Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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lunedì 31 luglio 2017

Foro di San Paolo. Managua, 15-19 luglio 2017.







di Giuseppe Angiuli


Foro di San Paolo.
Managua, 15-19 luglio 2017.

E’ la mia prima esperienza ad una riunione del Foro di San Paolo, a cui sono stato invitato a partecipare in qualità di Responsabile Esteri di Risorgimento Socialista, ammesso per la prima volta nel consesso latino-americano quale partito osservatore. Il Foro di San Paolo è il principale organismo di consultazione politica che raggruppa e coordina tutti i principali partiti socialisti, comunisti e della sinistra anti-liberista e “populista” dell’America Latina, tra cui: il Partito dei Lavoratori del Brasile (PT), il Partito Comunista di Cuba, il Frente Amplio dell’Uruguay, il Partito Socialista del Cile, la variegata componente di sinistra del peronismo argentino, il Partido Socialista Unido del Venezuela, il Partito del Lavoro del Messico, il Movimento Alianza Paìs dell’Ecuador, il Movimento al Socialismo della Bolivia, il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale del Nicaragua. Fondato 27 anni fa nell’omonima città brasiliana, il Foro di San Paolo ha visto incubare al suo interno alcune tra le più importanti battaglie politiche della sinistra anti-liberista mondiale, come quelle per la difesa della sovranità dei popoli, per il ripudio del debito pubblico ingiusto detenuto dalle grandi banche d’affari trans-nazionali, per la ri-pubblicizzazione dei beni collettivi come l’acqua, per l’affermazione di un nuovo modello di sviluppo eco-compatibile, oltre a tutte le altre lotte dei movimenti sociali contro ogni forma di liberismo e di sfruttamento del capitale finanziario sui popoli del mondo intero. Prima di raggiungere il centro America profondo, il piano di volo mi consente di effettuare una sosta di mezza giornata a Miami, metropoli cosmopolita dove si sente parlare indubbiamente più spagnolo che inglese. La città più latina degli U.S.A. è piena di parchi verdissimi, palme, spiagge da cartolina, grigliate di gamberi, tassisti di origine haitiana che ti chiedono una mancia aldilà del prezzo ufficiale della corsa e gruppi di cubani anti-castristi in grande eccedenza, che di sera affollano a ritmo di salsa il lungomare di Miami beach.


 Per la sua collocazione geografica, che la pone su una penisola protesa verso il mar dei Caraibi, la città di Miami costituisce da decenni il principale centro di irradiazione della strategia gringa di destabilizzazione del continente latino-americano ossia di quella parte di mondo che, per dirla con le parole di James Monroe, veniva un tempo definito come il cortile di casa di Washington.
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Atterro all’aeroporto “Augusto Cesar Sandino” di Managua la mattina presto del 15 luglio, quando vengo accolto con premura da Alberto Moncada, un giovane dirigente del Frente Sandinista de Liberaciòn Nacional.
La città di Managua appare contraddistinta da un aspetto esteriore tranquillo e sereno, ben distante dal clima turbolento che connota altre grandi metropoli del subcontinente latino: la ragione è semplice, in Nicaragua molta gente è rimasta saggiamente a
vivere nelle campagne invece che andare ad affollare la capitale del Paese e così a Managua si è evitato di edificare quegli immensi barrios o favelas di catapecchie che risaltano agli occhi appena si giunge in località come Caracas, Rio de Janeiro e Città del Messico. La società del Nicaragua oggi è pacificata ma questa è una terra autenticamente rivoluzionaria dove nel recente passato hanno combattuto un po’ tutti: patrioti, campesinos, poeti, intellettuali, militanti europei internazionalisti e preti gesuiti. I nicaraguensi sono un popolo mite, fiero e dignitoso, intriso di una cultura contadina ancestrale, forti valori di unità familiare, cattolicesimo popolare unito ad un indomito spirito ribelle sulle orme del padre della patria Augusto Cesar Sandino.

Il governo del Fronte Sandinista, tornato al potere nel 2007, ha ridotto enormemente la povertà più estrema, avviando importanti iniziative volte alla costruzione di un modello di sviluppo solidale fondato sulla valorizzazione della storica vocazione agricola del Paese e sull’implementazione di un sistema di forte integrazione regionale che vede negli accordi dell’ALBA (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra Amèrica) e di Petrocaribe la sua massima espressione. Negli ultimi anni, il governo sandinista, ancora oggi guidato dal vecchio comandante guerrigliero Daniel Ortega (a cui il TIME negli anni ’80 dedicò una copertina, definendolo come “l’uomo che fa vedere rosso a Ronald Reagan”), è impegnato soprattutto nella realizzazione di un forte sistema pubblico di protezione sociale (scuola e sanità gratuita in primis) nonché nella progettazione, in partnership con grandi imprese cinesi, di un nuovo canale intra-oceanico che, se dovesse vedere effettivamente la luce, trasformerebbe il piccolo Nicaragua in una zona di grande centralità strategica, al punto da fare ombra all’omologo canale di Panama, storico bastione di controllo geopolitico statunitense nell’area centramericana. In tale contesto, a favore del governo sandinista va altresì annoverato il merito di essere riuscito finanche nell’impresa di mantenere decisamente sotto controllo l’inflazione, un vero miracolo da queste parti.

Nella direzione politico-organizzativa dell’incontro annuale di Managua del Foro di San Paolo, spicca il ruolo di Monica Valente, responsabile per le relazioni internazionali del Partito dei Lavoratori del Brasile (P.T.).
Nel suo discorso inaugurale dell’evento, Monica Valente ha ricordato come 27 anni fa, allorquando il Foro di San Paolo prese vita nella sua prima storica riunione, si annoverava soltanto quella di Cuba quale unica esperienza di governo popolare e progressista in tutta la regione latino-americana, mentre oggi lo scenario è assai mutato nel subcontinente, con i partiti di sinistra protagonisti di fatto, pur tra alti e bassi, di un vasto processo politico di trasformazione dei rapporti socio-economici interni alle rispettive società.
La dirigente politica brasiliana ha citato tre principi basilari e decisivi che devono continuare ad ispirare il processo politico di unità latino-americana: desarrollo, justicia social y soberanìa (sviluppo economico, giustizia sociale e sovranità).
Sempre nella giornata inaugurale del Foro, i partecipanti all’incontro di Managua hanno rivolto un tributo di onore ad Oscar Lopez Rivera, storico leader del movimento per l’indipendenza di Puerto Rico, da poco liberato dalla prigione dove il sistema giudiziario statunitense lo aveva condannato a trascorrere ben 35 anni della sua esistenza.

Gli esponenti del Frente Socialista di Puerto Rico, presenti al Foro, sono fermamente impegnati in un percorso di rivendicazione dell’indipendenza nazionale dagli U.S.A. una dura battaglia che affonda le sue radici nella peculiare storia della piccola isola caraibica, profondamente segnata da una atavica identità culturale latino-ispanica e che mai è riuscita a sentirsi veramente parte del gigante geopolitico nordamericano, fin da quando avvenne la sua conquista militare nel 1898.
Nella riunione di Managua, si sono altresì segnalate – per la loro vivacità e molteplicità di posizioni – le corpose delegazioni del Messico e della Repubblica Dominicana, mentre si è notato anche in questa occasione, come avviene di consueto in ciascuno dei consessi politici della sinistra continentale, il clima di rispetto unanime e di alta considerazione di cui godono i rappresentanti del Partito Comunista di Cuba, da sempre considerati tra i principali registi del processo politico di integrazione latino-americana.
Un processo politico – quello dell’unità latino-americana – che oggi sta vivendo una fase delicatissima e cruciale, contraddistinta dalla micidiale offensiva mossa dalle antiche oligarchie del continente, ben decise ad interrompere un lungo ciclo di cambiamenti che negli ultimi 20 anni hanno portato il continente più diseguale del pianeta a porre seriamente in discussione i dogmi del pensiero unico neo-liberista.
Al centro dell’attenzione dei dibattiti di quest’ultima riunione del Foro vi è stata la disamina della delicatissima ed esplosiva situazione che stanno rispettivamente vivendo Brasile e Venezuela.
In Brasile, la recente condanna giudiziaria di Ignacio Lula da Silva appare manifestamente iscriversi in un piano politico concepito dalle storiche oligarchie del Paese e volto a realizzare una sorte di “Golpe morbido” o colpo di Stato istituzionale, con l’esplicita approvazione di Washington.
Quello della lotta alla corruzione è diventato in Brasile uno slogan dalla facile capacità di presa sulle masse popolari e così, cavalcando strumentalmente tale mantra, i grandi mezzi di comunicazione sono riusciti ad innescare quel cortocircuito mediatico-giudiziario che già in Italia abbiamo vissuto ai tempi della nota ed ambigua operazione di “Mani Pulite”, alla quale – non a caso – si richiama esplicitamente l’odierno Antonio Di Pietro del Brasile, il magistrato Sergio Moro.
E proprio come avvenne in Italia dopo il crepuscolo della nostra Prima Repubblica, anche oggi in Brasile il malcelato obiettivo politico nascosto dietro la forsennata campagna mediatica giustizialista che ha preso di mira Lula da Silva e Dilma Rousseff è quello di dare vita ad una grande operazione di privatizzazioni e così mettere le mani sui gioielli di famiglia dell’economia pubblica del Paese, a cominciare dal colosso energetico PETROBRAS.
L’ex deputato del P.T. Luiz Dulci, di origini mantovane, intervenendo ad una tavola rotonda del Foro ha osservato come alla base dell’avvicendamento istituzionale recentemente avvenuto in Brasile vi sono delle importanti ragioni strategiche e geopolitiche, tutte connesse al recente processo di integrazione del Brasile nel sistema BRICS.
A detta di tutti i dirigenti della sinistra latino-americana intervenuti nella riunione di Managua, la recente vicenda del Brasile dimostra come oggi l’imperialismo nordamericano abbia deciso di puntare su una nuova e più sottile strategia di destabilizzazione dei governi non allineati, abbandonando le modalità più cruente e clamorose a cui si era soliti ricorrere nel recente passato.

Pertanto, se fino a qualche decennio fa, per porre fine ad una esperienza di governo popolare nella regione, si ricorreva a classici colpi di Stato dell’esercito come quello del Cile nel 1973 o all’addestramento di eserciti di para-militari come i Contras del Nicaragua negli anni ’80, oggi si opta per l’attuazione di forme più morbide di avvicendamento al potere, facendosi leva su meccanismi sofisticati di tipo giudiziario (come sta avvenendo per l’appunto in Brasile) o comunque agendo all’interno di una cornice apparentemente rispettosa della legalità costituzionale (com’è avvenuto in altre due occasioni, la prima nel 2009 con l’abbattimento del legittimo Presidente dell’Honduras Mel Zelaya e la seconda nel 2012 in Paraguay con la destituzione anzitempo dalla Presidenza di Fernando Lugo, ex vescovo cattolico molto vicino alla Teologia della Liberazione).
A proposito della situazione in Venezuela, quantunque anche tra i corridoi del Foro di San Paolo serpeggi un certo scetticismo sulle ultime forzature istituzionali compiute dal Governo di Nicolas Maduro – il quale ha apertamente rotto il patto costituzionale con l’altra metà del Paese, dando vita alla convocazione di una anomala assemblea costituente di cui in realtà ben pochi avvertivano il bisogno – ciò nondimeno i partiti e i movimenti aderenti al Foro di San Paolo hanno espresso un corale messaggio di difesa dei principi generali della Revoluciòn Bolivariana ed hanno condannato unanimemente le ingerenze degli Stati Uniti e dell’organizzazione degli Stati americani O.E.A. nelle vicende interne venezuelane.
Nelle tavole rotonde che hanno segnato i lavori del Foro sono stati toccati tutti i principali e più attuali temi dell’agenda politica latinoamericana.
Un tavolo tematico è stato dedicato alla questione della guerra civile colombiana e del difficile processo di pace da essa scaturente.
Com’è noto, dopo 5 anni di mediazione ad opera del governo cubano, di recente si è pervenuti a siglare uno storico accordo tra l’esecutivo di Bogotà e la dirigenza dei guerriglieri delle FARC, che a partire da questo momento si apprestano a trasformarsi gradualmente in un normale partito democratico, con la prospettiva di integrarsi pienamente nella fisiologica dialettica politica del Paese.
Una sanguigna dirigente politica delle FARC, intervenuta all’incontro di Managua, ha rivendicato la piena legittimità delle ragioni storiche della lotta armata intrapresa 33 anni orsono dal suo movimento, un metodo di lotta che ha tratto vita dalle storiche rivendicazioni dei campesinos colombiani, in buona parte condannati a vivere in una
situazione di semi-schiavitù per via di un latifondo che lascia poco spazio alla piccola proprietà rurale e che in tanti decenni ha prodotto miseria e fame nelle vaste campagne del Paese.
Dopo quattro giorni di intensi lavori, la riunione annuale del Foro di San Paolo si è dunque conclusa con la partecipazione di tutte le delegazioni internazionali (comprese quelle di Russia e Cina) al solenne atto commemorativo del 38° anniversario del trionfo militare della rivoluzione sandinista del Nicaragua, a cui hanno preso parte quasi un milione di persone che hanno affollato la Plaza de la Fé San Juan Pablo II in Managua.
Tra gli interventi dal palco degli oratori, si è distinto per intensità quello del Presidente indio dello Stato plurinazionale di Bolivia, Evo Morales, il quale ha ammonito tutti quanti sul fatto che il capitalismo non è in grado di produrre ricchezza e pari opportunità per tutti gli esseri umani.

La dichiarazione conclusiva siglata al termine dell’incontro di Managua e consegnata a tutti i partiti partecipanti al Foro è significativamente intitolata “Nuestra América en pie de lucha. Hacia la unidad de Nuestra América por su segunda y definitiva independencia”.
In essa è dato leggersi uno sforzo politico, finora coronato da un discreto successo, di fare sentire bene integrate ed unanimemente dirette verso un medesimo fine politico – per l’appunto quello di fare conseguire una nuova e definitiva indipendenza ai popoli del continente più diseguale al mondo – le più diverse esperienze di governi e
movimenti progressisti dell’area latino-americana e caraibica: che si tratti di modelli di trasformazione rivoluzionaria o di processi di riforme progressiste, nel documento di Managua si sancisce come il più grande obiettivo unificante che connota tutte le formazioni politiche partecipanti al Foro di San Paolo è e resta quello di “lavorare per la definitiva emancipazione dei popoli del continente, per costruire un genuino sistema di integrazione regionale e per collaborare alla edificazione di un mondo multipolare in cui possa affermarsi una stretta correlazione tra tutte le forze popolari”.
Un buon esempio di lungimiranza politica a cui sarebbe necessario attingere anche da parte delle sinistre europee, a tutt’oggi in preda ad una difficile crisi di identità ideologica e al tempo stesso contraddistinte da una evidente incapacità di interazione politica attorno a obiettivi strategici comuni.
Pertanto, se in America Latina tutte le sinistre, riformiste, gradualiste o rivoluzionarie, hanno saputo trovare da decenni una forte coesione attorno alla messa in discussione del neo-liberismo e di tutti i suoi corollari socio-economici, per le sinistre europee il vero banco di prova di un possibile percorso di integrazione politica sarà costituito nei prossimi anni dalla loro capacità di sapere condurre una critica severa e radicale al processo di costruzione dell’Unione Europea, un processo che fin dai suoi albori ha avuto una ispirazione ideologica di marca ultra-liberista, oligarchica ed anti-popolare e che perciò stesso si è configurato in termini del tutto antitetici al processo di integrazione politica latino-americana.
E allora, solamente mettendo in discussione i Trattati ultra-liberisti su cui è stata edificata l’Unione Europea, essenzialmente fondati sul dogma della lotta all’inflazione e sulla libertà di circolazione incontrollata del capitale finanziario, le sinistre del nostro continente potranno porre a beneficio dei popoli europei una sana emulazione del ben diverso modello di integrazione latino-americana, basato sui principi di solidarietà, mutualità e tutela della sovranità popolare.
Giuseppe Angiuli
Responsabile Esteri per Risorgimento Socialista

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