A
settanta anni dalla morte di Stalin non è facile tuttora fare una
analisi storica che possa ricordare questo personaggio, senza le
lenti della demonizzazione e della agiografia
Dobbiamo
però considerare che egli, più di altri, tuttora in Russia e anche
altrove riscuote una notevole popolarità, e sicuramente lui, tra i
capi comunisti, ha ottenuto risultati più concreti e durevoli. Ma a
che prezzo? Ed è tutto vero ciò che ancora si dice di lui in merito
alla sua autocrazia, alla sua feroce dittatura e al suo
totalitarismo?
Un
quadro storico più dettagliato e non oscurato dalla propaganda ci
porta ad essere più circostanziati, anche se in un articolo lo
spazio è piuttosto ristretto per fare una analisi precisa con
opportuni riferimenti storiografici.
Partiamo
citando Anna Luoise Strong, una giornalista e scrittrice statunitense
che fu a lungo in Unione Sovietica: “Chi
potrà dimenticare l'Europa del 1940, quando gli eserciti francesi
crollarono in dieci giorni davanti ai carri armati di Hitler, quando
l'Europa fu minacciata da una nuova Età Oscura Millenaria? Chi potrà
dimenticare gli assalti portati a tutta l'umanità da coloro che
affermavano i diritti della Herrenrasse sulle razze inferiori
schiave, e come questi assalti si infransero contro la resistenza
degli uomini e delle donne di Stalingrado? Edificando febbrilmente,
disordinatamente anche, questi uomini e donne eressero il pilastro
che resistette quando il mondo intero vacillava: di questo l'umanità
tutta è oggi loro debitrice... nell'epoca staliniana non solo è
nato il primo Stato socialista del mondo e la potenza militare che
fermò Hitler; in essa si è sviluppata anche la base economica che
fu la premessa indispensabile alla costituzione dei nuovi stati
socialisti.. l'epoca di Stalin ha messo a disposizione dei popoli
d'Asia e d'Africa liberatisi dal dominio coloniale i mezzi che
permetteranno loro di scegliere le vie del proprio sviluppo in un
mondo economico in cui gli imperialisti non dettano più l'unica
legge”
E
questo già ci dà un'idea di come negli anni 30 del secolo scorso
anche oltreoceano in una America in piena crisi economica dovuta al
crollo della borsa nel '29, Stalin non fosse visto come un mostro, e
nemmeno nell'immediato dopoguerra, quando si aprivano gli inquietanti
scenari della guerra fredda.
Ma
la questione è un'altra: perché un personaggio come Stalin che già
dal governo sovietico di Kruscev fu condannato alla damnatio
memoriae, ha mantenuto e mantiene nel mondo comunista una popolarità
così forte e nonostante gli attacchi perduranti non solo della
stampa liberale ma anche di quella comunista ispirata al trozkismo?
Non
è facile ripercorre la sua storia all'interno dell'URSS negli anni
in cui fu al potere in maniera obiettiva, ma sicuramente, almeno in
sintesi potremo farlo senza riproporre dei perduranti luoghi comuni,
e mediante alcuni passaggi essenziali, ovviamente per ragioni di
spazio lasciandone in ombra altri.
Partiamo
dalla “questione ucraina” che si pose negli anni immediatamente
successivi alla morte di Lenin e su cui si basa tuttora la “leggenda
nera” di Stalin e purtroppo ancora oggi in gran parte la propaganda
contro la Russia
E'
del tutto vero che ci furono milioni di morti in Ucraina dovuti alle
scellerate politiche staliniste di collettivizzazione forzata? Quanto
c'è di vero nella cosiddetta “Holodomor”? Ebbene, parrà strano,
ma prima delle memorie giornalistiche odierne fu la propaganda
nazista che mise in piedi per screditare il governo sovietico,
l'orrore della repressione stalinista in Ucraina. Il ricercatore
canadese Douglas Tottle, nel suo libro “Fraud Famin and Fascism:
The Ukrainan Genocide Mith from Hitler to Harvard” Toronto 1967,
asserisce con una serie precisa di riferimenti storici, che il mito
della carestia programmata da Stalin per sterminare gli ucraini è un
falso storico costruito dalla propaganda nazista.
Tottle
fu inizialmente accusato di propagandare tesi comuniste, il
libro
di Tottle fu poi esaminato durante la seduta di Bruxelles della
commissione, tenutasi tra il 23 e il 27 maggio 1988, con
testimonianze di vari esperti. Il presidente della Commissione
internazionale di inchiesta sulla Carestia 1932-1933, composta anche
da ucraini, allora concluse che Tottle non era il solo a dubitare di
una "carestia-genocidio", alludendo al fatto che il
materiale incluso nel suo libro non avrebbe potuto essere disponibile
senza l'assistenza ufficiale sovietica.
Tra
il 1921 e il 1923 ci fu in effetti una carestia di vaste proporzioni
dovuta in gran parte agli effetti della guerra tra armate bianche e
Armata Rossa che devastò in larga parte il territorio russo ed
ucraino, il governo di Lenin cercò di porre un argine alla penuria
di alimenti con la NEP, combinando cioè l'azione dello Stato con un
certo margine di iniziativa privata, ma questa, del tutto incapace di
attuarsi con tecniche industriali moderne, non si rivelò in grado di
fornire le immense risorse necessarie per la vendita di prodotti
agricoli per ottenere le somme necessarie ad accelerare il processo
di industrializzazione che avrebbe poi reso l'URSS una effettiva
grande potenza anche sul piano militare.
Anche
un altro storico come Groven Furr sostiene che la tesi del volontario
genocidio degli ucraini da parte di Stalin non è fondata egli
afferma, in base a precise analisi storiche, che “ci
furono carestie nel 1924 e di nuovo nel 1928-1929, quest’ultima
particolarmente dura per la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.
Tutte queste carestie avevano cause ambientali. Il metodo medievale
degli appezzamenti agricoli e dell’agricoltura contadina rendeva
impossibile una produzione agricola efficiente, per cui le carestie
erano inevitabili”..pertanto
“i
leader sovietici, e tra essi Stalin–
continua l'autore -decisero
che l’unica soluzione era riorganizzare l’agricoltura sulla base
di gigantesche fattorie industriali a imitazione di alcune nel
Midwest americano, che furono deliberatamente adottate come modello”
Evidentemente
il programma di collettivizzazione “forzata” non sarebbe riuscito
senza un consenso della popolazione, perché una popolazione
massacrata e schiavizzata non produce nulla, in realtà buona parte
dei kulaki che avevano un certo potere non solo rimasero al loro
posto, ma persino collaborarono con le autorità per spedire i
contadini medi che spesso distruggevano le derrate alimentari e
uccidevano il bestiame, in Siberia.
Il
2 marzo 1930 Stalin scrisse testualmente sulla Pravda che: “Non
è possibile imporre i colcos con la forza. Questo sarebbe una cosa
stupida e reazionaria. Il movimento colcosiano deve poggiare su di un
attivo sostegno da parte delle fondamentali masse dei contadini. Non
si possono trapiantare meccanicamente i modelli di edificazione
colcosiana delle regioni sviluppate nelle regioni arretrate. Questo
sarebbe stupido e reazionario. Una simile 'politica' dissolverebbe in
un sol colpo l'idea stessa della collettivizzazione.”
Tre
telegrammi scritti nel 1932 dallo stesso Stalin ci attestano che le
sorti dell'Ucraina erano tutt'altro che indifferenti al leader
sovietico
Li
citiamo testualmente, il primo del 24 luglio rivolto ad un importante
esponente del Partito Comunista ucraino e al capo del Governo
Sovietico: “La nostra direttiva sull'esecuzione incondizionata del
piano statale di approvvigionamento di grano è del tutto corretta.
Ma tenete presente che dovremo fare un'eccezione per le regioni più
sofferenti dell'Ucraina. Ciò è necessario non solo dal punto di
vista dell'equità, ma anche a causa della posizione particolare
dell'Ucraina, al confine con la Polonia”.
Il secondo rivolto agli stessi personaggi conferma che anche delle
unità dell'esercito erano state mobilitate per portare a compimento
tale intento, e il terzo del 16 agosto 1932 rivela una particolare
attenzione per l'Ucraina, rispetto ad altri luoghi destinati alla
collettivizzazione e lo stesso Stalin scrive: “Come risulta chiaro
dai documenti, non solo gli ucraini parleranno dei piani di
diminuzione dell'approvvigionamento statale di grano durante la
riunione del Comitato Centrale, ma lo faranno anche i caucasici
settentrionali, del medio Volga, della Siberia occidentale, del
Kazakhstan e della Bashkiria. Il mio consiglio è di soddisfare per
il momento solo gli ucraini, riducendo per loro il piano a 30
milioni; e solo come ultima scelta a 35-40 milioni”
Furono
le stesse autorità ucraine comuniste a dichiarare che “fin
dal 25 febbraio 1933 il Consiglio dei Commissari del Popolo
(Sovnarkom) dell'URSS e il Comitato Centrale del Partito bolscevico
distribuirono in prestito all'Ucraina cibo, frumento e foraggio per
un ammontare di 35.190.000 pood (1 pood=16 kg) di grano attingendo
alle riserve accantonate e di emergenza”
La
gran parte dei morti di allora fu quindi dovuta più a problemi
igienici ed ambientali (tifo soprattutto) che a denutrizione e la
propaganda antisovietica ha spesso preso spunto da foto scattate non
durante gli anni 30, ma nel corso della guerra che seguì alla
rivoluzione di Ottobre, ciò nonostante ci fu lo stesso una rivolta
in Ucraina, dovuta soprattutto a questioni che investivano la
politica più che l'economia, e cioè la necessità
dell'autogestione, in linea con le teorie di Nestor Machno e ad altre
connesse con il dissenso trozkista, e la repressione fu evidentemente
tanto brutale quanto cruciale per le stesse sorti future dell'Unione
Sovietica. Non dimentichiamo che prima di Stalin, la Russia aveva una
popolazione poverissima che a mala pena camminava con zoccoli di
corteccia di betulla, mentre negli anni 30 il tenore di vita medio in
URSS superava quello degli USA in piena crisi del '29
Ora
veniamo ad un'altra delle questioni connesse con Stalin e lo
stalinismo: la guerra di Spagna che fu il preludio della seconda
guerra mondiale. Allora l'Unione Sovietica fu l'unico Paese che
sostenne la resistenza del legittimo governo repubblicano eletto dai
cittadini contro il colpo di Stato di Francisco Franco, in tre anni
L'Unione Sovietica fornì alla Spagna repubblicana ben 648 aerei, 347
carri armati, 60 veicoli blindati, più di 1000 pezzi di artiglieria,
340 mortai, 20.000 mitragliatrici, più di mezzo milione di fucili, 3
milioni e mezzo di granate e vari altri approvvigionamenti logistici.
Evidentemente uno sforzo simile per un Paese già in grave difficoltà
economica, non poteva non avere un compenso che in gran parte ci fu
con l'oro della banca di Spagna e soprattutto non poteva durare a
lungo, specialmente se il fronte bellico minacciava di spostarsi ai
confini dell'URSS.
Purtroppo ci fu la completa indifferenza delle potenze occidentali “democratiche”
e il soverchiante intervento delle truppe nazifasciste che superò di
almeno due volte e mezzo quello sovietico, a fronte di circa 2000
uomini mandati da Stalin, Mussolini ne mandò ben 50.000, molti dei
quali convinti di andare in Africa.
La
situazione già compromessa sul piano dello squilibrio bellico in una
circostanza in cui la disciplina militare dovrebbe soverchiare ogni
altra diatriba interna di tipo ideologico, fu aggravata dai notevoli
dissidi all'interno del Fronte Popolare, tanto che si ebbe una sorta
di “guerra nella guerra” tra le varie componenti in lotta contro
Franco, e questo aggiunto al mancato aiuto da parte di Francia,
Inghilterra e USA, fu fatale per la giovane ed esuberante repubblica.
Inoltre i quadri degli ufficiali sovietici venivano in gran parte da
un' Armata Rossa che non aveva dimenticato la guida di Trozky, e il
suo spiccato internazionalismo, e il rischio che in Spagna non solo
Rosselli teorizzasse: “Oggi in Spagna domani in Italia”, ma anche
qualcuno degli emissari di Trozky considerasse: “Oggi in Spagna
domani in URSS” non era affatto trascurabile. Di qui il ritiro di
Stalin che considerò la guerra di Spagna un inutile spreco di
risorse in vista di un pericolo maggiore ai confini dell'URSS e
l'epurazione di vari reduci sovietici
Di
qui anche il patto con la Germania che Stalin inutilmente cercò di
spingere ad Ovest, con l'intento di indebolire le democrazie
borghesi, guadagnando nel frattempo tempo e terreno, ma scontando
anche la mancanza di efficaci quadri militari, o periti in Spagna o
epurati in quanto trotzkisti, ciò nonostante, più di 6.000
spagnoli, per lo più comunisti, si trasferirono in Unione Sovietica
dopo la caduta della Seconda Repubblica spagnola. Centinaia di loro
presero parte alla guerra che scoppiò nel 1941 contro la Germania
nazista
E
veniamo al patto Molotov Ribbentrop che fu una operazione sicuramente
cinica ma realistica, con cui Stalin concesse meno di quanto nello
stesso anno avevano concesso le potenze occidentali a Hitler,
ottenendo molto di più, in parole povere
Stalin,
ottenendo territori e guadagnando tempo, agì cinicamente ma
razionalmente. Chamberlain e Daladier, cercando di placare Hitler,
agirono immoralmente e stupidamente.
L'obiettivo
di Hitler, il suo Lebensraum non era infatti l'Europa Occidentale, ma
quella Orientale, fino a conquistare non solo il granaio
dell'Ucraina, ma anche i pozzi di petrolio del Caucaso, il suo sogno
che le potenze occidentali gli riconoscessero il titolo di campione
dell'anticomunismo, di colui che lo aveva sconfitto per sempre. Ma
sappiamo bene come andò in seguito e il primo ad esserne sorpreso fu
proprio lui, che ebbe almeno inizialmente la consolazione di non
dover combattere su due fronti e che quando si illuse che il fronte
occidentale ormai fosse schiacciato, non esitò a rovesciare il
tavolo e ad intraprendere l'Operazione Barbarossa.
E
veniamo quindi alla Grande Guerra Patriottica, in cui si può ben
dire che Stalin trionfò, ma la vera domanda è..sarebbe stato
possibile senza una saldatura tra lui (così tirannico, autocrate,
sterminatore) e il popolo sovietico, cioè se il popolo russo non si
fosse riconosciuto nella sua guida e avesse invece risposto, come
alcuni ucraini fecero, all'appello dei nazisti invasori per la
liberazione dal tiranno comunista?
Evidentemente
no, e con l'Unione Sovietica, sarebbe caduta l'Europa. Ma a cosa fu
dovuta questa saldatura? Lo capiamo bene se leggiamo libri come “I
giorni e le notti” di Simonov
Konstantin
che ci narra dettagliatamente l'assedio di Stalingrado.
L'esercito
sovietico non prevalse solo per gli aiuti degli alleati, e per la
rigida disciplina oltre che per la tenacia patriottica, ma
soprattutto per l'opera infaticabile dei Commissari del Popolo i
quali affiancavano gli ufficiali nella lotta e nella strategia
politica oltre che militare, e spesso morivano in prima linea con
loro. 20 milioni di morti costò la guerra all'URSS e di questi ben 7
milioni furono gli ucraini che non si lasciarono suggestionare dai
rancori nazionalistici o da Hitler, mentre altri come Bandera oggi
assunto a eroe nazionale, collaborarono con i nazisti e anche nello
sterminio degli ebrei.
I
Commissari del Popolo erano quadri di partito, il vero collante tra
esercito popolare sovietico e Stalin, senza il loro strenuo operato e
senza che lo stesso Stalin teorizzasse e si adoperasse per una
saldatura tra gruppi dirigenti e popolo, evidentemente anche con
notevoli strumenti propagandistici, la Guerra Patriottica non sarebbe
stata vinta
E
la mancanza attuale di grandi motivazioni patriottiche e ideologiche,
assieme all'assenza di tali commissari di partito tra i quadri
nevralgici dell'esercito russo è la principale debolezza della forza
militare russa odierna oltre ovviamente alla profonda scollatura tra
quadri dirigenti ricchissimi e completamente deideologizzati, i
cosiddetti oligarchi, e il popolo.
La
chiave risolutiva dell'esercito sovietico che fu il vero vincitore
della Seconda Guerra Mondiale perché arrivò a conquistare mezza
Europa, è in questa affermazione cruciale di Stalin: «Il
partito non può essere solo un reparto di
avanguardia.
Esso deve essere, in pari tempo, un reparto, una parte della classe
operaia, parte intimamente legata ad essa con tutte le fibre della
sua esistenza. Il partito è parte inseparabile della classe
operaia». «Il partito, prosegue Stalin, è una frazione della
classe, esiste per la classe e non per se stesso». Con ciò capiamo
come allora la guerra vinta fosse non solo militare, ma ideologica e
popolare, e non dovuta solo all'autoritarismo di un autocrate
totalitario.
E'
infatti piuttosto ridicolo credere che milioni di uomini possano
essere mobilitati solo con una disciplina imposta, perché per quanto
ferrea, essa è destinata, come nel caso di quella nazifascista, a
fallire. Se i comunisti non fossero stati anche esseri umani
pensanti, con le loro capacità e virtù unite al loro spirito di
sacrificio, l'Unione Sovietica avrebbe perso irrimediabilmente la
guerra. Il comunismo è decaduto non per mancanza di impegno, ma
soprattutto perché ha perso di vista il suo scopo vitale ed
ideologico di esistenza: la fine del capitalismo, la capacità di
adattarsi alle metamorfosi del capitalismo stesso e di combatterle
senza perdere la sua natura originaria.
In
questo è anche la profonda differenza tra un Trozky che riteneva che
il partito non sbagliasse mai e invece Stalin che era pienamente
convinto che a non sbagliare mai invece dovesse essere una guida
comunista che fosse perfettamente in grado di interpretare le sfide
del presente, senza restare prigioniero del passato e senza slanci
illusori nel futuro.
Lo
disse a chiare lettere lo stesso Stalin: «Soltanto un partito che si
allontana verso il passato è condannato a perire, può temere la
luce e la critica. Noi non temiamo né l’una né l’altra, non le
temiamo perché siamo un partito che va avanti, che avanza verso la
vittoria»
L'URSS
ha cessato di esistere già dal rinnegamento con Kruscev di due
presupposti fondamentali: l'esistenza di un capo carismatico tanto
fedele ai principi ideologici del marxismo-leninismo quanto
duttilmente capace di adattarli alle sfide del suo tempo, e allo stesso tempo la garanzia del benessere e della sicurezza per il suo popolo e per quelli legati dalla stessa solidarietà internazionale
anticapitalista, nel primato del valore dell'umanità su quello del
profitto.
Il
trionfo del capitalismo, dall'altra parte, è stato propiziato dalla
immensa capacità espansiva legata ad un concetto di libertà
indissolubile rispetto alla corruzione necessaria per affermarlo
senza uno straccio di responsabilità collettiva, dall'illusione che
l'individuo possa ergersi sulla massa come artefice di un destino
proprio, e non invece veicolato dall'apparato tecnico ed economico a
cui appartiene senza alcuna via d'uscita.
E'
facile oggi relegare Stalin tra i perdenti e tra gli orrori della
storia, oppure nei coloriti e caricaturali episodi di Don Camillo e
Peppone, come il “baffone” che fu, e che pure nell' ”addavenì!”
non tornerà mai, senza capire il suo tempo, e come egli seppe
costruire in esso un modello di Stato e di essere umano tale da
resistere a tutti i nemici che il mondo seppe mobilitare contro di
esso. Facile soprattutto se al suo posto prevalgono i “buffoni”,
nella sua Patria come altrove, quelli che il culto della personalità
lo legano ai loro interessi privatissimi, economicissimi,
oligarchicissimi, capitalisticissimi, che hanno bisogno dei loro
valvassini o valvassori ben compensati e pagati per restargli fedeli,
anche se tra loro e il popolo ci sta un abisso, che non mobilitano i
commissari del popolo, ma le suggestioni dei media e gli apparati di
polizia militare più che politica, per restare al potere. Stalin aveva in mano l'Unione Sovietica che allora produceva il 9% del PIL mondiale ma non risulta che abbia mai fatto uso personale di tale ricchezza. Tutto restò infatti nelle mani dello Stato e del PCUS.
Sulle cosiddette "purghe staliniane" il discorso sarebbe lungo e complesso, ma volendo evitare le cifre a senso unico e ridimensionare quanto meno il rapporto segreto di Krusciov che divenne "non segreto" solo quando a lui fece comodo diventare segretario, con la storiografia recente e in particolare con Grover Furr, che ha avuto a disposizione dopo la fine dell'URSS una enorme quantità di documenti prima non reperibili, possiamo dire che le "vulgate" sparse un po' ovunque nel merito non risultano confermate dagli stessi documenti consultati dall'autore e provenienti dagli archivi desecretati dell'Unione Sovietica. Lo stesso storico afferma nell'introduzione del suo libro che: «Sarei stato, quindi, molto più contento se la mia ricerca fosse giunta alla conclusione che solo una parte, diciamo un 25%, delle "rivelazioni" di Krusciov su Stalin e Beria era false. Tuttavia, dato che praticamente tutte quelle "rivelazioni" che possono essere controllate sono, di fatto, delle falsità, l'onere della prova ricade più pesantemente su di me come studioso più di quanto accadrebbe normalmente.» Il libro è consultabile al seguente link
E'
facile rievocare Stalin nelle riunioni dei partitucoli della sinistra comunista residuale che vanno a
intruppare nei loro asfittici proclami ideologici, che credono che un
sito web sostituisca il duro lavoro di chi conquista sul campo il
consenso delle masse, guidando le lotte nel mondo del lavoro, in
quello in cui l'eguaglianza, la pace e i beni comuni vengono
calpestati, illudendosi che le loro galassie e la loro nicchia facciano la differenza, più o meno come gli stiliti del medioevo. Quegli
eremiti che salivano sulle colonne e ci restavano a proclamare al
tempo stesso la loro verità e la loro solitudine.
Diremmo
persino banale contestarlo per chi si è assuefatto al concetto borghese di
libertà, che può consistere solo nella migliore delle ipotesi in
sesso, soldi e successo, mediamente in un lavoretto, una casetta e un
conto in banca, e nella peggiore, e sempre più diffusa oggi, nella
precarietà endemica, o ancor peggio in quella di girovagare dove ti
pare dormendo sotto un ponte.
Sarà il caso di ricordare, inoltre, che durante il periodo staliniano il lavoro era considerato un diritto dal quale non escludere nessuno, ed era un dovere di onorabilità provvedere a chi per età o per invalidità, non poteva lavorare. L'uguaglianza tra i sessi una norma, che prescindeva anche dall'etnia e dalla nazionalità, mentre a tutti era riconosciuto il diritto all'istruzione, alle cure mediche e ai trasporti a costi irrisori. L'orario di lavoro era ridotto a 7 ore giornaliere, con ferie e riposo settimanale garantiti, con cure termali che un tempo erano riservate solo ai nobili. Senza queste conquiste lo Stato sociale in Europa non sarebbe apparso, e ha iniziato a scomparire con la fine dell'Unione Sovietica.
Potrà
sembrare paradossale che il più feroce dittatore della
storia, lo sterminatore del dissenso, il creatore dell'inferno del
Gulag, ma anche il politico meno letto, poco prima di morire,
parlasse di libertà in questi termini e con questo appello: «La
bandiera delle libertà democratico-borghesi, la borghesia l’ha
buttata a mare; io penso che tocca a voi, rappresentanti dei partiti
comunisti e democratici, di risollevarla e portarla avanti, se volete
raggruppare attorno a voi la maggioranza del popolo. Non vi è nessun
altro che la possa levare in alto …»
Se
ci facciamo un serio esame di coscienza anche solo ricordando una
famosa canzone di Gaber in cui il ritornello ripeteva “Libertà è
partecipazione”, forse potremo più facilmente fare a meno dei
fantasmi del passato e anche degli incubi del nostro presente, magari
recuperando una bandiera finita nei sotterranei della storia.
Carlo
Felici