Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

giovedì 5 maggio 2022

Né carne né pesce

 






                                                     di Carlo Felici


Sono passati 60 anni dalla riforma della scuola che introdusse la scuola media unica per tutti, cioè un ciclo di studi che consentisse di eliminare le discriminazioni tra chi veniva avviato ad una scuola professionale e ad un lavoro in gran parte allora manuale fin dalla tenera età di 11 anni, e chi invece poteva avere il privilegio e i mezzi per proseguire i suoi studi fino all'università e ai livelli più alti di formazione ed istruzione.

Da allora molte cose sono cambiate e anche la scuola media, che in realtà già durante gli anni del regime fascista era in progetto di essere trasformata, con intento unitario e formativo, ma la riforma Bottai non fece in tempo ad essere varata a causa della guerra e della caduta del regime. Concretamente anche quella riforma non era esente da discriminazioni e divisioni essendo il suo percorso triennale diviso in tre indirizzi: la scuola artigianale, concepita per un ceto rurale che allora era la maggioranza del paese, la scuola professionale, più approfondita della prima, rivolta a chi volesse poi proseguire con studi specificatamente tecnici, e infine la scuola media unica, destinata a chi si sarebbe poi iscritto ai licei e all'università, come poi è accaduto con la riforma di 60 anni fa, posticipando ad essa gli eventuali percorsi artigianali e professionali.

In realtà, quella riforma aveva già un certo margine di flessibilità interna, dato che inizialmente prevedeva che tutti studiassero anche il latino, ma prima di giungere all'esame che era stabilito anche per la lingua latina, scegliessero se sostenerlo, con possibilità di accesso ai licei, oppure, durante l'ultimo anno, frequentare al suo posto un corso di Educazione Tecnica, basato più su attività pratiche che teoriche. La prima scuola media unica prevedeva anche esami di riparazione nel corso di tutti e tre gli anni di studi nelle varie singole materie e la impossibilità di essere promossi con più di tre materie da “riparare”.

In buona sostanza si cercava, con questo percorso, di favorire la crescita e la maturazione degli alunni in un età puberale particolarmente delicata per lo sviluppo fisico e psicologico di ciascuno, senza predeterminare uno sbocco a scapito della consapevolezza da parte di ciascuno studente di potersi orientare in base alle sue attitudini per il futuro.

Da allora è passato molto tempo e anche la scuola media di quel tempo ha subito moltissime riforme, sia negli assetti curricolari sia nei sistemi di valutazione che nelle modalità di formazione ed integrazione degli alunni. Sono stati prima introdotti i giudizi al posto dei voti, poi di nuovo i voti al posto dei giudizi (della serie abbiamo cambiato tutto per non cambiare niente), si è stabilito un percorso curricolare unitario, ma programmando le attività didattiche in base alle specifiche realtà e ai bisogni formativi di ciascuna classe, più che secondo i programmi ministeriali, sono stati aboliti il latino e gli esami riparazione. Soprattutto si è cercato di integrare in ciascuna classe le varie specificità degli alunni diversamente abili, di quelli con bisogni educativi speciali e con ritardi nella formazione, con l'intento di creare soprattutto un gruppo classe coeso, privo di discriminazioni interne in cui fosse messa in primo piano la formazione del futuro cittadino e la sua capacità di orientarsi nel contesto civile in cui si trova, con la consapevolezza dei suoi orientamenti culturali da approfondire nel percorso di studi superiori.

Evidentemente, con tale percorso si è voluto dare risalto più all'aspetto formativo che a quello eminentemente didattico-curricolare, rendendo le materie stesse uno strumento di crescita e maturazione umana e culturale, nella consapevolezza che argomenti analoghi sarebbero stati di nuovo affrontati e approfonditi nel ciclo degli studi superiori.

Tale assetto ha funzionato non alla perfezione ma nei suoi obiettivi generali, fino alla fine del secolo scorso. Circa venti anni fa, infatti, più per esigenze di bilancio che formative, è iniziata una serie di riforme che, in particolare, si sono accanite su questo delicatissimo ciclo di studi, con l'unico obiettivo di scardinarlo definitivamente. Non sono riuscite ad eliminarlo soprattutto per le fortissime resistenze del personale scolastico e dell'opinione pubblica, ma lo hanno fortemente indebolito, e la voglia di annientarlo non è mai finita..

Dagli anni in cui il ministro Berlinguer pensò di eliminare un anno di scuola media, accorpando medie ed elementari, alla ministra Gelmini che ridusse orari curricolari soprattutto di materie umanistiche, passando per la costruzione di Istituti Comprensivi, in certi casi anche enormi che comportano la direzione e l'amministrazione estremamente complesse di scuole medie insieme a scuole elementari, fino alla costruzione spesso artificiosa di figure burocratiche di supporto alla gestione di tali istituti, il percorso è stato molto tortuoso. E soprattutto ha progressivamente trasformato il docente, che ha come compito principale quello di formarsi e di formare i suoi alunni in sinergia con i suoi colleghi, in un piccolo burocrate che ansima tra una relazione, un monitoraggio e la compilazione di relazioni, per giunta ormai del tutto informatizzate, perché i registri non sono più agende con cui compilare per rendersi conto del proprio percorso educativo, in itinere, ma semplici moduli elettronici che, una volta redatti, non si modificano più, sotto gli occhi sempre più implacabili e invasivi di genitori pronti a ricorrere a vie legali pur di affermare i sacrosanti diritti dei loro marmocchi anche quando non brillano di grande dedizione allo studio e in partecipazione. Ma tanto il luogo comune dell'insegnante con poche ore a settimana, pochi giorni al mese e pochi mesi l'anno di lavoro è ancora duro a morire. Basta che muoia la cultura e si affermi lo smartphon, ultimo ritrovato della caverna platonica nel palmo della mano

Non c'è bisogno di scomodare Severino per rendersi conto che una professione, purtroppo sempre mortificata, in particolare in Italia, da stipendi inferiori a quelli di altre categorie analoghe in Europa e nel mondo, e che richiede giustamente un alto margine di autonomia e di “libera docenza” (come sancisce pure la nostra Costituzione) è stata ridotta a “funzione di un apparato tecnico”, in cui l'insegnante corrisponde più ad un “ingranaggio” che ha come obiettivo principale quello di integrarsi con l'apparato stesso, piuttosto che quello di contribuire alla crescita di esseri umani in formazione.

Il trionfo di questa reductio ad unum apparatum, che confligge nettamente con la presunta autonomia di ciascun istituto scolastico e con ogni intento umanistico, è il monitoraggio e la selezione in base al quiz, glorificazione definitiva del tecnicismo mediatico come promozione dell'individuo e dell'individualismo

Sono stati introdotti ed imposti dei sistemi di monitoraggio gestiti da un istituto sostanzialmente estraneo alla scuola chiamato INVALSI, straordinario nomen omen per chi ha ritenuto di affermarsi senza critiche né confronto con il mondo della scuola, che inizialmente hanno avuto persino la pretesa di influire sulla valutazione didattica dell'alunno, anziché ridursi al monitoraggio delle sue competenze. Esso però ignora del tutto cosa sia la storia, l'arte, la musica, la filosofia, persino la scienza in un paese in cui ci stanno i tre quarti del patrimonio artistico e culturale del mondo.

Come se non bastasse, anche i docenti vengono selezionati in base a sistemi di reclutamento degni di un concorso a quiz televisivo, con domande spesso ambigue che però richiedono, non capacità di analisi e critica, ma una unica risposta secca, come se il docente non dovesse essere abilitato alla complessità e specificità dell'insegnamento, ma gli si dovesse dare la patente di guida, nel percorso  sempre più accidentato della sua classe.

Dopo ben 60 anni di furore riformista che ha portato solo confusione, disorientamento, depressione e sfiducia tra coloro che svolgono una delle più importanti professioni per la stessa stabilità degli ordinamenti sociali e istituzionali, un esponente di destra e uno di sinistra sono finalmente d'accordo e pronunciano la stessa frase. Salvini e Bianchi ritengono che la scuola media, anello non più debole, si badi, ma più delicato dell'intero ciclo di studi, “non è né carne né pesce”

Verrebbe da chiederci con quali competenze pedagogiche, culturali, psicologiche o docimologiche affermino ciò, dato che tale considerazione si addice più a chi ne ha da macellaio o da pescivendolo. Ma tant'è, non nel regno kantiano “dei fini” ma in quello di “lascia o raddoppia”, in cui anche la carriera di un docente viene a delinearsi in base alle risposte ai quiz date al termine dei corsi di formazione, anche con un ministro selezionato in base alla domanda: “cosa dovrebbe essere la scuola media, più carne o più pesce?” si rischia il silenzio o peggio che risponda: “un salame”, evidentemente dando più un' immagine di quello che è chi risponde, rispetto a quello che vorrebbe che fosse l'oggetto delle sue attenzioni.

In una società di bottegai anche ad alto livello in cui la competenza e la crescita si misurano in base al potere e al profitto, la scuola rischia di essere una “società di alieni” perché ci si lavora solo per amore degli esseri umani, delle loro opere migliori e della natura, una attitudine che, specialmente con il rigurgito delle guerre e con le devastazioni ambientali in corso, appare quasi folle e maniacale.

Un proverbio orientale dice che “Il Maestro apre la porta, ma tu devi entrare da solo” Un po' difficile in un contesto in cui le porte vengono continuamente sbattute in faccia ai Maestri.

Eppure solo l'opera di grandi Maestri può ancora salvarci dal suicidio della nostra specie e in particolare da noi stessi.

Carlo Felici

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