di Carlo Felici
Il 31 Agosto del 12, nasceva Gaio Cesare
Germanico, figlio di Agrippina Maggiore, a sua volta figlia di
Giulia, che era figlia di Augusto. Egli discendeva dunque
direttamente dal primo grande imperatore di Roma, che regnò anche su di lui per soli due
anni durante la sua primissima infanzia.
Fu un personaggio tra i più diffamati nel corso della storia, ma,
a ben vedere, la ragione c'è: ed è quella che egli, anche se in
poco tempo, seppe inaugurare una forma di nuovo assolutismo
democratico, che probabilmente corrispondeva maggiormente a quello
che avrebbero voluto fare e che avrebbero messo in atto Cesare e Marco Antonio
se entrambi non fossero stati stati tolti di mezzo rispettivamente dagli
scherani senatori e dal rivale Augusto, il quale regnò più come un
garante che come un sovrano dotato di pieni poteri, e per altro,
sempre con un certo altezzoso distacco dal popolo di Roma.
L'assolutismo democratico non deve essere confuso con la tirannide
né con il dispotismo illuminato, retaggio di altre epoche e che, in
ogni caso, restano profondamente differenti per la loro vocazione
autarchica ed autoreferenziale.
L'assolutismo democratico, infatti, non poteva attuarsi senza il
consenso di quella che era la stragrande maggioranza del popolo di
Roma: la plebe e l'esercito, prova ne è il fatto che ogni qual volta
il consenso di una di queste componenti fondamentali veniva meno, con esso
rotolava nella polvere anche la vita dell'imperatore che lo aveva
incarnato, fino almeno a che esso non fu talmente consolidato, che si
tramandò per “adozione”, scegliendo cioè, in fase preventiva,
il migliore dei successori, nel periodo che caratterizzò l'età d'oro
degli imperatori Antonini.
Fatto sta che il Senato e i suoi componenti ne furono tanto
consapevoli da voler dipingere colui che inaugurò questa
sciaguratissima (per loro) epoca, nel peggiore dei modi: come un
pazzo sanguinario degno della damnatio memoriae e dei peggiori
insulti che uno storico, (che sebbene provenisse da ambito equestre, faceva molto bene il suo mestiere), possa mai avere attribuito ad un personaggio
di cui narrare la vita. Uno storico non a caso caduto in disgrazia alla corte di Adriano, uno dei successori della politica inaugurata da Caligola.
In questo breve intervento ci interessa capire solo come è
avvenuta tale mistificazione, perché un personaggio come Caligola
sia ancora molto attuale, e infine se tale assolutismo democratico
possa presentarsi di nuovo oggi sotto altre forme (la più comune è
detta populista).
Cominciamo dalla prima questione: Caligola fu saggio o pazzo
criminale? Si potrebbe rispondere immediatamente che entrambe le due
cose possono benissimo coincidere e che fu proprio lo stesso Platone
nel Fedro a definire la follia come la forma suprema della saggezza,
ma a noi, in questo caso, interessa capire più che altro se ciò che
si dice tuttora comunemente di Caligola è vero oppure no.
Ci sono ormai vari storici che mettono seriamente in dubbio
l'attendibilità delle fonti senatorie fortemente denigratorie verso
Caligola: basti citare Willrich, Gelzer, Baldson, Barret e
Winterling.
Ma, a ben guardare, la vera cifra sulla denigrazione millantatoria operata nei confronti di Caligola, ce la dà proprio uno storico latino: Tacito, il quale dice a chiare lettere: "La storia di Tiberio, di Gaio (Caligola) e di Nerone fu falsificata per paura, finché essi furono in auge, mentre, dopo la loro fine, fu composta sotto l'influsso di ancor freschi motivi di risentimento" (Tac. ann. 1,1,2)
Ma, a ben guardare, la vera cifra sulla denigrazione millantatoria operata nei confronti di Caligola, ce la dà proprio uno storico latino: Tacito, il quale dice a chiare lettere: "La storia di Tiberio, di Gaio (Caligola) e di Nerone fu falsificata per paura, finché essi furono in auge, mentre, dopo la loro fine, fu composta sotto l'influsso di ancor freschi motivi di risentimento" (Tac. ann. 1,1,2)
Certo è un fatto: tutte le fonti che ci sono pervenute sono di
ambito senatorio e il Senato di Roma, tra gli altri poteri, aveva
anche quello di far bruciare ciò che si ritenesse, da parte sua,
scomodo o sconveniente. Da questo punto di vista, possiamo
serenamente concludere che la letteratura latina è frutto di un
sistema culturalmente totalitario, in cui chi aveva il potere faceva
bruciare i libri “proibiti” esattamente come il tribunale
dell'Inquisizione o le grandi dittature del Novecento, e che Caligola
cercò invece di andare controcorrente: lui sin dall'inizio, infatti,
fece bruciare solo i documenti e le lettere di coloro che avevano
contribuito alla rovina dei suoi famigliari, ma cancellò il reato di
lesa maestà e soprattutto rimise in circolazione tutti gli scritti
distrutti per ordine senatorio, riesumando così autori come: Tito
Labieno, Cremuzio Cordo e Cassio Severo. Operando cioè in senso
diametralmente opposto a ciò che si fece di lui dopo la sua morte e
che sicuramente si è continuato a fare in seguito.
In meno di
tre anni egli, che era figlio del Grande Germanico, un personaggio da film migliore del "Gladiatore", dovette far fronte a ben tre congiure (intervallate da una malattia che è facile sospettare fosse causata da un tentativo di avvelenamento che in lui lasciò segni profondi), l'ultima delle
quali andò a segno, e si capisce bene, quindi, come certa rabbia in
molti casi fosse in gran parte “legittima difesa”.
Già
nell'Ottocento però si cominciò a capire come fossero false e
diffamatorie certe affermazioni su di lui, in particolare le accuse
di essere incestuoso con le sue tre sorelle. Ce lo dice Svetonio, un
personaggio che figurerebbe oggi meglio tra gli autori di
articoli scandalistici per riviste gossip piuttosto che tra gli
storici di larga fama. Lo smentiscono infatti sia Seneca, Filone che
Tacito i quali non ci dicono nulla nel merito e che sicuramente, avendo
raccontato particolari piuttosto scabrosi della sua famiglia, non si
sarebbero certo lasciata sfuggire una “chicca” simile. Tra
l'altro alla metà del 39 vi fu una vasta congiura a cui
parteciparono anche le sue sorelle, oltre che ampi settori del
patriziato romano, lo sappiamo solo in via indiretta, quando Svetonio
non parla di lui ma di Claudio e Vespasiano, e da varie iscrizioni. Un
po' difficile credere che Caligola amasse chi tentava di pugnalarlo
alle spalle..
Ma la
balla più incredibile resta quella sulla sua presunta pazzia,
malattia ben nota al mondo romano che attribuiva gli eventuali
delitti dell'insano di mente non a quello, si badi, ma a chi aveva
omesso di sorvegliarlo, come ci attesta il giurista Pegaso. Quindi se
Caligola fosse stato davvero pazzo, tale accusa ricadrebbe sulla
intera società che lo attorniava: sul Senato che attuava le sue
decisioni, sui magistrati che eseguivano le disposizioni
dell'imperatore, sui generali e sui funzionari imperiali che
eseguivano i suoi ordini, su tutti coloro che lo attorniavano e lo
assecondavano ogni giorno, e soprattutto sul popolo che non solo lo
acclamava al circo o al teatro, ma oltretutto lo amava anche molto,
così come ha sempre amato gli imperatori dell'assolutismo
democratico, la cui parola sembra un ossimoro ma che, se osservata
etimologicamente, in fondo non lo è. Assolutismo democratico vuol
dire, infatti, solo sciolto da ogni altro legame che non sia quello
con il popolo.
A
smascherare il turpe livore di Svetonio, che tra l'altro scrisse circa un secolo dopo, attingendo a fonti già selezionate da tempo dalla
classe senatoria, la quale si occupava di ciò per continuare ad auto
accreditarsi in nome della custodia della sacra tradizione romana la
quale, evidentemente, esisteva ormai solo in quelle povere menti bacate dalle corruttele e dall'inedia,
basta confrontare tuttora la descrizione del volto di Caligola che
egli ci ha tramandato, con una delle sue statue o dei suoi busti.
Essi variano a seconda dell'età, ma ci presentano più o meno gli
stessi tratti somatici che furono già in parte del suo antenato
Augusto e della famiglia Giulia: eleganti, raffinati, signorili.
Tratti che erano esposti pubblicamente e che se non fossero
corrisposti in gran parte alla realtà, avrebbero generato riso e le
peggiori maldicenze. Ebbene Svetonio invece così descrive Caligola:
“Caligola aveva statura alta, il colore livido, il corpo mal
proporzionato, il collo e le gambe estremamente gracili, gli occhi
infossati e le tempie scavate, la fronte larga e torva, i capelli
radi e mancanti alla sommità della testa, il resto del corpo
villoso”. E poi calca pure la mano: "rendeva ad arte ancora più brutto il suo viso, che era già orrendo e repellente per natura, studiando davanti allo specchio espressioni che ispirassero terrore e paura"
Seneca è ancora più ridicolo nel suo tentativo di farne un ritratto horror: "Tanto era ripugnante il suo pallore, sintomo di pazzia, tanto erano torvi i suoi occhi, infossati sotto una fronte da vecchia, tanto era brutta la sua testa, spelata e spruzzata di un po' di capelli; aggiungi il collo irsuto di ispidi peli, e le gambe sottili e i piedi enormi"
Seneca è ancora più ridicolo nel suo tentativo di farne un ritratto horror: "Tanto era ripugnante il suo pallore, sintomo di pazzia, tanto erano torvi i suoi occhi, infossati sotto una fronte da vecchia, tanto era brutta la sua testa, spelata e spruzzata di un po' di capelli; aggiungi il collo irsuto di ispidi peli, e le gambe sottili e i piedi enormi"
Guardate
dunque voi stessi una statua di Caligola e dite francamente se vedete il
licantropo descritto da Svetonio oppure il pitecantropo in veste di omo nero, tratteggiato da Seneca, manco fosse l'antenato di Frankenstein . Tanto basta per mettere seriamente
in dubbio la gran parte delle sue affermazioni, così come quelle di
altri che attinsero da lui; o per screditare lo stesso Seneca che, tra l'altro,
Caligola considerava alla stregua di un sepolcro imbiancato, essendo
la sua retorica, per lui che si esprimeva in maniera abile, diretta, ironica
ed aforistica, come la sabbia con cui i bimbi fanno i castelli. E su ciò lo storico Flavio Giuseppe non può che ammettere: "Era peraltro un valentissimo oratore, espertissimo della lingua greca e latina; sapeva rispondere con immediatezza a discorsi pronunciati da altri, dopo lunga preparazione, e mostrarsi presto più persuasivo, anche quando si dibattevano argomenti di grande interesse. Tutto ciò proveniva da un'attitudine naturale per cose del genere e perché a tale attitudine aggiungeva la pratica acquisita con il continuo esercizio"
Non poteva
che far questa fine chi aveva regalato tutte le risorse del suo
illustre predecessore al popolo, che aveva abolito l'IVA di allora
(le tasse su ogni compravendita) per incrementare la diffusione dei
commerci e della ricchezza in un mondo ormai assai vasto che non
tollerava dogane e balzelli, che aveva preferito gli accordi
diplomatici alle sanguinose campagne militari, sia a Settentrione che
in Oriente, che aveva rinnovato la possibilità di eleggere da parte del popolo i magistrati, lo stesso popolo che aiutò quando fu vittima di crolli o incendi. Ma che aveva soprattutto messo nel mirino una classe
senatoria parassitaria e corrotta, la quale, padrona assoluta degli improduttivi latifondi italici, era passata indenne dal
periodo delle guerre civili a quello di Augusto, da cui era stata
abbondantemente risparmiata, e per quello di Tiberio il quale, impaurito da
essa e, nonostante i suoi tentativi di imporsi, fondamentalmente impotente nei suoi confronti, si era autoconfinato a Capri. Una classe senatoria da cui Caligola non volle mai essere acclamato, per non figurare minimamente dipendente da essa, e a cui astutamente restituì libertà di parola e movimento per conoscere meglio le sue mosse.
Caligola
dunque passò decisamente all'attacco, come un novello Catilina, e
volle quasi sterminarla, deriderla, in ogni caso offrirla come un
grasso vitello sacrificale allo stomaco plaudente del popolo che lo
osannava, comprese le matrone che furono costrette a rivolgere quei
favori che avevano sempre riservato ai loro drudi in privato, e a
loro piacimento, questa volta a tutti, e dietro modico compenso. Non consentì più a senatori e a personaggi altolocati di avere posti riservati e privilegiati in teatro o al circo, li costrinse a sedere in mezzo al popolo, in posti distribuiti a caso.
Davvero una democrazia assoluta, sciolta da ogni privilegio.
Svetonio
si accanisce dicendo che Caligola, per recuperare tutte le sue
fortune dilapidate, fu costretto ad incrementare di nuovo la
tassazione, ma paradossalmente nella meticolosità con cui ci dice
cosa Caligola tassò, lascia trapelare come lo stesso imperatore,
facendo questo, mettesse in atto la sua singolarissima ed ironica
giustizia proletaria. A chi aumentò infatti le tasse del 2%? A chi
vendeva a Roma derrate alimentari, soprattutto a quelle confraternite
che curavano l'arrivo e la loro distribuzione nei vari quartieri e
che allora erano una vera e propria mafia urbana, spinta
continuamente a più miti consigli dalle elargizioni di derrate
alimentari gratuite da parte dell'erario pubblico imperiale, tanto
che, con pochissimo, nella capitale dell'impero si poteva mangiare e
divertirsi gratis per gran parte dell'anno. E, in particolare
(stavolta del 15%), agli affaristi e ai facchini (che allora erano faccendieri) e alle
mignotte che avevano invaso con un vero e proprio esercito la
capitale. Gli rimproverarono che la sua "medicina" non stava scritta da nessuna parte e che era fin troppo amara, ma lui sarcasticamente rispose che la "posologia" va letta anche se è scritta in caratteri minuti e affissa in luoghi angusti. Magari lo facessero anche i governi nostrani attuali che
contano sul PIL dei malavitosi per rattoppare i loro sgangheratissimi
bilanci!
Purtroppo
su questi importanti provvedimenti, così come sulla coerente politica monetaria di Caligola che, non per niente, avrebbe voluto
trasferire la capitale ad Alessandria, la quale allora era la borsa
di New York del mondo antico e la città culturalmente più evoluta,
gli storici tuttora si soffermano poco, non parliamo poi degli autori
di film per i quali Caligola è solo una pornostar di tutto rispetto,
anche se Brass ha saputo fare forse su Caligola il pornofilm più
artistico e poetico della storia del cinema...Non c'entra quasi nulla con il personaggio storico, ma vedetelo comunque, se vi capita, in versione integrale ed in lingua originale nella magnifica sceneggiatura di Gore Vidal, non nella versione spezzatino bacchettona della censura italiota. Possiamo, noi che abbiamo portato anche una vera pornostar in Parlamento, scagliare su di lui anche il più piccolo dei sassolini?
Ma perché
è così attuale ed interessante Caligola? Perché effettivamente
oggi, in Italia, un cavallo sarebbe molto più capace ed efficiente,
oltre che meno costoso e meno inaffidabile, di un senatore nominato
da una consorteria di partito in combutta con qualche mafia o con
qualche lobby affaristica locale, di vario genere e sentore. Tra l'altro,
Caligola non nominò mai senatore il suo cavallo, a cui per altro
riservò lussi degni di un monarca, si limitò a dire solamente che
un suo cavallo avrebbe svolto il suo ruolo meglio di un qualunque
senatore, per evidenziare l'incapacità, l'arroganza e l'incompetenza
di quei personaggi contro i quali si accanì con perfido e feroce
umorismo.
Voi dite
che oggi se, anziché vedere tutti i giorni poveracci che perdono o crepano a frotte durante il
lavoro, stramazzando di fatica, o si suicidano oppure ammazzano, in preda alla
disperazione, il primo famigliare che gli capita a tiro, nel modo più abietto, constatassimo che una crudele sorte viene
riservata solo a coloro che in questi anni di crisi si sono
ingrassati senza ritegno, il popolo non sarebbe un po' più sollevato,
almeno nel suo umore, condannato com'è dagli squali cainamente speculatori
ad un abisso di oscena oscurità depressiva?
Voi dite
che se certe “signore” entrate in Parlamento con prestazioni
“singolari” di vario genere e bastanti solo pochi anni di
legislatura, in cambio di prebende che un poveraccio che ha lavorato
per più di 40 anni non potrà mai sognare lontanamente o che un
giovane non può neanche immaginare, ebbene se "lor signore" fossero
messe almeno qualche tempo forzosamente in condizioni tali da
ricompensare, in “lor natura”, il popolo a prezzi modici, la
gente non ne trarrebbe se non beneficio, almeno una certa fonte di
buonumore?
La
nonviolenza pilotata e a senso unico è una invenzione di menti
perverse ben più di quella di Caligola le quali, a mente fredda,
progettano di trasformare il popolo in un gregge di pecoroni, in
grado di essere "moralmente" feroci solo con loro stessi, previe sonore manganellate se qualcuno alza la testa, o con popoli destinati alla mattanza della loro guerra "democratica"...nell'infinito del
divide et impera magna cum fraude..
La
soluzione potrà dunque venire da un rinnovato assolutismo
democratico?
Purtroppo
crediamo di no. Sia perché oggi chi si impadronisce del potere non è
mai sciolto da chi ce lo manda, non con le legioni, che pur qualcosa
devono rischiare, ma con una semplice e asettica oltre che
convenientissima operazione finanziaria. Sia perché, comunque, chi
ci va o tenta di andarci, risponde prevalentemente a se stesso e al suo asettico mandante, non
al popolo, e per di più il suo interesse numero uno è trarre vantaggio
e durare il più possibile attaccato con tutte le grinfie al potere.
Fino a che diventa inossidabile garante, vecchio e decrepito. Non esercita il potere per giocarsi tutto, e persino da
giovane, magari per fare al contempo giustizia e godersi con una grande e
grossa risata, una pur breve ma intensissima vita. E così è, infine,
perché oggi il popolo, ammannito con ben altro "panem e circenses" mediatico, che ti segue e ti isola dappertutto, incollandoti davanti
ad un display, ha molto più di ieri la vocazione ad essere
gregge pecorino, perché ieri, almeno ogni tanto, si incazzava sul
serio e faceva fuori qualcuno, buttandolo anche a fiume, oggi invece ha
introiettato, come una malattia, la convinzione che l'unica violenza
praticabile è quella che, quando non ce la fa davvero più, può e
deve esercitare su se stesso, o lasciare esercitare ai bombardieri.
E in una
condizione di tal genere non volete che almeno, con un sorriso
malandrino che possa sottrarre alla storia ed al deprimentissimo
contingente l'ennesima millantatura, ci soffermiamo a bearci del
venticello che ancora spira beffardo con lo spirito dello “Stivaletto
irriverente” sull'Esquilino da circa 2000 anni? Così come di
quello che fu di Nerone o del grande Adriano che pur seppero, da
emuli capaci, almeno sopravvivere e “fare” un po' di più?
Ma sì,
piuttosto che un Senato di nominati, preferiamo tuttora un ippodromo,
in cui almeno darsi all'ippica possa suscitare qualche merito,
qualche rischio o qualche emozione. Non volete restituirci le
preferenze? Beh, chissà che nella prossima scheda elettorale qualcuno
non scriva Incitatus o addirittura il nome del suo divino cavaliere:
Caligola.
“Sono
ancora vivo!” Furono le sue ultime parole.
Stavolta,
dopo tante burle sue e degli storici,...noi, oggi,...dobbiamo
prenderlo sul serio, meditando se noi possiamo davvero dire lo stesso.
Nessun commento:
Posta un commento