Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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giovedì 5 giugno 2014

Matteotti, 90 anni dopo: il "vantaggio democratico a danno del socialismo"




Il 90° anniversario del martirio di Giacomo Matteotti, capita in Italia in un momento del tutto particolare, per questo esso assume una rilevanza ancora maggiore nella sua perenne testimonianza ai posteri.
Matteotti fu il primo a smascherare, in maniera precisa e documentata la stretta collusione tra fascismo e capitalismo, altri lo avrebbero fatto con il senno di poi. Pochissimi ebbero il coraggio invece di resistere allora alla dilagante pletora che tendeva a identificare il fascismo con una rivoluzione proletaria.
Matteotti scrisse un libro prima di morire: "Un anno di dominazione fascista", che circolò all'estero ma che in Italia, per ovvi motivi, non si poté diffondere, e che, per un caso tanto strano quanto crudele del destino, è tuttora di difficilissima reperibilità, essendo stato ristampato solo nel 1980 e sotto forma di copia anastatica, da una piccolissima casa editrice.
Esso è un'analisi puntualissima dei meccanismi con cui il fascismo si stava impadronendo dello Stato, sia sul piano politico economico e sociale, che su quello della repressione, porta a porta, dei suoi oppositori. Narra infatti delle riforme che tesero ad assecondare le classi che sostennero la sua ascesa e delle violenze quotidiane degli squadristi.
Nella sua introduzione è scritto a chiare lettere:
L'economia e la finanza italiana nel loro complesso hanno continuato quel miglioramento e quella lenta ricostruzione delle devastazioni della guerra che erano già cominciati ed avviati negli anni precedenti; ma ad opera delle energie sane del paese, non per gli eccessi o le stravaganze della dominazione fascista, alla quale una sola cosa è certamente dovuta: che i profitti della speculazione e del capitalismo sono aumentati di tanto, di quanto sono diminuiti i compensi e le più piccole risorse della classe lavoratrice e dei ceti intermedi, che hanno perduta insieme ogni libertà e dignità di cittadini” Aggiungendo a proposito dei profitti e dei salari che “se gli indici del profitto capitalistico sono in aumento, se gli indici del caro-vita sono in leggero aumento e se soltanto i salari sono in decisa diminuzione, la conclusione è che l'attuale regime fascista non ha portato alcuno straordinario miglioramento nel complesso nazionale della economia; ma ha innovato soltanto in questo: che la ricostruzione economica si continua a compiere, ma a spesa esclusiva delle classi inferiori”


Matteotti più di altri, proprio per il gusto e la meticolosità che aveva nel preparare i suoi interventi parlamentari con una ricchissima documentazione, smaschera tutte le velleità del regime nascente, mostrando come esso sia in palese opposizione a ciò che aveva dichiarato con il nascere, e cioè con i principi del Sansepolcrismo e del programma dei Fasci di Combattimento.
Tra le numerose e palesi opposizioni che il fascismo fece in primis a se stesso salta agli occhi quella sulla politica tributaria. Nel 1919 Mussolini aveva dichiarato che “uno dei principali postulati del programma fascista è la decimazione della ricchezza, la confisca dei sovraprofitti di guerra e una forte imposta sul capitale”, mentre, una volta salito al potere, non esitava a indicare come “stupidissima l'imposta sul capitale”
Era ovvio che il fascismo e il suo duce non potessero che favorire i loro mentori, i loro principali finanziatori. Quello che era un po' meno ovvio era che ne subissero prima o poi i ricatti, le malversazioni fino a restarne ostaggio più o meno in permanenza.
Matteotti aveva intenzione di proseguire con tali denunce, mediante una documentazione che aveva raccolto anche all'estero, clandestinamente, e che avrebbe fatto luce su quella che era una vera e propria tangentopoli dell'epoca. riguardante traffici di armi, riciclaggio di danaro e concessioni petrolifere, oltre che altre forme varie di speculazione, tanto estese e ramificate, non solo da coinvolgere i grandi gruppi finanziari ed industriali di allora finanziatori del fascismo, ma persino la stessa famiglia del duce e la monarchia. Su tutto ciò la documentazione degli storici è oramai piuttosto ampia.
Non è dunque tanto importante capire tuttora se concretamente Mussolini fu o no il vero mandante dell'omicidio di Matteotti o se si volesse ucciderlo, o dargli una lezione. Quello che resta fondamentale è che Mussolini non poté e all'inizio nemmeno volle tentare di dimostrare una sua estraneità a quel crimine, assumendosi pienamente la responsabilità dell'accaduto in un famoso discorso che, di fatto, inaugurò la sua dittatura, ponendo fine alle residue illusioni che essa potesse mantenersi all'interno di parvenze democratiche. Mussolini non poteva non sapere e anzi, su quel fatto conservò una scrupolosa documentazione rimasta segreta fino alla sua cattura finale a Dongo e poi misteriosamente scomparsa. Non era certo tale da scagionarlo, ma sicuramente sufficiente per provare di non essere stato lui l'unico a voler far tacere l'eroico parlamentare socialista, che ben sapeva ciò che rischiava e che aveva già detto ai suoi compagni di preparare la sua orazione funebre. L'unico giornalista, anch'egli condannato alla damnatio ristampae, coraggioso e controcorrente, che cercò di squarciare il velo, e, per primo, quanto di cainamente speculatore avesse pugnalato Matteotti, prima ancora degli sgherri sicari che lo aggredirono, fu Carlo Silvestri, tanto tenace nel denunciare il fascismo nascente, quanto ostinato nel voler far piena luce, in quello morente, su ciò che nella tomba esso si sarebbe portato via, condannandolo così ad un perenne silenzio.

Perché oggi il momento in cui cade questo anniversario è tanto particolare? Beh, se qualcuno mentre ho menzionato le critiche espresse da Matteotti allora, avesse già fatto mente locale sulla realtà di oggi, e non solo a livello nazionale, ma europeo, avrebbe sentore che un regime, anche se più subdolamente astuto di allora, già tende non solo ad affermarsi ma persino a consolidarsi su scala transnazionale, e per di più anche ad espandersi, senza tema di usare anche mezzi brutali, soprattutto nell'Europa dell'est.
Possiamo infatti dire che le condizioni dei salari e dei lavoratori sono migliorate o tendono a migliorare in Europa? Possiamo affermare serenamente che le tendenze cainamente speculatrici sono fermamente combattute e messe sotto il controllo di rigide regole democratiche?
Che la politica prevale sull'economia del turbocapitalismo? Possiamo dedurre senza tema di smentita, che l'Europa e l'Italia si stanno dotando di sistemi fiscali equi, progressivi e soprattutto uniformi e condivisi, come la moneta unica, su tutto il continente? Possiamo credere che il debito degli stati oggi non venga usato come allora veniva praticato il verbo del manganello? Che non più singole persone, ma interi popoli sfuggano alla mannaia che taglia loro i beni comuni essenziali senza i quali non è neanche immaginabile di poter sopravvivere? Casa ipertassata, scuole ridotte in macerie, ospedali fatiscenti, trasporti senza più adeguate norme di sicurezza, pensionati che pagano tasse più di tutti gli altri.. Cosa c'è di socialista in un programma che porta il titolo di una commedia dell'assurdo: Job acts e che persegue lo scopo di stabilizzare la precarietà e la desertificazione del futuro delle giovani generazioni? Cosa di Socialista nel perdurare di una legge Fornero che manda in un limbo di rottamazione lavoratori “esodati” coperti nel loro tragitto dal rosso mare della disperazione da mancanza di lavoro e di pensione? Cosa nel condannare un lavoratore ad andare a lavorare fin quando gli sono caduti non solo tutti i capelli, ma anche tutti i denti e tutte le speranze di godersi ancora in salute un meritato riposo? Una privatizzazione selvaggia e dirompente oggi fa le veci di quella che allora era la gerarchia della repressione del dissenso. Chi non si adegua, perde lavoro, casa, affetti, tutto, compresa la sua identità. Forse nemmeno il fascismo seppe allora arrivare a tanto..

A 90 anni dalla morte di Matteotti abbiamo avuto il paradosso di elezioni europee che hanno visto vincere in Italia quello che è attualmente il partito più grande del PSE, ma che ha proposto una legge elettorale più restrittiva e maggioritaria della stessa legge fascista Acerbo, con cui Matteotti e Gramsci furono eletti. Ebbene oggi, se tale legge fosse approvata, Matteotti non sarebbe più eletto, sarebbe dunque zittito in partenza, risparmiando ai suoi assassini la fatica di rapirlo e massacrarlo di botte.
Possiamo immaginare che il socialismo che egli aveva allora immaginato e per il quale aveva lottato, possa consistere nello svuotamento della sovranità popolare e che un ramo del parlamento, con poteri di riforma costituzionale, sia costituito da una congrega di eletti e non più da un re, come nello Statuto Albertino, ma dalle più variegate e stravaganti lobbies locali?
L'Italia agonizza nella corruzione e nella collusione tuttora strettissima tra affari malavitosi e amministrazioni locali complici e corrotte. Su questo l'Europa dovrebbe essere inflessibile, ma di quale Europa stiamo parlando? Non certo di quella che sognavano Garibaldi, Mazzini, Spinelli e anche Matteotti, quanto piuttosto di quella che pratica il verbo della “pecunia non olet”..meno lavoro ma più tasse per tutti ed immigrati con costi ognuno per ciascuno.. .E che ormai, date le risultanze elettorali della Francia e dell'Inghilterra, paesi non proprio marginali nella storia del nostro continente, tende seriamente a minacciare se stessa.
Allora, di fronte a tutto, ciò io cerco di immaginare cosa potrebbe dire oggi Matteotti, qui, ora col suo Spirito Immortale, specialmente alle nuove generazioni e soprattutto a coloro che non hanno mai smesso di avere fede socialista, si badi, fede non solo a parole, ma soprattutto nella prassi.
Ecco, così mi tornano alla mente le sue parole profetiche del 3 Agosto del 1912 con cui concludo il mio intervento:
E oggi che i democratici nel parlamento hanno perduto ogni fisionomia, imbracandosi nel gregge giolittiano (i nomi cambiano ma certa prassi trasformista resta), oggi che milioni di nuovi elettori son chiamati alle urne, noi dobbiamo dire alta e chiara e limpida la nuova parola di socialisti.
Oggi dobbiamo ricostruire quella unità morale e politica del proletariato, che minacciava di rompersi; a costo anche di qualche sacrificio delle nostre ideologie, sacrificio momentaneo, perché sta in noi di preparare nel partito quella mentalità equa, la quale riduca ormai le questioni di tendenza a semplici questioni tecnico pratiche, di metodo da usarsi in una data situazione.
Che fanno invece i fuoriusciti? Col pretesto della necessità di mantenere unite in blocco le forze popolari contro le forze ora più che mai minacciose della reazione e del clericalismo (oggi diremmo del populismo), sbloccano e scindono quel partito socialista, che pur essi dicono essere stato, in ogni caso, del nucleo, il baluardo più saldo, il propulsore più ardente. Per opera loro, adunque alla scissione non si ripara, ma anzi s'aggrava, perché resta isolato proprio il manipolo più battagliero, perché si vuole magari il vantaggio democratico a prezzo del danno socialista.
Dov'è più allora il nostro Socialismo?”
E chi ha orecchie per intendere intenda, chi ha occhi per vedere, li apra, e chi ha voce per farsi udire, gridi!
Viva il Socialismo! Viva Matteotti!

Carlo Felici

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