La premessa necessaria a questo scritto
è che lo scrivente ha sempre professato i valori dell'antifascismo,
sia nel suo lavoro che nella vita civile, testimoniandoli
concretamente, con la sua partecipazione a numerose manifestazioni ed
incontri, e non solo a parole ma anche con i suoi scritti. Una
vocazione che gli viene anche da una famiglia che non cedette mai
alla sudditanza della “tessera del pane” e che fu impegnata pure
nella Resistenza.
Perché questa premessa? Per svolgere
una amarissima riflessione sul destino di una Repubblica che coloro
che lottarono per conquistare la libertà ed uscire da una ventennale
dittatura, avrebbero voluto sicuramente diversa e che, purtroppo, con
il passare del tempo, rischia di rivelarsi persino peggiore del
regime da cui essa si volle liberare, e di cui tuttora condanna
l'apologia.
Questo avviene, in special modo, da
quando le generazioni che lottarono per costruire ed assicurare
all'Italia un futuro migliore, stanno a poco a poco, scomparendo,
inghiottite dall'inevitabile gorgo del divenire storico.
In particolare, negli ultimi venti
anni, abbiamo assistito ad una progressiva ed inarrestabile riduzione
dei diritti del mondo del lavoro, fino al loro annientamento. Il
penosissimo risultato odierno è una precarietà endemica, un livello
di disoccupazione pauroso, la desertificazione del futuro delle nuove
generazioni e una implacabile ingiustizia tra coloro che hanno e che
si assicurano di avere sempre di più, e coloro che non hanno e sono
condannati ad avere sempre meno.
Chi oggi dice che l'antifascismo è
superato ha torto, diciamolo con chiarezza e senza esitazione, ma chi
dice che il fascismo fu “il male assoluto” ha torto lo stesso,
entrambe le categorie di persone appartengono infatti ad una specie di
manicheismo storico ed ideologico che tuttora divide gli italiani,
come una sorta di rottame non riciclabile di una guerra civile che è
durata ben oltre il 25 aprile del 1945, e che è sorta molto prima
del 25 luglio del 1943.
La guerra civile iniziò negli anni
'20, quando gli agrari e gli industriali italiani, sentendosi
minacciati dal progredire di una rivoluzione sindacale (ben diversa
da quella bolscevica che alcuni allora reclamarono, facendo poi il
gioco dei loro avversari) che mostrava di potere ottenere in maniera
stabile e duratura conquiste salariali e diritti per i lavoratori,
mai realizzati fino ad allora nel nostro paese, finanziarono le
squadracce fasciste, ordinando loro di fare terra bruciata di tutte
le organizzazioni dei lavoratori e di annientare anche fisicamente i
loro capi.
Per questo, vennero utilizzati reduci e
materiali di guerra opportunamente riciclati, con una strategia
“mobile” da combattimento armato su vasta scala. Non è persino
da escludersi che gli stessi squadristi che portarono a compimento le
azioni più efferate facessero anche uso di sostanze stupefacenti
come la cocaina.
Purtroppo vano fu il nobile ed eroico
tentativo degli Arditi del Popolo di organizzare una forza
combattente armata in grado di contrastare lo squadrismo, anche se
importanti ed efficaci risultati furono ottenuti in alcune zone
d'Italia per respingere gli squadristi armati che operavano con la
complicità e l'indifferenza delle Forze dell'Ordine e dell'Esercito.
Tra i vari esempi di eroica lotta popolare condotta dagli Arditi del
Popolo, risalta quello di Parma la cui popolazione, guidata da
Picelli, respinse in armi più di 10.000 squadristi comandati da uno
dei più feroci Ras dell'Emilia: Italo Balbo.
E' ormai accertato storicamente che
l'avvento in armi del fascismo non fu dovuto solo alla complicità
dell'Esercito, della borghesia e soprattutto della Monarchia, ma, in
particolare, anche alla impotenza ed indifferenza in quel periodo
manifestata dalle forze di quella che allora era la sinistra
italiana: i socialisti che firmarono un patto di pacificazione con
Mussolini ed i comunisti che sconfessarono, con Bordiga, gli Arditi
del Popolo e la loro lotta armata.
Il risultato è storia, una storia che
però, tuttora, stenta ad inquadrare il Fascismo come fenomeno
articolato e sostanzialmente indissolubile dalla figura di Benito
Mussolini.
Il Fascismo non fu infatti un “unicum”,
dato che, anche se schematicamente, si può dividere la sua storia,
dal 1919 al 1945, in circa quattro periodi: Il sansepolcrismo
rivoluzionario e socialmente avanzato, ma sostanzialmente strumentale
e impotente, lo squadrismo, feroce e assassino, che lo stesso
Mussolini a stento cercò di controllare ed irregimentare con la
cosiddetta Milizia, ma che continuò sempre a sfuggirgli di mano ed
arrivò persino a minacciare la sua vita, il regime fascista, che
possiamo far coincidere con gli anni '30, in linea di massima, e
l'epilogo repubblichino che fu una tragica farsa, sprofondata negli
orrori della guerra civile. Tralasciamo gli esiti del neofascismo a
cui poi accenneremo per considerare ciò che ora più ci interessa.
Il Fascismo fu concretamente
espressione di un'Italia sovrana e libera nel contesto dei rapporti
internazionali, come mai lo era stata e come mai riuscirà ad essere
in futuro, tranne qualche sprazzo di dignità e di autonomia?
Possiamo dire che nel decennio che
coincide grosso modo con gli anni '30 sì, l'Italia che Mussolini
definiva “proletaria e fascista” in quegli anni, effettivamente,
incuteva rispetto nel mondo, ma ovviamente con un prezzo salatissimo:
la persecuzione degli oppositori, una politica imperialista da
operetta e provvedimenti che sostanzialmente lasciavano inalterato un
tessuto sociale ingessato in una società arcaica ed agricola
incapace di un autentico sviluppo industriale che lo stesso Duce, con
mentalità ottocentesca, non seppe né cogliere né sviluppare
sapendo attrarre preziosi investimenti.
Ciò nonostante, lo sforzo di
modernizzare lo Stato, pur facendo coincidere esso stesso con il
Fascimo, ci fu, almeno rispetto al passato, e persino rispetto ad
altre nazioni in cui la crisi del '29 ebbe conseguenze assai più
rovinose. Questa la ragione di una popolarità di un regime
fieramente avversato allora solo in gran parte dai fautori del
Socialismo Liberale di Giustizia e Libertà, dai repubblicani, dai
sinceri democratici, dai socialisti, ma, almeno prima della guerra,
non del tutto dai comunisti che negli anni '30 si appellavano ai
“fratelli in camicia nera” e che nell'immediato dopoguerra tanti
fascisti accolsero nei loro ranghi.
Sarebbe lungo ora soffermarsi sugli
errori e sulla vanagloria di un regime che, alla fine, arrivò
addirittura a chiedere agli italiani ciò che a loro era più sacro:
la fede nuziale, come segno del definitivo annullamento
dell'individualità e della famiglia nella idea totalitaria di uno
stato in tutto e per tutto padrone, fedi nuziali destinate poi a
riempire le grosse damigiane dei gerarchi in fuga e finite nel
cosiddetto “oro di Dongo”, poi misteriosamente destinato a rimpinguare le casse del PCI, così come sarebbe altrettanto lungo
soffermarsi sulle opere che il Fascismo mise in atto, in tutta
autonomia ed autorevolezza, per incrementare il consenso e creare un
assetto più socialmente avanzato rispetto al passato. Opere che, in
gran parte, gli sopravvissero, e di cui anche la neonata democrazia
non volle fare a meno. Opere che, almeno nel numero, la stessa
democrazia non riuscì a sopravanzare.
Questa non vuole essere infatti, una
analisi retrospettiva o comparativa di un regime, per la quale è
necessario procedere con molta attenzione e perizia storiografica.
Questa, piuttosto, è l'amara
rappresentazione di una Italia che ha appeso a testa in giù il
Fascismo, ma si ritrova, settanta anni dopo, a sua volta, con i piedi
per aria sul piano sociale, economico, politico e militare.
Gli stessi neofascisti sono stati
validamente utilizzati per portare a compimento la distruzione e
l'annientamento della Patria, e nonostante essi si fregiassero di
esserne gli ultimi difensori. Farneticando con Evola di tanto assurde
quanto anacronistiche gerarchie umane e sociali, rimpiangendo
permanentemente un tempo in cui, con la Repubblica Sociale, Mussolini
cercò di riesumare i miti rivoluzionari mai messi in atto da un
regime sempre sceso a patti con i poteri forti, con il Vaticano e con
la Monarchia, e tutto ciò mentre si taceva, obbediva e combatteva
agli ordini dell'invasore tedesco, i neofascisti nel dopoguerra hanno
validamente contribuito, in nome dell'anticomunismo, ad incentivare la servitù contro lo stesso nemico che li assoldò, assieme alla
mafia, per consolidare e incrementare il suo potere anche a suon di
stragi e di omicidi eccellenti.
Mussolini, che lo stesso Montanelli
definì “uno che socialista non aveva mai smesso di essere”,
prima di morire, affidò i suoi a Nenni, suo compagno della prima ora
e poi suo irriducibile nemico, ma i suoi, come avevano già fatto
numerose volte, preferirono tradirlo anche in questa occasione, o scegliendo i comunisti, oppure arruolandosi come mercenari per i
servizi segreti americani.
E questo mentre i democristiani fecero
di tale perdurante servitù una sorta di perizia da satrapi e i
comunisti si adattavano ad esercitare un potere consociativo, senza
mai reclamare o una rivoluzione oppure quella automutazione che
avrebbe consentito non solo a loro ma a tutta l'Italia una concreta
alternativa e autonomia.
In questo perdurante sfacelo, brillò
la stella solitaria di Bettino Craxi, che, come una cometa, passò
sopra una Italia perennemente “serva e di dolore ostello”,
illuminandola per un breve sussulto di dignità di cui resta fulgido
esempio il caso di Sigonella e i finanziamenti ai gruppi
rivoluzionari dell'Est e dell'Ovest in lotta contro un impero
bipolare che si era spartito il mondo, facendo solo finta di
combattersi durante la guerra fredda.
La caduta di Craxi e la cosiddetta
“seconda repubblica” coincidono con un ventennio di progressivo
impoverimento, di perdurante corruttela, di marginalizzazione dei
giovani e degli anziani , di incremento dell'occupazione militare, di
regresso vertiginoso dei diritti dei lavoratori e del potere
d'acquisto degli stipendi, e di sviluppo esponenziale di mafie di
vario genere, sempre più intrecciate con il tessuto economico e
sociale, del lavoro nero, della schiavitù salariale e del degrado
morale e civile di un intero popolo, coinciso con il berlusconismo, e
con la mutazione della cosiddetta sinistra postcomunista in apparato
di fiducia degli assetti militari e neoliberisti imperanti in Europa
e nel mondo.
Siamo dunque arrivati al punto di non
avere alternative, o meglio di avere trovato, come unica alternativa,
un movimento politico velleitario, privo di sostanziali programmi di
sviluppo economico e sociale, benedetto non a caso dagli ambasciatori
della superpotenza che occupa il nostro paese, il cui unico scopo è
l'incremento del consenso basato sulla protesta autoreferenziale,
anche per prevenire che altre forme più incisive ed organizzate di
ribellione possano inevitabilmente sorgere. Se ci sono nei vari territori, saranno magari , come sempre avviene da decenni, opportunamente infiltrate, per dividere i "ribelli buoni" da quelli "cattivi" e continuare a regnare su tutti
Tutto questo accade, non a caso, mentre
si porta avanti un'opera “scientifica” di damnatio memoriae verso
l'unica forza politica che è riuscita a rendere, pur nelle sue
degenerazioni, nel corso della sua storia, l'Italia autonoma e degna
di potersi mostrare in piedi da sola: il Socialismo.
Mussolini, negli anni in cui fu al
potere, fu fautore di un “socialismo di regime”, tentò,
rinnegando le sue origini autenticamente rivoluzionarie, persino di
portare dalla sua parte alcuni “socialisti di destra” come scrive
Carlo Silvestri, prima che la convergenza dei poteri forti e dello
squadrismo gettasse sulla sua strada il cadavere eccellente di
Matteotti. E da allora, giustamente, non poté che trovare tra i
socialisti i suoi più fieri avversari. Molti dei quali però “salvò”
con il contributo della “volante rossa” durante la guerra civile
e mentre la Resistenza era in pieno svolgimento.
Le truppe di occupazione di entrambi i
fronti che entrarono in Italia grazie alla mafia, al tradimento del
re e alla feroce repressione nazista, fecero a gara per mettere gli
italiani gli uni contro gli altri, preparando così per l'Italia un
futuro di perdurante servitù, che si è realizzato dopo la vittoria
alleata e che sarebbe stato messo in atto in maniera anche più
terrificante se avessero vinto i nazisti.
I patrioti che combatterono allora per
liberare l'Italia però si chiamavano tali proprio perché credevano
in una Patria nuova, che coincise con una Costituzione la quale, per
prima, riuscì a porre fine alle terribili conseguenze di una guerra
civile durata ben oltre il 25 Aprile, con episodi di crudeltà
inaudita perpetrati da ambo le parti.
Quella stessa Costituzione è riuscita
a garantirci, pur nelle condizioni di una sudditanza mai messa
concretamente in discussione e intervallata da bombe, terrorismo,
crimini di mafia, e crimini politici (a volte coincidenti), lunghi
decenni di una storia fatta di libertà, di benessere e di incremento
dei diritti civili. Tutto questo fino al 1991, fino a quando si
decise, come in una nuova Yalta, sul panfilo Britannia, di relegare
l'Italia ad un ruolo di ulteriore e più forte sudditanza, di
maggiore povertà, di precariato endemico e di progressiva
esposizione ad una immigrazione di massa che, prima o poi, le avrebbe
cambiato definitivamente i connotati culturali, religiosi e politici,
con la complicità dei media e della TV, in primo luogo. Tutto ciò,
creando appositamente un duopolio mediatico inflessibile che ha
incrementato quella mutazione antropologica già in atto dalla metà
degli anni settanta, e già denunciata, a suo tempo, da Pasolini.
In ben 20 anni, l'Italia ha svolto il
suo ruolo di serva dell'imperialismo con precisione impeccabile,
partecipando alle guerre, aumentando vertiginosamente le spese
militari e accogliendo nel suo territorio il triplo delle truppe
americane presenti prima del 1991.
Nei nuovi equilibri geostrategici
protesi a difendere non il muro condominiale tra Est e Ovest, ma
quello strutturale e portante tra Nord e Sud, l'Italia è ormai una
porterei nel Mediterraneo sempre più staccata di fatto dall'Europa e
sempre più protesa a intervenire e monitorare ogni eventuale zona di
crisi, per un rapido intervento militare.
Destabilizzare l'Italia con una
immigrazione di massa, incrementare in essa mafie e corruzione,
rendere i suoi governi sempre più fragili e servili, immiserire il suo sistema culturale e formativo, evidentemente,
serve per controllarla e dominarla meglio. Così come serve molto
farla restare in un permanente clima di perdurante “guerra civile”
tra fasci e komu, anche se in realtà il fascismo e il comunismo,
come forze politiche organizzate, non esistono più da ormai molto
tempo in questo paese.
L'ultima spallata non può che essere
quella di cambiare la Costituzione, sia per riattizzare eventualmente
odi solo sopiti, sia per impedire che vi sia un argine ulteriore alla
invasione barbarica oggi in atto. Con un popolo sempre più
disarmato, dato che le Forze dell'Ordine sono a ranghi ridotti e
anche le agenzie di vigilantes chiudono per la crisi e, persino, data
l'abolizione della leva militare, incapace di usare le armi. Un
perfetto popolo di servi, pronti come i maiali, per essere ingrassati
o mandati al macello, a seconda delle necessità. Maiali che ormai si
azzannano tra loro anche in famiglia, dove gli omicidi crescono e le
violenze contro le donne dilagano, e che grugniscono di rabbia solo
per difendere il loro territorio regionale o il loro spazio
individuale, o di piacere solo negli stadi e nei postriboli in Italia
oppure, consumatori tra i più incalliti, all'estero. Un maiale all'ennesima potenza che si incarna, nella sua mutazione più ingombrante e lercia, nel pappone di Stato con pensione d'oro inossidabile
La porcilaia “Italia” non ha mai
raggiunto in tutta la sua storia, un livello così infimo di
abiezione, e crede di scamparla addossando tutte le sue colpe a
Berlusconi, ritenuto il simbolo più eclatante di tale lordume. Ma
dimenticando che egli non ha fatto altro che interpretare il ruolo
che in questo paese è diventato più popolare negli ultimi venti
anni: quello che gli antichi romani chiamavano lo “scurra”
l'attore triviale, da cui la parola scurrile. Allora applaudito, oggi
votato e incensato abbondantemente anche da chi nel nostro perdurante
osanna, seguito furbescamente dal crucifige, gli ha voltato di
recente le spalle.
In questo lordume servile che pare non
abbia mai fine, dunque, anche la storia del Fascismo e
dell'Antifascismo, così come, più in piccolo, quella di Craxi
perennemente condannato per mali che furono di una intera Repubblica
e che oggi sono elevati all'ennesima potenza, brilla su di noi come
le stelle kantiane, purtroppo senza che una autentica morale ci possa
interiormente riscaldare o consolare.
Dovremmo dunque piantarla, oggi, di
continuare a dividerci, in modo manicheo e strumentale, tra fascisti ed antifascisti, sapendo comunque riconoscere e contestualizzare il significato di questi due
riferimenti storici. Dovremmo piantarla finalmente di considerare il
“socialismo” come qualcosa dei secoli passati e nemmeno da poter
pronunciare, ma piuttosto dovremmo ergerlo a simbolo del nostro
riscatto e di una continuità storica, di anelito ad una Patria
libera ed indipendente che, dai tempi di Pisacane e Garibaldi, non è
mai venuto meno.
Il solo in grado di accompagnare, con
il suo immancabile Sol dell'Avvenire, un futuro degno per noi di
essere vissuto, l'unico in grado di restituirci, da quelle sembianze
porcine a cui la Circe della ammaliante teologia del mercato ci ha condannato,
quelle finalmente umane di popolo vero, magari non di santi, non di
poeti e nemmeno di eroi, ma forse di navigatori sì, e non solo
virtuali, che finalmente tornano a casa loro.
C.F.
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