Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

mercoledì 21 agosto 2024

L'HUMANITAS CHE VINCE DAVVERO

 



Il livello di civiltà di un popolo si misura in base alla sua humanitas. Il significato latino di humanitas va ben oltre il concetto che oggi abbiamo di “umanità”, i latini infatti associavano al termine “humanitas”, il considerarsi tutti appartenenti alla medesima “natura universale”, dal momento stesso in cui si è nati (diritto naturale) e tali da dover per questo sviluppare nel corso della vita una sorta di “amicizia ecumenica”, nel senso etimologico del termine che richiama alla “casa comune, intesa come habitat umano e contesto naturale di vita, senza distinzioni di etnia, cultura o provenienza. Per questo era garantito il rispetto di tutti quei culti che non mettevano in discussione l'auctoritas dell'impero, anche se anticamente due principi spesso sono stati in collisione tra loro: quello secondo cui “veritas non auctoritas facit legem”, che è poi il principio di Socrate, della “legge non scritta” di Antigone, e in definitiva del primo Cristianesimo, fino ad arrivare al giusnaturalismo.

Vi fu poi quello, che animava il Diritto Romano, anche se tale ambito era garantito da leggi che potessero essere universali ed ecumeniche, appartenenti cioè ad una cittadinanza che nel terzo secolo venne estesa a tutto l'impero, ma che divenne molto più restrittivo col formarsi degli Stati nazionali, in epoca moderna e che richiama la dottrina di Hobbes.

In base ciò vige il principio per cui “auctoritas, non veritas, facit legem”, in virtù di questo l'autorità sovrana dello Stato rappresentata dall'assolutismo regio, fonda la legge ed il suo indiscutibile valore con tutti i poteri concentrati che ne conseguono. Nè la divisione dei poteri teorizzata dall'Illuminismo e applicata prima con la rivoluzione americana e poi con quella francese, mettono più in discussione il fatto che l' “auctoritas” dello Stato sia inappellabile. Essa può essere solo suffragata dal consenso popolare ma mai contraddetta, su di essa, in epoca moderna si fonda la stessa convivenza umana, messa così al riparo dal caos, dal “bellum omnium contra omnes”, dal conflitto permanente tra nature diverse e conciliabili solo mediante l'inflessibile potere della legge.

E' del tutto evidente che questo principio scaturito in un contesto storico denso di conflitti e guerre, specialmente di religione, ha continuato a caratterizzare l'ossatura degli stati moderni, fino ad incancrenirsi nei regimi totalitari, di varia natura ideologica o religiosa, in cui l'autorità dello Stato diventa dittatura e autocrazia (ma pur sempre figlia del Leviatano di Hobbes)

E' altrettanto palese che tale principio scaturisce da una profonda sfiducia nella natura umana, e da un terrore che, per evitare il terrorismo degli istinti contrapposti, non ha esitato, fin dai tempi rivoluzionari, a farsi esso stesso strumento di potere, fino a tagliare le teste come le zucchine.

Persino l'impero romano era più elastico in tal senso, lo vediamo nella stessa contrapposizione tra Gesù e Pilato il quale alla verità del Cristo, basata sulla sua stessa natura universale, contrappone prima la sua domanda “Che cosa è la verità?”, supponendo che essa sia nulla di fronte alla sua “auctoritas”, ma poi lascia alla folla decidere il senso concreto di quella “veritas”, facendo intendere che lo “ius” universale si dovesse comunque adattare ai contesti e alle culture locali

Negli Stati moderni lo ius non è più universale ma invece segue immancabilmente i loro confini e al loro interno resta indiscutibile ed inflessibile, ne conseguono le espulsioni o lo schiavismo di coloro che non corrispondono ad una determinata legislazione di cittadinanza (quasi che fossero invisibili, nella loro “prescindenza”) e l'incarceramento anche in condizioni disumane di coloro che violano la legge che lo Stato impone.

Ma vi erano altri due principi che contraddistinguevano l'humanitas, il primo che identifica ogni essere umano in quanto dotato di una insopprimibile dignità, specificità e natura, le quali vanno oltre l'appartenenza ad un contesto religioso o culturale, e il secondo in base al quale un cittadino è tale in quanto dedito ad “otium” e “negotium”, cioè ad una sua formazione culturale permanente, data anche dalle relazioni che ha nel contesto in cui vive, e ad un impegno lavorativo e produttivo che arreca benefici a se stesso e alla comunità in cui opera.

Questi antichi principi furono ripresi dallo stesso Mazzini, padre nobile della nostra Repubblica, quando affermò che un vero Stato e una vera democrazia si hanno solo quando tutti i cittadini hanno una buona educazione culturale (istituti scolastici solidi ed efficienti), la possibilità di votare direttamente i loro rappresentanti (e non una lista riempita da un segretario di partito), e infine l'opportunità di lavorare per emanciparsi ed emancipare la società in cui vivono

Dopo questa ampia premessa che spazia dai tempi antichi fino ai nostri, osserviamo bene che il nostro Paese, se nello sport conquista un numero di medaglie sempre maggiore, nel campo della “civitas” e dell' “humanitas” è tuttora ben lungi dal salire sul podio ed essere pienamente appagato dall'inno nazionale per una Italia che purtroppo “desta non è”

Basta osservare alcune questioni fondamentali, riferendosi sempre ai principi mazziniani e alle loro antiche origini.

Non abbiamo, di fatto, una Costituzione Italiana “fondata sul lavoro” come dovremmo, e non rispettiamo i lavoratori che muoiono come mosche nei posti di lavoro quotidianamente, secondo uno studio della UIL sono infatti centinaia i lavoratori che muoiono ogni anno soprattutto nei settori edilizio ed agricolo. Molti di essi sono stranieri, privi di cittadinanza e diritti, ridotti in una condizione di semi schiavitù, diciamo semi, solo perché sono liberi di crepare altrove per strada o sotto i ponti o magari tentando altri viaggi della fortuna in condizioni disastrose.

E' del tutto evidente che un sistema che vuole progredire non solo in benessere, ma anche in libertà e giustizia sociale, deve trovare un modo per formare queste persone e garantire loro i diritti e i doveri di cittadinanza.

Molti di loro, ma anche non pochi cittadini italiani, privi di opportunità e in condizioni disperate, per degrado famigliare e mancanza di adeguata assistenza sociale, finiscono nella rete della criminalità organizzata o nel gorgo della disperazione, della droga o di azioni criminose compiute persino in famiglia. La conseguenza è che le carceri si sono riempite a dismisura e che la popolazione carceraria ormai vive in condizioni subumane, per cui sicuramente ora possiamo dire che un animale in uno zoo vive meglio di un detenuto.

Il carcere così, è divenuto non uno strumento di riabilitazione per rendere consapevole il reo del suo misfatto e rieducarlo ad un reinserimento sociale e produttivo, ma è oggi di fatto solo un strumento di tortura, come dimostrano anche certe affermazioni grottesche e fuori da ogni logica umana e di cultura di chi respinge il problema dicendo; “il carcere non è un hotel”, evidentemente così si dimostra solo ignoranza e dabbenaggine politica

Quanto abbiamo messo in evidenza contribuisce quindi a mostrare che i problemi delle carceri, della cittadinanza e del lavoro sono interconnessi. E' un unico problema che deve essere affrontato non a compartimenti stagni ma tenendo conto proprio di questa interdipendenza.

Alla forza lavoro va riconosciuta la sua dignità e la sua qualificazione. Ad un immigrato che vuole lavorare in Italia va fatto innanzitutto un corso di Italiano e poi vanno indicate le norme sulla sicurezza sui posti di lavoro, mostrando a chi può rivolgersi senza essere ricattato o ridotto in schiavitù e soprattutto che non deve sopravvivere nascondendosi. Il nostro territorio ha immensi problemi idrogeologici che richiedono interventi permanenti di messa in sicurezza e di manutenzione con un apporto di manodopera crescente che potrebbe essere utilizzata anche portando i detenuti a compierla, per riabilitarsi. Gli immigrati che lavorano nel Meridione o in altre regioni per la raccolta di vari prodotti agricoli, in varie aziende senza scrupoli, vivono in condizioni peggiori degli schiavi negli Stati Confederati prima della guerra civile americana, perché non hanno alloggio né protezione, e se subiscono un infortunio vengono scaricati senza pietà in mezzo alla strada come un sacco di immondizia.

Chi non ha una cultura purtroppo non è nemmeno capace di tutelarsi, per questo è indispensabile fornire incentivi all'acquisizione della cultura. Per questo lo Ius culturae o Ius scholae non può essere una questione di contrapposizione politica, ma è un principio di humanitas e di civiltà da condividere universalmente

Lo stravolgimento etnico-culturale da alcuni paventato per contrastare quella che qualcuno ha definito addirittura come “sostituzione etnica”, è tipico soltanto di una società debole, incapace di trasmettere i suoi valori di civiltà “forti”, ed evidentemente impotente rispetto ad altre culture che si affermano non con la forza delle armi ma con quella dei loro principi che sono maggiormente condivisi, perché ritenuti più credibili ed efficaci

E' del tutto evidente che una società in cui la famiglia, la scuola, la sanità, l'inserimento lavorativo, la rieducazione, fanno acqua da tutte le parti, è sempre più fragile e incapace non solo di integrare ma anche di proporsi come un modello condivisibile di Stato e di convivenza

Il principio per cui si diventa italiani non solo da genitori italiani, ma per il riconoscimento della lingua, della cultura e delle leggi italiane è sacrosanto e in passato ha fatto la differenza tra una democrazia come quella ateniese, xenofoba, sessista e schiavista durata ben poco, e la millenaria civiltà romana che emancipava gli schiavi facendoli anche arricchire come liberti, portava le donne ad avere risalto politico fino a tramare contro la vita degli stessi imperatori ed era sostanzialmente costituita da etnie eterogenee che non per questo non potevano arrivare alla massima “auctoritas” imperiale, pur provenendo dalle parti più disparate dell'impero e senza alcuna forma di razzismo, ma in ogni caso nel rispetto universale del diritto romano.

Come dunque abbiamo dimostrato, la questione delle carceri e dello ius scholae sono non solo interconnesse ma alla base della stessa civiltà e di una democrazia compiuta, dovrebbero trovare quindi un consenso trasversale nella loro risoluzione, invece sono all'origine di contrasti politici, spesso anche sulla “lana caprina”. Come per esempio il fatto che la cittadinanza si acquisisca con 13 anni di frequenza scolastica anziché con 8. Perché la questione non sono gli anni, ma cosa si fa durante quegli anni, se si scalda la sedia e si va avanti con esami finti e senza sapere mettere una frase dopo l'altra persino durante il percorso universitario, oppure se anche con un corso 150 ore pienamente efficace si acquisiscono la capacità di parlare e scrivere in Italiano correntemente e senza errori sintattici ed ortografici, si conoscono la Costituzione e le leggi del nostro Paese, specialmente quelle che tutelano il lavoro, e ci si sa difendere e organizzare di fronte ad un rinnovato schiavismo o ad una accusa ingiusta, perché le carceri sono state affollate anche con errori giudiziari, costati a tutti noi cifre astronomiche.

Se la Destra in Italia continua a ignorare o a porre questioni che impediscono una rapida risoluzione di questi problemi e la componente più liberale di questo governo che non vuole assecondarla ma nemmeno si posiziona su questioni demagogiche e velleitarie tali da creare solo un polverone propagandistico per fini elettorali, ma vuole invece acquisire maggiore autonomia nella sua fisionomia politica e nel suo operato, non possiamo che incoraggiarla ed esserne contenti, perché qui non si tratta di una idea "di sinistra", ma di una questione di civiltà.

Il problema infatti non è dare a questo Paese un assetto politicamente stabile, ma assicurare che in esso i problemi cruciali vengano risolti con un consenso politico adeguato

Perché non giova dare del “coglione” a chi procede in senso ostinatamente inverso, solleticando la frustrazione e la rabbia popolare e i peggiori istinti xenofobi, traendo anche notevoli benefici dalle vendite di opinioni quanto meno discutibili, giova dimostrare come in uno Stato dotato di humanitas e di civitas, la fisionomia dell'italiano è data non dal colore della sua pelle, ma dal successo che si trae in tutti i settori da una formazione italiana di ottimo livello non solo nello sport, ma soprattutto con una scuola e un apparato accademico efficiente, e non fatiscente o nepotista

Le medaglie olimpioniche o i primati tennistici infatti non sono solo dei singoli atleti, di varia origine etnica e culturale, sono soprattutto, per loro stessa ammissione, della scuola sportiva che li ha formati e della squadra con cui hanno interagito fino a raggiungere primati mondiali

Può l'Italia essere una squadra vincente non solo nel calcio o nello sport? Evidentemente no, se ci sono allenatori incapaci e scuole inadeguate

Vale la pena di citare per intero la conclusione di una delle Lettere a Lucilio di Seneca (un capolavoro della civiltà romana) per comprenderne davvero il senso evitando facili e false interpretazioni: “Quemadmodum omium rerum, sic litterarum quoque intemperantia laboramus: non vitae sed scholae discimus” che possiamo tradurre con “come in tutte le faccende, così anche in quelle culturali, ci adoperiamo da incapaci. Ci interessano più le dispute sulla scuola che quelle che riguardano la vita”

Così in passato ci siamo accalorati per cambiare voti, giudizi, materie, cicli scolastici, con l'unico risultato di rendere il percorso scolastico sempre più inadeguato e miserevole, e non lo abbiamo invece reso tale da essere la base risolutiva dei problemi cruciali della vita di ogni cittadino, fino almeno ad avvicinarci a qualche primato di civiltà e di..humanitas.


Carlo Felici

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