Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

lunedì 27 marzo 2023

LA TORTURA E' LA FORZA DELL'IGNORANZA

 





E' notizia recente la proposta di alcuni esponenti di Fratelli d'Italia per abolire gli articoli di legge che hanno introdotto in Italia, dopo un lungo e travagliato percorso parlamentare, il reato di tortura.

Sarà bene ricordare nello specifico tali articoli di legge. L'articolo 613-bis c.p. punisce con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza ovvero che si trovi in situazione di minorata difesa, se il fatto è commesso con più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Vi sono poi aggravanti previste per l'abuso di potere da parte di pubblici ufficiali, lesioni gravi e morte in conseguenza di violenze per tali lesioni.

L'articolo 613-ter punisce invece l'istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura. In particolare, è prevista la reclusione da sei mesi a tre anni per pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso.

E' del tutto evidente che questi articoli, che sono giunti dopo episodi particolarmente cruenti ed efferati di violenza da parte di alcuni esponenti delle Forze dell'Ordine, per altro poi condannati, come a Genova o nel caso della morte di Cucchi, sono una conquista di civiltà che in Italia giunge ora ma che appartiene alla stessa tradizione culturale e giuridica dell'Italia, pur non avendo purtroppo trovato prima una giusta formulazione

Fu infatti Cesare Beccaria nella sua famosissima opera “Dei delitti e delle pene” che si scagliò contro la pena di morte e di tortura ben prima che in Europa si affermassero le idee di tolleranza e divisione dei poteri con l'Illuminismo e la Rivoluzione Francese.

Egli ritenne, in particolare, che la tortura e la pena di morte non fossero solo crudeli, ma soprattutto inutili sia per la scoperta della verità sia perché il reo prendesse coscienza del male commesso.

Citiamo alcuni brani della sua famosissima opera: “Ma quali saranno le pene convenienti a questi delitti? La morte è ella una pena veramente utile e necessaria per la sicurezza e pel buon ordine della società? La tortura e i tormenti sono eglino giusti, e ottengon eglino il fine che si propongono le leggi? Qual è la miglior maniera di prevenire i delitti? Le medesime pene sono elleno egualmente utili in tutt’i tempi? Qual influenza hanno esse su i costumi? Questi problemi meritano di essere sciolti con quella precisione geometrica a cui la nebbia dei sofismi, la seduttrice eloquenza ed il timido dubbio non posson resistere. […] Dalla semplice considerazione delle verità fin qui esposte egli è evidente che il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso. Può egli in un corpo politico, che, ben lungi di agire per passione, è il tranquillo moderatore delle passioni particolari, può egli albergare questa inutile crudeltà stromento del furore e del fanatismo o dei deboli tiranni? Le strida di un infelice richiamano forse dal tempo che non ritorna le azioni già consumate? Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque e quel metodo d’infliggerle deve esser prescelto che, serbata la proporzione, farà una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo.”

Sappiamo che attualmente questi principi sono stati universalmente acquisiti con la Convenzione dell'ONU, e che lo stesso Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa già quando vennero emanati in Italia quegli articoli, pose all'attenzione del nostro Paese la necessità che tali norme fossero ancora più aderenti ai principi della Corte Europea dei diritti dell'uomo e con la Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura – UNCAT.

Nonostante ciò, il nostro attuale premier, già nel 2018 si espresse contro quegli articoli di legge, rilevando la necessità di Abolire il reato di tortura che impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro” Poi forse constatata l'abnorme assurdità di tale affermazione che riconoscerebbe implicitamente nelle mansioni della polizia quella di torturare gli indagati, cosa infamante per le stesse Forse dell'Ordine, corresse il tiro specificando che quegli articoli di legge andavano modificati.

Ora che FdI è al governo questo intento dovrebbe concretizzarsi in base ad una proposta di legge che tende a modificare o ad abolire quegli articoli in base alle seguenti motivazioni: se non si abrogassero gli articoli 613-bis e 613-ter “potrebbero finire nelle maglie del reato in esame comportamenti chiaramente estranei al suo ambito d’applicazione classico, tra cui un rigoroso uso della forza da parte della polizia durante un arresto o in operazioni di ordine pubblico particolarmente delicate o la collocazione di un detenuto in una cella sovraffollata”.

E ancora: “gli appartenenti alla polizia penitenziaria rischierebbero quotidianamente denunce per tale reato a causa delle condizioni di invivibilità delle carceri e della mancanza di spazi detentivi, con conseguenze penali molto gravi e totalmente sproporzionate”.

In buona sostanza si ammette non solo che la polizia ha necessità in certi casi non di mettere solo qualcuno in condizioni di non nuocere, ma di agire con crudeltà e causare acute sofferenze, perché questo è solo ciò che punisce il reato di tortura, ma anche che si hanno carceri sovraffollate e invivibili, e non si vuole fare nulla per ovviare a questa palese barbarie.

In pratica ad una barbarie se ne aggiunge un'altra, supponendo che la sola impunità per una repressione con tutti i mezzi, inclusa la crudeltà e la violenza tesa a infliggere acute sofferenze, possa essere giustificata senza che la legge vi possa porre un freno.

Invece di aprire un serio dibattito sulla invivibilità del sistema carcerario italiano, su ciò che si possa fare per trovare pene alternative volte al recupero e al serio reinserimento dei condannati (dato che questo è lo scopo della carcerazione secondo i principi costituzionali), su come le carceri possano essere ampliate e rese più vivibili, o almeno tali da non farle sembrare uno zoo, si propone di abolire un principio di civiltà di cui il nostro Paese dovrebbe vantarsi perché proprio qui da Cesare Beccaria fu elaborato più di due secoli fa.

Inutile sottolineare che solo le più feroci dittature o le democrature (democrazie che governano con l'esercizio della violenza contro le masse popolari), hanno bisogno di tali strumenti che usano e di cui abusano a loro arbitrio e purtroppo anche a loro piacimento. Regimi fascisti sudamericani, dittature comuniste nell'Europa Orientale hanno fatto largo uso di questi strumenti con il KGB, la Gestapo, l'Ovra, persino la CIA a Guantanamo

Se pertanto questi articoli di legge vanno migliorati, sarà opportuno farlo secondo le indicazioni del Commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa, più che in base alle proposte dei fantaccini della Meloni

In buona sostanza, il Commissario ha fatto notare che le nuove norme dovrebbero comportare pene adeguate per i responsabili di atti di tortura o pene e trattamenti inumani o degradanti, comportando un effetto di seria deterrenza e dovrebbe essere assicurata una punibilità per questo reato non soggetta a prescrizione, né che sia possibile emanare in questi casi misure di clemenza, amnistia, indulto o sospensione della sentenza.

Le Forze di Polizia hanno bisogno di professionalità, di preparazione e di mezzi adeguati, a partire dalla benzina per le loro auto (parrà banale ma è così in molti casi), per esercitare il loro difficile compito, non di essere degradate al ruolo di “pitbull” feroci di un sistema fondato sulla degradazione dell'individuo che subisce le pene e che esercita la stessa repressione dei reati.

Diceva Beccaria: “La verità, che difficilmente si scopre in un uomo tranquillo, tanto meno si scoprirà in chi è in preda alle convulsioni del dolore”

Se alla Meloni sta davvero a cuore la verità, se lo rilegga bene, anziché dedicarsi alle letture horror o a quelle fantasy.


Carlo Felici

giovedì 16 marzo 2023

IL VERO PESO DI UN MINISTRO

                                                 



La notizia che il “gruppo” Wagner, che altro non è che un insieme di mercenari pagati dal governo russo, o meglio da quegli oligarchi che ancora sono fedeli a Putin per combattere in Ucraina, avrebbe messo una taglia di ben 15 milioni, circa 150.000 euro al Kg, considerata il "peso", sul nostro Ministro della Difesa, non è da sottovalutare.

Di conseguenza, ben vengano ulteriori misure di protezione e di prevenzione di eventuali attentati a danno della sua persona o del suo staff.

Quando si tira fuori però una notizia del genere, che indirettamente chiama in causa non una singola persona, ma tutto il Governo di cui il ministro Crosetto fa parte, e conseguentemente l'Italia che esso rappresenta, bisogna evitare di essere allarmisti e generici, perché comunque, un attentato, nelle sue modalità attuative, potrebbe anche coinvolgere svariati cittadini italiani come “danni collaterali” ed è un fatto molto serio

Ne sappiamo abbondantemente qualcosa in merito alle stragi che sono avvenute in passato e senza nemmeno essere precedute da “notizie di intelligence” come questa, di cui la fonte certa, come è ovvio, resta segreta.

I russi d'altra parte hanno già risposto alle dichiarazioni di Crosetto in merito al coinvolgimento del gruppo Wagner, che, sarà bene ricordarlo, non è l'Armata Rossa, fatta da un popolo mobilitato per difendere la sua Patria, ma solo da un insieme di soldati al soldo di chi li paga meglio. Ebbene, tale “gruppo” (usare termini come brigata o divisione sarebbe impropriamente “nobilitarlo”) ha già risposto al nostro ministro con una affermazione che, effettivamente, ha un senso concreto e suona più o meno così: “abbiamo altro da fare”

In effetti il gruppo Wagner è impantanato a Bakhmut da parecchio tempo, sembra sia anche a corto di armi e di munizioni, tanto che ne richiede in continuazione al governo russo che però non pare incentivarlo abbastanza affinché raggiunga risultati rapidi, efficaci e definitivi. Il solo risultato, per ora, è il controllo parziale della città e una perdita innumerevole di vite dei suoi componenti

In tale situazione alquanto critica, racimolare ben 15 milioni di euro non per incrementate armamenti e soldati, ma per colpire un ministro italiano che ha solo detto che il gruppo Wagner spinge in mare i barconi con i migranti diretti verso le nostre coste, ci appare quanto meno una notizia tutta da verificare, ma sicuramente non tale da portarci ad abbassare la guardia

Sicuramente però spendere 15 milioni di euro per potenziare armamenti e soldati a Bakhmut darebbe, nell'ottica di tale gruppo mercenario, maggiori risultati, per stessa ammissione dei suoi componenti che reclamano aiuti in continuazione.

Come abbiamo già detto in Ucraina non è in atto una “Grande Guerra Patriottica” né è mobilitato un esercito di popolo come l'Armata Rossa per tutelare non solo un territorio ma anche precisi valori ideologici

Lì si combatte per soldi, e in base ai soldi. Lo fanno gli ucraini, pagati dagli occidentali, perché respingano i russi e non soltanto difendano il loro territorio ma si preparino anche a spartirlo con gli interessi delle grandi multinazionali che non vedono l'ora di mettere le mani sulle risorse minerarie ambientali e sulla manodopera ucraina. Lo fanno i russi che hanno lo stesso obiettivo che un tempo si chiamava imperialista e neocolonialista, ma che oggi è facilmente identificabile con la brama dei loro oligarchi di utilizzare e ridurre natura e uomini ucraini a merce per scopo di profitto

Per questo Putin anziché dotarsi di un sistema fiscale che consenta allo Stato non solo di distribuire ricchezza, ma anche di far fronte alle crisi politiche interne e internazionali, fa appello agli oligarchi, che altro non sono che ex appartenenti alla nomenklatura di potere sovietica, divenuti ricchissimi con il commercio all'estero delle materie prime e che hanno investito una marea di capitali all'estero, affinché riportino questi capitali in Patria per combattere per lui.

Ebbene, pare che questi oligarchi non abbiano come scopo la difesa della Patria né sovietica né putiniana, ma solo il loro arricchimento, quindi investono e spostano repentinamente capitali ovunque nel mondo ci siano paradisi fiscali oppure opportunità di investimenti e di lucro, in poche parole combattono pro domo sua, per se stessi, e per il loro profitto più che per una Patria che non hanno più e forse non hanno mai avuto. La conseguenza è che questo loro spostamento veloce di capitali che sono molto rilevanti e che nessuno ha mai osato toccare, ora sta mettendo in crisi anche gli istituti finanziari e le banche di un certo rilievo, anche se non ancora quelle centrali, preoccupate più che altro di un continuo e demenziale rialzo dei tassi e del costo del denaro, il quale non farà altro che impoverire il continente europeo, privandolo di opportunità e di investimenti e facendo crescere il debito.

Ora in tutto questo quadro, la notizia di 15 milioni che verrebbero spesi per colpire un nostro ministro, che se vogliamo dirlo con parole povere, agli oligarchi e alla Russia fa un emerito baffone, sarà sicuramente allarmante ma è tutta da approfondire e in completa segretezza, anziché essere affidata all'allineato sistema amplificatorio dei media italiani con tanto di fanfara.

Non molto tempo fa, la Meloni diceva addirittura di voler mandare i nostri soldati in Libia, se altri non lo avessero fatto, una sua intervista parla chiaro. https://www.youtube.com/watch?v=JSBjF7Jd1Yc

In campagna elettorale ha parlato più volte di blocco navale sulle nostre coste, e non riesce a chiamare in causa nemmeno la Marina Militare per il tracciamento delle rotte clandestine che conducono al nostro Paese.

Adesso ci troviamo con un ministro in difficoltà che non ottiene risultati e quello che vorrebbe, per beghe interne al governo su chi si debba fregiare dei risultati della lotta all'immigrazione clandestina.

E invece della risoluzione del problema che ha generato una delle più colossali e disumane tragedie in mare, a fronte di una triplicazione degli sbarchi, rispetto all'anno scorso, in una situazione in cui viene prospettata all'opinione pubblica da una parte l'emergenza bellica e dall'altra la solita impotenza europea a trovare una soluzione condivisa per distribuire quote di migranti e assicurare l'assistenza in mare, o persino intervenire, come diceva la Meloni in Libia, magari contrastando direttamente con un contingente europeo il gruppo Wagner, sempre ammesso che ci sia, ebbene che si fa? Si agitano pericoli, di cui non si sa con precisione né la portata né le conseguenze

Ma un ministro, in tali già critiche contingenze, non farebbe meglio a tacere e a dire soltanto a cose fatte: “abbiamo sgominato il gruppo Wagner che agiva in Libia e preparava anche un attentato contro la mia persona”. Insomma dopo avere ottenuto risultati credibili

Anche perché diramare notizie del genere, anche ammesso che siano credibili, non fa che avvantaggiare chi pone in atto le minacce, e per di più disorientare l'opinione pubblica.

C'è un motto latino che recita: Unicuique suum tribuere, alterum non laedere Dare a ciascuno il suo, non danneggiare gli altri.

Questo vuol dire affrontare le cose come si deve a seconda dei problemi specifici che si presentano e non danneggiare in primis la propria credibilità...perché sappiamo come è finita la storia del pastorello e del lupo. E qui pare anche che di lupi non ce ne sia uno solo..

Il peso specifico, la consistenza di un ministro è dato solo dalla sua capacità di svolgere bene il suo compito, senza clamore e con risultati concreti da offrire all'opinione pubblica, non dai pericoli che agita intorno a sé

PS

E' notizia dell'ultimo minuto, dopo quello che ho scritto, che il Ministro in questione dichiara: "non mi sento minacciato e sono certo che non ci siano taglie o altro su di me"


Molto bene, avrà allora modo di concentrarsi meglio sul suo lavoro, auguri.


Carlo Felici

martedì 14 marzo 2023

WAGNER E LA CAVALCATA IN MARE


 


 

La destra, che più destra non si può nemmeno con il riconteggio, diremmo parafrasando un vecchio slogan pubblicitario, perché i sondaggi la danno tuttora vincente anche per la debolezza di una sinistra divisa e per l'astensionismo crescente, ha da sempre fatto della sua bandiera la lotta all'immigrazione clandestina e la difesa dei confini, evocando persino “il Piave che mormorò”

Oggi, piuttosto, credo che siano a mormorare sempre di più i suoi elettori che hanno visto salire la percentuale degli immigrati clandestini, addirittura del triplo rispetto ai dati dello scorso anno quando questo governo non era ancora insediato.

Ricordiamo che la Meloni era quella che invocava il blocco navale della Marina militare lungo le coste italiane e nelle rotte dei trafficanti di esseri umani. Poi, una volta al governo, cosa ha fatto? Oltre a voler fare la prima della classe per l'invio di armi in Ucraina, ha scartato l'ipotesi di un coordinamento con la Marina Militare, l'unica dotata di strumenti tecnologici di alta precisione per l'individuazione di imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo, a causa di mere beghe interne e semplicemente perché Salvini avrebbe ricoperto un ruolo di secondo piano assieme non soltanto al ministro dell'Interno, ma anche a quello dei Trasporti, di cui si è dovuto accontentare lui, il mitico “difensore dei confini”

Lo stesso Crosetto che ha dovuto rinunciare a tale compito che sarebbe stato perfettamente in linea con le promesse elettorali, anche se sicuramente non avrebbe bloccato nulla, ma solo assicurato una maggiore prevenzione delle sciagure in mare, oggi scarica la colpa della sua retromarcia non sugli alleati di governo, ma su una fantomatica azione “multinazionale” del reparto militare Wagner utilizzato dai russi in Ucraina, che nemmeno riesce a conquistare del tutto e da parecchio tempo Bakhmut, impantanato com'è nella sua parte orientale, e non si sa bene se perché a corto di iniziativa o di munizioni

Così, in questa difficile sua operazione militare, non avrebbe niente di meglio da fare che andare a preparare barconi da spedire o dirottare in Italia, evocando una sorta di “guerra ibrida”

Ora, il termine ibrido sembra derivi dal latino hybrĭda che vuol dire “bastardo”, cioè dato dall'incrocio di due componenti non omogenee, usato per auto che, ad esempio, funzionano ad elettricità e a benzina.

Non sappiamo quanto possa essere ibrida una formazione militare che, non riuscendo a sfondare i quartieri di una città, sia talmente potente da sfondare le resistenze marittime dell'Italia, ma sicuramente sappiamo quanto è ibrido un governo che da una parte predica il blocco navale e dall'altra non riesce nemmeno ad utilizzare la Marina Militare per il tracciamento delle rotte marittime clandestine.

E che per giunta esclama per bocca della sua premier di voler perseguire i trafficanti “per tutto l'orbe terracqueo” mancava solo che aggiungesse.. “di cielo, di terra e di mare” o “popolo italiano, corri alle sponde!”

Comunque, ironia a parte, di panzane se ne sentono molte come quella di andare a prenderli con le nostre navi e poi distribuirli nei vari Paesi europei, che sono molto meno accoglienti di noi, specialmente nel Nord Est dell'Europa, dove accolgono più facilmente i profughi ucraini perché hanno molte più affinità culturali e religiose di coloro che vengono dall'Africa o dal Medio Oriente.

Ma qui non è tanto una questione di religione, cultura, o di etnia, quanto piuttosto di squilibri sociali, economici e di guerre.

L'Europa è del tutto impotente rispetto alla risoluzione di tali questioni che ruotano attorno ad essa, procede in ordine sparso e sciovinista, vedasi per esempio la Francia che controlla le rotte migratorie in Africa molto più di altri e specialmente della fantomatica divisione (prima solo gruppo, poi compagnia poi promossa a divisione da Crosetto) Wagner.

Ma ovviamente, come faceva comodo ai tempi di Berlusconi che vedeva comunisti uscire anche dalla tazza del water, oggi fa comodo veder piovere mercenari putiniani tutte le volte che scende sabbia dal cielo.

Attendiamo quindi prove certe dai satelliti militari, o almeno da quelli metereologici di tale incombente nubifragio, se non si è capaci di prevenire il naufragio

Un sistema efficace però per scoraggiare gli sbarchi ci sarebbe: Quello di andare vicino alle coste libiche e gridare con i megafoni come vengono trattati o muoiono annegando in mare i migranti che cercano di arrivare in Italia, in quali condizioni pietose si trovano nei campi di raccolta, sotto quale forma di schiavismo vengono utilizzati per raccogliere pomodori o altro, come la prostituzione o forse anche il traffico clandestino di organi utilizza un materiale umano senza limiti e sempre più abbondante

Come l'Europa si sia specializzata nella riduzione della povertà degli esseri umani a merce per trarne il maggior profitto

Ma forse per questo non basterebbe nemmeno la Marina Militare, ci vorrebbero anche i sistemi satellitari che entrando in tutte le “case del globo terracqueo” accompagnassero tali informazioni con la colonna sonora delle Valchirie di Wagner.


Carlo Felici


giovedì 9 marzo 2023

DA KRUSCIOV A PUTIN. LA ROVINOSA FINE DELL'URSS

 



La premessa necessaria di questo scritto che vuole analizzare le cause vere dell'implosione dell'Unione Sovietica, e che è un po' l'epilogo di un altro articolo su Stalin, è che chi scrive non è comunista, ma non perché il comunismo, nella sua accezione ideologica e nell'esempio straordinario di emancipazione popolare, sia da rigettare, ma semplicemente perché oggi non esistono condizioni storiche, sociali ed economiche tali da poterlo, almeno nell'immediato, riproporre. Anche se gli ideali e i valori socialisti sono tuttora vivi e vegeti. Tuttavia è da rigettarsi in maniera netta e sdegnata l'equiparazione del comunismo con il nazifascismo, operata persino in sede UE, e con la complicità di quasi tutte le forze politiche italiane, una equiparazione che lo stesso Thomas Mann respinse nettamente.


Scopo di questo scritto è dimostrare, come quello precedente era sottrarre la figura di Stalin a improprie strumentalizzazioni, demonizzazioni o agiografie, che il comunismo, nella sua versione più popolare ed espansiva marxista-leninista, ha cominciato a suicidarsi con Krusciov, principale accusatore di Stalin, e nella sua lenta eutanasia ha continuato a farlo per altri quasi 40 anni, snaturandosi completamente e perdendo per questo di credibilità e popolarità.

Abbiamo già mostrato che il rapporto di Krusciov su Stalin è completamente falso, sulla base delle ricerche di un autorevole storico americano come Furr e soprattutto in seguito alla analisi dei documenti desecretati dopo la fine dell'URSS. Vediamo ora con quali conseguenze.

Il XX congresso dell'URSS ha rappresentato una vera e propria rottura con i principi del marxismo-leninismo perché ha completamente rimosso l'esercizio diretto del potere da parte della classe proletaria (Stalin ammetteva anche non iscritti al partito nella gestione di importanti strutture dello Stato), in nome di “uno Stato di tutto il popolo” che però si riduceva ad essere gestito soltanto dai fedelissimi della casta al potere. In tale Congresso si rinnegò il ruolo di “avanguardia cosciente” e di guida del partito comunista, in nome di un non ben definito “partito di tutto il popolo” formalmente comunista ma sostanzialmente deideologizzato e rispondente alle direttive dei suoi capi. Si decretava inoltre in buona sostanza, la fine dell'esperienza rivoluzionaria in nome di una prassi gradualista e riformista che anziché ridurre la presenza dello Stato, la rese molto più pesante e burocratica, e diremmo anche selettiva negli intenti della classe dirigente al potere.

Economicamente e politicamente venne avviato un sostanziale ritorno al capitalismo, con riforme che esaltavano il criterio del profitto come scopo principale della produzione e parametro di valutazione di ogni azienda. La prima conseguenza di ciò fu la perdita di ogni potere in ogni luogo di produzione tanto dell'assemblea dei lavoratori, che degli organismi di controllo operaio e un radicale mutamento dell'organizzazione del lavoro. La seconda fu la nascita di una nuova borghesia, favorita anche dall'incremento degli incentivi materiali, che costituì poi l'ossatura della nomenclatura di potere. Venne distrutto il sistema di pianificazione generale, demandando alle singole regioni la possibilità di pianificare la loro crescita, acquisendo ulteriore autonomia (emblematico il caso dell'Ucraina), e con ciò generando forti squilibri tra le Repubbliche Sovietiche che saranno la base della futura disgregazione.

La liberalizzazione, la fine del collettivismo nelle campagne, gli investimenti in zone improduttive, lo sfruttamento indiscriminato dei beni naturali generarono disastri idrogeologici, un calo della produzione generale e l'esigenza di nuove importazioni agricole persino dagli USA, come fu palese nel 1963, anno di grande carestia. Ci fu una riforma del sistema dell'istruzione che nella sostanza favorì le classi dirigenti più agiate le quali, grazie a specifici atti legislativi, ottennero sempre maggiori privilegi, nei settori più nevralgici dello Stato come quello politico, militare, della ricerca, ministeriale e nei Servizi segreti. Per loro pensione più alta, costo degli affitti ridotto alla metà, uso gratuito dei mezzi pubblici, villeggiatura e cure termali gratis e via dicendo.

I lavoratori, d'altra parte, videro una contrazione dei salari e problemi crescenti sul piano occupazionale e per l'approvvigionamento di beni alimentari. Ogni forma di protesta, che nonostante tutto ci fu, venne tacitata e brutalmente repressa, anche mobilitando l'esercito.

In seguito, con Breznev, solo apparentemente fu mostrato soprattutto all'estero di voler resistere all'imperialismo e riprendere la dottrina staliniana, ma solo come fumo negli occhi dell'opinione pubblica, nella sua cruda sostanza più propriamente la “dottrina Breznev” si dimostrò come una forma più subdola di colonialismo e socialimperialismo. In buona sostanza, come ebbe a rilevare anche Che Guevara in un suo famoso discorso ad Algeri, l'URSS acquistava e vendeva merci ai paesi come Cuba nella sua orbita, non con scambi paritari, ma a prezzi di mercato. E anche il Vietnam fu aiutato nel suo sforzo bellico solo in funzione di contenimento geostrategico, ma poi abbandonato al suo disastroso destino economico e sociale

La cosiddetta "dottrina Breznev'' fu quindi l'attuazione di una politica socialimperialista di aggressione ed espansione. Essa aveva come capisaldi le teorie "della sovranità limitata''; "della dittatura internazionale''; "della comunità socialista''; "della divisione internazionale del lavoro''; "degli interessi coinvolti''. Breznev, come abbiamo detto, acquistava e vendeva ai paesi satelliti merce a prezzi di mercato, rifilando loro macchinari obsoleti Questo, lo confermò anche il Che ad Algeri e gli costò l'esilio, è colonialismo non internazionalismo proletario

In base alla dottrina marxista-leninista sui rapporti tra gli Stati socialisti e secondo i principi dell'internazionalismo proletario è necessaria uguaglianza e completa parità nelle relazioni tra Stati, che è fondata sull'appoggio e l'assistenza reciproci. Sul non ingerirsi negli affari interni dei paesi “fratelli” rispettando al contempo sia la loro integrità territoriale, che la loro sovranità e indipendenza nazionale. In buona sostanza sul mutuo aiuto sia tra gli Stati socialisti, che fra questi e i paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina, per promuovere lo sviluppo armonico e progressivo di ciascuno, a partire dalle condizioni specifiche ambientali e sociali di ognuno, senza imporre un' unica dottrina economia a tutti, esportata dall'URSS, come accadeva nei paesi satelliti dove le classi dirigenti ricevevano un apposito manuale, sempre lo stesso da applicare in ogni contesto, quasi fosse un “catechismo economico” da imporre a tutti. Questa dottrina evidentemente mirava più alla spartizione del modo in aree di influenza egemonica che all'emancipazione dei popoli dall'imperialismo.

La conseguenza fu che lo scontento e la scollatura dalle classi popolari fu sempre più netta, generando sempre più aperto dissenso, e così la gloriosa Armata Rossa che aveva restituito speranza e libertà ai popoli oppressi dal nazifascismo, fu trasformata in uno strumento di aggressione, di repressione e di oppressione. Emblematici gli interventi prima in Ungheria, poi in Cecoslovacchia e infine in Afghanistan che hanno generato una sempre maggiore disaffezione del popolo verso la nomenclatura al potere, un inadeguato sviluppo industriale e tecnologico, una sempre più forte dipendenza dell'URSS dal mercato estero per l'approvvigionamento alimentare e infine una degenerazione dei rapporti sociali e morali che ha spinto l'URSS verso l'abisso della disgregazione. Verso le mafie, verso il saccheggio delle immense materie prime da parte di oligarchi senza scrupoli, verso la perdita della stessa identità sovietica come “modello umano” e archetipo di una nuova umanità laboriosa, solidale e unita nella sua missione emancipatrice, in nome dell'individualismo e di un nazionalismo sempre più sciovinista che ripiega verso memorie sovietiche solo in funzione strumentale e per dare un contentino al popolo. Una depravazione che accomuna la Russia e i paesi in cui il capitalismo senza regole sta distruggendo occupazione, beni comuni, e Stato Sociale oltre che la stessa identità morale e civile dei cittadini che ripiegano verso forme confusionarie di populismo e di demagogia sovranista

In conclusione, possiamo quindi affermare che, dopo la morte di Stalin una lunga scia degenerativa accomuna i suoi successori e dà sempre più forza e fiato gli antagonisti dell'Unione Sovietica, decomponendone al contempo l'identità, la forza e la sua compattezza, fino alla ingloriosa fine. E nonostante il tentativo di ribaltare la storia messo in atto dalle vulgate dei media pilotati dal capitalismo imperialista occidentale secondo cui Stalin era il cattivo e gli altri hanno almeno cercato di rimediare l'irrimediabile. Mentre gli altri: Krusciov, Breznev, Andropov, Cernienko e Gorbaciov e aggiungiamo a questi ultimi Eltsin e l'attuale caudillo, autocrate, sciovinista e neozarista Putin che solo a parole dice di rimpiangere l'URSS e si affida oggi tuttavia al patriottismo di oligarchi che accumulano enormi ricchezze sfruttando risorse che appartengono al popolo russo e che da sempre le hanno investite a proprio vantaggio all'estero, non sono stati che i suoi becchini. Ora più che mai, con l'aggressione armata, e non con la semplice difesa di popoli che una volta erano fratelli, e che avrebbero dovuto essere dotati prima ancora che di armi o di classi dirigenti corrotte, di una autentica coscienza socialista internazionalista e proletaria.

Perché è la coscienza che vince tutte le guerre e protegge da quelle altrui, in quanto ha come sua luce suprema solo il bene comune, la giustizia, la libertà e la pace.


Carlo Felici





mercoledì 8 marzo 2023

CARLO ROSSELLI E LA RIVOLUZIONE SOVIETICA





Vorrei offrire come spunto di riflessione un lungo brano di Carlo Rosselli, in particolare a coloro che “lo tirano per la giacchetta” volendo farne un ispiratore di non so quale politica socialista liberale che guarda al centro ed è inossidabilmente anticomunista.

Questo brano risale al 1932 ed è contenuto nel volume I degli Scritti dall'Esilio pubblicati da Einaudi, esso in parte è stato da me già citato, ma nella sua integrità, ci dà un'idea precisa di cosa pensasse Carlo Rosselli della Russia Sovietica della rivoluzione e conseguentemente anche di Stalin che allora vi era al potere. Certamente va storicamente contestualizzato, in particolare nel riferimento alla economia collettivistica, però dimostra palesemente che Carlo Rosselli non solo non era anticomunista, ma nemmeno un sostenitore del capitalismo senza se e senza ma.

Lo presento “sine glossa”, senza commento perché non ne ha bisogno.

Il titolo è emblematico.


Non rinunciamo a discutere

Il nostro stato d'animo di fronte alla rivoluzione è complesso e non si presta a definizioni monosillabiche. Non possiamo aderirvi senza riserve sostanziali, ma non possiamo neppure seguire Kautsky e i marxisti democratici nelle loro scolastiche condanne (ancora una volta il materialismo storico si dimostra incapace a fornire un criterio obiettivo di giudizio). Comunque, prima di ogni consacrazione marxista e ogni atrocità dittatoriale sta la rivoluzione che ha distrutto l'autocrazia, che ha dato la terra ai contadini. Questa rivoluzione la amiamo e la difenderemo. La rivoluzione non è la dittatura di Stalin, è evidente. Ma se fossimo posti a scegliere tra il mondo capitalista, così come ci fu rivelato dalla guerra e dalla crisi, e il mondo bolscevico, dovremmo risolverci, non senza angosce, per il secondo.

Ma è questa un'alternativa che rifiutiamo; è questo dualismo rozzo e brutale – Dio o il diavolo: il comunismo o il capitalismo – che ci ripugna.

Tra Dio e il diavolo stiamo semplicemente per l'uomo. Il nostro sforzo sarà rivolto a superare il dissidio in nome di una nuova sintesi; nel nome del socialismo penetrato dall'idea della libertà nel quale i piani servono gli uomini e non gli uomini i piani

Se oggi difendiamo la rivoluzione russa è anche perché essa, malgrado tutti i suoi errori ed orrori, rappresenta nel mondo l'economia alternativa. La dimostrata possibilità di esistenza di una economia collettivistica è una esperienza interessante per il genere umano. L'economia collettivistica era sino a ieri per la scienza ufficiale una eresia, una economia impossibile; in ogni caso una economia statica destinata al rapido crollo per la sua impotenza a risparmiare e accumulare.

Ora si trova – venerati Maestri Molinari, Guyot, Cassel, Pantaleoni – che il paese in cui il tasso di accumulazione è più forte è precisamente...lo Stato dei Soviet. Per il popolo russo il problema non è di accumulare di più, ma di accumulare meno, di costringere i dittatori a rallentare il piano per soddisfare la fame di beni di consumo.

Accumulazione coattiva: d'accordo. Ma poi è poi così grande la libertà di accumulazione nella economia capitalistica? I molti sono liberi di accumulare per i pochi, i quali soli ne godono. E in fatto di esportazione le guerre, le crisi e le inflazioni reggono il confronto con i decreti di Stalin

Dopo l'esperienza comunista il capitalismo non è più solo arbitro, non è più solo indispensabile. La legge di sostituzione che in economia limita il prezzo dei prodotti sostituiti, servirà a insegnare la modestia e la prudenza ai regimi borghesi. Servirà a insegnare l'audacia?

Speriamolo

Eliminando con feroce costanza le disuguaglianze economiche, impedendo con ogni genere di persecuzione le accumulazioni particolari, la rivoluzione russa ha spodestato il vecchio re del mondo: il denaro.

Il denaro non è più, come in Occidente, il misuratore supremo. Il denaro non compera la Russia, e in ogni caso non assicura potenza. Anzi, l'aver posseduto è una tara, il possedere è una condanna. Questo capovolgimento di valori onde una nuova “nobiltà” proletaria ne sorge è importante e probabilmente soddisfa il messianesimo primitivo delle forre russo-cristiane (“gli ultimi saranno i primi”)

..

Anche i critici del bolscevismo sono costretti ad ammettere che i dirigenti vi hanno fatto sinora prova di una onestà e di un disinteresse materiale che contrastano con la venalità tradizionale degli antichi dirigenti. Condizione sine qua non non è solo l'obbedienza gesuitica, ma la povertà”


Abbiamo detto di non commentare ma un'ultima considerazione ci sia almeno concessa..un Rosselli così non lo si può certo arruolare tra i sostenitori del Job act, della demolizione dell'articolo 18, dell'aumento del periodo di prova da 6 mesi a tre anni, della buona scuola incentivata con l'elemosina del bonus annuale..e per amor di decenza ci fermiamo qui.

Carlo Felici



STALIN: ALCUNE CHIARIFICAZIONI

 





Aggiungo questo mio intervento sul 70° anniversario della morte di Stalin che non vuole essere una sua celebrazione apologetica ma solo un inquadrarlo meglio nel tempo in cui visse e per quello che disse e fece, in un'epoca in cui l'Unione sovietica era minacciata da forti spinte controrivoluzionarie all'interno e da attacchi da parte di varie potenze internazionali all'esterno. Nonostante ciò, essa fu in grado di elevare sensibilmente il tenore di vita del popolo e dotarsi di un potente apparato militare e industriale che in seguito le consentiranno di vincere la guerra e quella che era ritenuta allora la maggiore potenza militare del mondo.


Ciò fu possibile perché contrariamente a quanto si crede, Stalin sburocratizzò una struttura statale che tendeva a farsi nomenclatura, vedendo progressivamente scemare la partecipazione dei lavoratori alle assemblee, restituendo loro la partecipazione al lavoro quotidiano dell'amministrazione dello Stato.

Come avvenne ce lo spiega lo stesso Stalin: “Avviene attraverso organizzazioni sorte per iniziativa delle masse, attraverso commissioni e comitati di ogni genere, conferenze ed assemblee di delegati che si formano attorno ai Soviet, attraverso gli organismi economici, i comitati di fabbrica e di officina, le istituzioni culturali, le organizzazioni di partito, le organizzazioni dell'Unione della gioventù, le cooperative di ogni genere, ecc. 

I nostri compagni talvolta non si accorgono che intorno alle nostre organizzazioni di base del partito, sovietiche, culturali, sindacali, educative, dell'Unione della Gioventù Comunista, dell'esercito, delle sezioni femminili, e di ogni tipo brulica un vero e proprio formicaio di organizzazioni, commissioni, conferenze sorte spontaneamente, che abbracciano masse di milioni di operai, e di contadini senza partito, un formicaio che crea con il suo lavoro quotidiano, impercettibile, meticoloso, silenzioso, la base e vita dei Soviet, la fonte e la forza dello Stato sovietico”

Questa citazione ci fa capire come la forza di Stalin non consistesse tanto nella imposizione di una ferrea dittatura autocratica ferocemente portata avanti con la persecuzione sistematica degli oppositori, che per altro ci fu, nelle situazioni complesse e difficili in cui si trovò l'URSS, ma piuttosto nella sua capacità di mobilitare masse sterminate e profondamente eterogenee, per origine, etnia e cultura, senza che necessariamente fossero irregimentate dal partito, ma solo tenute unite da uno sforzo comune di emancipazione collettiva.

Stalin lo disse esplicitamente nel definire la dittatura del proletariato non uno scopo ma solo un mezzo, con queste parole: "La dittatura del proletariato non è fine a se stessa: la dittatura è un mezzo, è la via che porta al Socialismo. E che cosa è il Socialismo? Il Socialismo è il passaggio dalla società in cui esiste la dittatura del proletariato alla società senza Stato” In questo, bisogna riconoscere che era in perfetta linea con le idee di Marx, ed evidentemente intende per società senza Stato una collettività mobilitata permanentemente per la sua emancipazione e per il suo benessere condiviso, priva di classi e di contrasti sociali.

Ciò nonostante, soprattutto dopo il 1937, nonostante gli sforzi e la mobilitazione collettiva che vide un intero popolo stringersi intorno alla sua guida, si accentuò la tendenza di Stalin alla autocrazia e alla sistematica persecuzione degli oppositori con episodi anche molto cruenti, ma questo fu dovuto all'incremento dei pericoli esterni collaterali a quelli interni che minacciavano l'Unione Sovietica. Nel 1925 già Francia e Germania si erano riavvicinate in funzione antisovietica, crescevano le voci per una “crociata anticomunista” delle nazioni, in Polonia ci fu un colpo di Stato che portò al potere un personaggio che ammirava Napoleone per la sua invasione della Russia e che voleva strappare l'Ucraina all'URSS, acquisendo pure un protettorato sui paesi baltici, . La Gran Bretagna ruppe le relazioni diplomatiche e commerciali con l'URSS, invitando la Francia a fare lo stesso, a Pechino l'ambasciata sovietica subisce l'incursione di truppe cinesi sobillate dalla Gran Bretagna, a Varsavia viene assassinato l'ambasciatore sovietico da un emigrato della Russia Bianca, infine a Leningrado viene fatta esplodere una sede del Partito Comunista. A ciò si aggiunge la crisi del 29 e un brusco calo della quantità di grano immessa nei mercati.

Fu a questo punto che la posizione di Bucharin e di Stalin si divaricò profondamente, mentre il primo voleva perseguire a tutti i costi una espansione rivoluzionaria in Europa tanto illusoria quanto foriera di spinte disgregatrici, Stalin invece affermava di voler consolidare la politica economica nell'URSS, procedendo a tappe forzate e mediante una capillare mobilitazione popolare, verso la collettivizzazione agricola che avrebbe garantito una produzione tale da poter finanziare lo sforzo industriale e bellico per mettere al riparo l'URSS da ogni pericolo.

Indubbiamente la collettivizzazione forzata ebbe costi sociali e umani abnormi, ma già nel settembre del 1934, si volle tornare ad una legalità che comportasse l'esercizio del diritto, in una società in cui non ci fosse antagonismo di classe e in cui il popolo potesse scegliere palesemente i propri delegati a suffragio universale maschile e femminile. Stalin affermò allora di voler persino respingere gli emendamenti alla nuova Costituzione che proponevano di privare dei diritti elettorali i ministri del culto, assicurandone la libertà, così come di privarne tutti coloro che non erano in grado di esercitare un lavoro o perché "non produttivi" anziani o perché disabili, fu respinta anche la proposta di proibire le cerimonie  religiose.. Promosse la necessità di far accedere ad alte cariche i senza partito, dicendo che “la nostra politica non consiste affatto nel trasformare il partito in una casta chiusa”, per questo mobilitò specialisti, ingegneri e tecnici che si riconoscevano nel suo operato ma non provenivano dalle file del partito comunista. Allo stesso tempo, promosse accanto agli incentivi morali anche quelli materiali, sostenendo che un livellamento dei salari non era conforme ad una adeguata organizzazione del lavoro, introducendo il principio della “responsabilità personale” nello svolgimento del lavoro e dei premi che ne conseguono. 

A questo punto si sviluppa un contrasto lacerante interno con Trozky che accusa Stalin di voler reprimere il movimento internazionalista proletario e di voler esercitare dei compromessi, mediante la sua burocrazia interna, con la borghesia nazionale ed internazionale, sostenendo che l'aggressione dei paesi imperialisti si può sconfiggere solo con il sostegno dei ceti proletari dei paesi aggressori.

Stalin invece è sempre più convinto che bisogna ricucire le ferite laceranti del passato, raggiungere una stabilità determinata dall'unione del partito con le masse dei lavoratori, e allo stesso tempo praticare una accorta politica di relazioni internazionali che veda l'URSS come protagonista della storia europea ma senza finalità espansionistiche.

Evidentemente questo è uno scontro mortale, che nella prospettiva di Trozky presuppone che l'aggressore tedesco possa essere utilizzato per sconfiggere, come era accaduto nel caso di Lenin, l'apparato militare di Stalin per sopprimerlo e rimuoverlo dal potere, e dall'altra invece, secondo Stalin, presuppone un contenimento temporaneo della spinta tedesca verso Est, con una spartizione delle aree di influenza, pur nella consapevolezza che lo scontro sarebbe stato inevitabile. Come è palese, la prima ipotesi, comportava una sconfitta strategica dell'URSS, la seconda una vittoria posticipata

Il diario di Goebbels conferma che i tedeschi avevano una radio clandestina che incitava alla ribellione in Russia, esortando il popolo a seguire Trozky

Per cui Trozky rappresentava agli albori della seconda guerra mondiale un pericolo mortale per l'URSS.

Molte persone oggi ripetono il ritornello di Stalin criminale senza una adeguata conoscenza storica e decontestualizzando completamente certe teorie palesemente false che hanno cominciato a circolare su Stalin dopo la sua morte e dopo il famoso rapporto di Krusciov

In effetti morto Stalin, Krusciov, per legittimarsi e compattare i consensi e risaltare, fece uscire un rapporto pieno di menzogne su Stalin che lo criminalizzava e che fu preso al volo da tutto il mondo anti comunista per screditare non solo Stalin, ma tutta l'URSS. Eppure i carri armati in Ungheria non li mandò Stalin ma Krusciov, Stalin non mandò truppe a reprimere dissensi popolari da nessuna parte, perché era ovunque popolarissimo anche nei paesi dell'Est. Fu Krusciov ad essere contestato, perché aveva scollato, al contrario di Stalin, la classe dirigente dal popolo, costruendo una nomenklatura, che proseguì nel tempo coi suoi successori e generò dissenso e rivolte represse con i carri armati. Ma Stalin non fece nulla di tutto ciò.

Questo ci sentiamo di dirlo come affermerebbe Tacito SINE IRA ET STUDIO, cioè senza una partigianeria di alcuna sorta e con una attenta documentazione delle fonti soprattutto sovietiche emerse con l'apertura degli archivi fino a qualche tempo fa secretati.


Carlo Felici


 PS aggiungo infine che non sono "stalinista", sia perché l'unico stalinista è stato Stalin sia perché sono uno studioso di storia che cerca di documentarsi il più possibile, consapevole del fatto che ogni tesi storica è "perfettibile", per documentarsi su Stalin bisogna leggerlo, e in Italia pochissimi lo hanno fatto, anche perché la sua intera opera, dal 1950 è pressoché irreperibile se non sul mercato antiquario e se si è fortunati. Ultimamente sono riuscito a trovarla, e volete sapere...come erano le pagine, da 73 anni a questa parte? Intonse! Non le aveva mai lette nessuno.


venerdì 3 marzo 2023

MEMENTO BAFFONE

 




A settanta anni dalla morte di Stalin non è facile tuttora fare una analisi storica che possa ricordare questo personaggio, senza le lenti della demonizzazione e della agiografia

Dobbiamo però considerare che egli, più di altri, tuttora in Russia e anche altrove riscuote una notevole popolarità, e sicuramente lui, tra i capi comunisti, ha ottenuto risultati più concreti e durevoli. Ma a che prezzo? Ed è tutto vero ciò che ancora si dice di lui in merito alla sua autocrazia, alla sua feroce dittatura e al suo totalitarismo?

Un quadro storico più dettagliato e non oscurato dalla propaganda ci porta ad essere più circostanziati, anche se in un articolo lo spazio è piuttosto ristretto per fare una analisi precisa con opportuni riferimenti storiografici.

Partiamo citando Anna Luoise Strong, una giornalista e scrittrice statunitense che fu a lungo in Unione Sovietica: Chi potrà dimenticare l'Europa del 1940, quando gli eserciti francesi crollarono in dieci giorni davanti ai carri armati di Hitler, quando l'Europa fu minacciata da una nuova Età Oscura Millenaria? Chi potrà dimenticare gli assalti portati a tutta l'umanità da coloro che affermavano i diritti della Herrenrasse sulle razze inferiori schiave, e come questi assalti si infransero contro la resistenza degli uomini e delle donne di Stalingrado? Edificando febbrilmente, disordinatamente anche, questi uomini e donne eressero il pilastro che resistette quando il mondo intero vacillava: di questo l'umanità tutta è oggi loro debitrice... nell'epoca staliniana non solo è nato il primo Stato socialista del mondo e la potenza militare che fermò Hitler; in essa si è sviluppata anche la base economica che fu la premessa indispensabile alla costituzione dei nuovi stati socialisti.. l'epoca di Stalin ha messo a disposizione dei popoli d'Asia e d'Africa liberatisi dal dominio coloniale i mezzi che permetteranno loro di scegliere le vie del proprio sviluppo in un mondo economico in cui gli imperialisti non dettano più l'unica legge”

E questo già ci dà un'idea di come negli anni 30 del secolo scorso anche oltreoceano in una America in piena crisi economica dovuta al crollo della borsa nel '29, Stalin non fosse visto come un mostro, e nemmeno nell'immediato dopoguerra, quando si aprivano gli inquietanti scenari della guerra fredda.

Ma la questione è un'altra: perché un personaggio come Stalin che già dal governo sovietico di Kruscev fu condannato alla damnatio memoriae, ha mantenuto e mantiene nel mondo comunista una popolarità così forte e nonostante gli attacchi perduranti non solo della stampa liberale ma anche di quella comunista ispirata al trozkismo?

Non è facile ripercorre la sua storia all'interno dell'URSS negli anni in cui fu al potere in maniera obiettiva, ma sicuramente, almeno in sintesi potremo farlo senza riproporre dei perduranti luoghi comuni, e mediante alcuni passaggi essenziali, ovviamente per ragioni di spazio lasciandone in ombra altri.

Partiamo dalla “questione ucraina” che si pose negli anni immediatamente successivi alla morte di Lenin e su cui si basa tuttora la “leggenda nera” di Stalin e purtroppo ancora oggi in gran parte la propaganda contro la Russia

E' del tutto vero che ci furono milioni di morti in Ucraina dovuti alle scellerate politiche staliniste di collettivizzazione forzata? Quanto c'è di vero nella cosiddetta “Holodomor”? Ebbene, parrà strano, ma prima delle memorie giornalistiche odierne fu la propaganda nazista che mise in piedi per screditare il governo sovietico, l'orrore della repressione stalinista in Ucraina. Il ricercatore canadese Douglas Tottle, nel suo libro “Fraud Famin and Fascism: The Ukrainan Genocide Mith from Hitler to Harvard” Toronto 1967, asserisce con una serie precisa di riferimenti storici, che il mito della carestia programmata da Stalin per sterminare gli ucraini è un falso storico costruito dalla propaganda nazista.

Tottle fu inizialmente accusato di propagandare tesi comuniste, il libro di Tottle fu poi esaminato durante la seduta di Bruxelles della commissione, tenutasi tra il 23 e il 27 maggio 1988, con testimonianze di vari esperti. Il presidente della Commissione internazionale di inchiesta sulla Carestia 1932-1933, composta anche da ucraini, allora concluse che Tottle non era il solo a dubitare di una "carestia-genocidio", alludendo al fatto che il materiale incluso nel suo libro non avrebbe potuto essere disponibile senza l'assistenza ufficiale sovietica.

Tra il 1921 e il 1923 ci fu in effetti una carestia di vaste proporzioni dovuta in gran parte agli effetti della guerra tra armate bianche e Armata Rossa che devastò in larga parte il territorio russo ed ucraino, il governo di Lenin cercò di porre un argine alla penuria di alimenti con la NEP, combinando cioè l'azione dello Stato con un certo margine di iniziativa privata, ma questa, del tutto incapace di attuarsi con tecniche industriali moderne, non si rivelò in grado di fornire le immense risorse necessarie per la vendita di prodotti agricoli per ottenere le somme necessarie ad accelerare il processo di industrializzazione che avrebbe poi reso l'URSS una effettiva grande potenza anche sul piano militare.

Anche un altro storico come Groven Furr sostiene che la tesi del volontario genocidio degli ucraini da parte di Stalin non è fondata egli afferma, in base a precise analisi storiche, che ci furono carestie nel 1924 e di nuovo nel 1928-1929, quest’ultima particolarmente dura per la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Tutte queste carestie avevano cause ambientali. Il metodo medievale degli appezzamenti agricoli e dell’agricoltura contadina rendeva impossibile una produzione agricola efficiente, per cui le carestie erano inevitabili”..pertanto “i leader sovietici, e tra essi Stalin– continua l'autore -decisero che l’unica soluzione era riorganizzare l’agricoltura sulla base di gigantesche fattorie industriali a imitazione di alcune nel Midwest americano, che furono deliberatamente adottate come modello”

Evidentemente il programma di collettivizzazione “forzata” non sarebbe riuscito senza un consenso della popolazione, perché una popolazione massacrata e schiavizzata non produce nulla, in realtà buona parte dei kulaki che avevano un certo potere non solo rimasero al loro posto, ma persino collaborarono con le autorità per spedire i contadini medi che spesso distruggevano le derrate alimentari e uccidevano il bestiame, in Siberia.

Il 2 marzo 1930 Stalin scrisse testualmente sulla Pravda che: “Non è possibile imporre i colcos con la forza. Questo sarebbe una cosa stupida e reazionaria. Il movimento colcosiano deve poggiare su di un attivo sostegno da parte delle fondamentali masse dei contadini. Non si possono trapiantare meccanicamente i modelli di edificazione colcosiana delle regioni sviluppate nelle regioni arretrate. Questo sarebbe stupido e reazionario. Una simile 'politica' dissolverebbe in un sol colpo l'idea stessa della collettivizzazione.

Tre telegrammi scritti nel 1932 dallo stesso Stalin ci attestano che le sorti dell'Ucraina erano tutt'altro che indifferenti al leader sovietico

Li citiamo testualmente, il primo del 24 luglio rivolto ad un importante esponente del Partito Comunista ucraino e al capo del Governo Sovietico: “La nostra direttiva sull'esecuzione incondizionata del piano statale di approvvigionamento di grano è del tutto corretta. Ma tenete presente che dovremo fare un'eccezione per le regioni più sofferenti dell'Ucraina. Ciò è necessario non solo dal punto di vista dell'equità, ma anche a causa della posizione particolare dell'Ucraina, al confine con la Polonia”. Il secondo rivolto agli stessi personaggi conferma che anche delle unità dell'esercito erano state mobilitate per portare a compimento tale intento, e il terzo del 16 agosto 1932 rivela una particolare attenzione per l'Ucraina, rispetto ad altri luoghi destinati alla collettivizzazione e lo stesso Stalin scrive: “Come risulta chiaro dai documenti, non solo gli ucraini parleranno dei piani di diminuzione dell'approvvigionamento statale di grano durante la riunione del Comitato Centrale, ma lo faranno anche i caucasici settentrionali, del medio Volga, della Siberia occidentale, del Kazakhstan e della Bashkiria. Il mio consiglio è di soddisfare per il momento solo gli ucraini, riducendo per loro il piano a 30 milioni; e solo come ultima scelta a 35-40 milioni”

Furono le stesse autorità ucraine comuniste a dichiarare che “fin dal 25 febbraio 1933 il Consiglio dei Commissari del Popolo (Sovnarkom) dell'URSS e il Comitato Centrale del Partito bolscevico distribuirono in prestito all'Ucraina cibo, frumento e foraggio per un ammontare di 35.190.000 pood (1 pood=16 kg) di grano attingendo alle riserve accantonate e di emergenza

La gran parte dei morti di allora fu quindi dovuta più a problemi igienici ed ambientali (tifo soprattutto) che a denutrizione e la propaganda antisovietica ha spesso preso spunto da foto scattate non durante gli anni 30, ma nel corso della guerra che seguì alla rivoluzione di Ottobre, ciò nonostante ci fu lo stesso una rivolta in Ucraina, dovuta soprattutto a questioni che investivano la politica più che l'economia, e cioè la necessità dell'autogestione, in linea con le teorie di Nestor Machno e ad altre connesse con il dissenso trozkista, e la repressione fu evidentemente tanto brutale quanto cruciale per le stesse sorti future dell'Unione Sovietica. Non dimentichiamo che prima di Stalin, la Russia aveva una popolazione poverissima che a mala pena camminava con zoccoli di corteccia di betulla, mentre negli anni 30 il tenore di vita medio in URSS superava quello degli USA in piena crisi del '29

Ora veniamo ad un'altra delle questioni connesse con Stalin e lo stalinismo: la guerra di Spagna che fu il preludio della seconda guerra mondiale. Allora l'Unione Sovietica fu l'unico Paese che sostenne la resistenza del legittimo governo repubblicano eletto dai cittadini contro il colpo di Stato di Francisco Franco, in tre anni L'Unione Sovietica fornì alla Spagna repubblicana ben 648 aerei, 347 carri armati, 60 veicoli blindati, più di 1000 pezzi di artiglieria, 340 mortai, 20.000 mitragliatrici, più di mezzo milione di fucili, 3 milioni e mezzo di granate e vari altri approvvigionamenti logistici. Evidentemente uno sforzo simile per un Paese già in grave difficoltà economica, non poteva non avere un compenso che in gran parte ci fu con l'oro della banca di Spagna e soprattutto non poteva durare a lungo, specialmente se il fronte bellico minacciava di spostarsi ai confini dell'URSS.

Purtroppo ci fu la completa indifferenza delle potenze occidentali “democratiche” e il soverchiante intervento delle truppe nazifasciste che superò di almeno due volte e mezzo quello sovietico, a fronte di circa 2000 uomini mandati da Stalin, Mussolini ne mandò ben 50.000, molti dei quali convinti di andare in Africa.

La situazione già compromessa sul piano dello squilibrio bellico in una circostanza in cui la disciplina militare dovrebbe soverchiare ogni altra diatriba interna di tipo ideologico, fu aggravata dai notevoli dissidi all'interno del Fronte Popolare, tanto che si ebbe una sorta di “guerra nella guerra” tra le varie componenti in lotta contro Franco, e questo aggiunto al mancato aiuto da parte di Francia, Inghilterra e USA, fu fatale per la giovane ed esuberante repubblica. Inoltre i quadri degli ufficiali sovietici venivano in gran parte da un' Armata Rossa che non aveva dimenticato la guida di Trozky, e il suo spiccato internazionalismo, e il rischio che in Spagna non solo Rosselli teorizzasse: “Oggi in Spagna domani in Italia”, ma anche qualcuno degli emissari di Trozky considerasse: “Oggi in Spagna domani in URSS” non era affatto trascurabile. Di qui il ritiro di Stalin che considerò la guerra di Spagna un inutile spreco di risorse in vista di un pericolo maggiore ai confini dell'URSS e l'epurazione di vari reduci sovietici

Di qui anche il patto con la Germania che Stalin inutilmente cercò di spingere ad Ovest, con l'intento di indebolire le democrazie borghesi, guadagnando nel frattempo tempo e terreno, ma scontando anche la mancanza di efficaci quadri militari, o periti in Spagna o epurati in quanto trotzkisti, ciò nonostante, più di 6.000 spagnoli, per lo più comunisti, si trasferirono in Unione Sovietica dopo la caduta della Seconda Repubblica spagnola. Centinaia di loro presero parte alla guerra che scoppiò nel 1941 contro la Germania nazista

E veniamo al patto Molotov Ribbentrop che fu una operazione sicuramente cinica ma realistica, con cui Stalin concesse meno di quanto nello stesso anno avevano concesso le potenze occidentali a Hitler, ottenendo molto di più, in parole povere Stalin, ottenendo territori e guadagnando tempo, agì cinicamente ma razionalmente. Chamberlain e Daladier, cercando di placare Hitler, agirono immoralmente e stupidamente.

L'obiettivo di Hitler, il suo Lebensraum non era infatti l'Europa Occidentale, ma quella Orientale, fino a conquistare non solo il granaio dell'Ucraina, ma anche i pozzi di petrolio del Caucaso, il suo sogno che le potenze occidentali gli riconoscessero il titolo di campione dell'anticomunismo, di colui che lo aveva sconfitto per sempre. Ma sappiamo bene come andò in seguito e il primo ad esserne sorpreso fu proprio lui, che ebbe almeno inizialmente la consolazione di non dover combattere su due fronti e che quando si illuse che il fronte occidentale ormai fosse schiacciato, non esitò a rovesciare il tavolo e ad intraprendere l'Operazione Barbarossa.

E veniamo quindi alla Grande Guerra Patriottica, in cui si può ben dire che Stalin trionfò, ma la vera domanda è..sarebbe stato possibile senza una saldatura tra lui (così tirannico, autocrate, sterminatore) e il popolo sovietico, cioè se il popolo russo non si fosse riconosciuto nella sua guida e avesse invece risposto, come alcuni ucraini fecero, all'appello dei nazisti invasori per la liberazione dal tiranno comunista?

Evidentemente no, e con l'Unione Sovietica, sarebbe caduta l'Europa. Ma a cosa fu dovuta questa saldatura? Lo capiamo bene se leggiamo libri come “I giorni e le notti” di Simonov Konstantin che ci narra dettagliatamente l'assedio di Stalingrado.

L'esercito sovietico non prevalse solo per gli aiuti degli alleati, e per la rigida disciplina oltre che per la tenacia patriottica, ma soprattutto per l'opera infaticabile dei Commissari del Popolo i quali affiancavano gli ufficiali nella lotta e nella strategia politica oltre che militare, e spesso morivano in prima linea con loro. 20 milioni di morti costò la guerra all'URSS e di questi ben 7 milioni furono gli ucraini che non si lasciarono suggestionare dai rancori nazionalistici o da Hitler, mentre altri come Bandera oggi assunto a eroe nazionale, collaborarono con i nazisti e anche nello sterminio degli ebrei.

I Commissari del Popolo erano quadri di partito, il vero collante tra esercito popolare sovietico e Stalin, senza il loro strenuo operato e senza che lo stesso Stalin teorizzasse e si adoperasse per una saldatura tra gruppi dirigenti e popolo, evidentemente anche con notevoli strumenti propagandistici, la Guerra Patriottica non sarebbe stata vinta

E la mancanza attuale di grandi motivazioni patriottiche e ideologiche, assieme all'assenza di tali commissari di partito tra i quadri nevralgici dell'esercito russo è la principale debolezza della forza militare russa odierna oltre ovviamente alla profonda scollatura tra quadri dirigenti ricchissimi e completamente deideologizzati, i cosiddetti oligarchi, e il popolo.

La chiave risolutiva dell'esercito sovietico che fu il vero vincitore della Seconda Guerra Mondiale perché arrivò a conquistare mezza Europa, è in questa affermazione cruciale di Stalin: «Il partito non può essere solo un reparto di avanguardia. Esso deve essere, in pari tempo, un reparto, una parte della classe operaia, parte intimamente legata ad essa con tutte le fibre della sua esistenza. Il partito è parte inseparabile della classe operaia». «Il partito, prosegue Stalin, è una frazione della classe, esiste per la classe e non per se stesso». Con ciò capiamo come allora la guerra vinta fosse non solo militare, ma ideologica e popolare, e non dovuta solo all'autoritarismo di un autocrate totalitario.

E' infatti piuttosto ridicolo credere che milioni di uomini possano essere mobilitati solo con una disciplina imposta, perché per quanto ferrea, essa è destinata, come nel caso di quella nazifascista, a fallire. Se i comunisti non fossero stati anche esseri umani pensanti, con le loro capacità e virtù unite al loro spirito di sacrificio, l'Unione Sovietica avrebbe perso irrimediabilmente la guerra. Il comunismo è decaduto non per mancanza di impegno, ma soprattutto perché ha perso di vista il suo scopo vitale ed ideologico di esistenza: la fine del capitalismo, la capacità di adattarsi alle metamorfosi del capitalismo stesso e di combatterle senza perdere la sua natura originaria.

In questo è anche la profonda differenza tra un Trozky che riteneva che il partito non sbagliasse mai e invece Stalin che era pienamente convinto che a non sbagliare mai invece dovesse essere una guida comunista che fosse perfettamente in grado di interpretare le sfide del presente, senza restare prigioniero del passato e senza slanci illusori nel futuro.

Lo disse a chiare lettere lo stesso Stalin: «Soltanto un partito che si allontana verso il passato è condannato a perire, può temere la luce e la critica. Noi non temiamo né l’una né l’altra, non le temiamo perché siamo un partito che va avanti, che avanza verso la vittoria»

L'URSS ha cessato di esistere già dal rinnegamento con Kruscev di due presupposti fondamentali: l'esistenza di un capo carismatico tanto fedele ai principi ideologici del marxismo-leninismo quanto duttilmente capace di adattarli alle sfide del suo tempo, e allo stesso tempo la garanzia del benessere e della sicurezza per il suo popolo e per quelli  legati dalla stessa solidarietà internazionale anticapitalista, nel primato del valore dell'umanità su quello del profitto.

Il trionfo del capitalismo, dall'altra parte, è stato propiziato dalla immensa capacità espansiva legata ad un concetto di libertà indissolubile rispetto alla corruzione necessaria per affermarlo senza uno straccio di responsabilità collettiva, dall'illusione che l'individuo possa ergersi sulla massa come artefice di un destino proprio, e non invece veicolato dall'apparato tecnico ed economico a cui appartiene senza alcuna via d'uscita.

E' facile oggi relegare Stalin tra i perdenti e tra gli orrori della storia, oppure nei coloriti e caricaturali episodi di Don Camillo e Peppone, come il “baffone” che fu, e che pure nell' ”addavenì!” non tornerà mai, senza capire il suo tempo, e come egli seppe costruire in esso un modello di Stato e di essere umano tale da resistere a tutti i nemici che il mondo seppe mobilitare contro di esso. Facile soprattutto se al suo posto prevalgono i “buffoni”, nella sua Patria come altrove, quelli che il culto della personalità lo legano ai loro interessi privatissimi, economicissimi, oligarchicissimi, capitalisticissimi, che hanno bisogno dei loro valvassini o valvassori ben compensati e pagati per restargli fedeli, anche se tra loro e il popolo ci sta un abisso, che non mobilitano i commissari del popolo, ma le suggestioni dei media e gli apparati di polizia militare più che politica, per restare al potere. Stalin aveva in mano l'Unione Sovietica che allora produceva il 9% del PIL mondiale ma non risulta che abbia mai fatto uso personale di tale ricchezza. Tutto restò infatti nelle mani dello Stato e del PCUS.

Sulle cosiddette "purghe staliniane" il discorso sarebbe lungo e complesso, ma volendo evitare le cifre a senso unico e ridimensionare quanto meno il rapporto segreto di Krusciov che divenne "non segreto" solo quando a lui fece comodo diventare segretario, con la storiografia recente e in particolare con Grover Furr, che ha avuto a disposizione dopo la fine dell'URSS una enorme quantità di documenti prima non reperibili, possiamo dire che le "vulgate" sparse un po' ovunque nel merito non risultano confermate dagli stessi documenti consultati dall'autore e provenienti dagli archivi desecretati dell'Unione Sovietica. Lo stesso storico afferma nell'introduzione del suo libro che: «Sarei stato, quindi, molto più contento se la mia ricerca fosse giunta alla conclusione che solo una parte, diciamo un 25%, delle "rivelazioni" di Krusciov su Stalin e Beria era false. Tuttavia, dato che praticamente tutte quelle "rivelazioni" che possono essere controllate sono, di fatto, delle falsità, l'onere della prova ricade più pesantemente su di me come studioso più di quanto accadrebbe normalmente.» Il libro è consultabile al seguente  link 

 E' facile rievocare Stalin nelle riunioni dei partitucoli della sinistra comunista residuale che vanno a intruppare nei loro asfittici proclami ideologici, che credono che un sito web sostituisca il duro lavoro di chi conquista sul campo il consenso delle masse, guidando le lotte nel mondo del lavoro, in quello in cui l'eguaglianza, la pace e i beni comuni vengono calpestati, illudendosi che le loro galassie e la loro nicchia facciano la differenza, più o meno come gli stiliti del medioevo. Quegli eremiti che salivano sulle colonne e ci restavano a proclamare al tempo stesso la loro verità e la loro solitudine.

Diremmo persino banale contestarlo per chi si è assuefatto al concetto borghese di libertà, che può consistere solo nella migliore delle ipotesi in sesso, soldi e successo, mediamente in un lavoretto, una casetta e un conto in banca, e nella peggiore, e sempre più diffusa oggi, nella precarietà endemica, o ancor peggio in quella di girovagare dove ti pare dormendo sotto un ponte.

Sarà il caso di ricordare, inoltre, che durante il periodo staliniano il lavoro era considerato un diritto dal quale non escludere nessuno, ed era un dovere di onorabilità provvedere a chi per età o per invalidità, non poteva lavorare. L'uguaglianza tra i sessi una norma, che prescindeva anche dall'etnia e dalla nazionalità, mentre a tutti era riconosciuto il diritto all'istruzione, alle cure mediche e ai trasporti a costi irrisori. L'orario di lavoro era ridotto a 7 ore giornaliere, con ferie e riposo settimanale garantiti, con cure termali che un tempo erano riservate solo ai nobili.  Senza queste conquiste lo Stato sociale in Europa non sarebbe apparso, e ha iniziato a scomparire con la fine dell'Unione Sovietica.

Potrà sembrare paradossale che il più feroce dittatore della storia, lo sterminatore del dissenso, il creatore dell'inferno del Gulag, ma anche il politico meno letto, poco prima di morire, parlasse di libertà in questi termini e con questo appello: «La bandiera delle libertà democratico-borghesi, la borghesia l’ha buttata a mare; io penso che tocca a voi, rappresentanti dei partiti comunisti e democratici, di risollevarla e portarla avanti, se volete raggruppare attorno a voi la maggioranza del popolo. Non vi è nessun altro che la possa levare in alto …»

Se ci facciamo un serio esame di coscienza anche solo ricordando una famosa canzone di Gaber in cui il ritornello ripeteva “Libertà è partecipazione”, forse potremo più facilmente fare a meno dei fantasmi del passato e anche degli incubi del nostro presente, magari recuperando una bandiera finita nei sotterranei della storia.



Carlo Felici