Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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lunedì 18 febbraio 2013

Che papa dobbiamo sperare, che non sia un Benedetto XVII?



Intervista a Leonardo Boff

Come ha ricevuto la rinuncia di Benedetto XVI?

R. Fin dal principio mi faceva tanta pena, perché, per quello che io conoscevo, specialmente a causa della sua timidezza, immaginavo lo sforzo che doveva fare per salutare il popolo, salutare le persone, baciare bambini. Avevo la certezza che un giorno lui avrebbe approfittato di qualche occasione sensata, come i limiti fisici della sua salute e il minore vigore mentale per rinunciare.
Anche se ha dimostrato di essere un Papa autoritario, non era attaccato alla poltrona. Io mi sono sentito alleggerito perché la Chiesa era senza leadership spirituale che risveglia speranza e coraggio. Abbiamo bisogno di un diverso profilo di Papa più pastore che  professore, non un uomo della istituzione-Chiesa, ma un rappresentante di Gesù che ha detto: "se qualcuno viene da me io non  lo mando via" (Gv. 6,37), che sia omosessuale,prostituta, transessuale.

2. Com’è la personalità dei Benedetto 16º, visto che lei ha vantato una certa amicizia con lui?

R. Ho conosciuto Benedetto 16º nei miei anni di studio in Germania tra il 1965-1970. Sono andato a sentire molte conferenze sue ma io non sono stato suo alunno. Lui ha letto la mia tese di dottorato: “ Il posto della Chiesa nel mondo secolarizzato” e gli è piaciuta  al punto che ha trovato un’editrice disposta a pubblicarla, un malloppone di più di 500 pagine. In seguito abbiamo lavorato insieme nella rivista internazionale “Concilium”. Gli editori si riunivano tutti gli anni la settimana di Pentecoste  in qualche posto in Europa. Io curavo le edizioni in portoghese. Tra il 1975-1180. Mentre gli altri facevano la siesta, io e lui si passeggiava e si conversava discutendo temi di teologia, oppure si parlava della fede in America Latina, o si commentava San Bonaventura e Sant’Agostino, materie in cui lui è specialista e io a tutt’oggi li consulto spessissimo.  Dopo, dal 1984, siamo entrati in un momento conflittuale. Lui come mio giudice al processo dell’ex Santo Uffizio, mosso contro il mio libro «Chiesa: carisma e potere» (Vozes, 1981). Lì dovetti sedermi sul seggiolino dove Galileo Galilei e Giordano Bruno tra gli altri, si erano seduti.

Mi impose un periodo di “silenzio rispettoso”; dovetti lasciare la cattedra mi si proibì di pubblicare qualsiasi cosa.

Come persona, è ‘finissimo’ timido ed estremamente intelligente.

3. Lui come cardinale è stato il suo inquisitore dopo essere stato suo amico: come vedeva questa situazione?

 R. Quando lui è stato nominato presidente della Congregazione per la dottrina della fede (ex Santo Offizio), io ne fui profondamente felice. Pensavo tra me e me: finalmente avremo un teologo alla guida di una istituzione che ha la fama più brutta che si possa immaginare. Quindici giorni dopo mi rispose, ringraziando e disse: vedo qui nella Congregazione varie pendenze a suo riguardo e dobbiamo risolverle subito.

Il fatto è che praticamente a ogni libro che pubblicavo venivano da Roma domande di chiarificazione alle quali io tardavo a rispondere. Nulla viene da Roma se prima non è stato inviato a Roma. Avevamo qui dei vescovi conservatori e persecutori di teologi della liberazione che inviavano le lamentele della loro ignoranza teologica a Roma col pretesto che la mia teologia poteva far male ai fedeli. A questo punto io mi resi conto: ormai gli lui è stato contaminato dal bacillo romano che fa sì che tutti quelli che lavorano lì in Vaticano rapidamente trovino mille  ragioni per essere moderati e persino conservatori. Così rimasi, più che sorpreso, veramente deluso.

4. Lei come ha ricevuto la punizione del “silenzio rispettoso”?

R. Dopo l’interrogatorio e la lettura della mia difesa scritta che compare come appendice nella nuova edizione di «Chiesa: carisma e potere (Record), 2008» ci sono 15 cardinali che opinano e decidono. Ratzinger è soltanto uno di loro. Dopo sottomettono la decisione al Papa. Credo che fu un voto a favore perché conosceva altri libri miei di teologia, tradotti in tedesco e mi aveva detto che gli erano piaciuti, finché, una volta, davanti al Papa in una udienza a Roma fece un riferimento e li elogiò.

Io ricevetti il “silenzio rispettoso” come un cristiano legato alla Chiesa farebbe: con tutta calma lo accolsi. Ricordo che disse: “È meglio camminare con la Chiesa che  con la mia  teologia, ma da solo”. Per me fu relativamente facile accettare l’imposizione perché la presidenza della CNBB mi aveva sempre appoggiato e due cardinali, Dom Aloysio Lorscheider e Dom Paolo Evaristo Arns mi accompagnarono a Roma e parteciparono, in un scondo tempo, al dialogo con il cardinale Ratzinger e con me. Eravamo tre contro uno. Qualche volta mettemmo cardinale Ratzinger a disagio perché i cardinali brasiliani lo rassicuravano che le critiche contro la teologia della liberazione che lui aveva fatto in un documento uscito recentemente erano l’eco dei detrattori, non un’analisi obiettiva. E chiesero un nuovo documento positivo; raccolse l’idea è realmente lo fece due anni dopo. E persino chiesero a me e al mio fratello teologo  Clodovis, che stava a Roma, che scrivessimo uno schema e lo consegnassimo alla Sacra Congregazione. In un giorno e una notte lo scrivemmo e lo consegnammo.

5. Lei ha lasciato la Chiesa nel 1992. Ha conservato qualche dispiacere di tutto questo affaire in Vaticano?

R. Io non ho mai lasciato la Chiesa. Ho lasciato una funzione dentro ad essa, quella di prete. Ho continuato come teologo e professore di teologia in varie cattedre qui e fuori del paese. Coloro che comprendono la logica di un sistema autoritario e chiuso, che poco si apre al mondo, e non coltiva il dialogo e lo scambio (i sistemi viventi vivono nella misura in cui si aprono e scambiano) sanno che se  qualcuno, come me, non si allinea totalmente a tale sistema, sarà vigilato, controllato ed eventualmente punito. Somiglia al regime di Sicurezza Nazionale che abbiamo conosciuto in America latina sotto i regimi militari, in Brasile, in Argentina, in Cile e in Uruguay. Dentro questa logica l’allora presidente della Congregazione della Dottrina della Fede (ex-Santo Uffizio, ex-Inquisizione), il cardinale J.Ratzinger condannò, obbligò al silenzio, privò della cattedra o trasferì più di 100 teologi. In Brasile siamo stati due: la teologa Ivone Gebara e io. Per intendere la suddetta logica, e lamentela, so che quelli sono condannati, poi fanno quello che fanno, con la maggiore determinazione. Ma come diceva Biagio Pascal: “Mai il male viene fatto così bene come quando si fa con buona volontà”. Solamente che questa buona-volontà non è buona, perché crea vittime. Io non conservo nessuna amarezza e nessun risentimento, anzi ho provato compassione e misericordia per quelli che si muovono dentro questa logica, che a mio modo di vedere dista anni luce  dalla pratica di Gesù. Tra l’altro son cose del secolo passato, già passato. E cerco di evitare di tornare indietro a quel tempo.

6. Lei come valuta il pontificato di Benedetto 16º? Ha saputo governare le crisi interne ed esterne della Chiesa?

R. Benedetto 16º è stato un eminente teologo ma un Papa frustrato. Non aveva il carisma per dirigere, e animare la comunità, come invece l’aveva Giovanni Paolo II. Purtroppo il suo sarà marchiato, in forma  riduttiva, come il papato in cui  proliferavano i pedofili, quando gli omosessuali non erano riconosciuti e le donne erano umiliate come negli Stati Uniti, con la negazione di cittadinanza a una teologia fatta partire dal genere. E anche e in generale, nella storia, come il Papa che ha censurato pesantemente la Teologia della Liberazione, interpretata alla luce dei suoi detrattori, e non alla luce delle pratiche pastorali  liberatrici di vescovi, preti, teologi, religiosi, religiose e laici che avevano fatto una seria opzione per i poveri contro la povertà e a favore della vita e della libertà e per questo motivo giusto e nobile furono incompresi dai loro fratelli nella fede, e molti di loro furono presi, torturati e uccisi dagli organi di sicurezza dello Stato militare. Tra loro c’erano vescovi come Dom Angelelli, in Argentina e Dom Oscar Romero a El Salvador. Dom Helder fu il martire che non ammazzarono. Ma la Chiesa è più grande dei suoi papi ed essa continuerà, tra ombre e luci, a prestare un servizio all’umanità, nel senso di mantenere viva la memoria di Gesù, di offrire una fonte possibile di senso della vita, che va al di là di questa vita.

Oggi sappiamo da Vatileaks che dentro alla curia romana si ingaggia una feroce disputa per il potere, specialmente tra l’attuale segretario di Stato Bertone e l’emerito ex-segretario Sodano. Tutti e due hanno i loro alleati. Bertone, approfittando dei limiti del Papa, ha praticamente messo in piedi un governo parallelo. Gli scandali dei documenti segreti trafugati dalla scrivania del Papa e della Banca vaticana, usata dai miliardari italiani, alcuni mafiosi, per lavare denaro sporco e mandarlo all’estero, hanno scosso molto il Papa. Lui è andato a poco a poco isolandosi sempre di più. La sua rinuncia è dovuta ai limiti dell’età e agli acciacchi, ma aggravata da queste crisi interne che lo hanno indebolito e che lui non ha saputo o potuto stroncare a tempo.

7. Il papa Giovanni XXIII disse che la Chiesa non può diventare un museo, ma deve essere una casa con porte e finestre aperte. Lei pensa che Benedetto 16º non ha tentato ancora una volta di trasformare la Chiesa in qualcosa come un museo?

R. Benedetto XVI è un nostalgico della sintesi medievale. Lui ha reintrodotto il latino nella messa, ha scelto  paramenti e guardaroba su modelli rinascimentali  e di altri periodi del passato, ha mantenuto abiti e cerimonie di palazzo; a quelli a cui dava la comunione, offriva innanzitutto l’anello papale da baciare e dopo dava l’Ostia cosa che non si faceva più da tempo. La sua visione era di tipo restaurativo e nostalgico di una sintesi tra cultura e fede come esiste molto visibile nella sua terra natale, la Baviera, cosa che esplicitamente commentava. Quando nell’università dove lui ha studiato, e io pure, a Monaco, vide un manifesto che annunciava me come professore visitatore per fare lezioni sulle nuove frontiere della teologia della liberazione chiese al rettore che rimandasse sine die l’invito già accettato. I suoi idoli teologici sono Sant’Agostino e San Bonaventura che mantennero sempre una sfiducia su tutto quello che veniva dal mondo, contaminato dal peccato e  bisognoso di essere riscattato dalla Chiesa. È una delle ragioni che spiegano la sua opposizione alla modernità che la vede sotto l’ottica del secolarismo e del relativismo e fuori dal campo dell’influenza del cristianesimo che ha aiutato a formare l’Europa.

8. La Chiesa cambierà, secondo lei, la dottrina sull’uso del preservativo e in generale la morale sessuale?

R. La Chiesa dovrà mantenere le sue convinzioni, alcune che  stima irrinunciabili come la questione dell’aborto e della non manipolazione della vita. Ma dovrebbe rinunciare allo status di esclusività come se fosse l’unica portatrice di verità. E deve intendersi dentro lo spazio democratico, nel quale la sua voce si fa sentire insieme ad altre voci. Così le rispetta e perfino si dispone a imparare da loro. E quando viene sconfitta nei suoi punti di vista, dovrebbe offrire loro la sua esperienza e tradizione per migliorare fin dove possibile e rendere più leggero il peso dell’esistenza. In fondo essa, la sua  voce, ha bisogno di essere più umana, umile per avere più fede, nel senso di non avere paura. Quello che si oppone alla fede non è l’ateismo, ma la paura. La paura paralizza e isola le persone dalle altre persone. La Chiesa ha bisogno di camminare insieme all’umanità perché l’umanità è il vero popolo di Dio. Essa lo mostra più coscientemente ma non se ne appropria con esclusività.

9. Che cosa dovrebbe fare un futuro papa per evitare l’emigrazione di tanti fedeli verso altre chiese, specialmente verso le pentecostali?

R. Benedetto XVI ha frenato il rinnovamento della Chiesa incentivato dal concilio Vaticano Secondo. Lui non accetta che nella Chiesa ci siano rotture. Così ha preferito una visione lineare, rinforzando la tradizione. Ma avviene che la tradizione a partire dal secolo 18º e 19º, si oppose a tutte le conquiste moderne, della democrazia, della libertà religiosa e di altri diritti. Lui ha tentato di ridurre la Chiesa ha una fortezza contro queste modernità. E vedeva nel Vaticano Secondo il cavallo di Troia attraverso il quale i nemici sarebbero potuti entrare. Lui non ha rinnegato il Vaticano II  ma lo ha interpretato alla luce del Vaticano I completamente centrato sulla figura del Papa con un potere monarchico, assolutista e infallibile. Così si è prodotto una grande centralizzazione di tutto a Roma sotto la direzione del Papa che poveraccio, deve dirigere una popolazione cattolica della grandezza della Cina. Tale opzione ha portato grande conflitto nella Chiesa e perfino tra interi episcopati come quello tedesco e francese e ha contaminato l’atmosfera interna della Chiesa con sospetti, creazioni di gruppi, emigrazione di molti cattolici dalla comunità e con accuse di relativismo e di magistero parallelo. In altre parole nella Chiesa non si viveva più la fraternità franca e aperta, un focolare spirituale comune a tutti.

Il profilo del prossimo Papa, nel mio a mio modo di vedere, non dovrebbe essere di un uomo di potere o dell’istituzione. Dove c’è potere non esiste amore e sparisce la misericordia. Dovrebbe essere un pastore, vicino ai fedeli e a tutti gli esseri umani, poco importa la sua situazione morale e etnica e politica. Dovrebbe prendere come motto la frase di Gesù che ho già citato prima: «se qualcuno viene da me, io non lo manderò via», perché accoglieva tutti, da una prostituta come Maddalena fino al teologo come Nicodemo. Non dovrebbe essere un uomo dell’Occidente che ormai è visto come un accidente nella storia. Ma un uomo del vasto mondo globalizzato che sente la passione dei sofferenti e il grido della terra devastata dalla voracità consumista. Non dovrebbe essere un uomo di certezze, ma uno che stimolasse tutti a cercare i migliori sentieri.

Logicamente si rientrerebbe con il Vangelo ma senza lo spirito di far proseliti, con la coscienza che lo spirito arriva sempre prima del missionario e il verbo illumina tutti coloro che vengono a questo mondo, come dice l’evangelista San Giovanni. Dovrebbe  essere un uomo profondamente spirituale e aperto a tutti i sentieri religiosi per mantenere viva tutti insieme la fiamma sacra che esiste in ogni persona: la misteriosa presenza di Dio. E infine un uomo di profonda bontà, sullo stile di papa Giovanni 23º, con tenerezza verso gli umili e con fermezza profetica per denunciare chi promuove l’accentramento e fa della violenza e della guerra strumenti di dominazione degli altri e del mondo.

Che negli accordi stipulati dai cardinali, in conclave e nelle tensioni  delle tendenze, prevalga un nome con un simile profilo. Come agisca lo spirito Santo lì dentro è un mistero. Lui lì non ha nessuna voce e nessun’altra testa che quella dei cardinali. Che lo Spirito non venga loro a mancare.

Traduzione: Romano Baraglia







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