Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

venerdì 29 dicembre 2023

Molte sono le cose terrificanti ma..




Si sta per chiudere il secondo anno della postpandemia e, gettando uno sguardo a ritroso, ci rendiamo conto che l'umanità, dopo essere stata costretta a rintanarsi, ha accumulato parecchia frustrazione, vediamo quindi che le rapine sono aumentate del 75% , gli attentati del 53%, gli omicidi volontari del 35,3 %, i tentati omicidi del 65,1, le lesioni del 33.8% e le percosse del 50%, questi sono i dati sconfortanti della Direzione centrale della Polizia criminale.

La violenza è sempre espressione di un malessere, nasce dalla frustrazione in individui incapaci di realizzarsi che sfogano su altri la propria impotenza ed angoscia interiore.

Viene spontaneo dunque chiedersi da cosa nasca tale incapacità e patire nell'essere umano.

L'uomo più di altri esseri viventi è capace di cose straordinarie e terrificanti. E' l'unica specie vivente in grado di modificare radicalmente l'ambiente terrestre e anche di annientare la biodiversità, sebbene, con ciò in definitiva egli minacci solo la propria sopravvivenza su questo pianeta il quale a lungo a fatto a meno dell'essere umano e può benissimo continuare ad esistere se l'umanità si estinguerà. Per la natura, infatti, non fa una gran differenza che sulla Terra vivano gli esseri umano o gli scarafaggi, lo dice anche il proverbio “ogni sfarrafone e bello a mamma soja” Per madre Terra quindi se ad un conflitto atomico generalizzato sopravviveranno gli scarafaggi, molto resistenti alle radiazioni, o gli esseri umani, non cambierà nulla né nella sua rivoluzione né nella sua rotazione millenaria.

C'è un verso dell'Antigone di Sofocle che rende bene l'idea di una umanità allo stesso tempo, meravigliosa e terrificante, di come convivano in essa natura angelica e demoniaca.

Esso in greco recita così: πολλὰ τὰ δεινὰ κοὐδὲν ἀνθρώπου δεινότερον πέλει. E vuol dire “molte cose sulla Terra sono terrificanti ma nessuna lo è più dell'essere umano.

Si tenga conto che però “deina” non rappresenta al plurale neutro solo “le cose terrificanti e mostruose” ma anche quelle “straordinarie per abilità e perizia”

Quindi è proprio della natura umana possedere una sostanza che la rende al contempo meravigliosa e terribile, capace di creare come di annientare.

Sofocle stesso prosegue, mediante il Coro della Tragedia, dicendo “Contro le insidie del futuro non va mai privo di risorse; solo contro la morte non ha scampo, ma pure a malattie incurabili ha trovato rimedi. Padrone della scienza e del pensiero, padrone delle tecniche oltre ogni speranza, si può volgere al male o al bene..”

E conclude affermando che solo il rispetto della legge e dei giuramenti divini gli potrà garantire grandezza nella sua città, mentre ne sarà bandito se la sua abitudine di vita sarà fondata sull'eccesso, sulla tracotanza.

I Greci definivano l'eccesso con la parola ὕβρις cioè l'orgoglio smodato che porta ad una smisurata esaltazione di sé e del proprio Ego in tutti i campi del vivere, persino sessuale, tanto che lo stuprare si dice in greco hybrìzō.

Tale condizione implica una rottura del mètron, l'equilibrio su cui si fonda un'esistenza virtuosa, la quale è consapevole dei limiti da non oltrepassare, per relazionarsi correttamente con gli altri individui e la comunità della pòlis.

La hybris genera necessariamente la nemesis, la rottura dell'equilibrio infatti causa inevitabilmente la sua ricomposizione da parte del destino della necessità, rappresentato dagli dei o dalla Tyche, la quale era la personificazione della Fortuna intesa come sorte ed è quindi legata alla giustizia e alle sue leggi.

Nella tragedia di Sofocle si contrappongono infatti le “leggi scritte” della polis e della nascente democrazia, con quelle norme derivanti dalla Tradizione e dal sangue, in particolare aristocratico, che, pur non essendo scritte, rappresentano i legami famigliari su cui si fonda il ghenos, la stirpe, l'onore dell'appartenere a una Tradizione e ad una Civiltà.

Tornando alle considerazioni iniziali e a certa violenza che vediamo dilagare anche in conflitti armati non lontani dalla nostra “civile Europa”, e di fronte ai quali le istituzioni comunitarie rivelano tutta la loro impotenza, rileviamo che molta della violenza dilagante da frustrazione è causata sia dalla incapacità di ritrovarsi e rispettare norme di legge comuni a tutti noi, sia dalla mancanza di “norme interiori”, di leggi non scritte che appartengano al substrato culturale o religioso di una comunità e che determinano il senso dell'onore e della rispettabilità

Per questo, ad esempio, abbiamo donne che cacciano di casa i mariti dopo un divorzio, ottenendo l'affidamento dei figli e l'abitazione, portando in essa i loro compagni o amanti, senza considerare la rabbia che ciò può generare in un ex marito o compagno, e abbiamo anche fidanzati che, perdendo il controllo che esercitano sulla vita della loro partner, sono spinti a reazioni incontrollate le quali non di rado determinano degli omicidi.

In tutti questi casi la hybris prevale fino ad annichilire la personalità di un individuo e c'è da chiedersi se anche l'assuefazione ai media dove prevalgono scene e immagini in cui la vita degli esseri umani è crudelmente annientata, possa contribuire a fare emergere dall'inconscio in maniera dirompente questi meccanismi distruttivi.

La nostra epoca è palesemente orientata all'eccesso, anzi, spesso tale “anormalità” diventa norma trasgressiva, nel vestire, nel parlare, nell'imporsi con la gestualità e, in generale, nelle relazioni in cui chi più “sgomita” si afferma.

La pseudo-civiltà del capitalismo consumista si fonda sull'illusione del desiderio inesauribile, con la conseguenza che il desiderare e il possedere determinano lo status delle persone in quanto proprietarie di “status symbol”, l'automobile, il vestito griffato, la casa, l'orologio e persino il corpo tatuato.

Di qui l'eclissi della persona in nome della sua immagine da ostentare nei media, in particolare nei social che non sono altro che il palco mediatico in cui tale ostentazione si afferma su scala globale.

E dove tale affermazione è frustrata o schernita subentra la violenza mediante lo stalking, l'umiliazione, il bullismo che, specialmente in personalità fragili, adolescenziali e poco aiutate dai rapporti famigliari, possono fare danni terrificanti e addirittura spingerle al suicidio

Alla radice di ogni sofferenza c'è sempre un desiderio irrealizzato, questa è una verità che fu scoperta anche dal Buddha moltissimi secoli fa, la riduzione della sofferenza e della violenza che scaturisce da essa mediante la frustrazione, passa attraverso la consapevolezza di un individuo e la conoscenza del suo sé, per cui la virtù suprema di ciascuno si fonda non tanto su norme legislative religiose, dogmatiche o morali che variano a seconda dei contesti, ma sul socratico γνῶθι σεαυτόν, gnōthi seautón conosci te stesso, scritto anche nel tempio di Apollo a Delfi. Apollo è il dio che propizia la conoscenza e la cura, ma anche quello che, con le sue frecce, ristabilisce l'equilibrio violato. Il suo simbolo era il carro del Sole che attraversa il cielo

Un firmamento che oggi noi guardiamo con occhi disincantati, e che abbiamo anche riempito di rifiuti orbitali

La perdita del senso del sacro, soprattutto collegato agli eventi naturali, quella dell'equilibrio fondato sull'onore dell'appartenenza ad una Tradizione e ad una stirpe, l'illusione che tutto sia a portata di mano, se si soggiace alla volontà di potenza nell'accrescimento del potere del denaro, sono gli elementi che determinano il contingente violento e disperato in cui ci troviamo pieni di oggetti, ma completamente desertificati di senso

Allora sarà bene ricominciare a distinguere ciò che è naturale e ci è necessario per vivere e sopravvivere, non solo cibo, abitazione, e cure mediche, che per altro in veri paesi anche sviluppati, per le diseguaglianze sono già a rischio, mentre in altri sono completamente annientati da insensate guerre, ma anche la trama dei rapporti autenticamente umani che identifichiamo come amicizie, in grado di comprenderci, di sostenerci e di consigliarci. Distinguerlo da quello che pur essendo naturale, spesso non è necessario, come il cibo smodato, i vestiti griffati, tanto appariscenti quanto spesso soggetti a mode passeggere, i numerosissimi oggetti che affollano le nostre case, i rapporti inutili che ci causano sofferenza e che non siamo capaci di troncare, magari per necessità lavorative o persino per troppa compassione, i cellulari che cambiamo in continuazione, in definitiva una vita orientata dai messaggi pubblicitari e dallo spirito di emulazione, direi persino il sesso, quando esso assume la dimensione di una voglia temporanea che si esaurisce in uno sfogo tanto misero quanto effimero. Per evitare accuratamente ciò che non è naturale né necessario, come tatuarsi tutto il corpo, compiere strani riti che hanno come scopo ultimo solo l'illusione dell'accrescimento del nostro sé, del nostro potere e dei soldi che ne derivano, soprattutto sapendo fare a meno di ciò che non solo genera in noi stessi sofferenza e violenza, ma anche in altri, innanzitutto col nostro parlare, con l'eccesso di messaggi mediatici che non rispettano la capacità di accoglienza dell'altro/a, in particolare osservando e rispettando l'altro per quello che è e non per quello che vorremmo che fosse

Si badi, l'altro non è solo l'essere umano inquadrabile come “prossimo”, ma ogni essere vivente che entra nel quadro della “prossimia” a cui noi andiamo incontro inevitabilmente nella nostra vita, in particolare gli animali che danno di tutto e di più all'essere umano senza chiedere in cambio altro che affetto e rispetto, come i cani e i gatti, i quali sono esposti oggi a indicibili violenze gratuite, come lo scuoiamento, la tortura e l'abbandono.

Un essere vivente che pratica tali violenze come può pretendere di essere migliore di coloro che chiama con disprezzo “bestie”?

Chi ci aiuta a conoscere e ad emendare i nostri desideri? La cultura, la meditazione, le buone amicizie e soprattutto un buon tirocinio. Un atleta non è tale se non si allena, così un essere umano non è tale se non si allena ad essere “pienamente umano” mediante una capacità di vivere e gestire la propria vita nel rispetto degli altri esseri viventi, nella sua capacità di relazionarsi con loro per ridurre reciprocamente la sofferenza di ciascuno. E perseverando nella Via della gentilezza che il buddismo chiama Dharma.

Sono verità note fin dai tempi di Epicuro, lo stesso che esortava molti secoli fa ad intraprendere il cammino da subito, senza timore di essere troppo vecchi o troppo giovani e che purtroppo è rimasto inascoltato

La nostra civiltà, così ricca e “desiderabile”, si fonda sul desiderio smodato ed inesauribile, e per questo sulla condanna all'infelicità, alla disperazione, alla sofferenza che genera la violenza, la quale si illude di esorcizzarla mentre la eleva all'ennesima potenza

Invece il tempo della felicità è ora, qui, adesso, hic et nunc, se sappiamo conoscere e dosare i nostri desideri e relazionarli con quelli legittimi di qualsiasi altro essere vivente

Così, vivere per rimuovere la sofferenza dal mondo ci apparirà infinitamente meglio che alimentarla con infiniti desideri individuali e collettivi, il cui limite è solo il conflitto, la competizione e alla fine, quando sono incontrollati e generalizzati, la guerra.

Se davvero ci meritiamo di meglio, impariamo a meritarcelo.


Carlo Felici

lunedì 20 novembre 2023

Una barbarie senza onore

 




L'omicidio di Giulia riempie tutti noi di rabbia e di commozione, non solo per la sua efferatezza, ma anche perché è l'ennesimo assassinio di una donna in Italia dopo una lunga serie. Sono infatti ben più di cento gli omicidi di donne commessi dall'inizio di quest'anno, senza contare poi le violenze domestiche denunciate e spesso taciute.

E' la cifra di una barbarie che ci interroga tutti sul livello di pseudociviltà che abbiamo sotto gli occhi in Italia. In particolare, crescono i delitti in ambito famigliare e affettivo del 4%, così come crescono della stessa percentuale gli omicidi commessi dal partner o dall'ex partner.

Siamo di fronte ad una vera e propria piaga sociale che non è possibile sanare solo con leggi penali preventive o repressive.

Il problema riguarda soprattutto la formazione e l'educazione, ma né la società e tanto meno la scuola sembrano attrezzarsi a sufficienza per porvi un efficace rimedio.

Nelle scuole si è resa trasversalmente obbligatoria l'ora di Educazione Civica, il che vuol dire che ogni insegnante, per la sua materia, deve svolgere un certo numero di ore collegando argomenti suoi specifici con quelli inerenti all'educazione del futuro cittadino. Purtroppo però si dà molto risalto ad argomenti come l'educazione stradale, la prevenzione delle droghe e dell'alcoolismo, la legalità, che sono importantissimi, senza ombra di dubbio, ma si trascura totalmente l'educazione sessuale e sentimentale. Anzi, se corsi di educazione sessuale vengono svolti da personale medico, nulla di quanto concerne i rapporti interpersonali, affettivi e sentimentali viene trattato, e il tutto si riduce spesso ad una lezione di fisiologia dell'apparato genitale.

In televisione, inoltre assistiamo a spot di ogni genere, anche contro le fake news, o per la prevenzione degli incidenti stradali, ma poco o nulla per quanto riguarda i rapporti, i sentimenti ed il dovuto rispetto che dovrebbe intercorrere tra le persone di ogni genere e sesso.

E' del tutto evidente che questi argomenti così delicati non vanno affidati esclusivamente alla misericordia divina così mirabilmente invocata ed esposta da questo Papa senza pregiudizio alcuno e anche coraggiosamente contro le non poche resistenze dei conservatori curiali.

E' lampante che una emergenza nazionale deve essere affrontata con gli strumenti idonei e a tambur battente, c'è una battaglia culturale da combattere in cui ciascuno, per la propria parte e per il ruolo che svolge in ambito sociale, lavorativo e soprattutto famigliare, è tenuto ad arruolarsi e a combattere. Il nemico è per tutti uno: l'ignoranza, l'insensibilità e l'indifferenza che si incarnano periodicamente nel “mostro insospettabile” preda della sua furia disumana

Per combattere un nemico così insidioso ed imprevedibile però bisogna tenere ben presenti alcuni principi basilari, il primo è che nessun ruolo svolto da ciascuno dà la possibilità di essere credibili ed incisivi in questa prevenzione e in questa lotta, non basta essere padre o madre, non basta essere insegnante, non basta essere carabiniere, poliziotto, sacerdote, regista o giudice per ottenere risultati efficaci. Quello che è piuttosto indispensabile per combattere la disumanità che rende gli esseri umani peggiori degli animali, i quali usano solo l'istinto per auto conservarsi, mentre gli esseri umani usano il raziocinio e persino la fantasia per i loro piani criminali, è il contrario della disumanità e cioè l'umanità

Ma che cosa è l'umanità? Una frase di Terenzio autore latino dell'epoca degli Scipioni recita così “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” che tradotto significa: sono un uomo perché nulla di umano ritengo mi sia estraneo.

Per capire questo concetto che fu poi alla base della concezione cristiana e rinascimentale dell'inalienabile diritto di ogni persona alla dignità umana che caratterizzò tutto lo sviluppo della civiltà occidentale e che oggi è fortemente messo in crisi, bisogna risalire alle sue origini.

L'Humanitas per i latini era una risultante di varie componenti e fattori, tutti indispensabili a definire come un essere umano potesse risaltare in ogni contesto civile e distinguerlo dal barbaro, non solo in ambito linguistico: il primo concetto assimilabile alla filantropia, è quello di riconoscersi appartenenti tutti a un unico destino naturale, indipendentemente dalle origini, del sesso, della religione o della etnia di ciascuno, un principio questo mutuato dallo stoicismo

Il secondo è quello di avere una cultura che non sia erudizione ma scienza dei valori umani, non solo in ambito umanistico, ma anche in quello scientifico. I nostri nonni e bisnonni non avevano, per la gran parte di loro, una laurea ma avevano una cultura ereditata dai loro genitori e dalle comunità in cui vivevano che li proteggeva, con i suoi tabù, dalle peggiori efferatezze messe in atto oggi anche da tanta gente laureata.

Il terzo fattore, altrettanto importante, è il senso del decoro che non è un principio meramente estetico ma è legato al concetto di onore in base al quale un atto disonorevole rende un essere umano spregevole per se stesso e per lo stesso contesto in cui egli vive, e un tempo lo portava a pene esemplari o all'esilio perpetuo costringendolo ad essere “errante” in un duplice senso, quello di colui che commette errore e quello di colui che è costretto a girovagare senza meta, fino allo sfinimento.

L'educatore, in ambito famigliare, mediatico ed istituzionale deve innanzitutto puntare sulla divulgazione e sull'insegnamento di questi capisaldi della civiltà, poi imparare ad analizzare i casi che, volta per volta, si presentano stigmatizzando ciò che li ha causati ed evidenziando come si possano prevenire

Ogni rapporto interpersonale ha le sua specificità, per cui è impossibile generalizzare creando una scuola in cui si insegni come amare e rapportarsi con i propri partners affettivi. Un libro però ci sentiamo almeno di consigliarlo, ed è “L'arte di amare” di Erik Fromm.

Alcune situazioni, però, particolarmente frequenti le possiamo analizzare cercando di scardinarne le distorsioni che portano ad atteggiamenti criminali

Perché nelle vicende dei nostri nonni e padri erano quanto meno più sporadici certi atteggiamenti? Innanzitutto il tessuto culturale, religioso e sociale era molto diverso, in particolare, poi, il ruolo della donna era svolto in maniera molto differente. E' l'emancipazione femminile che ha causato nell'uomo medio italiano la crisi depressiva, per mancanza di accettazione della perdita di rapporto, fino al donnicidio? Femminicidio ci pare infatti l'ennesima squalificazione del ruolo femminile, non diciamo infatti maschicidio ma omicidio, cominciamo quindi da una rieducazione lessicale.

Chi ha vissuto le battaglie degli anni '70, il 77 e dintorni ha difficoltà a credere a questa motivazione, perché allora si capovolgevano certi valori tradizionali in pieno e comune accordo, per cui i giovani di quelle generazioni, che si lasciavano e si mettevano insieme senza problemi e che avevano vissuto con piena passione quella stagione, sono forse i più immuni da certi fenomeni, che riguardavano piuttosto certa destra eversiva con episodi eclatanti come quello del Circeo.

Diremmo piuttosto, in accordo con Pasolini, che in Italia c'è stata, tra gli anni 60 e gli anni 80 una vera e propria “mutazione antropologica” dell'italiano medio, il quale è passato da un ruolo di maschio dominante, ereditato dal fascismo, ad uno di maschio reificante, indotto dal consumismo.

In poche parole, l'individuo medio (e non mi sento di penalizzare solo gli uomini perché anche molte donne hanno male interpretato la loro emancipazione esclusivamente mascolinizzandosi) che il fascismo aveva irregimentato nel ruolo di padre padrone destinato a credere obbedire e combattere, è bruscamente passato al ruolo di “individuo consumatore”, padrone solo, per risaltare, dei soldi, del sesso e del successo. Ma mai padrone in tal modo di se stesso, anzi destinato così ad una perpetua ignoranza di se stesso, delle proprie speranze, concrete esigenze e fragilità spesso solo represse.

Per un individuo così che proietta la sua identità, sicurezza ed affermazione spesso nel ruolo che ha nei confronti di una donna, un rapporto non è mai alla pari, non è mai una scoperta, né un modo per crescere e mettersi continuamente in discussione. Uno così deve essere sempre efficiente, in grado di competere e vincere in ogni contesto, e una donna in questa demenziale dimensione non può che essere relegata nel ruolo di “stimolante” più o meno come una droga. Una donna così deve essere controllata, deve sempre assecondare, assicurare il massimo dell'efficienza nel consumo delle energie per conquistare risalto e potere.

E' del tutto evidente che un ruolo del genere, alla fine, per un uomo risulta anche peggiore di quello di padre padrone perché, in tal modo, egli perde anche ogni intento educativo soprattutto nei confronti dei figli, destinati ad essere solo soddisfatti ed accontentati perché così intralciano meno, ci si illude che diano meno problemi, se non addirittura ad essere relegati nella dimensione più problematica e frustrante, quella dell'indifferenza.

Quando una donna non ce la fa più e stacca la spina perché non si sente realizzata, quando vuole perseguire uno scopo che diventa incompatibile per un uomo o un ragazzo che ha continuamente inseguito il sogno onanistico di poterla plasmare e orientare secondo le proprie finalità, quando egli si sente relegato in una condizione di abbandono, di sofferenza per il distacco e soprattutto di mancanza di controllo sulla sua vita, ecco che scatta l'imponderabile, come in una rabbiosa crisi di astinenza per una droga potente. Non si è più capaci di vedere una donna o una ragazza per quella che è, ma si resta disperatamente attaccati alla immagine che si è preteso che lei dovesse incarnare, alla profonda illusione spacciata per amore.

Non si è capaci di comprendere che una donna ama col cervello prima che col sesso, che il suo sesso è solo un prolungamento del suo cervello, del suo cuore e del suo animo, non una delle tante immagini che i media ci sbattono in faccia per puro illusorio consumo, come piccole droghe a buon mercato. L'erotismo di una donna non è dovuto alla potenza di un atto fisico a volte brutale, ma spesso viene scatenato da un movimento impercettibile, che pervade i suoi pensieri e si diffonde su tutto il suo corpo, sono le idee, la frasi, le passioni che un uomo riesce a comunicare e condividere e che accendono le emozioni di una donna che la fanno innamorare. Sono il non dare mai per scontato nulla, specialmente un ruolo, sono la costruzione in fieri di un rapporto che non ha mai un punto di partenza o di arrivo, ma è sempre un cammino condiviso e mai definito una volta per tutte, sono la fiducia e la stima che rendono la gelosia solo un simulacro su cui ironizzare perché la fiducia è quel che soverchia tutto, oppure è quello che può rimettere tutto in discussione, che possono far continuare a stare insieme due persone. E se una non ce la fa più, bisogna rispettarla, bisogna conoscerla, perché il rispetto, dalla sua radice etimologica “respicio”, è innanzitutto riconoscere e anche riconoscenza per quello che, bene o male, si è vissuto insieme e non va mai rinnegato.

Mai pregare o insistere quando una donna ci lascia, ma sempre rispettarla, perché la nostra ansia da “perdita” non fa che accrescere in lei la disistima nei nostri confronti, non fa che spingerla a considerarci dei deboli, degli incapaci a sostenere la sua mancanza. Se vuole distaccarsi, quindi, lasciamola fare, sarà lei poi, magari mettendoci alla prova, a capire se sente la nostra mancanza oppure si sente finalmente libera e più felice. E cosa c'è di migliore nell'amare veramente una donna che saperla felice, ebbene sì, anche con un altro, anche con chi magari ha saputo comprenderla ed amarla meglio di noi.

Questo è onore, questa è la dignità e questo è il rispetto, valori degni di una società cavalleresca che la barbarie del consumismo mediatico e la prostituzione degli esseri umani asserviti ad un profitto con cui si pretenderebbe anche di comprare i sentimenti, non solo non comprendono ma tendono ad annichilire perché se tornassero in auge salterebbe tutto un apparato che si autoalimenta usando le vita umane come i vuoti a perdere delle lattine di birra

Diceva Publio Sirio: “L'onore è come lo spirito dell'uomo, non ritorna da dove se ne è andato”

Non sarà quindi la galera, o la fuga fino agli antipodi a restituire lo spirito che è la vera identità di ciascuno, a coloro che in questi crimini efferati, nella violenza disumana verso una donna hanno perso innanzitutto il loro onore. Perché in tal modo saranno loro stessi a condannarsi ad essere meno di niente, meno della polvere, meno della cenere che ha bruciato donando calore, meno del vento che è l'essenza stessa dello Spirito Universale, ma risulteranno solo un vuoto a perdere che mette ali demoniache inquinando l'universo.


Carlo Felici

lunedì 13 novembre 2023

INDI, UNA VITA ETIAM SPES CONTRA SPEM

 


La tragica vicenda di Indi ci riempie di commozione e di angoscia, specialmente per il suo tragico epilogo che la scienza odierna ha sempre dichiarato ineluttabile, ella era infatti affetta da una malattia degenerativa per la quale pare non esistano cure se non quelle palliative

Ma la scienza non è una religione e nemmeno un dogma e soprattutto non può imporsi sugli affetti umani.

Lo sa bene anche chi ha visto quasi morire il proprio figlio e lo ha visto risorgere dal coma proprio in quell'ospedale Bambin Gesù a cui si era rivolto disperatamente perché quello pubblico lo aveva dato per spacciato, e per di più ora fare una vita quasi normale.

Ma ogni caso è un caso a parte, e purtroppo ci sono quelli più disperati di altri, come quello di Indi.

In tutta onestà credo che i soloni, specialmente del web, che sputano sentenze appellandosi alla “verità scientifica”, in particolare in questo momento di dolore che ci sentiamo di condividere con i genitori di Indi, facciano meglio a tacere.

Non si tratta infatti di disquisire sulla opportunità o meno della eutanasia, o della efficacia delle cure mediche e nemmeno della loro perfettibilità nel tempo grazie alla ricerca, si tratta di capire chi è veramente l'arbitro della stessa vita umana, specialmente quando essa è inerme ed indifesa.

Possiamo anche capire e giustificare il fatto che un adulto pienamente cosciente e consapevole della propria sorte decida di porre fine ad una vita che ritiene ormai insopportabile a causa della sua sofferenza fisica e psicologica.

Sarebbe lungo dibattere sul significato del suicidio nella storia della civiltà umana, qui basti ricordare che nell'antica Grecia solo i pitagorici vi si opponevano con una certa fermezza anche se alcuni dicono che lo stesso Pitagora si sia suicidato, per essi infatti l'anima custodita dal corpo non può essere liberata dalla sua custodia senza l'intervento del dio che ha provveduto a tale custodia.

E lo stesso Platone, riferendosi alla fine di Socrate dichiara: “non è un precetto irragionevole che nessuno debba uccidere se stesso prima che Dio non gli mandi un perentorio comando, come ha fatto ora con noi” Mentre per Epicuro il suicidio è una affermazione della libertà umana sulla necessità della natura, infatti egli dichiara: «È una sventura vivere nella necessità, ma vivere nella necessità non è per niente necessario” Lo stoicismo, in buona sostanza riprende la considerazione aristotelica sul suicidio, si esce dalla vita non per viltà o perché sia bello, ma semplicemente per evitare un male per se stessi e per gli altri, in piena razionalità, coscienza e consapevolezza.

Si sa che le tre religioni monoteiste, fedeli al valore secondo il quale solo Dio è padrone della nostra vita e della nostra morte, un po' riecheggiando in questo il principio pitagorico, pur escludendo ogni forma di metempsicosi, condannano il suicidio o quanto meno lo affidano alla misericordia divina.

Ma qui, come ripeto, non si tratta di una interruzione di una vita cosciente, quanto piuttosto di una vita che non ha fatto in tempo a sbocciare per poi essere destinata a tornare da dove era venuta. Per chi crede in Dio, dall'amore incarnatosi nei suoi genitori da cui proveniva e verso quello universale che aveva mosso anche quello dei suoi genitori.

Ma per chi crede che veniamo dal nulla ed al nulla siamo destinati, l'unica sorte tollerabile resta quella di non soffrire e di non sprecare risorse destinate ad alleviare altre sofferenze.

Sembra che questa, dunque, sia l' “alta” motivazione che ha spinto la Magistratura inglese ad impedire che quella vita così fragile e indifesa potesse essere accolta ancora forse per qualche giorno o settimana, chi può saperlo ormai, in un altro ospedale italiano, senza alcun onere per i contribuenti inglesi né per il sistema sanitario britannico.

Tutti fanno appello alla “infallibilità della scienza” quasi che si dia per scontato che noi non siamo che protesi di un apparato scientifico autoreferenziale che usa le nostre vite solo per auto-potenziarsi, come i film di Matrix hanno bene messo in evidenza.

Però c'è un piccolo granello di senape che se non ha arrestato l'ingranaggio, lo ha fatto vacillare e ha mostrato almeno la sua lucida ed efficiente crudeltà nell'orizzonte mediatico globale.

E' stato quello dell'affetto disperato ma incrollabile dei genitori di Indi che solo chi è passato attraverso l'inferno di un figlio in fin di vita può comprendere, gli altri no, no, sono solo destinati alla discarica delle chiacchiere più o meno competenti.

Un bambino che non può decidere è affidato agli unici che possono decidere al posto suo e che lo hanno chiamato a vivere, bene o male che gli sia toccato di vivere. E questi sono i genitori, mai e poi mai nessuno, nessun apparato, nessuna scienza, nessun sistema giudiziario o sanitario può e deve opporsi alla volontà di questo amore tenace dei genitori i quali amano la vita che hanno generato anche nella sua disperata fragilità, e questo vale anche per ogni altra persona che non sia più in grado di intendere e volere e sia affidata ai suoi cari

La legge arida dell'efficienza e della scienza, per altro sempre perfettibile e mai “esatta” non può e non deve mai sovrapporsi alla legge dell'amore, a meno che non vogliamo rievocare lugubri scenari del passato in cui si eliminavano le persone disabili e più deboli con la scusa di alleviare le loro sofferenze, dimostrando così la macroscopica ipocrisia di una società che condanna il nazismo a parole e poi lo pratica nei fatti con la sua “scienza esatta”. Precisamente come tollera che gruppi neonazisti combattano ancora oggi o come non riesce ancora a sradicare l'antisemitismo.

Pare così che non siano bastati più di 50 milioni di morti per sradicare questa demoniaca tendenza nell'animo umano.

In definitiva però non possiamo trarre spunto da questa tragica vicenda per speculazioni politiche, religiose e nemmeno sociali, ora, come sempre quando una vita viene strappata al dolore e allo strazio di chi l'ha amata con tutto se stesso, c'è spazio solo per la commozione e per il cordoglio. Noi possiamo solo rammaricarci che Indi non abbia trovato, nel momento del trapasso, le braccia e l'affetto dei suoi genitori nella sua casa, perché morire nelle braccia di chi ci è più caro è morire nell'Amore, e morire nell'Amore è morire in Dio.

E' vero che tutto questo non deve distrarci dal considerare che tanti bimbi muoiono straziati ancora dalle bombe e dalla fame, ma il meccanismo che produce la loro morte non è molto diverso da quello tecnico e scientifico che ha decretato quella di Indi. Le guerre e le diseguaglianze sociali sono create a loro volta da un sistema tecnocratico che si autoalimenta e diventa sempre più efficiente, mettendo le ragioni del profitto e della massimizzazione delle risorse a vantaggio di chi lo serve meglio, e destinando masse sempre più sterminate alla discarica della indifferenza o dello sfruttamento. Se i costi esorbitano dalla attitudine compassionevole, è inesorabilmente l'attitudine alla cura amorevole che muore assieme a chi genera costi eccessivi

Nell'Islam quando muore qualcuno si dice: “Inna lillahi wa inna ilayhi raji'un” che vuol dire: “In verità apparteniamo a Dio, e in verità a lui ritorniamo” E Dio è sempre il Compassionevole ed il Misericordioso, per il quale terrorismo, bombe e morte non sono mai giustizia né liberazione, ma sono solo la bestemmia più grande e terribile.

In Inghilterra i musulmani sono già svariati milioni ed in crescita di anno in anno. Magari un giorno saranno in grado anche di orientare questo principio della non soppressone della vita anche nei sistemi giudiziari e sanitari, come in altri paesi, integrandosi con i principi legislativi preesistenti. Sempre ammesso che tale principio sia rispettato anche negli stessi paesi musulmani, perché il nichilismo imperante oggi che sovrappone il potere, la tecnica, efficienza e il profitto che esse generano ad ogni altro valore ha buon gioco anche nell'utilizzare anche i principi religiosi a suo esclusivo vantaggio.

Nel frattempo non solo la civiltà umana ma il mondo stesso è in agonia, con le sue perduranti e stupide guerre, con il suo inquinamento che minacciando persino gli oceani rischia un giorno di non farci più nemmeno respirare, con il suo carico innumerevole di ingiustizie sociali per cui il capo di una multinazionale accumula maggiori profitti di interi stati, con i suoi dissesti idrogeologici che sono ormai all'ordine del giorno, con gli omicidi in famiglia diventati cronaca quotidiana.

Allora un bel giorno (si fa per dire) qualcuno dirà..beh premiamo un bottone e stacchiamo la spina..l'essere umano non merita la Terra, lasciamola a coloro che la meritano e che adesso ci fanno tanto schifo..gli scarafaggi, perché resistono alle radiazioni meglio di noi. In fondo la Terra è madre anche a loro e.. “Ogne scarrafone è bell' a mamma soja”..

Nel frattempo cosa ci resta? Ci resta la speranza, una speranza consapevole e disperata..spes contra spem..una speranza contro ogni evidenza, la stessa che rese Abramo, il quale non sembrava dovere avere figli, padre di molti popoli, la stessa che avevano i genitori di Indi e ai quali è stata negata.

Quella che apre la porta di un mondo migliore, l'unico in cui valga davvero la pena di vivere ed in cui forse Indi e tanti bimbi innocenti strappati al futuro anche in condizioni più tragiche, torneranno a perdonarci tutti, quando quel granello di senape che ha fatto inceppare la nostra coscienza sarà un albero frondoso.

Carlo Felici

martedì 17 ottobre 2023

DIO E' SEMPRE IL PIU' GRANDE

 




Il Takbir è nato come riconoscimento della grandezza incommensurabile di Dio, ma purtroppo è diventato, specialmente oggi, grido di terrore e di morte.

Allahu Akbar! Significa infatti “Dio è (sempre) il più grande”, così come è testimoniato nella sura del puro monoteismo che nell'Islam equivale ad un terzo del Corano, in essa leggiamo: “Allah è unico, Allah è l'assoluto. Non ha generato e non è stato generato. Nulla è più grande di Allah”

Il Takbir accompagna i musulmani nella preghiera canonica quotidiana, nella chiamata da parte del muezzin e può essere invocato nei momenti di difficoltà, specialmente quando ci si trova di fronte ad un pericolo e lo si deve affrontare. L'espressione deriva dalla radice araba K-B-R che indica la grandezza, e da un rafforzativo che rende il significato tale da rappresentare un superlativo relativo, cioè una grandezza assoluta se paragonata alle cose, anche le più grandi, di questo mondo. Infatti Allahu Akbar non è altro che la forma abbreviata di “Allahu Akbar min kulli shay” che vuol dire “Dio è il più grande di ogni cosa”

Sarà bene sgomberare subito ogni equivoco ed ogni ambiguità, Dio nella fede musulmana, in quella cristiana e in quella ebraica è lo stesso, pronunciato in modi diversi corrisponde alla stessa essenza, assoluta, incommensurabile ed incomparabile. Cambiano solo i modi di pregarlo e la teologia dottrinale.

Se osserviamo infatti le varie espressioni ebraiche e cristiane, notiamo anche delle assonanze nei significanti.

Nella sura del puro Monoteismo il musulmano dice: Allahu ahad (Dio è uno), l'ebreo nello Shemà Israel dice: Ado-nai ehad, il cristiano Alleluia che deriva dall'ebraico Hallelu e Yah. Tutte e tre le espressioni, nel loro significato, conservando significanti fortemente assonanti, esprimono la lode per l'unico Dio, assoluto ed incomparabile.

Da tutto ciò si evince che il più grande paradosso della Storia è che, in passato come oggi, assistiamo a conflitti tra i più rovinosi, tra genti che professano la fede nello stesso Dio e per di più con parole quasi analoghe.

Tutto questo ci fa forse pensare, come affermava Nietzsche, che tali sono ormai solo invocazioni funeree per un Dio che “è morto”, e in effetti, considerando la storia e come si sono sviluppati i conflitti, le diatribe teologiche e gli scontri dottrinali tra i vari fedeli di questo stesso Dio, non possiamo che dargli ragione, in particolare osservando come miseramente, nel mondo contemporaneo, prevale la disillusione e il nichilismo. Nietzsche però riteneva che tale constatazione dovesse portare ad un modo diverso, per l'umanità, di rapportarsi con se stessa e col mondo con cui l'uomo avrebbe potuto superare se stesso (oltrepassandosi), esaltando la creatività e la vitalità soffocata da secoli di rimedi al “male di vivere” rivelatisi negli scontri politici, economici, religiosi e direi anche filosofici, “peggiori dei mali stessi”, se affrontati con un sano “amor fati”, con una accettazione stoica del destino necessario che ci è dato di vivere.

Le scene che passano di fronte ai nostri occhi attoniti, sono tuttora, dopo due guerre mondiali rovinose e l'invenzione di armi capaci di annientare la specie umana nella sua interezza, sono tuttora sconfortanti, per il nichilismo che pervade le varie società del cosiddetto “terzo millennio”, scene di guerra soprattutto per l'appropriazione di materie prime ed agricole vitali, scontri religiosi, etnici e politici, sullo sfondo di un mondo che più che multipolare sta emergendo come “multi criminale”, non solo per i conflitti geopolitici, ma anche per quelli che coinvolgono ormai il tessuto vitale della vita quotidiana degli esseri umani, dato che, ad esempio, la criminalità domestica ha ampiamente superato quella organizzata dalle mafie, ovviamente aggiungendosi ad essa in una spirale di morte quasi quotidiana in cui vengono inghiottite tragicamente intere famiglie

Assistiamo a scene di follia pura, con bambini trucidati in nome di un Dio che dovrebbe essere Misericordioso e Compassionevole, bombardati e straziati in nome di un Dio di cui il santo nome del suo Regno dovrebbe essere benedetto per sempre, ad altri bambini che si ammazzano perché l'odio cieco gli è penetrato nel loro cervello e nel loro cuore, inculcato da adulti che ormai vivono ed agiscono in modo peggiore delle bestie, le quali mai potrebbero concepire, motivate solo da loro istinto, tanta crudeltà da mettere in atto

Dio in tutte le tre fedi monoteistiche globali, è associato alla compassione ma anche alla giustizia, però oggi viene invocato soprattutto per ragioni di vendetta. Senza tenere conto che l'abisso che separa la giustizia dalla vendetta è sempre quella consapevolezza che ci impedisce di diventare esattamente come il criminale che ha messo in atto il suo crimine. Questa è la vera sapienza, descritta da Socrate, da Abramo, da Gesù e anche da Muhammed.

Sarà bene dunque approfondire, soprattutto alla luce degli eventi che sono tragicamente accaduti di recente, cosa dice il Corano a proposito della giustizia e del perdono,

Citiamo Il Corano (2ª136): “Dì: noi crediamo in Dio, in quel che ci ha rivelato, e in quello che ha rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, alle tribù, in quel che è stato dato a Mosé e a Gesù, e in quel che è stato dato ai Profeti dal Signore: noi non facciamo differenza alcuna con nessuno di loro. A Lui noi siamo sottomessi”. In buona sostanza quindi, per l’Islâm, l’Ebraismo è la religione della speranza, il Cristianesimo è la religione dell’amore, e l’Islâm stesso è la religione della fede, e non vi è discriminazione alcuna tra queste fedi né differenze sostanziali.

Altrettanto esplicito è il Corano a proposito del pentimento: (39ª53):”Dì: «O miei fedeli! Voi che avete commesso degli eccessi a vostro proprio detrimento, non disperate della misericordia di Dio. Certo: Dio perdona tutti peccati, perché Egli è il Clemente, il Misericordioso.(11ª90):Chiedete perdono al Signore, e tornate pentiti a Lui.(66ª8):Credenti, tornate a Dio pentiti d’un pentimento senza riserve”

Solo due peccati non otterranno perdono da Dio, essi sono l’idolatria e il suicidio consapevolmente voluto.

II Versetto 10ª162 recita :”La mia vita e la mia morte appartengono a Dio. E il Corano stesso ripete per ben dieci volte: “E’ Dio Colui che dà la vita e la morte.” Ci sta anche uno specifico hadîth che lo conferma: «Colui che si sarà ucciso con un’arma tagliente, nel fuoco della Gehenna sarà punito con quella stessa arma (Bukhârî, XIII, 84,1). Colui che si sarà strangolato da se stesso, continuerà a strangolarsi nell’inferno. Colui che si sarà trafitto, nell’inferno continuerà a trafiggersi (Bukhârî, XXIII, 84, 3).»

Quindi nella fede musulmana è gravissimo peccato anticipare volontariamente l'ora della propria morte ed è ancora più grave anticiparla, provocando la morte di altre persone. Veniamo infine al concetto di giustizia su cui il discorso sarebbe alquanto complesso, perché dovrebbe tenere conto dello sviluppo nel tempo della sharia in base al contributo dei tradizionalisti, dei giureconsulti, e dei teologi filosofi delle varie scuole che si sono avvicendate soprattutto tra ottavo e nono secolo con le quattro grandi scuole di Giurisprudenza, le quali tuttora abbracciano oggi circa l’ottantacinque per cento del mondo musulmano: la Scuola hanafita, la Scuola mâlikita, la Scuola Shâfi`ita, e la Scuola hanbalita. Possiamo però almeno, come nei casi precedenti, partire da alcuni principi ribaditi nel Corano che sono molto chiari ed evidenti e da cui deriva la gran parte delle interpretazioni e attuazioni. E' scritto nel Corano (4ª58): “Certo: Dio vi ordina […], quando giudicate fra le genti, di giudicare con equità. Sì, è il meglio cui Dio vi esorta. Certo: Dio è Colui che sente, che vede. E ancora: (16ª90):“Dio ordina la Giustizia e il bene […], proibisce le turpitudini, il biasimevole, la ribellione. Ecco a che cosa vi esorta. Rammentatevene.” Tutto ciò nella consapevolezza e fede assoluta che, come abbiamo rimarcato inizialmente solo Allah (Dio) è il giusto in assoluto e solo a Dio si può chiedere di essere perdonati, così ogni giorno il musulmano, consapevole della sua imperfezione, dovrebbe accompagnare la sua preghiera quotidiana con l'invocazione: “Rabbi-ghfirli ua-rḥamni” O mio signore, perdonami e abbi misericordia di me.

Purtroppo assistiamo ad una recrudescenza di odio indiscriminato da parte di musulmani radicalizzati, soprattutto attraverso il web, che esorbita parecchio da una fede e da una prassi islamica corretta e svolta secondo i sani principi coranici. La conseguenza è il fanatismo, gli omicidi indiscriminati, il terrorismo contro le stesse società che hanno accolto e fornito opportunità di vita e progresso a queste persone in fuga dalla povertà, dalla miseria e dalla emarginazione.

E' dunque fondamentale che nelle società occidentali si cominci a fare una educazione e una cultura che possa al tempo stesso diffondere quel che il Corano realmente è, sgomberando pregiudizi e paure, e al tempo stesso opera di prevenzione nelle comunità in cui il rischio della radicalizzazione e del nichilismo associato ad un falso modo di interpretare l'Islam, è più forte.

In particolare osservando se quelle che si ergono a guide spirituali, sono pienamente coerenti con i principi che professano oppure eccessivamente indulgenti verso forme di lotta armata e cruenta. Dato che molti si ergono a guide spirituali interpretando il Corano e dimenticando che l'unico interprete di esso è il fedele sotto la guida di Allah, solo Allah è guida per una retta fede. E lo è in nome di ciò con cui inizia ogni Sura “Nel nome di Dio Misericordioso e Compassionevole” E' dunque sempre falso ciò che non viene interpretato alla luce di questa incommensurabile ed infinita Compassione e Misericordia.

Se il Corano quindi deve essere rispettato in tutti i principi, esso però non deve e non può sovrapporsi alle leggi dei Paesi democratici e al pluralismo religioso, culturale e politico che esse garantiscono a tutti. Persino un grande impero musulmano del passato, quello Ottomano, garantiva la libertà di culto alle varie comunità che esso includeva, e anche la loro possibilità di autogovernarsi mediante i loro rappresentanti religiosi con il sistema dei millet, in una convivenza di comunità e di fedi che l'Europa, con le sue guerre di religione e la sua caccia alle streghe e agli eretici, non conobbe mai. Tale sistema fu però interrotto dall'avvento una repubblica turca la quale, imponendo il laicismo a tutti, ha parallelamente, nei suo albori, anche discriminato e perseguitato varie comunità etniche e religiose, fino alla deportazione, ma che oggi si apre all'Europa e rappresenta il modo migliore di vivere l'Islam in un paese musulmano

Non c'è forma migliore di prevenzione e di eliminazione dei fenomeni di radicalizzazione e di terrorismo dell'educazione, che comprenda una corretta conoscenza del Corano nelle scuole ed una storia non solo dell'Europa, ma anche di altre civiltà che con essa hanno interagito nel tempo, nel rispetto scrupoloso dei principi costituzionali e democratici. Tale educazione, che deve essere anche linguistica, va rivolta, in particolare alle numerose schiere di immigrati che sbarcano ormai a centinaia nelle nostre coste, non relegandole nei centri di raccolta o facendo loro pagare il “pizzo di stato” per uscirne o avere una adeguata assistenza sanitaria che deve essere rivolta a tutti perché tutti sono esposti al contagio di malattie. Ma offendo loro l'opportunità di conoscere le nostre leggi, i nostri costumi, lo stesso Corano che molti di loro professano ma non hanno mai letto, la storia dei paesi da cui provengono e come hanno interagito con l'Europa nel tempo, e soprattutto la nostra lingua. Gli insegnanti non mancano e per questo ci vuole una precisa volontà politica di integrazione che purtroppo manca. Però se continueranno a mancare strutture formative che interessino e coinvolgano, saranno sempre di più le persone che saranno preda delle ombre del web, destinate a diventare pericolosi trogloditi e purtroppo anche criminali mediatici.

Muhammad Alì, al secolo Cassius Clay, che ne aveva prese e date tante, diceva: “L'Islam non è odio: Dio non sta con gli assassini”

Noi possiamo replicare con Papa Francesco: “Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”. Perdono per la nostra ignoranza, mancanza di solidarietà, pace e misericordia, perdono per l'odio verso il “diverso”, per l'incomprensione di chi, in modo difforme professa lo stesso Dio, perdono per lo schierarsi con i contendenti in guerra, quando Dio, Allah (che è solo il suo nome in arabo) ci chiede di schierarci per la pace, con ogni vittima dell'odio e della crudeltà, e di non diventare assassino come altri assassini. Perdono per non essere noi stessi, e ciò a cui, con incomparabile Amore, ci ha destinati.

Carlo Felici

venerdì 13 ottobre 2023

NEL KIBBUTZ MUORE ANCHE IL SOCIALISMO



Le ragioni di un giornale socialista sono rivolte a tutelare i diritti, la libertà e la giustizia sociale in particolare di tutte le popolazioni oppresse del mondo, quindi in questa situazione di crisi che è di fronte ai nostri occhi in Israele e Palestina, un giornale socialista ha il dovere di schierarsi a fianco di tutte le vittime inermi di questo inumano conflitto.

Sappiamo però anche che esiste un internazionalismo socialista in base al quale le associazioni socialiste dovrebbero sostenersi vicendevolmente

Il Kibbutz è una comunità socialista, nata ben prima dello Stato di Israele agli inizi del XX secolo, possiamo dire che Israele è nato grazie alle comunità dei Kibbutz anche se non è rimasta fedele ai loro principi, anzi, col tempo ha trasformato anche alcune di queste comunità privatizzandole.

Il Kibbutz deriva dalla parola “ritrovarsi”, perché le persone che ci vivono, si “ritrovano” proiettate in una dimensione in cui prevale, secondo principi socialisti, la condivisione dei beni e la democrazia diretta. Possiamo aggiungere che le prime comunità cristiane, che erano costituite essenzialmente da ebrei, si basavano sugli stessi principi.

Nel Kibbutz si cucina, si mangia e si dorme tutti insieme, il concetto di privacy non esiste. Persino la porta di casa è senza serratura, tanto bisogna avere fiducia gli uni negli altri, in un modello di umanità che esalta la collettività a scapito dell'individuo. Anche i bambini sono educati e vivono insieme in uno spazio a loro riservato dalla comunità più che con la loro famiglia, un po' come nella Repubblica di Platone.

Il compito dei Kibbutz è stato soprattutto quello di, mediante un duro lavoro, rendere fertili aree semi-desertiche contrastando validamente, con varie tecniche che si sono evolute nel tempo, il progredire della desertificazione che, specialmente con i cambiamenti climatici, oggi minaccia da vicino quelle terre. Oggi le tecniche sono molto evolute rispetto al passato, ma mentre in passato le attività dei Kibbutz erano finanziate dal Fondo Nazionale Ebraico, con il passare del tempo, in particolare dagli anni 70 in poi del secolo scorso, a causa dei debiti crescenti, gran parte dei Kibbutz è stata privatizza. Oggi, ad esempio, i Kibbutz sono strutture che possono anche ospitare turisti per condividere una esperienza di vita comunitaria in Israele. Tuttora in Israele ci sono tra i 25 e i 270 Kibbutz, per un totale di circa 125.000 abitanti e una percentuale per ogni Kibbutz che varia tra le 100 e le 1000 persone.

Le comunità in genere sono protette e limitate da recinzioni, ma chi ci vive non è obbligato a restarci, deve solo seguire le regole comunitarie, che sono quanto di più vicino al Socialismo sopravviva oggi dopo la caduta dei muri e delle ideologie.

Negli ultimi anni, però, sebbene queste comunità siano state ripopolate, le forme di egualitarismo non sono più così rigide come una volta, gli stipendi si sono in parte differenziati e le comunità hanno dovuto aprirsi al mercato, con strutture ricettive, scambi economici, diventando così delle vere e proprie aziende produttive ed innovative dotate di tecniche all'avanguardia soprattutto nel campo agricolo, e avvicinandosi di più al modello delle moshad che sono in pratica delle cooperative molto simili a quelle occidentali

Da questa breve analisi si evince che il modello dei Kibbutz non è né quello della destra israeliana che ha sviluppato parallelamente una serie di privatizzazioni selvagge ed ha acuito enormemente le differenze sociali negli ultimi tempi, né quello di Hamas, una organizzazione fortemente gerarchizzata che porta avanti a Gaza per i palestinesi programmi sociali solo con i pochi soldi che avanzano dall'acquisto di armi e che provengono in gran parte da organizzazioni di solidarietà a livello internazionale e dall'ONU.

Colpire il Kibbutz o non tutelarlo adeguatamente ha dunque non solo una valenza terroristica, ma anche politica, si fa così terra bruciata di un modello di socialismo e di condivisione che è sempre più raro oggi nel mondo e che in quella zona probabilmente risulta scomodo per molti al potere.

Un Socialista ed un padre, in particolare, non può non provare orrore per i continui bombardamenti a cui è sottoposta la striscia di Gaza, non può che opporsi ad ogni tentativo di deportare la popolazione palestinese, sottoponendola alla privazione di beni vitali come l'acqua e l'elettricità

Chissà perché poi per questi beni Gaza dipende continuamente da Israele e non si è riusciti a renderla autosufficiente con tutti i miliardi che piovono da tutto il mondo a favore dei palestinesi.

Come dice giustamente Maraio, la risposta al terrorismo di Hamas “Non può essere, e lo dico da padre, ripeto, quella di sganciare bombe sulle teste dei bambini”

Ma altresì, replichiamo, la risposta non può essere solo lo “schifo” dei terroristi che, esattamente con la stessa prassi dell'ISIS, si accaniscono sulle teste dei bambini che vivono in una struttura in cui non ci sono serrature alle porte.

La risposta deve essere, da socialisti, una forma chiara ed evidente di solidarietà, se necessario anche con la presenza nei luoghi di tale mattanza, per evidenziare che in quei Kibbutz non è stato solo colpito un gruppo di persone, ma anche un modello politico di società e di convivenza che ad un socialista deve essere assai caro

Stare con il Kibbutz e con le sue vittime, e non tanto con Netanyhau che non è stato capace di proteggerle, vuol dire condividere e tutelare non solo le persone, ma anche gli ideali per i quali quelle persone, quei compagni e quelle compagne sono vissuti.

Una volta David Ben Gurion affermò: “ Se avessi saputo che era possibile salvare tutti i bambini della Germania trasportandoli in Inghilterra, e soltanto la metà trasferendoli nella terra di Israele, avrei scelto la seconda soluzione, a noi non interessa soltanto il numero di questi bambini ma il calcolo storico di Israele” Ecco dunque che, oggi come allora, il migliore calcolo storico di Israele non è annientare i figli dei suoi nemici, ma quello di farsi carico della loro salvezza, affinché i conti della storia possano finalmente “tornare” e non essere sempre sballati, generando odio su odio.

Carlo Felici

martedì 10 ottobre 2023

CUI PRODEST?

 



Nelle tragiche incombenze che stiamo vivendo in questo scenario di inizio millennio, in cui pare proprio che il male più infettivo e dirompente non possa essere debellato, soprattutto perché molti lucrano abbondantemente sui conflitti in corso, la vittima più illustre, oltre a quelle che indiscriminatamente vengono colpite senza pietà e con furia sempre più disumana e distruttiva, appare la ragione umana.

Essa infatti presuppone una capacità di analisi che vada ben oltre la scelta binaria, ben più in là di ogni aut aut, per cogliere le cause nascoste e sottese dei fenomeni e, oggi in particolare, delle varie guerre che si stanno avvicendando e il cui scopo principale sembra essere durare il più a lungo possibile, con tutto lo scenario di morte e distruzione che ne consegue.

Per quanto riguarda, in particolare, l'ennesimo scontro tra israeliani e palestinesi che oggi vede come novità soprattutto il numero notevole forse mai raggiunto nella storia di Israele, di vittime ed ostaggi, presi del tutto alla sprovvista, quello che ci occorre, per avere una visione chiara degli eventi, è soprattutto rinunciare al manicheismo dei “buoni e dei cattivi”

E' ovvio che per molti dei musulmani i “cattivi” sono per l'ennesima volta gli israeliani, tanto quasi da giustificare la feroce ed aggressiva reazione di Hamas, mentre per i sostenitori di Israele i “cattivi” sono i terroristi di Hamas, per cui bisogna spianare Gaza

Pochi così considerano che non pochi “cattivi” sono ai vertici di Hamas, così come ai vertici dello Stato israeliano. Noi siamo propensi a considerare “buoni” solo le vittime innocenti che, come in ogni vigliacca guerra contemporanea, sono sempre più tra i civili e sempre meno tra i militari che usano ormai abbondantemente la robotica, in particolare dei droni e dei missili, per fare stragi soprattutto di gente inerme.

Cominciamo da Hamas, che soprattutto negli ultimi tempi appare una organizzazione sempre meno politica e sempre più militare e delirante, evitiamo la solita definizione “terrorista” buona per tutte le stagioni che non aiuta per niente a capire la struttura e le motivazioni e soprattutto per conto di chi vengono messe in atto determinate azioni.

Hamas ha predicato a lungo e tuttora predica la necessaria fine di Israele, con una posizione condivisa, anche se ambiguamente, ormai tra i paesi arabo-musulmani, solo dall'Iran. Ma fin qui siamo ancora in un ambito politico. Negli ultimi tempi però l'azione di Hamas, rifiutando le tregue, martirizzando i civili palestinesi esposti alle ritorsioni, e in particolare con gli attacchi indiscriminati contro i civili israeliani, assomiglia sempre di più a quella del Daesh, e per questo non riceve più particolare sostegno dai paesi musulmani, specialmente tra quelli che cercano di raggiungere un difficile equilibrio di convivenza con Israele, tanto che lo stesso Hamas può ormai contare sostenitori (ma non dichiarati) solo in Iran e in Qatar che conserva ancora legami con i Fratelli Musulmani

Questo movimento già dal 1988 nel suo statuto ha come fine dichiarato nell'articolo 12 il seguente principio: "Hamas considera il nazionalismo (Wataniyya) come parte del credo religioso" D'altro canto lo stesso statuto in un altro articolo recita: “ Il Movimento di Resistenza Islamico (Hamas) deriva le proprie linee guida dall'Islam, dal suo pensiero, dalle sue interpretazioni e dalla sua visione della vita e dell'umanità; all'Islam si ispira per la propria condotta e per qualunque decisione"

Ora questa è già una contraddizione lampante, perché l'Islam non è nazionalista e non è rivolto in alcun modo a fare strage indiscriminata di gente inerme.

Sia la sharī‘a che la ǧihād sono rivolti nell'Islam alla tutela e al perfezionamento di una comunità religiosa più che di una nazione in senso stretto, e se osserviamo la storia dell'Islam, vediamo che esso è progredito e si è espanso di più in strutture che non avevano confini definiti ma corrispondevano a imperi o califfati come zone di influenza, cosa ben diversa dal concetto moderno di nazione.

Per quanto riguarda poi la prassi di uccidere il Corano è piuttosto chiaro in alcuni suoi passaggi: “..e a parte il buon diritto (di autodifesa) non uccidete nessuno di coloro che Allah ha reso sacri. Ecco quello che vi comanda affinché comprendiate” Corano 6:151. Oppure “ Chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera” Corano 5: 32

Del tutto evidente, dunque, che non è legittima secondo l'Islam una prassi volta a combattere un popolo inerme, anche se per ritorsione o vendetta. Mentre può essere più comprensibile la prassi che in passato adottarono alcuni stati a guida islamica per combattere militarmente Israele, sentendosi minacciati dal suo espansionismo, il quale per altro è avvenuto lo stesso, quando Israele si è apprestata a combattere e anche a difendersi.

Da queste considerazioni si evince che la prassi di Hamas, non solo non è coerente con i principi coranici, ma di fatto assomiglia sempre di più a quella dei gruppi islamisti radicali come Daesh che colpiscono indiscriminatamente e senza distinzioni tra obiettivi militari e civili

Né questo è giustificabile solo tenendo conto delle condizioni discriminatorie e ghettizzanti in cui sono tenuti i palestinesi, soprattutto nella striscia di Gaza, perché evidentemente escludendo le vie politiche e limitandosi soltanto alla opzione militare, li si espone a ritorsioni e a massacri, sicuramente criminali e ingiustificati, ma pur tuttavia, sempre e solo con conseguenze tragiche a loro svantaggio.

Si sa bene che Hamas utilizza molte delle risorse economiche che dalla comunità internazionale provengono per alleviare le sofferenze del popolo palestinese, per procurarsi armi e missili sempre più efficaci, con il risultato che nessun benessere e nessun miglioramento ne trae la popolazione e che Gaza è diventata un ghetto e una prigione sempre più angusta, ma ostinarsi ad attaccare uno Stato militarmente più potente per ottenere risultati alquanto effimeri, non è certo una strategia costruttiva o vincente. Tale prassi è più comprensibile però se la si inquadra in un orizzonte più vasto in cui l'azione di Hamas tende a manifestare la debolezza di Israele e ad acuire il suo isolamento nel contesto internazionale del Medio Oriente. Speculare però sulla disperazione di un popolo che non ha più nulla da perdere, se non in continuazione solo la propria vita, non è certamente una azione politica eclatante.

Veniamo adesso ad Israele che è governata da un premier che solo poco tempo fa ha dovuto recarsi in tribunale per difendersi da vari capi di imputazione, in particolare tre. Il primo riguarda il caso di aver accettato regali dal miliardario Arnon Milchan, e dal magnate australiano James Parker una somma corrispondente a circa 260mila euro. Il secondo riguarda un accordo con l'editore di un quotidiano per avere una copertura mediatica positiva in cambio di una legge che avrebbe sfavorito il rivale di questo editore. Il terzo e più grave concerne l'accusa di corruzione per avere negoziato, quando Netanyhau era premier e ministro delle telecomunicazioni, con il principale azionista del gigante Bezeq per ottenere una copertura positiva da parte di un notiziario, in cambio di favori politici verso gli interessi di quella società. Sua moglie nel frattempo si è dichiarata colpevole ed ha patteggiato per una accusa di avere usato denaro pubblico per fini privati.

Dopo queste vicissitudini, lo scorso anno Netanyahu ha vinto di stretta misura le elezioni, contando soprattutto sul sostegno dell'estrema destra sionista, essendo però costretto a governare con una maggioranza risicata di cinque parlamentari, e condizionato dai partiti ultra ortodossi, in buona sostanza dal fondamentalismo sionista. Quelli che considerano i palestinesi una sorta di “razza inferiore”, che mettono in atto provocazioni eclatanti e girano armati. Per mettersi al riparo da contestazioni e ulteriori guai giudiziari, il premier israeliano ha varato una riforma della giustizia che prevede l'abbandono dei veti della Corte suprema su leggi e nomine da parte dell'esecutivo. In pratica un passo decisivo per trasformare Israele in una dittatura a sfondo nazionalista e fondamentalista con il fine dichiarato di limitare fortemente le libertà civili e ostacolare il processo di secolarizzazione della società israeliana. In particolare la riforma si accanisce contro il principio di “ragionevolezza” utilizzato dalla Corte per revocare nomine e decisioni legislative, come nel caso di Aryeh Deri, esponente politico ultra-ortodosso a cui è stato impedito di partecipare al governo del premier perché si é ritenuto irragionevole nominarlo in quanto condannato di recente per frode fiscale. In definitiva, questo è stato un attacco frontale alla democrazia israeliana, per sottrarre l'operato del governo al controllo della magistratura e per negare il principio sacrosanto della divisione dei poteri, indispensabile in ogni stato democratico moderno

Le reazioni della società israeliana non sono mancate e sono state anche eclatanti, dato che gli stessi riservisti hanno minacciato di non impegnarsi più nel loro compito se il governo avesse imposto questa riforma

E' in questo contesto che l'attacco di Hamas, il quale sembra aver avuto successo come con un coltello che penetra nel burro, cosa molto sospetta per uno Stato dotato di grandi capacità tecnologiche e con l'apparato dei servizi segreti tra i più efficienti e preparati al mondo.

Il sospetto è infatti che il premier, pur avendo avuto varie avvisaglie, si parla addirittura di un avvertimento dei servizi segreti egiziani che stava per accadere “qualcosa di grosso”, non abbia fatto nulla di concreto e convincente per affrontare e prevenire questa minaccia, dando più importanza alla situazione in Cisgiordania che al pericolo imminente al confine con la striscia di Gaza. Più o meno come quello che accadde alla vigilia dell'11 settembre negli USA e che dette il via all'invasione dell'Afghanistan e alla guerra in Iraq

Ora è presto per considerare quali conseguenze su vasta scala avrà questa che è da considerarsi, per numero di vittime ed ostaggi nelle mani di Hamas, la giornata più nera per Israele dalla sua fondazione. Però un dato è sicuramente certo: l'opposizione a Netanyahu è stata tacitata in nome della sicurezza nazionale, è stato dichiarato lo stato di guerra, che amplia i poteri del governo, tutti i riservisti sono stati mobilitati e richiamati in vista anche di una offensiva di terra che però non si presenta né facile né sicura, dato il numero di ostaggi nelle mani di Hamas e data la configurazione del territorio che impone una guerriglia quartiere per quartiere, casa per casa e in cui le rovine dei palazzi sono le strutture migliori in cui difendersi e colpire senza essere visti.

Il governo israeliano, già criticato per quella riforma di cui si è parlato, anche in campo internazionale, oggi si appresta a raccogliere la solidarietà indiscussa di tutti i paesi occidentali. Di Hamas pare che in Italia non si debba parlare se non in termini di organizzazione terroristica, persino nelle scuole si minacciano azioni ispettive per scongiurare una azione propagandistica. Mentre si preparano manifestazioni di sostegno al popolo palestinese che, per l'ennesima volta, viene colpito e martirizzato senza badare a scrupoli in aree a densissima popolazione civile in cui vengono colpiti ospedali, condomini, infrastrutture, e per di più vengono bloccati tutti gli aiuti internazionali e sigillata ogni possibilità di uscire da quella che rischia di diventare una tomba a cielo aperto, una fossa comune, dove solo i topi che si nascondono sotto terra possono salvarsi

Cosa ha ottenuto Hamas e cosa il governo israeliano?

Hamas sicuramente nessun vantaggio territoriale, l'azione infatti si è esaurita in poco tempo e senza alcun consolidamento in territorio israeliano, l'isolamento anche tra i paesi musulmani è più che evidente, i sauditi prendono tempo, gli iraniani prendono ambiguamente le distanze pur essendo i principali finanziatori di Hamas, l'unico sostegno (anche se non dichiarato palesemente) pare sia quello di certa sinistra radicale, senza se e senza ma nostrana, in nome della sacrosanta causa del popolo palestinese.

Come se, per l'ennesima volta un male ne giustificasse un altro, come se l'eccidio di tanti palestinesi da parte delle truppe israeliane possa essere un fondamento valido per le atrocità ed umiliazioni messe in atto contro la popolazione israeliana inerme, con i suoi ragazzi, con le sue donne e i suoi bambini esposti al ludibrio mediatico globale.

E Netanyahu cosa ci guadagna? Nell'immediato sicuramente consenso interno ed internazionale, ma alla lunga? Lui ha già dichiarato che sarà una lunga guerra, ed è evidente, perché gli occorre per non essere contestato e continuare a governare senza opposizione alcuna

Ma, nonostante ciò, Haaretz quotidiano nazionale di Tel Aviv in Israele già titola: “Il disastro che si è abbattuto su Israele durante la festività di Simchat Torah è chiaramente responsabilità di una sola persona: Benjamin Netanyahu"

In Italia una delle voci più ragionevoli che sembra non avere imboccato la strada del manicheismo “buoni-cattivi” che imperversa nei telegiornali è la Bonino, la quale, da sempre filo israeliana fa alcune considerazioni che meritano la massima attenzione. Ella tra l'altro dichiara: “È triste pensarlo, ma il calcolo cinico dei leader di Hamas è verosimilmente quello che una ritorsione sanguinosa di Israele, con tante vittime civili, torni a mobilitare le piazze arabe contro Israele, renda implausibile politicamente, per qualsiasi governante arabo, sostenere il ravvicinamento diplomatico con Israele, e riporti la questione palestinese al centro dell’agenda internazionale” E ancora: trovo, come gran parte dei democratici ebrei e filo-israeliani nel mondo, che sia un errore mortificare una democrazia vibrante come quella israeliana con coalizioni di governo costruite tatticamente, che includono partiti estremisti e politici xenofobi. Questi atteggiamenti sono parte del problema

In conclusione, appare del tutto evidente che il problema non si risolve in maniera manichea, sostenendo a spada tratta coloro che si ergono a “campioni dei palestinesi” e che operano con metodologie più terroristiche che militari, né sostenendo Israele senza se e senza ma, solo perché aggredita.

In essa il governo di coalizione che si appresta ad affrontare la crisi dovrà risultare una seria opportunità per valutare non solo l'interesse della sopravvivenza dello Stato di Israele che non è certo messo seriamente in discussione dalle armi di Hamas e dal suo operato, ma soprattutto sul futuro e sulla efficienza della sua democrazia, affinché non risulti uno Stato fondamentalista tra i vari altri dell'area, con l'unica conseguenza della guerra e dell'impoverimento permanente della sua popolazione, già in atto con la caduta libera della moneta israeliana

Gli Usa d'altra parte, sono presenti nell'area, ma stavolta è molto difficile che stacchino una cambiale in bianco, con la crisi ucraina tuttora aperta e di difficilissima soluzione. Cina e Russia stanno a guardare ma è evidente che non possono che trarre vantaggio da una crisi permanente in Medio Oriente, sia perché distoglie l'attenzione dall'Ucraina, sia perché amplifica il loro ruolo di grandi potenze nello scenario internazionale.

Resta il fatto che Hamas e Netanyahu, risaltano come “i migliori nemici”, da quando sono al potere infatti non fanno altro che rendere il loro potere inossidabile e senza alternative, strumentalizzando la paura del popolo palestinese e di quello israeliano e rendendo lo scenario senza alternative a loro stessi, in un vortice di morte e distruzione che appare senza fine

A chi giova dunque tutto ciò? E a chi l'ennesima guerra in Medio Oriente mentre l'Europa, come con l'Ucraina, rivela ancora una volta tutta la sua dabbenaggine ed impotenza?

Ce lo ha detto il Papa: “il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione” e noi aggiungiamo con Teilhar de Chardin: “noi stessi siamo il nostro peggior nemico. Nulla può distruggere l'umanità ad eccezione dell'umanità stessa”. E' una riflessione che non riguarda solo palestinesi ed israeliani che dovrebbero poter convivere ciascuno in un rispettivo Stato sovrano, ma anche tutti noi che viviamo in un habitat mondiale sempre più stretto e pericoloso


Carlo Felici.