Lungi da questo
blog fare il tifo per un candidato o l’altro nella competizione elettorale che
porterà all’elezione del nuovo presidente della Repubblica Francese.
Se qualcuno
ha interpretato il precedente intervento come una sorta di sostegno a Macron si
è sbagliato di grosso. Abbiamo solo cercato di analizzare i motivi di un
successo ed il programma stesso del candidato, ovviamente precisando che è
tutto soggetto a verifica.
I tre
candidati in Francia sono espressione variabile di un unico sistema, come d’altronde
non potrebbe che essere, in una dimensione economica e politica in cui prevale
il capitale come demiurgo di ogni assetto governativo ed istituzionale.
Se, quindi,
un demiurgo si presenta uno ma trino nell’espressione delle candidature
elettorali che competono per vincere, non c’è da sostenere l’uno o l’altro,
perché sono tutti variabili dello stesso sistema di cui il demiurgo è fattore
fondante ed anche elemento di garanzia di inamovibilità del sistema.
Fa quindi un
po’ ridere la scelta del meno peggio o addirittura la contrapposizione tra i
candidati stessi, in nome poi di non si sa cosa, dato che nessuno di essi
esprime concretamente la volontà di una alternativa di sistema. Forse,
piuttosto, in tale prospettiva, è quasi meglio che vinca il peggiore affinché
le contraddizioni del sistema stesso non trovino palliativi ma vengano fuori
tutte con grande evidenza ed immediatezza.
Possiamo
anche specificare che una alternativa di sistema, su scala nazionale, non è
possibile in un mondo in cui la globalizzazione ha superato confini nazionali,
politici ed economici, oltre che sociali, imponendo un unico modello di economia
e di società che ormai occupa anche gli angoli più reconditi del globo. Non ci
illudiamo, pertanto, che il sistema del monopolio che è oggi la massima
espressione del capitalismo senza più regole né paletti, possa essere arginato
da politiche nazionali, o da fermenti patriottici. Anche nei paesi in cui tali
politiche vengono praticate, prevalgono le timocrazie interne, le tendenze
imperialiste ed il capitalismo di stato nella sua versione oligarchica,
accompagnandosi alla corruzione come sistema di potere endemico ed
inattaccabile.
Oggi, è quasi
impossibile uscire dalla ferrea necessità autoreferenziale del contingente, e
soprattutto credere di poterlo fare con il sovranismo vuol solo dire aggiungere
ad una illusione un’altra illusione per averne poi una all’ennesima potenza.
Ci si illude
di restituire la sovranità al popolo quando la sovranità è scippata in partenza
dai meccanismi dei mercati. Per cui, basta che in un Paese si attui una
politica che non viene gradita dai potentati geostrategici e speculativi
transnazionali, che quel Paese viene prima bombardato dallo spread, poi
bombardato dal debito e dai prestiti ricattatori che lo spingono verso
privatizzazioni e svendite del patrimonio pubblico nazionale, e infine, se tutto
questo non basta, arriva prima il bombardamento delle sanzioni e poi quello
vero esplosivo e distruttivo.
Non se ne
esce singolarmente, gli esempi di stati che ci hanno provato da soli sono
molto evidenti per tutti: Libia, Irak, Siria, ma anche Venezuela, Cuba e vari
altri. In Sudamerica il progetto bolivariano sta fallendo miseramente perché
non è stata presa abbastanza sul serio la prospettiva di una Quinta
Internazionale, che fu lanciata da Chavez e che aveva una duplice ambizione:
quella di salvare l’umanità e la terra contemporaneamente, legando
indissolubilmente la questione della giustizia sociale con quella della giustizia
ambientale, e quella di creare un ponte tra i fermenti di liberazione nati in
Sudamerica con quelli nascenti in altri continenti, compresa l’Europa. La
stessa Cuba che avrebbe dovuto accogliere questo progetto con grande
entusiasmo, lo ha sostanzialmente rigettato e prosegue la sua politica
nazionalista, solo con molti compromessi in più e grazie alla sponda del
Vaticano, con quale successo poi, è tutto da verificare. Finita la grande
stagione espansiva del socialismo bolivariano, anche per la inevitabile
reazione che ovviamente tutti avrebbero dovuto aspettarsi, vediamo in Venezuela
la crescita dell’inflazione al 500% e in altri paesi prevalere la reazione
violenta e in certi casi persino la corruzione. E’ mancato un grande
coordinamento ed un grande respiro internazionalista che portasse al
consolidamento e alla prosecuzione di un progetto che avrebbe dovuto attuarsi
non qua e là, in vari paesi e con prospettive variabili, ma in tutta l’area
continentale, cambiando profondamente ed irreversibilmente il tessuto sociale,
politico ed economico.
Anche l’Europa
si sta avvitando su se stessa, perché anche in Europa stanno prevalendo le
spinte nazionalistiche, che ormai coinvolgono anche la cosiddetta sinistra. In
Francia con un Melenchon più innamorato della Marsigliese che dell’Internazionale,
che rincorreva la Le Pen sul suo stesso terreno, ne abbiamo avuta una
dimostrazione lampante, e questo senza necessariamente esaltare un antagonista
che probabilmente vincerà le elezioni anche lui inventandosi un movimento “in
marcia”, che echeggia, anche se più da lontano, toni sciovinisti.
Invece della
Quinta Internazionale, pare che stiamo tornando alla Seconda, quella che fu una
delle più rovinose responsabili della macelleria della prima guerra mondiale,
la prima orripilante guerra civile europea. Ovviamente con il plauso entusiasta
dei fautori del “divide et impera”
L’unico
oggi, in Europa, che torna a parlare di prospettive internazionaliste è
Varoufakis con il suo progetto di rilancio della democrazia europea su scala
transnazionale. Non sappiamo però, anche in questo caso, quanta demagogia o
quanta concretezza accompagnino seriamente questa proposta.
Una cosa è
certa: oggi più che mai quello che un tempo veniva chiamato internazionalismo
proletario e che ora, debitamente aggiornato, dovrebbe essere chiamato
movimento no-capitalglobal, non solo è fermo, ma sta persino regredendo, almeno
se ricordiamo le grandi manifestazioni di inizio secolo, tutte puntualmente
infiltrate e strumentalizzate e finite anche in mattanza, come a Genova, anche
per mancanza di una seria organizzazione che includesse seri servizi d’ordine e
serie strutture di coordinamento a livello transnazionale.
La ferocia
con cui si è reagito a tali manifestazioni e a tali fermenti, infiltrandoli e
massacrandoli sul nascere, dimostra quanto essi avessero centrato sia il
problema che la strategia di lotta.
Si è
trattato di spezzarli e di trasformarli in movimenti a carattere nazionale,
magari anche con l’ausilio di qualche paparazzo filosofico dei media e del jet
set televisivo.
Così oggi
questa pratica del “divide et impera” pare più efficace e con effetti
significativi, se da destra e da sinistra si reclamano, in fondo, più o meno le
stesse cose, e se la sovranità di un popolo torna a contare più di quella di
tanti altri, magari anche di quella di coloro che non sono più popolo ma solo
migrazione, fuga dall’essenza stessa dell’identità di popolo, umiliato e
bombardato oppure strozzato dai debiti.
Ironia della
sorte, pare che a capire tutto ciò ci sia una struttura internazionalista da
millenni, che però ha sempre contrastato il Socialismo: la Chiesa Cattolica, che
ormai considera per tramite del suo Papa, il lavoro nero, l’inquinamento e il
respingimento del migrante peccati mortali.
Sono tempi
difficili in cui, forse non solo destra e sinistra si confondono parecchio con
toni rossobruni assai pervasivi, ma anche tempi tragici, in cui martiri cristiani (e di
altre religioni) e martiri socialisti hanno sempre di più lo stesso sangue
rosso che ancora attraversa tutte le arterie dell’umanità.
Con sette
miliardi e mezzo di esseri umani in crescita esponenziale, e risorse
energetiche, alimentari, ambientali e biodiversità in calo verticale, è ormai un imperativo categorico comprendere che la soluzione non è nazionale, ma globale e che solo un nuovo e
più deciso movimento transnazionale di lotta contro gli oligopoli, la corruzione,
la devastazione ambientale e soprattutto la guerra imperialista, potrà, si badi
bene, non fare la differenza, ma assicurare un futuro alla specie umana, in
questo pianeta, e soprattutto non in una qualche singola nazione, simulacro del
rifugio del topolino impaurito ed incazzato. Quello che forse va bene solo in
un cartone animato.
Carlo Felici
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