di Carlo Felici
Il “cupio
dissolvi” della sinistra italiana sta assumendo ultimamente toni farseschi
soprattutto nella difesa a spada tratta del regime di Maduro, il quale viene
addirittura paragonato ad Allende, che però non provò minimamente a modificare
la costituzione cilena per restare al potere.
Maduro,
invece, pur avendo perso quel consenso popolare ed elettorale che fu sempre il
punto di forza di Chavez, pretende di cambiare quella stessa costituzione che
fu voluta da Chavez nel 1999 e che fu definita dai suoi sostenitori come “la
più bella del mondo”.
Maduro ha
condotto una gestione disastrosa della moneta e dell’economia venezuelana,
dimostrando palesemente di essere un incompetente, e per di più ha operato una
forzatura dei processi democratici, con il solo intento di restare al potere a
tutti i costi.
Chi crede di
dover sostenere il suo regime solo per impedire che prevalga “l’imperialismo
nordamericano” ha una visione miope e settaria delle vicende venezuelane e
sudamericane, e trascura del tutto il fatto che nei paesi del Sudamerica, ormai
solo la capacità di essere convincenti e di restare vincolati al consenso
popolare, può consentire ai governi adeguate politiche socialmente avanzate.
Questo vuol
dire, tra l’altro, incrementare l’efficienza dello Stato ed eliminare
provvedimenti clientelari e parassitari, quelli che, ad esempio, portano a non
rimuovere mai i fiduciari del potere, sebbene si dimostrino palesemente
incapaci di gestire la politica e l’economia.
Che Guevara
fu ministro dell’Industria e sebbene teorizzasse gli incentivi morali, per
altro non in conflitto con quelli materiali che riteneva non dovessero essere
individuali ma di gruppo, era molto attento alla produttività e all’efficienza
del lavoro, lo disse esplicitamente in un suo intervento:
“Dobbiamo
porre un operaio dove è veramente indispensabile: il compagno che ritiene di
avere qualche guadagno e che può quindi assumere un operaio in più, crede di
fare un favore alla classe operaia sistemando un disoccupato, ma non è così.
Oggi non possiamo mettere a lavorare gente in luoghi dove il suo lavoro non
comporti una produzione superiore alla retribuzione che si dà per il lavoro
fatto. Per porre la questione in termini concreti, non dobbiamo occupare un
nuovo operaio che produca qualcosa che abbia un valore di 5 pesos al giorno se
lo paghiamo 6 pesos. È un'assurdità, ma si sta facendo e inoltre non si è
curato a sufficienza un criterio generale di risparmio."
In Venezuela
è accaduto l’esatto contrario: non c’è stato ultimamente un processo di
rinnovamento e di affermazione della competenza nella gestione del potere e
dell’economia, per sfruttare al meglio la principale risorsa economica.
A riprova di
questa incapacità ed inefficienza c’è il fatto che le esportazioni di petrolio
nel primo trimestre di quest’anno sono diminuite dell’8%, con un calo dovuto
alla incapacità della compagnia petrolifera nazionalizzata PDVSA di mantenere
la produzione costante. Questo per essere stata incapace di fare investimenti
produttivi, preferendo piuttosto politiche parassitarie e clientelari, tanto
che, a fronte della diminuzione di un quarto delle estrazioni, è stato triplicato
il numero dei dipendenti, continuando ad usare i profitti in calo per scopi
sociali sempre più insostenibili.
Si è
arrivati così al punto che una delle navi cargo venezuelane in sosta presso le
isole caraibiche, con un carico di greggio stimato di 20 milioni di dollari, è
stato sequestrato dalla compagnia russa Sovcomotflot, come compenso di un
credito verso la compagnia venezuelana statale di 30 milioni di dollari. Ergo,
il petrolio venezuelano non si riesce più nemmeno a venderlo a prezzi di
mercato.
Ormai anche
settori che hanno sostenuto il chavismo fino a qualche tempo fa, si stanno
smarcando e prova ne è che la stessa procuratrice generale Luisa Ortega ha contribuito
a far fallire il tentativo di golpe del Tribunale supremo di giustizia, mentre
sta mettendo in libertà molti cittadini arrestati senza motivo durante le
proteste.
Non ci
dimentichiamo che uno dei punti di forza più importanti del socialismo chavista
è stato il consenso popolare, lo stesso che impedì che Chavez fosse rovesciato
dopo un tentativo di golpe. Adesso il principale nemico del chavismo e del
cosiddetto socialismo del XXI secolo sembra proprio essere il governo che
apparentemente sostiene di esserne il continuatore.
Come se ciò
non bastasse, Maduro ha annunciato che uscirà dall’OSA, l’organizzazione degli
stati americani, violando così apertamente l’articolo 23 della sua
costituzione.
La sinistra
italiota continua a sostenere che contro Maduro si sarebbe scatenato l’imperialismo
statunitense, pronto a ghermire nelle sue fauci il bolivarismo sudamericano, ma
agenzie di stampa ben qualificate dicono cose un po’ diverse e cioè che Maduro avrebbe
donato 500 mila dollari per la cerimonia d’insediamento di Donald Trump,
pagandoli per mezzo della compagnia petrolifera statale Pdvsa. Tutto ciò mentre il
Venezuela ha una inflazione a tre cifre e dando garanzie commerciali che
potrebbero consentire alla Russia di avere un controllo sulle risorse
petrolifere statunitensi.
Ormai in
Venezuela si rischia di morire per la mancanza di una pastiglia per curare il
diabete ed il 10% della popolazione rovista nei cassonetti. E’ il paese con l’indice
di criminalità e di inflazione più elevati al mondo, decisamente diverso da
come era il Cile di Allende.
Credere che
tutti gli esponenti dell’opposizione a Maduro siano al servizio delle
oligarchie imperialiste è pura demenza, per altro senile, perché le condizioni
dei paesi sudamericani sono notevolmente cambiate rispetto agli anni settanta e
ottanta; la realtà è che l’opposizione è stata, finora, persino troppo fiduciosa
nella “democrazia chavista”, lasciando ad esempio, che un esponente come
Leopoldo Lopez si potesse fare arrestare, con la prospettiva che presto sarebbe
stato liberato. Invece è tuttora in carcere da anni. Allo stesso Douglas Bravo,
tra l’altro membro di Utopia Rossa e sostenitore della Fondazione Guevara, in
qualità di compagno guerrigliero del Che, fu impedito a suo tempo di lasciare
il Venezuela solo per partecipare ad un convegno della Fondazione. Le sue
critiche alla inadeguatezza e alla corruzione del regime venezuelano sono note
da tempo e riportate dalla stessa Utopia Rossa nel suo blog.
Purtroppo
anche la Chiesa e il Papa Francesco non si rendono pienamente conto ancora di
quanto sia importante che dall’opposizione al regime nasca un movimento
unitario che rispetti la democrazia e la giustizia sociale in Venezuela; non
basta infatti constatare che al suo interno esistano o siano esistite delle
profonde divergenze, bisogna anche lavorare affinché esse vengano superate e
non portino più allo scontro frontale, ma piuttosto ad una transizione che non
sia rovinosa e sfoci in un golpe militare.
Il ruolo di
chi ha a cuore la causa del Socialismo, della libertà e della giustizia sociale
non è dunque quello di resuscitare i manicheismi degli anni settanta, ma piuttosto, quello di favorire un processo di consolidamento della democrazia per
arrivare ad un percorso condiviso di uscita dalla crisi in Venezuela.
Questo non
può certo avvenire con quel che Maduro è intenzionato a fare stravolgendo la sua
Costituzione (e a difenderlo, guarda caso, sono gli stessi che hanno combattuto
lo stravolgimento della Costituzione Italiana) e decidendo di convocare
un’Assemblea costituente “senza partiti”, in nome di una nuova Carta
costituzionale che metta completamente ai margini un Parlamento che gli è a
maggioranza contrario. La nuova Assemblea costituente, per altro, sarebbe costituita
da 500 membri provenienti sia dai “movimenti sociali” che dalle circoscrizioni municipali, ambienti strettamente sotto il controllo governativo.
Insomma un
processo che appare alquanto “cubano”, proprio in un momento in cui ci si
aspetterebbe anche da Cuba un rinnovamento interno delle sue istituzioni.
Allora, in
conclusione, più che adottare schematismi per cui o si sta da una parte o dall’altra,
bisogna cercare di capire come e perché il governo di Maduro non sia più
adeguato e come egli rischi, piuttosto di trasformarsi nell’Assad del
Sudamerica, con tutte le rovinose conseguenze del caso.
La sinistra
del “meno peggio” purtroppo, anche in questa vicenda, resta omologa a quella del “tanto
peggio tanto meglio”.
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