Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

lunedì 16 luglio 2012

Venezuela Il silenzio degli ecologisti dell’era Chavez…



Lo scorso 4 febbraio si è verificato uno dei peggiori disastri petroliferi nella storia del Venezuela: la rottura di una tubazione nel Complejo Operacional Jusepín, nello stato del Monagas, ha causato la fuoriuscita di una quantità di greggio fino ad ora mai vista, che si è riversata su di una superficie di 140 km, andando a inquinare le acque del fiume Guarapiche, uno dei principali corsi d’acqua della città di Maturín. I danni all’affluente sono stati talmente ingenti da predisporre l’interruzione dell’approvvigionamento idrico delle abitazioni della capitale dello stato e delle diverse strutture sanitarie, nonché la chiusura delle scuole in cinque comuni della regione. Nonostante l’assenza d’informazioni ufficiali, i danni all’ecosistema sembrano essere gravi e irreparabili, con ovvie ripercussioni sulla locale produzione di generi alimentari e la conseguente perdita del raccolto per decine di piccoli e medi agricoltori.
Nonostante ciò, il prevedibile assedio all’informazione non ha dato il risultato sperato: il vivace e articolato movimento ambientalista non ha offerto nessun servizio di controinformazione. Anzi, tutto il contrario.
Una parte delle iniziative ecologiste che negli anni Novanta avevano condotto numerose importanti battaglie è stata cooptata dallo Stato bolivariano. Oggi molti dei vecchi attivisti occupano diversi incarichi di responsabilità all’interno del governo di Chávez, perfino all’interno del Ministero dell’Ambiente. La compagnia petrolifera statale PDVSA1 è inoltre sia la principale beneficiaria di risorse pubbliche che la principale finanziatrice di programmi sociali, noti come misiones. Questo ha impedito di fatto ogni possibile riflessione sulle conseguenze sociali e ambientali dello sfruttamento delle risorse minerali.
Molti degli “ecologisti” che negli anni Ottanta e Novanta criticavano aspramente l’industria petrolifera, la principale fonte d’inquinamento nel paese, sono sottomessi da dodici anni a un complice silenzio. Non sono stati pochi tra loro quelli che, in seguito alla ristrutturazione burocratica del 2003, quando quasi 20.000 lavoratori dell’impresa furono licenziati in seguito al cosiddetto “sciopero petrolifero” della fine del 2002, entrarono nella compagnia PDVSA. Qualcuno ha perfino provato a teorizzare l’esistenza di un “eco-socialismo” basato sull’approfondimento dell’economia della principale impresa esportatrice nel paese. D’altronde, anche sull’altro fronte, il panorama non è dei più incoraggianti. Alcune delle più note organizzazioni ambientaliste ricevono finanziamenti per progetti di “sviluppo sostenibile” proprio da parte di alcune multinazionali energetiche.
Se guardiamo i più noti gruppi ambientalisti del paese, possiamo constatare che all’interno di un centinaio di organizzazioni, nessuna è interessata all’impatto dell’estrazione di minerali e idrocarburi  sul medio ambiente. Alla paralisi esistente si aggiunga la presenza delle elezioni nell’agenda dei movimenti di base venezuelani, i quali, mentre è in corso una delle peggiori tragedie ecologiche degli ultimi anni, limitano la loro mobilitazione quasi esclusivamente alla campagna elettorale per sostenere uno dei due schieramenti in campo.
In Venezuela non esiste nessun dibattito su di un progetto del paese all’indomani del prevedibile esaurimento delle risorse energetiche.
Bolivariani e oppositori portano avanti una dura battaglia per controllare le entrate petrolifere del paese e su questo si basa la loro proposta elettorale. Le battaglie contro l’inquinamento energetico delle diverse comunità indigene, dei contadini e dei pescatori, procedono in modo isolato e senza che nessuno di loro riesca ad interloquire con le mobilitazioni cittadine. E come avviene con l’inquinamento dei gasdotti nella comunità kariña di Tascabaña (nello stato di Anzoátegui), la PDVSA mette impunemente in scena il peggiore dei ricatti: chi denuncia la situazione verrà escluso dalle diverse misiones presenti nelle comunità.
Il petrolio, il gas, il carbone e gli altri minerali venezuelani alimentano le caldaie della globalizzazione economica capitalista. L’espansione e la ripresa di imprese a capitale misto ha dato nuovo vigore alla nazionalizzazione dell’industria, iniziata verso la metà degli anni Settanta. A causa dell’inquinamento centinaia di famiglie povere sono colpite da malattie di diverso tipo e da alterazioni genetiche. La deforestazione e l’inquinamento dei corsi d’acqua rappresentano una condanna all’estinzione per specie animali e vegetali. Le comunità indigene vengono allontanate dalle loro terre ancestrali e perdono la loro cultura originaria per l’impatto dell’industria del carbone e del petrolio. La cultura prodotta dalle rendite petrolifere ha reso il Venezuela un paese sempre più dipendente e importatore, sempre più vittima di deliri statocentrici, con un aumento della corsa agli armamenti e della militarizzazione.
Ogni progetto del paese dovrebbe essere basato su un nuovo modello di civilizzazione, con un giusto equilibrio tra uomo, donna e natura, giustizia sociale e libertà, senza la dipendenza dai combustibili fossili per lo sviluppo. Per questo devono esistere movimenti sociali autonomi e agguerriti, specialmente quelli ecologisti e quelli in difesa del medio ambiente, come vero presupposto per un possibile cambiamento.
Tratto da Ellibertario,
periodico on-line venezuelano
(traduzione di Arianna Fiore)

1 Nel dicembre del 2002 molti lavoratori della compagnia petrolifera PDVSA iniziarono uno sciopero per indurre il presidente venezuelano Hugo Chávez a rassegnare le dimissioni e a indire nuove elezioni. La produzione di petrolio si interruppe per oltre due mesi, provocando una ingente perdita economica e danni alle complesse strutture di raffinazione ed estrazione petrolifera. In seguito il governo licenziò 19.000 impiegati e ristabilì parzialmente la produzione con quadri e tecnici provenienti dall’esercito e da altri rami del governo venezuelano.

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