Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

lunedì 17 giugno 2024

MATTEOTTI UNA MOSTRA DA TRAMANDARE





Purtroppo volge al termine la mostra di palazzo Braschi dedicata a Giacomo Matteotti, in occasione del centenario del suo vile assassinio per mano fascista.

E' stata una bellissima finestra spalancata sulla storia di uno dei massimi protagonisti della nostra democrazia e della nostra civiltà italiana, possiamo dire che con la fine Matteotti la nostra stessa identità di italiani, nell'accezione morale, politica e storica del termine, fece un salto nel buio, sprofondando con lui nella tomba.

E sappiamo bene chi si assunse piena responsabilità storica, morale e politica di tale abisso in cui trascinò con la morte di Matteotti, tutta l'Italia.

Fiumi di inchiostro sono stati scritti su questo illustre socialista che, pur essendo nato privilegiato ed avendo scelto di tutelare la vita dei più poveri e svantaggiati, veniva sbeffeggiato dai suoi detrattori, come il “socialmilionario” e la mostra efficacemente ha illustrato con documenti d'epoca, foto giornali, lettere, libri e filmati, la sua vita. Dall'infanzia in Polesine alla sua fine tragica, percorrendo le sale dedicate alla sua memoria, si ha l'impressione di esser presi per mano proprio da lui in un percorso, ben illustrato dalle didascalie che accompagnano il visitatore fino al calvario finale, consegnandoci un monito. Quello di restare fedeli a quell'idea immortale di libertà e giustizia sociale a cui egli sacrificò la sua vita e che rappresenta tuttora la sua resurrezione.

In particolare, emerge dai documenti raccolti con grande perizia dallo storico Canali, sempre con maggiore evidenza, la tesi per cui Matteotti fu ucciso più per quello che avrebbe detto di lì a poco in Parlamento, che per il suo famoso discorso del 30 Maggio.

Soprattutto la mostra è fondamentale per la minuzia di particolari dedicati agli ultimi anni della sua vita che coincidono con la fine dello Stato liberale e l'avvento di quello dittatoriale, comprendiamo così, attraverso i discorsi, le lettere e le testimonianze su questa lotta titanica del parlamentare socialista, come egli fosse il nemico numero uno del regime, l'unico capo carismatico di una opposizione purtroppo sempre più fiacca e l'unico capace di scuoterlo davvero sin dalle sue fondamenta.

Appare nella mostra molto bene l'intreccio di trame affaristiche legate a tangenti pagate ai rappresentanti del regime nascente più vicini a Mussolini che contribuirono a finanziarne e a consolidarne l'ascesa.

Ancor più evidente, risalta l'impunità dei suoi sicari con le foto che li ritraggono in prigione come se fossero in una suite d'albergo, nutriti con i migliori vini e le migliori pietanze, ci viene incontro lo stesso memoriale di Dumini, il capo dei sicari di Matteotti, il quale ammette chiaramente la trama affaristica e gli straripanti interessi economici che, ben oltre i confini italiani, coinvolgevano società petrolifere d'oltreoceano, disposte a pagare e a cedere quote azionarie rilevanti ad altissimi personaggi della gerarchia di potere italiana, pur di mantenere il loro regime di monopolio

E ci vengono in mente altri morti illustri, su scenari simili più vicini a noi, Mattei che cercava di restituire dignità al nostro Paese, con contratti concorrenziali rispetto ad altre multinazionali del petrolio, Falcone che indagava su come la mafia andasse a riciclare denaro ben oltre i confini della Sicilia, Borsellino che stava focalizzando le losche collusioni tra apparati deviati dello Stato e i malavitosi. Trame purtroppo ricorrenti in un Paese dalla democrazia ancora fragile, in cui vanno esaurendosi le generazioni che l'hanno creata e in cui purtroppo stenta a consolidarsi la loro eredità.

In Italia non si dovrebbe più evocare il fascismo se non per ragioni storiche, invece ci sono fenomeni ben concreti e reali che purtroppo ci rinverdiscono la memoria sullo squadrismo e su certi metodi fascisti.

E ci chiediamo quindo a che serve dichiarare nella commemorazione di Matteotti che fu ucciso dallo “squadrismo fascista” se poi si ammutolisce di fronte a quello stesso squadrismo che viene praticato impunemente in Parlamento, sotto gli occhi dell'opinione pubblica nazionale ed internazionale, con aggressioni da ultrà da stadio e solo per avere sventolato una bandiera italiana.

In un Paese dove si viene identificati dalla Polizia solo per aver gridato: “viva l'Italia antifascista”, in cui intellettuali che criticano aspramente personaggi di governo vengono portati in tribunale, in cui gli organi pubblici di informazione sono sempre più inariditi di pluralismo fino ad impedire ad uno scrittore di recitare un monologo antifascista, in cui la Storia si studia sempre meno e quella cruciale viene relegata al margine dei programmi ministeriali, bisogna seriamente riflettere anche su ciò che Umberto Eco ebbe a dichiarare già dall'aprile del 1995, quando parlò di Ur fascismo, cioè di un fenomeno che va ben al di là del suo momento storico ventennale di affermazione in Italia.

Egli infatti allora ebbe a dire: Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo” spiega Eco “dicendo: voglio che le camice nere sfilino di nuovo nelle piazze italiane. La vita non è così semplice. L’Ur-fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme, ogni giorno, in ogni parte del mondo”.

Ebbene la mostra su Matteotti ha contribuito proprio a questo scopo nobile e imprescindibile, quello di dover smascherare tutte le nuove forme in cui il potere prova ad affermarsi ribadendo la sua impunità, e non facendo un passo indietro nemmeno quando la corruzione lo mette sotto accusa.

Proprio per questo bisogna reclamare a gran voce che questa mostra, in un apposito luogo della memoria o istituzionale, che sia via Tasso o altri non importa, divenga permanente, che sia a disposizione dei cittadini di oggi e del futuro, specialmente di quelli che si formano nelle scuole, affinché crescano con una limpida coscienza democratica, l'unica capace di renderli forti e mai succubi del potere, l'unica capace di far loro comprendere che l'unico potere valido è quello esercitato dalla sovrana volontà popolare

Come ha anche ricordato il Ministro Tajani, in occasione della celebrazione del centenario presso il monumento sul Lungotevere a Roma, la libertà trae fondamento dalla forza delle idee, non da quella della brutalità dell'aggressione fisica, verbale o armata

Di Matteotti ci ricorderemo anche nei secoli futuri e da lui potremo trarre esempio per i cittadini che devono ancora nascere, o per quelli che emigrano nel nostro Paese e si integrano nella nostra democrazia, dei suoi assassini, si ricorderanno solo gli storici, per consegnare al futuro anche lontano la sentenza della loro condanna

Non lasciamo dunque che i riflettori si spengano su questa bella mostra, ma facciamone un serio monito per il futuro, un pilastro per la nostra democrazia.

Carlo Felici

martedì 4 giugno 2024

BUOZZI, IL SOCIALISTA "DIMENTICATO"



E' uno strano segno del destino che il regime fascista si apra con il sacrificio di un socialista come Matteotti, e che si chiuda, venti anni dopo, con il sacrificio di un altro grande socialista come Bruno Buozzi, entrambi socialisti riformisti, entrambi impegnati per emancipare i lavoratori, entrambi in lotta fino alla morte per la libertà e per la giustizia sociale in Italia.

Entrambi rimossi da una politica attuale che sembra dare più risalto a guitti e caciaroni/e, piuttosto che a figure che hanno contribuito a forgiare l'ossatura della nostra Repubblica.

Buozzi, come Turati e Matteotti, apparteneva a quel partito che invano cercò una soluzione parlamentare alla crisi determinata dall'avvanto del fascismo e in particolare, dal delitto Matteotti, aderì alla secessione aventiniana, dopo avere strenuamente contrastato il tentativo fascista di portarlo a collaborare con il regime, esattamente come aveva fatto anche De Ambris che era su posizioni più rivoluzionarie.

Fu costretto per questo all'esilio in Francia, contribuendo validamente ad organizzare le forze antifasciste in esilio e a raccogliere preziose risorse necessarie per combattere in Spagna l'avanzata dei fascisti di Franco, fu lui che assistette l'anziano leader socialista Turati in Francia, fino alla sua morte. Fu poi arrestato, durante l'occupazione tedesca, prima trasferito in Germania poi in Italia.

Fu poi cndannato al confino in Italia a Montefalco, e liberato nel 1943 alla fine di luglio.

Su di lui Di Vittorio scrisse: “fu anche il tipo più compiuto e più vero dell’autodidatta. Pur continuando a lavorare nel suo mestiere di operaio metallurgico, altamente specializzato, s’era formata una vasta cultura, ch’Egli mise, come tutto se stesso, al servizio del proletariato, alla cui causa consacrò e donò la sua vita. Si poteva consentire o dissentire su alcune vedute particolari di Bruno Buozzi - come è capitato al sottoscritto -, ma ci si sentiva sempre legati a Lui da un profondo rispetto e da un grande affetto. Chi scrive - aggiunge Di Vittorio - ha potuto seguire l’opera di Buozzi in Italia ed in esilio ed ammirarne la continuità, anche quando questa opera costava non lievi sacrifici. Io mi legai d’una particolare amicizia personale con Lui, sin dal 1934, da quando fummo per lunghi anni entrambi componenti il Comitato d’unità di azione socialista e comunista, poi nel grande movimento popolare antifascista creato su basi unitarie nell’emigrazione italiana all’estero. Mi sia consentito di affermare che in quella nostra attività comune sorsero i primi germi di quella più vasta unità sindacale realizzata in seguito e di cui Buozzi fu uno degli artefici principali (...)Insieme, ancora, fummo tradotti ammanettati in Italia, attraverso la Germania, passando di carcere in carcere. Ci ritrovammo ancora assieme a Roma, dopo il 26 luglio e durante il periodo dell’occupazione tedesca, nel corso del quale, in riunioni clandestine, furono gettate le basi della nostra odierna unità sindacale, onore e vanto dei lavoratori italiani, che fu principalmente opera di Bruno Buozzi”. 

Buozzi fu arrestato dai fascisti il 13 aprile 1944 e condotto a via Tasso, i tedeschi lo inserirono in una lista di prigionieri destinati ad essere evacuati da Roma quando gli alleati erano alle porte della capitale, forse con lo scopo di avere degli ostaggi per poter meglio ritirarsi verso nord.

La sera del 3 giugno, Priebke diede l'ordine di trasferimento e Buozzi fu caricato su un camion, diretto verso la Cassia, la mattina successiva, assieme ad altri 13 prigionieri, tra i quali un agente segreto britannico. Non si sa bene per quali circostanze, forse un guasto, forse per le proteste dei tedeschi appiedati, ma il camion si fermò poco dopo il 14° chilometro della Cassia, prima della Storta in località che oggi si chiama Giustiniana, i prigionieri, vennero fatti scendere e con ogni probabilità, sempre per ordine di Priebke, (che almeno siamo riusciti ad assicurare alla giustizia in Italia dopo la sua fuga in Sudamerica) vennero barbaramente giustiziati.

Sono trascorsi 80 anni da quel sacrificio e il luogo del martirio andrebbe sottratto al degrado e meriterebbe ben altra cura e pellegrinaggi continui da parte delle scuole.

Buozzi oltre ad essere stato uno strenuo oppositore del fascismo, in esilio non smise mai di nutrire una grande speranza per il futuro dell'Italia e, proprio nel 1930, quando Mussolini sembrava godere di grande popolarità, lui che avrebbe avuto tutto da guadagnare, in termini personali a rispondere positivamente agli appelli del duce, così scrisse: “L’esperienza fascista, soprattutto in campo operaio, è ingiustizia atroce, un passo all’indietro, la perdita di anni preziosi. Ma nel popolo italiano, sobrio e lavoratore, tenace e paziente, si registra una forza vitale così meravigliosa, una energia così sincera e così sicura che i lavoratori d’Italia, quando si saranno liberati dal fascismo, sapranno recuperare in fretta gli anni perduti. E di questa parentesi umiliante nella sua violenza e nella sua brutalità gli italiani avranno allora avuto un solo beneficio: la ferma convinzione che la libertà è una condizione necessaria per qualsiasi elevazione delle masse, e che in questo consiste il bene supremo; un bene, però, da conquistare e difendere ogni giorno”

Buozzi chiuse, con il suo sacrificio quella parentesi, non sappiamo cosa pensò prima di morire proprio lo stesso giorno della liberazione di Roma, ma siamo convinti che nel suo cuore c'era l'anelito, la speranza e la fede in una Italia migliore, quella in cui noi tuttora dobbiamo lottare per renderla più dignitosa

Buozzi si adoperò stenuamente per ricomporre quelle fratture della sinistra che erano state la principale causa dell'avvento del fascismo e del suo violento strapotere parlamentare. La sua figura ed il suo esempio andrebbero sempre messi al primo posto, con Matteotti e Carlo Rosselli, entrambi vittime della violenza nazifascista, per costruire uno schieramento coeso e determinato a rinnovare l'Italia grazie ad una unità di intenti e di azione che raccolga larghi consensi proprio in virtù della realizzazione di obiettivi cari al popolo: piena occupazione, sanità garantita per tutti senza costi esorbitanti, scuola pubblica efficiente e competitiva, beni comuni come l'acqua non privatizzati, lavoro per i giovani con salari dignitosi e senza condanne alla precarietà endemica, sussidi per le madri lavoratrici, pensioni adeguate soprattutto per chi è disabile o invalido, impegno sindacale unitario per i lavoratori, senza sconti a governi “amici”, tutela dell'ambiente senza mire speculative che debordino in più spese e tasse per i cittadini, soprattutto tutela della vita dei lavoratori nei loro luoghi di lavoro, fino a far cessare le loro morti bianche. Perché un Paese in cui muoiono otre mille lavoratori in un anno è un Paese che bestemmia la memoria di Matteotti e Buozzi, anche con le sue belle celebrazioni parlamentari.

Questa la differenza tra una sinistra impegnata e credibile e una impegnata solo a raccogliere consensi clientelari per le sue candidature, magari nel salotti “bene”, citando solo Berlinguer e Moro, anziché nelle piazze e nei luoghi di lavoro messi a rischio.

In poche parole una sinistra che sappia anche fare a meno della parola “sinistra” fin troppo abusata e fin troppo poco credibile ormai, per essere sempre ed autenticamente, come Matteotti, Buozzi e Rosselli, SOCIALISTA.

Carlo Felici

 

lunedì 3 giugno 2024

MATTEOTTI IL SOCIALISTA “SCONOSCIUTO”


Di Matteotti si parla molto in questo periodo a causa del centenario della sua morte, in particolare per le circostanze in cui avvenne e per gli sgherri fascisti che lo assassinarono.

Persino la Presidente del Consiglio ha finalmente rimarcato che fu “vittima dello squadrismo fascista”, e che “La lezione di Matteotti, oggi più che mai, ci ricorda che la nostra democrazia è tale se si fonda sul rispetto dell’altro, sul confronto, sulla libertà, non sulla violenza”

La lezione di Matteotti andrebbe oggi rinnovata ogni anno nelle scuole, affinché esse stesse la assimilino civilmente e rinnovino la memoria di questo grande Maestro, vorrei pertanto ricordarla in questo mio intervento di qualche anno fa in veste di docente: 

 https://vimeo.com/30241828

“Matteotti fu un grande testimone della democrazia e dell'antifascismo e soprattutto del socialismo, la sua lotta fu dovuta ad uno strenuo impegno contro un regime ed una dittatura che conquistò il potere, sostenuta da un gruppo affaristico corrotto e proteso al mantenimento dei suoi privilegi.

Il regime fascista impedì per circa venti anni che si parlasse anche solo di sfuggita di un uomo la cui morte commosse l'Italia e fece vacillare la nascente dittatura. Prima della sua morte tentarono pure vanamente di attirarlo in un tranello, solo di notte, in campagna, ma non riuscirono a piegarne la volontà indomita. Tuttora gli storici discutono su quali fossero stati i veri mandanti del suo assassinio, ma è ormai chiaro che esso fu dovuto non solo al suo strenuo antifascismo, ma soprattutto alla sua capacità di smascherare una perversa collusione tra potere e corruzione.

Scrisse con molta chiarezza Carlo Silvestri: “L'uccisione di Matteotti è stato uno dei tanti delitti di quel capitalismo deteriore e carinamente speculatore a cui in gran parte dobbiamo se l'Italia si trova in queste miserabili condizioni”

E' stato il primo martire della nostra democrazia ma purtroppo non l'ultimo, perché sappiamo bene come la nostra storia sia stata cosparsa ancora fino ad oggi di cadaveri eccellenti, ricordiamo tra i tanti quelli di Falcone, Borsellino, anche se centinaia sono state le vittime tra poliziotti, carabinieri, imprenditori, sindacalisti, giornalisti, attivisti politici per aver contrastato quei poteri criminali che hanno sempre minacciato la nostra democrazia con ingenti risorse economiche frutto di traffici illeciti.

In un libro molto interessante: “Il delitto Matteotti” Mauro Canali spiega bene questa trama criminale ed affaristica che irretì e manovrò il regime e spinse i suoi sicari ad uccidere Giacomo Matteotti. Egli fu quindi assassinato non solo per ciò che aveva denunciato, ma soprattutto per quello che stava per denunciare, con coraggio onestà e trasparenza e con piena documentazione.

Un coraggio democratico e civile che nessuno spazio lasciava a fatui sogni insurrezionali o rivoluzionari, perché Matteotti, come tanti altri martiri illustri della nostra storia recente, credeva nelle istituzioni e solo da esse si augurava potesse giungere una autentica svolta democratica.

Matteotti credeva nella scuola e tra le tante cose che si potrebbero dire su di lui, e su questo in particolare ci potremmo soffermare, considerando che nel suo libro “Un anno di di dominazione fascista” il quale, circolando all'estero screditava molto il regime, sulle subdole trame che portavano allora il governo fascista a tagliare preziose risorse alla scuola pubblica, affermò in particolare egli stesso: “La scuola media viene trasformata con lo scopo di allontanarne il maggior numero di scolari e di regalarli alle scuole private anche se queste non esistono o sono peggiori di quelle pubbliche”

Matteotti come amministratore locale e come parlamentare si impegnò molto per la scuola, soprattutto di base, considerandola uno strumento fondamentale di emancipazione civile, l'unico modo per fornire a tutti le stesse pari opportunità, con cui ciascuno mediante i suoi meriti, avrebbe potuto poi non solo progredire individualmente, ma anche contribuire validamente al progresso umano.

Si impegnò da deputato affinché giungessero maggiori finanziamenti alla Pubblica Istruzione, in particolare per l'edilizia scolastica, per le biblioteche popolari, ed i corsi serali per gli adulti. Criticò aspramente sia gli insegnanti meno scrupolosi sia un ministro della Pubblica Istruzione del calibro di Benedetto Croce, dicendogli senza remore in Parlamento: “Voi state speculando filosoficamente sulle nuvole, qui non si viene con i libri di estetica, ma con dei programmi pratici e questi si ha il dovere di assolvere”

Matteotti non credeva nell'odio di classe, come quei rivoluzionari che vogliono sovvertire le istituzioni con la violenza, lui teorizzò una insurrezione solo per non far passare una folle violenza estesa a tutto il mondo, per impedire l'inutile strage della guerra mondiale

Però credeva nella coscienza di classe, e la considerava lo strumento essenziale per l'emancipazione civile, per l'affermazione della giustizia contro lo sfruttamento e la povertà. Queste le sue parole rivolte alla scuola: “Ma il primo elemento necessario per una migliore produzione è senza dubbio la scuola, la cultura del popolo, cioè non quella istruzione che serve a pochi per spostarli dal lavoro produttivo, o per farne degli sfruttatori del lavoro altrui, ma quella diffusa in tutta la massa, per farla diventare tutta capace di una più intensa e migliore produzione nella grande gara tra i paesi più civili del mondo. Riaffermiamo e rivendichiamo tutto il nostro interesse alla istruzione e all'educazione dei lavoratori, strumento primo e validissimo della loro emancipazione, condizione prima del lampeggiare della loro coscienza di classe, requisito e mezzo indispensabile per dare vita durevole alle loro organizzazioni, alla loro convivenza e per offrire ai dubitosi e agli avversi la prova della possibilità di un mondo più consapevolmente umano e civile. L'istruzione e l'elevazione morale dei lavoratori è il primo e lultimo anello della catena dei nostri principi e dei nostri atti”


E' stato recentemente destinato un seggio permanente alla memoria di Matteotti, in Parlamento, che egli occupò un tempo e che non sarà mai più occupato da nessuno, ma che resterà riservato alla presenza spirituale di questo grandissimo Padre della Patria democratica ed antifascista, per sempre. Opera lodevolissima, però credo fosse doveroso aggiungere al suo nome la dicitura “socialista”

Perché se è vero che la memoria di un uomo che ha lottato fino alla morte per la democrazia e la trasparenza, appartiene a tutta la cittadinanza italiana, fino a costituirne la stessa ossatura e il suo DNA, è anche sacrosanto ricordare a tutti che i valori di Matteotti erano valori specificatamente “socialisti”, di libertà e giustizia sociale i quali hanno segnato la storia migliore della nostra civiltà europea

Sono quei valori che pare che questo governo sia impegnato strenuamente, mediante la sua democratica guida, a mandare all'opposizione in Europa

Invece vanno migliorati, vanno applicati, vanno scrupolosamente aggiornati, nella loro funzione emancipatrice, nella loro forza di pace e di giustizia sociale, per una libertà che sia ampia e condivisa da tutti, senza guerre, oppressioni e speculazioni.

Bisogna amaramente riconoscere che, a cento anni dal sacrificio di Matteotti che era socialista riformista e progressista, cioè rimasto a combattere democraticamente, nella sua opposizione al regime fascista nascente, praticamente da solo la sua battaglia parlamentare, consapevole per altro che il suo strenuo impegno gli sarebbe fruttato solo una “orazione funebre”, ebbene dopo tutto questo tempo, la stessa memoria del Socialismo Italiano, che tanto ha dato all'Italia in termini di civiltà e amor di una Patria libera e giusta sin dai tempi di Garibaldi, rischia di essere cancellata

Questo per i mali di sempre che lo hanno devastato ed afflitto: le scissioni e diatribe interne, gli sterili massimalismi, la rincorsa ai patti di potere (primo tra tutti lo sciagurato “patto di pacificazione con lo stesso fascismo nel 1921), la paura di mostrarsi per quelli che si è, da sempre e per sempre, senza altre liste e legittimazioni, ma in piena autonomia, in definitiva la difficoltà a rivendicare e a rimarcare una identità che è quella dei socialisti da sempre e che è stata di Matteotti in quanto deputato socialista.

Inutile quindi cercare colpe di tutto ciò in altri perché non rinnovano questa memoria e non rimarcano questa identità, se gli stessi socialisti italiani non sono impegnati abbastanza a fare la differenza, e se tuttora hanno bisogno di “trenini elettorali” o di qualcuno che li sostenga nelle sue liste.

Matteotti era in un partito socialista minoritario, che ebbe alle elezioni del 1924 poco più del 5%, eppure era di fatto il capo dell'opposizione al fascismo, perché nessuno allora ebbe più coraggio di lui, e fu più meticoloso nello smascherare le trame con cui Mussolini il trasformista cercava di consolidare il potere

E' questo che manca oggi al Socialismo Italiano ed Europeo, il coraggio e la trasparenza di essere autenticamente dalla parte della libertà e della giustizia sociale, di impegnarsi per la pace in ogni modo e in ogni teatro bellico del mondo. E aggiungo gli manca anche la competenza che fu il pregio più temuto di Matteotti che non disse mai a Mussolini: “Voi non siete democratico” come certi socialisti in Europa fanno nei confronti dei conservatori. Matteotti aveva la capacità di trovare documenti che avvaloravano fatti innegabili con i quali si smascherava il tentativo dei fascisti di autolegittimarsi legalmente e democraticamente, mentre essi operavano per il contrario della democrazia. Perché questo era il vero intento di Mussolini fino che non fu costretto a gettare la maschera nel gennaio del 1925, assumendosi la “responsabilità storica, politica e morale” di quel delitto e instaurando una dittatura che prevedeva anche di scaricare periodicamente letame sul luogo del suo assassinio e di non pronunciare mai il suo nome.

Se l'IDEA a cui Matteotti sacrificò la sua vita diventa solo “memoria e celebrazione”, il suo sacrificio sarà sempre stato vano ed egli davvero sarà stato un illustre “pellegrino del nulla” nella storia, se invece quella stessa IDEA torna a camminare sulle gambe dei cittadini, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, di aggregazione sociale, di impegno civile, di mobilitazione per la pace e la giustizia tra i popoli, anche sfidando le manganellate, e soprattutto in Parlamento, con la sua identità di sempre e con la coerenza necessaria richiesta dalla sua storia, allora Matteotti sarà ancora vivo e lotterà in mezzo a noi

Carlo Felici