che lui esplicitamente non disse, anzi che sconfessò decisamente, anche se non veniamo mai valutati da ciò che diciamo di noi stessi, può essere una forzatura. In ogni caso, il pregio dell'ultimo libro di Diego “Idealismo e prassi: Fichte, Marx e Gentile” è soprattutto quello di sottrarre l'idealismo ad una sorta di cristallizzazione astratta e totalitaria, restituendogli la freschezza di una dimensione eversiva che consiste e sussiste nella sua irriducibile fede nel divenire in atto e non solo storicizzato, nel riportarlo cioè a quella sua fonte originaria, di matrice schiettamente rivoluzionaria.

Possiamo però limitarci a dire che solo un Io pienamente consapevole, storicizzato ed attualizzato, potrà salvarci nell'antitesi Idealismo o barbarie?

Forse sì, considerando gli esiti tuttora straordinari che questa ispirazione culturale e filosofica può ancora darci, nell'immaginare un mondo altro dalla fenomenologia di un contingente in cui si vorrebbe consegnare la storia stessa all'agenzia delle pompe funebri. L'Io, nel farsi noi, come umanità emancipata nelle sfide del XXI secolo, non può che affrontare però una sua ulteriore dilatazione e storicizzazione, includendo nel superamento dell'antitesi con il non Io, un nuovo e migliore rapporto con la natura. E qui credo che all'Io fichtiano tuttora preda di un prassismo etico desocializzato, vada dato un nome più concreto e calzante nell'antitesi attuale e più dirompente: Ecosocialismo o barbarie!.

Così, proprio nel superamento di questa antitesi vi è la “puntura” della zanzara a cui, per ora Diego Fusaro non fa molto caso, ma che resta l'unico modo per inoculare, mediante lo sciame, la sindrome concreta del cambiamento: la lotta di classe. Che va sottratta alla disinfestazione preventiva di un contingente arroccato politicamente, economicamente e persino giudiziariamente sulle proprie posizioni autoreferenziali

Qualcosa di cui, anche in Italia, qualcuno comincia a rendersi conto, anche se solo, per ora, empiricamente, qualcosa che si tenta persino di spacciare come “terroristico”, magari infiltrandolo ed inquinandolo artificialmente con virus nichilisticamente e sterilmente distruttivi, qualcosa che però sta trascinando con sé, in Europa e nel Mediterraneo, interi popoli, anche se essi non sono ancora, (questa volta loro) “bentornati” a Marx.

Sarà la “malaria” del nostro paludoso e paludato tempo, cristallizzato artificiosamente su se stesso, oppure, il vero vento nuovo di una rivoluzione in atto?

Non consegniamo la riposta ai posteri, e tanto meno..agli attuali poteri..



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