Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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mercoledì 25 luglio 2018

L'inferno di Prometeo


                                                              



                                                         di Carlo Felici


Prometeo pagò assai caro il dono del fuoco fatto agli umani, probabilmente perché lo stesso Zeus nella sua preveggenza aveva capito cosa ne avrebbero fatto gli uomini di questo pianeta, dalle estreme conseguenze delle bombe all'idrogeno, fino agli incendi dolosi come quelli che devastano ogni anno intere aree in tutto il mondo e oggi, ancora una volta, colpiscono lo stesso paese di Prometeo: la Grecia.
Prometeo sconta tuttora la hybris di avere donato il fuoco senza prima avere educato coloro a cui ha rivolto il suo dono
Cosa c'è dietro è facile intuirlo: progetti speculativi in gran parte dovuti a gruppi multinazionali interessati alla rapina di territori, allo sfruttamento e alla cementificazione delle aree turistiche elleniche.
Così oggi, quando ci viene strombazzato dai media embedded che la Grecia finalmente sta risorgendo dalla sua penosissima e rovinosissima “cura da cavallo stremato”, ecco che quel paese di 11 milioni di abitanti, per salvare il quale la UE avrebbe potuto impiegare meno risorse di quelle normalmente utilizzate per rimettere in sesto una delle sue grandi banche, piomba di nuovo nell'inferno.
Dopo ben 14 manovre di austerità, con il reddito sprofondato di quasi il 30%, con 34 milioni di euro in meno per i servizi antincendio, con la carenza di migliaia di vigili del fuoco, e quelli rimasti in condizioni fisiche non idonee o addirittura malnutriti, il paese culla della civiltà europea e mediterranea sprofonda nell'inferno dei roghi che hanno ucciso quasi un centinaio di persone, ne hanno ferite circa più del doppio e ridotto in cenere zone cruciali per il turismo e l'economia ellenica.
Di chi la colpa? Del fato implacabile? Dei piromani fuori di testa? Del sole e del riscaldamento climatico?

Beh, se volete facili capri espiatori per la vostra coscienza, accontentatevi pure di quelli, ma se vi avanza qualche fetta di prosciutto dalle orbite oculari, beh, provate anche a guardarvi un po' intorno e vedrete che certi fenomeni non sono poi così facilmente isolabili e sono nella maggior parte dei casi interconnessi.
La rapina delle risorse ambientali, la spasmodica ricerca di profitto a cui essa è asservita, la mercificazione di tutto quello che vive su questo pianeta: dagli esseri umani, agli animali e alle risorse ambientali e naturali, la produzione e l'accumulo di sostanze tossiche ed inquinanti che pervadono ormai anche gli angoli più remoti del pianeta, e persino le vette più elevate delle montagne, hanno una comune radice nella profonda ignoranza umana, in quella mancanza di consapevolezza che alimenta come una fucina la sofferenza generale della Terra.
Essa non è generata solo da un determinato sistema economico che è l'equivalente della volontà di potenza in ambito filosofico e del nichilismo che ne consegue, perché tende continuamente a riempire un vuoto di identità con un accumulo permanente di beni e risorse materiali sconfinate, tanto che ormai meno di dieci persone su questo pianeta posseggono più di 3 miliardi e mezzo di altre condannate alla marginalità, precarietà e nomadismo, ma è anche il prodotto di un sistema educativo, culturale, sociale e persino famigliare malato.
Perché sin da piccoli si viene educati a competere e ad emergere, più che a relazionarsi e a collaborare, ci viene inculcata la prassi del confronto spasmodico sui beni, sul dovere primeggiare a tutti i costi con una competizione esasperata, con la dicotomia perdente-vincente, con l'aut aut tra realizzato-fallito. Insomma si cresce in un brodo di coltura mefitico in cui i veleni dell'attaccamento al proprio ego e quelli dell'avversione ad ogni ego differente e contrapposto sono il pane quotidiano avvelenato della nostra crescita, maturazione, invecchiamento e morte.
Per una vita completamente vuota e priva di senso, la quale anche nella più esaltante ricchezza o nei piaceri più sfrenati, non ha altro orizzonte che la disperazione
E' la logica dell'homo homini lupus, del predatore umano che non serve per mantenere l'equilibrio delle altre specie viventi, o la loro selezione, ma è utile solo per creare un essere umano obeso di materia e sofferenza.
Diceva Cecilio Stazio: "Homo homini deus est, si suum officium sciat": l'uomo può elevarsi a divinità nel contesto umano se davvero conosce il suo officium, parola latina che deriva da “opem facio”, agisco con premura, con capacità, con consapevolezza della necessità. Cicerone scelse questo termine per tradurre kathékon (in greco il dovere) e cioè ogni azione conforme a natura, razionale e per questo doverosa moralmente: quod autem ratione actum est, id officium appellamus (fin. 3, 58, 14): “ciò che vien fatto secondo ragione, lo chiamiamo officium”, in quanto è doveroso seguire la propria natura di esseri razionali.
Quindi non alla libertà sfrenata dovremmo essere educati ma alla consapevolezza razionale che la nostra libertà è tanto più pura, onesta e fruttuosa quanto coincide con la responsabilità verso tutto quello che ci circonda: esseri umani, animali, piante, natura, universo
La nostra identità è sempre “sociale” ed “ecologica”, parte dall'ambito culturale e politico in cui siamo nati e cresciuti e si estende naturalmente a tutto il cosmo, non può essere altrimenti. E tanto più noi riusciamo a relazionarci in maniera interpersonale, internaturale e intersociale, tanto meglio la nostra identità sarà portata ad elevarsi verso orizzonti divini e universali, lasciando sulla Terra solo orme fiorite di accresciuti doni per le future generazioni.
Tanto più, invece, saremo portati ad esaltare il nostro io, la nostra nazione, il nostro patrimonio, il nostro clan famigliare, politico o criminale, tanto meno potremo sperare di superare la nostra misera finitudine, e poter credere di essere più del nulla da cui veniamo e a cui siamo destinati.
Ecco quindi che una umanità che lascia che una decina di ricchi regni su miliardi di poveri, che preferisce salvare una banca piuttosto che un paese, che celebra la rinascita di un paese come la Grecia, considerato come un mero aggregato economico, pur consapevole del suo funerale umano e politico, una umanità che macina la biodiversità a ritmi catastroficamente vertiginosi, non è che un nulla con dei numeri che certificano nei depositi bancari la sua strabiliante nullità.
La Grecia oggi è il paradigma di questa prospettiva, il termometro di una condizione europea e globale, non sapere cogliere i segnali che da essa provengono e cercare facili vie di fuga e altri capri espiatori, vuol dire essere ciechi che guidano altri ciechi. L'Europa sta collassando perché non ha compreso che la sua identità non dipende da una nomenklatura di burocrati che dettano regole a tutti e nemmeno dall'esaltazione delle identità di ciascuno stato, ma soprattutto dalla interdipendenza del destino dei suoi popoli e direi anche di quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
E' stato il continente più feroce nella storia della umanità, devastandosi e suicidandosi in due guerre che ha esportato in tutto il globo per circa mezzo secolo.
O impara adesso oppure non imparerà mai più.
E a quel punto di essere europei o di altri paesi non ce ne importerà un fico secco, ci importerà piuttosto di restare umani e di conoscere il nostro compito e dovere di esseri umani.

Felice te, che la mia doglia ardisci partecipare, e fuor di colpa resti! Ma lasciami or, di me cura non darti. Modo non v'è che tu possa convincermi. Bada a te stesso, fa' che il tuo viaggio non ti debba fruttar qualche cordoglio.” (Prometeo)

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