Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

giovedì 23 giugno 2022

QUALE ATLANTISMO?




                                                  di Carlo Felici


IL termine “atlantismo” appare alquanto abusato, specialmente negli ultimi tempi ed è diventato sinonimo di allineamento quasi manicheo alle iniziative della NATO non solo in campo militare, ma in senso geo strategico, un po' in tutti gli scenari del mondo, tanto che si parla attualmente di un “atlantismo orientale” addirittura nel Pacifico per contenere eventuali mire espansionistiche della Cina e per tutelare l'autonomia di Taiwan, in una alleanza militare che comporterebbe il riarmo del Giappone ed il suo allineamento con le potenze occidentali del Pacifico, in primis Australia e USA.

E' del tutto evidente, quindi, che il termine oggi appare completamente snaturato rispetto alla sua accezione originaria, quando il 4 aprile del 1949, nacque una alleanza militare tra paesi occidentali per contenere una sostanziale sconfitta. Quella che consegnò, alla fine della seconda guerra mondiale, mezza Europa nelle mani della dittatura comunista

Si è parlato tanto della vittoria delle democrazie alleate contro il nazifascismo, ma forse tuttora si parla poco della loro sconfitta sostanziale contro il comunismo all'indomani della fine di un conflitto catastrofico che lacerò l'Europa al punto tale da depotenziarla come continente protagonista nella storia mondiale, fino a ridurla ad una colonia di un mondo diviso in due blocchi perdurati per più di 40 anni.

Fino quindi alla caduta del muro di Berlino, la NATO ha avuto un senso preciso nel tutelare un mondo libero, nei confronti di un altro oppresso da un sistema rigidamente autocratico e dittatoriale, sorto per liberare la Russia e i Paesi Fratelli della Terza Internazionale dal capitalismo, e dissoltosi nella pratica di scambi di mercato diseguali e nel capitalismo oligarchico di Stato.

Ma poi?

Nella dissoluzione parziale di quel mondo, specialmente nell'Europa dell'Est si realizzarono accordi che prevedevano un cambio di regime politico e di sistema economico, un allontanamento fino alla dissoluzione del Patto di Varsavia comunista, in cambio di una non espansione della NATO verso Est.

Ma le cose, come sappiamo, sono andate diversamente e la NATO è stata protagonista di imprese militari in Europa e nel mondo che sono ampiamente debordate dai suoi scopi originari.

Questo non tanto per una esigenza da parte della sua componente più rilevante: gli USA di voler esercitare un ruolo dominante e preponderante, ma per una sostanziale latitanza dell'Europa sul piano militare, per una sua incapacità di investire in risorse militari che le consentissero di esercitare un ruolo non solo autonomo, ma decisivo negli scenari internazionali, e soprattutto nelle aree di crisi più vicine al continente europeo, in particolare in Medio Oriente, in Nord Africa e nell'Europa dell'Est. Per cui l'allineamento della Unione Europea alle decisioni della NATO, a guida statunitense, in campo geo strategico e militare, è stato sempre indiscutibile e sostanzialmente passivo, ma a volte indispensabile per risolvere crisi che rischiavano di cronicizzarsi a tempo indeterminato come in Bosnia, o in Kosovo

Per il nostro Paese, in particolare, l'alleanza strategica con gli USA è stata sempre fondamentale come interdipendente agli stessi processi di sviluppo della nostra democrazia, fin dagli albori della Repubblica Romana del 1849, quando il console americano nella sua ambasciata si parò di fronte alle truppe francesi con in mano la sua sciabola e la sua bandiera per impedire che venissero catturati gli esuli sconfitti che lì si erano rifugiati e lo stesso Garibaldi venne accolto festosamente come esule negli Stati Uniti, prima della sua famosa impresa che unì l'Italia. E successivamente, nell'impegno soprattutto logistico di rifornire l'Italia di armi e solo parzialmente di truppe, per la controffensiva vittoriosa che la portò a vincere la Prima Guerra Mondiale. Purtroppo con una parentesi in cui soprattutto l'amministrazione Wilson non seppe comprendere la mancata risoluzione di ragioni fondamentali per le quali l'Italia, dopo quel conflitto, rischiava di essere umiliata, andando incontro a derive sostanzialmente antidemocratiche che sfociarono nella dittatura fascista prima e nella nefasta alleanza con il regime nazista poi.

Nonostante ciò, decisivo fu l'apporto statunitense alla crescita e alla rinascita del nostro Paese come Repubblica Democratica mediante il sacrificio di tante vite americane nella liberazione dell'Italia, e la non ingerenza nella stesura della nostra Costituzione, il piano Marshall che rimise in moto la nostra economia, fino a renderla una delle più importanti al mondo, l'aiuto permanente alla nostra fragile democrazia per contrastare il debordare di un mondo comunista che tendeva a cambiare volto, mantenendo intatta la sua sostanza autocratica e il suo legame con Mosca.

Oggi tutto ciò ci rende consapevoli che l'alleanza con gli Stati Uniti non può e non deve essere messa in discussione, anche nella nostra legittima aspirazione ad una Patria Libera, perché un Paese che non ha i mezzi per difendersi autonomamente, e soprattutto non vuole spendere per ottenerli, deve anche essere grato a coloro che glieli forniscono, senza condizionare troppo il suo operato, ma evidentemente solo controllando che non sia troppo divergente rispetto a interessi comuni.

Ma il problema odierno non è tanto una Patria Italia dotata di propri armamenti e propria moneta, come certi sovranisti dell'ultima ora, magari sovvenzionati da chi vorrebbe trarre vantaggio da una Europa divisa e rissosa al suo interno, vorrebbero far credere.

La questione particolarmente evidente, ora più che mai con la crisi bellica in Ucraina, è una Europa debole e incapace soprattutto di darsi un Governo comune e un Esercito comune, spendendo quanto è necessario per tutelare interessi comuni, e che si abbarbica alla NATO come un bimbo impaurito si stringe alle gambe del padre per preservarsi dai pericoli che gli appaiono più grandi di lui.

E' inutile negare che il ruolo della NATO è apparso decisamente in crisi fino allo scoppio della guerra in Ucraina, anzi, direi con ferma convinzione, che proprio questa crisi ha determinato la guerra in Ucraina. Non “l'abbaiare della NATO” ai confini della Russia, come ha recentemente dichiarato il Papa, ma il suo pericoloso "guaire" in Afghanistan e in Siria

E questo soprattutto a causa di certe fallimentari amministrazioni presidenziali statunitensi.

Dal ritiro completo nel 2011 voluto dall'amministrazione Obama che ha aperto la strada alla formazione dello Stato Islamico, fino all'abbandono, nella sconfitta più clamorosa della storia della NATO, dell'Afghanistan di cui l'Europa è stata complice e a cui essa non ha saputo né voluto porre rimedio.

Nel 2020 infatti delle truppe mobilitate in Afghanistan, che ammontavano a circa 16.000 soldati, solo la metà erano statunitensi, non sarebbe dunque stato difficile per gli altri 29 Paesi Nato, raccogliere altri ottomila effettivi e continuare ad esercitare una presenza deterrente che avrebbe da una parte continuato ad addestrare truppe afghane autoctone, e dall'altra garantito diritti essenziali alla popolazione civile, specialmente alle donne. Una presenza necessaria anche per prevenire l'invadenza di oppio nel mercato europeo, e anche per contenere flussi migratori crescenti

Tale sconfitta unita ad una sostanziale debolezza ha generato l'idea che la NATO fosse ormai giunta al capolinea e che minacciarla direttamente ai suoi confini non avrebbe prodotto alcun esito, se non un aumento del suo “abbaiare” senza alcun pericoloso morso.

Si è giunti quindi alla situazione attuale, in cui la Russia sta seriamente mettendo alla prova la capacità non solo di deterrenza della NATO, ma anche i sui mezzi difensivi.

La Russia sta infatti portando avanti una occupazione vecchio stile con armi anche desuete, contando soprattutto sulla sua preponderanza di mezzi e di soldati, ma senza usare le sue armi più avanzate e studiando bene invece quelle che dai Paesi NATO sono fornite agli ucraini e che spesso gli stessi ucraini non sono tecnologicamente preparati ad usare.

C'è da scommettere che in uno scenario di guerra più esteso in cui ogni paese europeo dovesse difendersi con le sue armi, si presenterebbe lo stesso problema di preparazione tecnica, strategica e militare, perché ogni Paese è sostanzialmente addestrato ad usare le sue armi e non quelle di un Esercito comune.

E' poco credibile che la Russia voglia allargare il conflitto, mentre è molto probabile che miri a consolidare progressivamente le sue posizioni nell'Ucraina orientale e sul Mar Nero, con una guerra di logoramento che difficilmente la vedrà sconfitta, soprattutto perché ha una notevole disponibilità di risorse umane e la capacità di assorbire le perdite dovute alle sanzioni con un allargamento dei suoi interessi economici ai paesi emergenti e soprattutto alla Cina che sta enormemente avvantaggiandosi dal conflitto in Ucraina

Né gli Stati Uniti sembrano volersi far coinvolgere più di tanto anche per l'incapacità e la sostanziale inerzia di questa attuale amministrazione presidenziale Biden, che vede un incremento dell'inflazione interna pauroso e che deve fare i conti con gli americani molto prima che con gli europei. E' difficile pertanto che ci sarà un cambio di passo fino a che non si avrà un altro presidente negli USA e bisogna riconoscere alla prova dei fatti che, almeno in campo internazionale, le amministrazioni repubblicane statunitensi si sono rivelate molto più efficaci ed efficienti di quelle democratiche. Si spera pertanto che gli USA trovino un candidato repubblicano valido e che non debbano solo limitarsi a riconoscere che Trump era più efficace di Biden.

Ma anche se tutto ciò accadesse, resterà a pesare come un macigno la debolezza sostanziale di una Europa che, preda delle sue diatribe interne, è sempre più attenta ai suoi orologi elettorali quasi mai sincronizzati e sempre meno al tempo delle scelte decisive come quelle di un Governo e di un Esercito comune, almeno per le questioni internazionali.

Uno dei motti preferiti dei talebani, che potremmo estendere a tutte le dittature, è “Voi avete l'orologio, noi il tempo”. E' vero infatti che da Robespierre a Mussolini, tutti i dittatori hanno cercato di cambiare innanzitutto il calendario a loro vantaggio, con l'intento di determinare una “loro era” indiscutibile

Noi invece continuiamo a usare l'orologio e la sveglia per determinare il tempo e l'opportunità delle nostre scelte contingenti, ma alla fine oltre a perderlo il tempo, ci dimentichiamo persino dell'orologio e della sveglia quando ormai è suonata...da tempo.


Carlo Felici


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