Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

mercoledì 22 aprile 2015

La cultura capitalistica è anti-vita e anti-felicità.




                                               di Leonardo Boff, teologo e scrittore

La confutazione teorica del capitalismo, come modo di produzione, è cominciata con Karl Marx e è andata crescendo lungo tutto il secolo 20º con la nascita del socialismo.  Per realizzare il suo proposito maggiore di accumulare ricchezza in forma illimitata, il capitalismo ha reso più agili tutte le risorse produttive disponibili. Ma ha avuto come conseguenza, fin dall'inizio, un alto costo: una perversa diseguaglianza sociale. In termini etico-politici, significa ingiustizia sociale e produzione sistematica di povertà.

Negli ultimi decenni, la società si resa conto che non è in corso soltanto un'ingiustizia sociale, ma anche un’ingiustizia ecologica: devastazione di interi ecosistemi, esaurimento dei beni naturali e letteralmente una crisi generale del sistema-vita e del sistema-Terra. Le forze produttive si sono trasformate in distruttive. Direttamente quello che si cerca sul serio è il denaro. Come ha avvertito Papa Francesco in stralci già conosciuti della Esortazione Apostolica sull'Ecologia: "Nel capitalismo ormai non è più l'uomo che comanda ma il denaro e il denaro vivo. L’avidità è la motivazione… Un sistema economico centrato sul dio-denaro ha bisogno di saccheggiare la natura per sostenere il ritmo frenetico del consumo che gli è inerente".

Ora il capitalismo ha mostrato la sua vera faccia: abbiamo a che fare con un sistema anti-vita umana e anti-vita naturale. Questo ci mette davanti al dilemma: o si cambia o si corre il rischio della nostra stessa distruzione, come avverte la Carta della Terra.


Intanto quello tiene duro come sistema dominante in tutto il pianeta sotto il nome di macro-economia neoliberale di mercato. Su che cosa si basa la sua resistenza e la sua durata? A mio modo di vedere risiede nella cultura del capitale. Questo  e più che un sistema di produzione. In quanto cultura, incarna un modo di vivere, di produrre, di consumare, di relazionarsi con la natura e con gli esseri umani, costituendo un sistema che riesce continuamente a riprodursi, poco importa in che cultura vada a installarsi. Il capitale ha creato una mentalità, una forma di esercitare il potere e un codice etico. Come ha enfatizzato Fabio Konder Comparato in un libro che merita di essere studiato A civilizaçao  capitalista (Saraiwa, 2014): "Il capitalismo è la prima civiltà mondiale della storia (p.19). Il capitalismo orgogliosamente afferma: "Non ci sono alternative."

Vediamo rapidamente alcune sue caratteristiche: scopo della vita, accumulare ricchezza, mediante una crescita illimitata prodotta dallo sfruttamento senza limiti di tutti i beni naturali; dalla mercantilizzazione di qualsiasi cosa e dalla speculazione finanziaria, tutto fatto con il minore investimento possibile, cercando  di ottenere attraverso  la massimizzazione e nel tempo più corto possibile il lucro maggiore possibile, Il motore è la concorrenza turbinata dalla propaganda  commerciale; il beneficiato finale è l’individuo; la promessa è la felicità in un contesto di materialismo piatto.

Per questa ragione si appropria di tutto il tempo della vita di un essere umano, non lasciando spazio alla gratuità, alla convivenza fraterna, tra le persone e con la natura, all'amore, alla solidarietà e al semplice vivere come l'allegria di vivere. Dato che queste realtà non hanno importanza nella cultura del capitale, ma sono loro che producono la felicità possibile, il capitalismo distrugge le condizioni di quello che si era proposto: la felicità. Così non è soltanto un anti-vita, ma anche anti-felicità.

Come si intuisce, questi ideali non sono propriamente i più confacenti all'unico ed effimero nostro passaggio sulla scena piccolo pianeta. L'essere umano non possiede soltanto fame di pane e ansia di ricchezza; è portatore di molti altri tipi di fame, come quella di comunicare, di rimanere incantato, della passione amorosa, di bellezza  arte e trascendenza, tra molte altre.

Ma perché la cultura del capitale si mostra così tanto resistente? Senza altre mediazioni io direi: perché essa realizza una delle dimensioni essenziali dell'esistenza umana, anche se la elabora in forma distorta: la necessità di auto affermarsi, di rinforzare il suo io, caso contrario non sussiste, è assorbito dagli altri o sparisce.

Biologi e perfino cosmologi (citiamo appena uno dei più noti, Brian Swimme) ci insegnano: tutti gli esseri dell'universo, specialmente l'essere umano, sono animati da due forze che coesistono e si contendono la voglia di un individuo di essere, di durare e di continuare a stare dentro il processo della vita; per questo deve auto affermarsi e rafforzare la propria identità, il proprio "io". L'altra forza di integrazione in un tutto più grande, nella specie, della quale l'individuo è un rappresentante, che crea reti e sistemi di relazioni al di fuori dei quali nessuno sussiste. La prima forza si piazza attorno all'io e dall'individuo viene fuori l'individualismo. La seconda si articola attorno alla specie, della quale  l’individuo è un rappresentante che dà origine agli  aspetti comunitario e  societario. Il primo sta alla base del capitalismo, il secondo, del socialismo.

Dove risiede il genio del capitalismo? Nella esacerbazione dell'io fino al massimo possibile, dell'individuo e della auto-affermazione, rifiutando il tutto più grande, l’integrazione e il noi. In questa modo ha squilibrato tutta l'esistenza umana, perché l’ecesso  di una delle forze, che ignora l'altra.

In questo dato naturale risiede la forza della perpetuazione della cultura del capitale, dato che si fonda in qualcosa di vero ma realizzato in forma esacerbatamente unilaterale e  patologica.

Come superare questa situazione secolare? Fondamentalmente nel riscatto dell'equilibrio di queste due forze naturali che compongono la nostra realtà. Potrebbe essere forse la democrazia senza fine, quella istituzione che corrisponde simultaneamente all'individuo (io) ma inserito in un tutto maggiore (noi, la società) della quale è parte. Ritorneremo su questo argomento.

Traduzione di Romano e Lidia Baraglia

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