Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

lunedì 31 ottobre 2022

25 APRILE FESTA DI DIGNITA'

 




Nel 2016 il presidente La Russa portò un mazzo di fiori al monumento di alcuni partigiani caduti nella Lotta di Liberazione ma, si badi bene, lo stesso fece al campo X o dell'«Onore» che raccoglie le spoglie dei caduti della Repubblica sociale italiana.

Oggi ricorda solo quel mazzo ai partigiani in replica a chi lo accusa di non voler festeggiare il 25 aprile, precisando che le sue parole sono state travisate, in quanto non gli piace che questa data venga strumentalizzata in senso propagandistico dalla sinistra

Possiamo dire, pensando all'estromissione della Brigata Ebraica, e alla partecipazione di movimenti filopalestinesi, che effettivamente non ha tutti i torti. La questione però è un'altra.

Già nel 2016 La Russa ebbe a dire: «Non vogliamo dare lezioni a nessuno ma non c'è atto di maggior barbarie di quello di suddividere in meritevoli o meno della pietà umana»

Ora basterebbe ricordare al Presidente del Senato che il 25 aprile non è il 2 novembre e che sicuramente la sua affermazione è validissima, ma si adatta meglio ad una data in cui si celebrano tutti i morti, in nome della pietà umana e senza fare distinzioni tra di loro.

Il 25 aprile resta la data che nella nostra Repubblica democratica segna lo spartiacque tra dittatura e libertà, prima di quella data la libertà era negata, dopo quella data la libertà è stata data a tutti, anche a chi non si riconosce in quel giorno

Diceva Pertini, citato per altro da La Russa nel suo discorso di insediamento al Senato: “Non si può tollerare chi non tollera” e lo diceva riferendosi al fascismo, perché esso era l'incarnazione dell'intolleranza nei confronti di chi la pensava diversamente da quella ideologia

Invece siamo arrivati al punto da tollerare anche i nostalgici che in camicia nera sfilano a Predappio, i vari calendari con il faccione del Duce e i movimenti di varia estrazione che si riciclano continuamente per ripresentarsi con le sigle più diverse ma sempre con la stessa ideologia neofascista. Potremmo dire che questa è la democrazia, anche questa la conquista di coloro che morirono da partigiani e che vivono da cittadini liberi

Ma se avessero vinto gli altri che combattevano con le truppe naziste e che per altro parteciparono ai rastrellamenti di gente inerme e alle brutali rappresaglie? Cosa sarebbe successo? Ovvio che la storia non si fa con i se e con i ma, però non è difficile immaginarlo in un racconto di fantastoria.

La prima cosa sarebbe stata la mutilazione della Patria. Quella che era costata più di un milione di feriti, mutilati e morti tra Risorgimento e Prima Guerra Mondiale che ne fu la conclusione

Adriatische kustenland e Operationszone Alpenvorland si chiamavano le zone di fatto annesse al Reich tedesco, sottratte all'amministrazione della Repubblica Sociale Italiana e amministrate direttamente dai tedeschi che vi arruolavano anche soldati da mandare in Italia, come a via Rasella, in divisa tedesca. Esse comprendevano la provincia di Bolzano, di Trento, Belluno, Gorizia, Trieste, Fiume, quindi buona parte del Veneto, tutto il Friuli e anche Trentino Alto Adige ed l'Istria che allora era ancora italiana

Se i tedeschi avessero vinto la guerra, sicuramente si sarebbero tenute quelle terre, azzerando non solo i risultati della Grande Guerra, ma anche buona parte di quelli ottenuti con le guerre del Risorgimento

Ecco, tralasciando quello che sarebbe accaduto agli sconfitti con la repressione e le deportazioni di massa, soffermiamoci proprio su questa “mutilazione” dell'Italia avvenuta con la complicità di Mussolini e della sua Repubblica Sociale, solo per capire la differenza non certo irrisoria tra chi combatteva da una parte e chi militava nell'altra

C'è una sequenza del film “Il partigiano Johnny” in cui alcuni reduci repubblichini catturati dai partigiani si allontanano su una barca e chiedono ai partigiani rimasti sulla riva: “Se vincete voi che ne sarà della nostra Patria?” Gli altri rispondono seccamente: “Non vi preoccupate..”

Tutto il cosiddetto mito della Patria su cui il fascismo fondò le sue radici fin dall'inizio, fin da quando Mussolini si presentò al re dicendo: “Maestà vi porto l'Italia di Vittorio Veneto”, sarebbe stato rinnegato, e fu effettivamente azzerato quando Mussolini consegnò senza fiatare le conquiste di Vittorio Veneto ad Hitler che non ci avrebbe mai più restituito quei territori, mentre gli americani avrebbero potuto tranquillamente annettersi la Sicilia, contando sul consenso anche di una certa parte dei siciliani, ma si guardarono bene dal farlo e ci aiutarono anche a riprenderci quei territori momentaneamente perduti, e se non ci fossero stati molti comunisti che credevano più nella patria sovietica che in quella italiana, forse avremmo potuto anche conservarne altri lungo il confine orientale.

Ma la storia è sempre quello che è stato, non quello che avrebbe potuto essere, anche dopo la fine della guerra con un prolungamento di rappresaglie e di guerra civile a cui solo il varo della nostra Costituzione pose veramente fine

San Bernardo diceva che “dove la verità e la misericordia si corrispondono, anche la giustizia di Dio e la pace stanno insieme”

E' questa una frase emblematica per trovare la via di una pacificazione definitiva in Italia dopo quasi ottanta anni dai tristi eventi della Seconda Guerra Mondiale. Perché la verità, anche quella storica, se non deve mai comportare la mancanza di pietà e di misericordia, anche nei confronti dei vinti, allo stesso tempo non può e non deve rinnegare se stessa

Pietà dunque e misericordia per i morti della Repubblica Sociale, ma non diciamo che storicamente fossero dei patrioti, nel senso anche inteso dal nostro Presidente del Consiglio, perché erano semplicemente dei giovani prigionieri di una idea sbagliata, una idea che se si fosse realizzata, anzi, che mentre essi stavano cercando di realizzarla, stava portando alla morte della Patria, con la sua mutilazione territoriale e con la negazione definitiva della libertà.

Al contrario gli altri, che giustamente chiamavano loro stessi allora patrioti e non partigiani, quella Patria la volevano libera ed integra e alcuni di loro sacrificarono anche la la loro vita per difenderla da quei comunisti che occupavano quei nostri territori ad Est, in combutta con partigiani italiani ai loro ordini, altrettanto traditori della loro Patria come quelli fascisti. Non si possono mettere sullo stesso piano tutti quei morti, sarebbe una offesa alla storia e alla dignità umana.

Se vogliamo dunque una vera pacificazione in nome della Patria comune, cerchiamo innanzitutto di emendare dal nostro DNA queste perniciose ideologie, non perché si possano mettere sullo stesso piano fascismo e comunismo, ma perché, in modo differente tra loro, hanno a lungo impedito che l'Italia fosse una Patria libera. Il fascismo con la dittatura, il comunismo con la mancanza dell'alternanza politica, perché se i comunisti contribuirono alla stesura della nostra Costituzione e al progresso civile poi, di fatto, prigionieri per 40 anni della loro ideologia, non consentirono che ci fosse, come in tutti i paesi europei, una normale alternanza democratica tra governo ed opposizione, rifiutando a lungo di assumere la fisionomia di un partito socialista moderno, democratico e liberale come ne esistono in tutti i paesi liberi europei, persino in Spagna che uscì dalla dittatura 30 anni dopo di noi.

Io per altro il 25 aprile non lo associo tanto alle manifestazioni, ma ai ricordi di mio padre che non c'è più, un ragazzino a cui bruciava lo schiaffo di un fascista che gli aveva fatto saltare il cappello dalla testa e che sparava alle cicogne tedesche, i ricognitori aerei che schiaffeggiavano le nuvole, roteando come avvoltoi sulla nostra Patria. Ogni anno celebro questa data come fondante del conquista della dignità di una persona e di un popolo. E di schiaffi non ne ho mai dati, nemmeno a mio figlio.


Carlo Felici

venerdì 28 ottobre 2022

CENTO ANNI E MARCIO SU ROMA

 


                                            

Lungi da me il voler ridicolizzare con il titolo di questo intervento ciò che accadde cento anni fa, perché è cosa tuttora molto seria, su cui gli storici non hanno smesso di indagare e di discutere.

Se fu la degenerazione del sistema liberale, inaugurato con i governi unitari postrisorgimentali, se la conseguenza di un biennio rosso che aveva messo alle corde e spaventato a morte le classi medio borghesi, oppure la convergenza di interessi transnazionali, che andavano dalla Monarchia al Vaticano, passando per la Massoneria, è ancora da studiare e molto bene

Ho già ripercorso tutti quegli eventi, dal dopoguerra al delitto Matteotti nella mia storia a puntate su questo giornale, in particolare parlando della Marcia su Roma nella ventunesima (https://www.avantionline.it/turati-contro-mussolini-al-governo-con-la-fiducia-degli-invertebrati/) così come ho cercato di rimarcare in tutta la mia storia che l'avvento del fascismo fu dovuto a due principali fattori: il clima di violenza dell'immediato dopoguerra che coinvolse direttamente anche la sinistra, e l'incapacità del Partito Socialista di allora, nonostante fosse uscito vittorioso dalle urne nel 19, di perseguire in maniera unitaria una politica riformista che fosse all'altezza delle esigenze di quel momento storico, rendendosi credibile non solo nei confronti delle masse proletarie, ma anche dei ceti medio borghesi, detentori dei mezzi produttivi. La divisione delle forze della sinistra di allora, segnata da ben tre scissioni, portò inevitabilmente il fascismo al potere già individuato da Giolitti, fin dall'impresa di Fiume non come elemento sovversivo e rivoluzionario, ma come forza politica stabilizzatrice degli interessi delle classi dominanti di quel periodo e con cui si doveva necessariamente scendere a patti. E questo con buona pace di Mussolini, che sbandierò il mito della “rivoluzione fascista” per più di venti anni.

Non è questa la sede per analizzare come il fascismo si consolidò, cercando, pur nella sua veste autoritaria, liberticida e razzista, anche di modernizzare lo Stato e con questo, conquistando pure un largo consenso popolare che, è inutile negarlo, ci fu in particolare nei primi anni '30.

Oggi più che altro è opportuno “mutatis mutandis”, considerare il fattore che unisce, a distanza di un secolo, l'affermazione di due destre ben diverse ma guidate sempre, ironia della storia, da un signor e da una signora M, come se la storia volesse stigmatizzare con la sua M, il suo Memento, la necessità di ricordare e di imparare, etiam spes contra spem.

M uomo si affermò con il marciume della violenza contro le opposizioni e con l'appoggio dei poteri forti di allora, in particolare la Monarchia, pilotata da una Massoneria, poi rinnegata per accordi con il Vaticano, ampiamente presente tra gli alti ufficiali dell'Esercito di allora, che paventava il “pericolo bolscevico”, M donna si afferma oggi con un ampio consenso popolare, ma grazie anche ad una legge elettorale che ha disgustato e tenuto fuori dalle urne ampia parte del popolo italiano (circa il 40%). Per le divisioni di una sinistra che è in preda a convulsioni interne miseramente come opposizione, e dopo una lunga marcia non certo marcita nella permanenza contigua al potere nelle grandi coalizioni che sono piovute dall'alto in Italia per stigmatizzare, certe volte in modo rovinoso, il primato dell'economia sulla politica. In questo, bisogna ammetterlo, M donna è stata più rivoluzionaria di M uomo, perché in ogni caso è riuscita a ribaltare questo primato, riaffermando, come è necessario in ogni democrazia, il primato della politica sull'economia.

Che poi la sua politica porti con sé pesanti interrogativi economici tutti da verificare, affrontare e risolvere, è senza dubbio una questione che ci riguarderà da vicino, fin da subito e sulla quale bisognerà vigilare con estrema attenzione, perché questa apparente differenza tra M uomo e M donna potrebbe anche risolversi in una similitudine, se alla fine saranno comunque e sempre garantiti gli interessi dei gruppi economici dominanti e i nodi sociali che oggi avvincono anche quelli emergenziali non saranno sciolti, e se la protesta montante che potrà seguirne sarà repressa con la solita violenza del potere che anche in una democrazia spesso non tarda ad abbattersi su studenti, lavoratori e licenziati che scendono in piazza.

Franco Cardini ha recentemente affermato in proposito: non si deve rispondere inasprendo i toni dell’antifascismo, bisogna rispondere rifondando criticamente un antifascismo che serenamente torni a parlare di queste cose”

E questa mi pare la chiave migliore per rileggere la storia e cercare di ricavarne una lezione costruttiva per il presente. Cosa vuol dire? Non agitare soprattutto il pericolo fascista come il pastorello della famosa fiaba che gridava “Al lupo ! Al lupo!” in continuazione, perché il suo unico effetto fu che alla fine il lupo arrivò davvero e si mangiò tutte le pecore. Quindi vigilare, anche in senso antifascista, non vuol dire urlare l'antifascismo in continuazione, ma saperlo rinnovare sia con la memoria storica che con l'azione politica, combattendo e mobilitandosi contro concreti provvedimenti liberticidi, nel momento in cui effettivamente vengono messi in atto.

C'è una cosa che preoccupa di M donna, ed è la sua visione dell'antifascismo “alla chiave inglese”, la quale denota quanto meno, se non un vuoto di memoria storica, almeno una deformazione generazionale. Certo non è colpa dei coetanei di M donna se sono nati in un'epoca in cui l'antifascismo storico che ha fondato la nostra Repubblica e la nostra Costituzione, non li ha visti protagonisti, diciamo invece che hanno piena responsabilità se invece di studiare la storia preferiscono la lettura dei romanzi fantasy.

Perché evidentemente l'antifascismo militante fu soprattutto quello di chi rischiò galera, confino, esilio e anche torture e morte, per darci quella Patria libera che sembra tanto piacere anche ad M donna. Da questo punto di vista, bisogna riconoscere che Fini, con la svolta di Fiuggi, fece molto di più definendo il fascismo come “il male assoluto”, per prendere una distanza che fosse definitiva da esso, sebbene purtroppo il male, nella storia, sia sempre destinato a relativizzarsi, proprio perché al peggio e ai mali dell'umanità, lo vediamo con triste realismo tuttora in Europa, non c'è mai una fine

Quella svolta aveva anche portato finalmente la destra ad abbandonare nel simbolo un emblema dichiaratamente neofascista come la Fiamma Tricolore

Lo ribadisce lo stesso Cardini che militò da giovane nelle file del Movimento Sociale Italiano: "I comizi si svolgevano tra saluti romani, gagliardetti e canzonette littorie. Anche in Fratelli d'Italia c'è ancora chi fa gli occhi dolci a Mussolini e non resiste ad alzare il braccio. Oggi si potrebbe chiedere responsabilmente a Giorgia Meloni: sei il presidente del Consiglio di una Repubblica antifascista? Allora devi sopprimere la fiamma tricolore, simbolo inequivocabile di un partito neofascista. Sarebbe un vero segnale di rottura"

Perché effettivamente è assurdo che un partito di governo in Italia rechi con sé proprio quel simbolo che evoca ancora non solo una storia partita cento anni fa, ma tutta quella stagione di scontri e di violenza che nei discorsi parlamentari la destra a parole dice di voler emendare. Un po' come se la sinistra volesse governare con la Falce e Martello, che per altro rievoca tutt'altra storia, almeno in Italia.

Associando l'antifascismo militante solo alla “chiave inglese” M donna ha commesso un errore storico e politico abnorme perché con ciò sono emersi tutti i limiti non tanto del suo spessore politico, quanto piuttosto di quello culturale. Perché l'antifascismo militante dei Fratelli Rosselli, di Gramsci, di Amendola, di Gobetti e, diciamolo ad alta voce di Matteotti non è quello della “chiave inglese” ma quello della nostra libertà e della nostra Costituzione!

Ed è ancora il nostro se sul tema dell'antifascismo ci si vorrà sfidare.

Questo è il tema del centenario della Marcia su Roma, emendare il marcio che tuttora emerge da una propaganda fondata sul fattore numero uno che genera i mostri della storia: l'ignoranza

Bisogna comprenderlo bene, mettendo in atto due strategie urgenti e significative, da una parte un'opera di profonda sensibilizzazione culturale, che parta dalla valorizzazione delle memorie del primo e del secondo Risorgimento, di quello che l'ha resa unita, e di quello che l'ha resa libera. E dall'altra un impegno unitario nella opposizione, che la rimetta in discussione su più concrete basi culturali e politiche e che la renda capace di una costruttiva opera di rinnovamento del Paese, la quale non può coincidere con l'ennesimo colpo di mano per cambiare l'ossatura dello Stato, nell'ennesima manomissione della Costituzione. Chi ci ha provato e oggi ci riprova schierandosi più contro chi si oppone che contro chi governa, pur facendo parte dell'opposizione, tenga conto dei risultati che ha ottenuto, e della sua progressiva marginalizzazione politica.

Chi non ha capito che il successo di M uomo e di M donna hanno un minimo denominatore e fondamento comune: lo smembramento e la distruzione del Partito Socialista Italiano che oggi, pur ridotto ai minimi termini, non sembra nemmeno capace di fare un briciolo di autocritica, è destinato a fallire e con il suo fallimento a far fallire anche una storia gloriosa che è stata la stessa ossatura della democrazia in Italia

E se questo davvero accadrà, a salvarci resterà una sola donna con la M maiuscola, ma non sarà quella oggi al governo, sarà la Madonna.

Carlo Felici

mercoledì 26 ottobre 2022

LA SIGNORA DEGLI ANELLI

 


                                                  di Carlo Felici

                                 

Potremmo dire, dal suo discorso di inaugurazione, che è arrivata una “pasionaria” al Governo in Italia, anche se sembrano passati anni luce da quanto il nostro Presidente del Consiglio gridava a un comizio di Vox in Spagna: “ Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy cristiana”

Ciò nonostante, la Giorgia de noantri ha personalizzato in maniera spiccata il suo intervento per chiedere la fiducia e ha ribadito che è la prima donna come capo del governo, omaggiando tutte le donne che si sono impegnate per dare risalto all'Italia, peccato non abbia menzionato Anita Garibaldi, che per l'Italia morì da madre incinta, ma chissà se la considera italiana e...forse il colore della camicia non è di suo gusto.

Ci sono già molte donne al potere nel mondo e l'anomalia non è Giorgia, ma un sistema italiano che non rende loro facile arrivare in cima alla scala, se non per guardarle da sotto..tanto vige di sessismo in Italia un po' in tutti i settori, fino alla violenza più brutale, che forse Giorgia avrebbe dovuto sottolineare di più.

Della maternità invece ha parlato, sottolineando che le donne che lavorano hanno diritto ad avere una assistenza adeguata e anche asili gratuiti, così speriamo che il governo vari anche adeguati incentivi e opportuni controlli soprattutto per impedire che le donne che lavorano vengano ricattate e rischino di perdere il lavoro se il loro padrone aziendale scopre che aspettano un bimbo.

Cristianamente ha citato ben due papi, e il Parlamento non la smetteva quasi più di applaudire quando lo ha fatto, tanto che lei, in un fuori onda, si è sentito che diceva..”se continua così, finiamo alle tre..”. Peccato che nella citazione conclusiva di un Papa come Giovanni Paolo II, non abbia ribadito un concetto cattolico ma illuminista. O meglio magari il Papa lo sapeva..Giorgia non so..

La libertà intesa come dover fare ciò che è necessario è infatti un imperativo categorico della Ragion Pratica di Kant, l'adeguamento della volontà al dovere è proprio, per il filosofo illuminista tedesco, il viatico per la “santità laica” le cui porte sono ovviamente aperte a tutti..Giorgia inclusa.

Però essa esige un atteggiamento equanime e un rigoroso rispetto delle norme morali, specialmente quando si stratta di considerare l'individuo un fine e non un mezzo

Possiamo quindi forse capire se Giorgia ha condannato la violenza politica e le dittature di ogni colore, ma ci riesce difficile perdonare il fatto che abbia condannato il cosiddetto “antifascismo militante” che ammazzava a suon di chiavi inglesi, con evidente riferimento all'omicidio di Sergio Ramelli, ma abbia completamente rimosso il fatto che il quegli anni molto travagliati vi erano “fascisti militanti” che, come nel caso dell'omicidio di Walter Rossi, uscivano dalle sedi di quella Fiamma Tricolore che ancora brucia parecchio non a caso per molti, e sparavano coperti dai cordoni di polizia, ammazzando senza pietà.

In questo Giorgia si è fatta scavalcare persino da La Russa che ha menzionato almeno le vittime dell'una e dell'altra parte di quel periodo che ha bruciato la gioventù di tanti di noi e che francamente non vorremmo più nemmeno immaginare di poter rivivere

Ma in fondo lei non c'era, ha iniziato a far politica 30 anni fa quando i reduci di quel periodo ne avevano ben più di 30.

Ciò nonostante, pur avendo tolto quella fiamma nefasta quando nacque il suo Partito, l'ha poi rimessa probabilmente per portarsi dietro nei consensi elettorali, anche tutti quei rancorosi camerati che magari, sotto sotto, hanno sempre la pistola a portata di mano.

Ma oggi sicuramente ci interessa altro, oltre al fatto che la sinistra non cominci l'opera di boicottaggio aizzando come al solito i suoi facinorosi d'avanguardia nelle università, magari per contestare un semplice dibattito regolarmente autorizzato, replicando, in formato bonsai i tristi eventi di 45 anni fa, con gli scontri con la polizia.

Mai come ora, infatti, data la criticità del momento, sono indispensabili due cose: vigilare sui provvedimenti in corso e preparare una alternativa credibile

L'alternativa non si costruisce strillando e agitando il pericolo fascista in ogni dove, questo è già stato fatto in campagna elettorale con i risultati fallimentari che sono sotto gli occhi di tutti.

L'alternativa piuttosto arriva quando c'è una saldatura tra mondo del lavoro, società civile e sindacati, quando il sindacato torna a fare il suo mestiere e non cerca accordi al ribasso, quando la politica torna a rappresentare dal vivo le istanze della gente che soffre per mancanza o perdita di lavoro, ed è presente in particolare nelle zone d'Italia che sono più esposte alla sofferenza e al ricatto della criminalità organizzata, quando si difende a spada tratta chi lavora per la formazione e che ormai è fatto oggetto di insulti, di minacce, viene persino preso di mira con pistole a pallini, o addirittura ammazzato nelle stesse mura scolastiche.

Una alternativa si trova quando il merito non viene solo sbandierato, ma praticato nel modo più opportuno in un Paese in cui per troppo tempo esso è coinciso con il servilismo. L'Italia infatti, da questo punto di vista, è uno dei Paesi più meritocratici del mondo. Per fare carriera qui bisogna scrupolosamente meritarsi la fiducia del proprio capo, costi quel che costi, fino alla corruzione, fino alla prostituzione

E allora esaltare il merito, senza adeguati obiettivi e contenuti, che a scuola può voler dire...faccio quello che il preside o il professore mi chiede senza discutere e nel modo migliore possibile..non è altro che la forma più subdola di autoritarismo e di mortificazione di ogni capacità critica.

Così come nelle aziende può essere la forma più subdola di corruzione

Si parla di Patria e di Risorgimento, ma Giorgia si è guardata bene dal parlare di ciò che ha generato la democrazia in Italia, la lotta di Liberazione, anche in questo scavalcata dal più navigato La Russa. Per cui non vorremmo che accadesse mai che a un certo punto questo governo si mettesse a celebrare tutti gli eroi per la Patria compresi quelli che, continuando a combattere con Mussolini “in buona fede”, ci avrebbero fatto perdere territori costati più di un milione di morti feriti e mutilati, nella Grande Guerra.

C'è il rischio che la cosiddetta sinistra, spuntato l'argomento antifascismo, si concentri sulle divisioni della destra, che magari si prende a pesci in faccia o si insulta reciprocamente, ma quando si tratta di arrivare o di gestire il potere, è compatta come una testuggine, mentre dall'altra parte le divisioni restano all'ordine del giorno semplicemente perché persistono partiti senza ossatura culturale ed ostaggio di leaders in continuo litigio tra di loro, come i galli da combattimento.

Una sinistra che, persino su temi internazionali come la guerra in Ucraina, è spaccata come una mela, tra coloro che sono per le armi e per la NATO senza se e senza ma, e coloro che vorrebbero andarsene dall'Alleanza Atlantica prima di subito

Ogni tentennamento costa all'Italia miliardi e ai risparmiatori il deprezzamento dei titoli con cui finanziano lo Stato con il loro patrimonio privato e che lo Stato deve ripagare con un debito sempre più alto.

Da ciò si deduce che 68 governi in 75 anni di Repubblica sono davvero troppi

E allora ben venga la stabilità, che il primo governo che ha un chiaro mandato popolare dopo più di dieci anni, governi e mostri quello che sa fare, ben venga una opposizione vigile che non faccia sconti sul piano dell'opposizione parlamentare, ma che per coprire le sue contraddizioni o le sue divisioni non agiti la piazza in continuazione, se non per questioni gravi, e con le organizzazioni della società civile e delle forze del lavoro che sono state anche oggetto di attacchi squadristi, da facinorosi che poi, certamente, nelle urne hanno preferito Giorgia ad altri, e che si spera Giorgia ripudi per sempre.

In Europa la destra è stata mandata all'opposizione sempre da governi dichiaratamente socialisti democratici o laburisti

Se non ce ne sarà uno anche da noi, rigorosamente di nome di fatto, con buona pace del PD che non lo è, nonostante la sua adesione al PSE, la Signora degli Anelli che ha chiuso il cerchio diventando premier, potrebbe anche “magicamente” governare per ben dieci anni.


Carlo Felici


venerdì 14 ottobre 2022

UN'AULA COLORITA MA SORDA

                                    




                                                            di Carlo Felici


Nell'ultima tragica fase della seconda guerra mondiale, ad opera di un illustre giornalista che molto si era adoperato per imputare a Mussolini la responsabilità del delitto Matteotti, e che poi a guerra conclusa tentò di scagionarlo, perché fu convinto che quell'atroce assassinio fu ordito da una trama di interessi che andavano ben oltre la volontà del Duce, fu fondata la “Croce Rossa Silvestri”, che giunse in soccorso di esuli e perseguitati dal fascismo e dai nazisti che occupavano l'Italia.

I tempi cambiano e, “mutatis mutandis”, oggi abbiamo assistito al Senato ad un fenomeno simile e diametralmente opposto.

C'è stato infatti il “salvataggio” di un illustre “nostalgico” ad opera sicuramente di senatori di spiccata tendenza antifascista.

Tanto che ora abbiamo, come seconda carica dello Stato chi, pur essendo stato tra i protagonisti della svolta di Fiuggi, nella destra postfascista italiana, non ha mai rinnegato le sue radici e la sua formazione in quell'ambito politico, anche perché più di altri, ci è nato e cresciuto.

Diciamolo chiaramente anzi, come direbbe lui..diggiamolo: criminalizzare o demonizzare la storia e i “nostalgici”, o peggio fare della storia un uso strumentale non paga anzi, oggi come oggi, lo si vede chiaramente dai risultati elettorali, è la forma peggiore di autolesionismo.

Mai infatti come in questa campagna elettorale sono stati riesumati toni da crociata antifascista, con il risultato che è stato eletto Presidente del Senato il meno antifascista dei politici italiani.

Ecco, direi un bel capolavoro!

Ma la cosa più eclatante non è tanto il risultato elettorale quanto la giravolta senatoriale, che è un elemento in più per giustificare la disaffezione di chi, con sovrano e popolare disprezzo, non vota più, perché non trova degni rappresentanti a cui delegare con il proprio voto la propria fiducia.

Una parte consistente di quella che dovrebbe essere l'opposizione ha infatti votato a favore del rappresentante più di destra che ci possa essere nella compagine parlamentare.

Diggiamolo di nuovo chiaramente: il Presidente del Senato il suo mestiere lo sa fare molto bene, e lo ha dimostrato non solo col suo discorso politicamente correttissimo, che è arrivato a citare persino uno dei Presidenti della Repubblica più antifascisti che ci siano mai stati: Sandro Pertini, in un tempo in cui la sinistra non cita più socialisti da tempo, ma anche perché ha già ricoperto con meriti istituzionali ampiamente riconosciuti, alte cariche dello Stato, fino ad essere fino a ieri vicepresidente del Senato stesso. Quindi la sua elezione non è né uno scandalo né una sorpresa, anzi aggiunge un po' di tono “colorito”, data la sua incontestabile sanguigna personalità, alla paludata compagine senatoriale.

La vera sorpresa che forse nemmeno lui si aspettava, è che la sua elezione non sia dovuta alla sua maggioranza, dato che in gran parte i senatori di Forza Italia non lo hanno votato, ma che giunga proprio da quel “fronte” che tanto aveva strombazzato l'antifascismo come ultima carta da giocarsi disperatamente in campagna elettorale. Ovviamente sappiamo che qui l'antifascismo conta poco, sia perché il fascismo vero è finito miserevolmente appeso a testa in giù quasi ottanta anni fa, sia perché a difendere quello che è tuttora il documento fondante più antifascista che abbiano votato gli italiani, la Costituzione, c'è stata significativamente anche la destra, specialmente in occasione del referendum costituzionale che proprio il Senato voleva snaturare.

Insomma la “Croce Rossa Silvestri” stavolta salva chi un tempo faceva il saluto romano, e che magari oggi nemmeno lo considera un reato. Bel progresso ha fatto la civiltà italiana, potremmo dire, ma politicamente? E' stato un bello spettacolo? Possiamo dire lo stesso, non tanto guardando al risultato, quanto al rimpallo di responsabilità verso chi avrebbe agito fuori dal coro, con una vera e propria apoteosi dell'ipocrisia parlamentare trionfante?

Ne abbiamo infatti sentite di tutti i colori dai cosiddetti rappresentanti dell'opposizione: “cercate tra chi accusa gli altri”..”se fossi stato io lo avrei rivendicato” “una cosa invereconda e vergognosa”..insomma non si sa a chi dar retta, ma soprattutto non si sa né si saprà mai chi è stato. Eppure una manovra simile non appare frutto di azioni isolate ed estemporanee, ma di una precisa e pianificata strategia. Quale? Ecco questo è il punto.

Il messaggio è chiaro, per chi ha la maggioranza: se vi molla Berlusconi o la Lega, c'è sempre qualcuno che può salvarvi, senza per questo dovere andare a votare e mantenendo il sedere sulla poltrona..certo non sarà gratis..ma vuoi mettere? Avere in cambio le più alte cariche dello Stato!

E' chiaro che chi ha messo in campo questa azione molto spregiudicata e con il disprezzo più assoluto dei suoi elettori, non può ancora uscire allo scoperto, ma dategli tempo, e pian piano lo farà, se sarà necessario..magari per rispedire, con manovre di palazzo, la destra all'opposizione e riesumare al potere qualche altro tecnocrate in veste di vero salvatore della Patria, con un copione ormai arcinoto.

Di fronte a tale ondivago e miserevole cerchiobottismo, uno come il neo eletto Presidente del Senato può anche apparire come un gigante nella sua coerenza e statura politica.

In fondo dice da quasi cinquant'anni sempre le stesse cose.

Prendete per esempio il film di Bellocchio in cui recita in un comizio con i capelli ancora lunghi e con il piglio barricadero: “Italiani che non hanno rinunciato all'appellativo di uomini, si uniscano al di sopra delle fazioni, al di sopra dei partiti, al di sopra delle divisioni interessate e volute, al di sopra dell'ormai superato e in disuso e troppo a lungo sfruttato fascismo e antifascismo, si uniscano per dire sì alla libertà dell'ordine e no ai nemici dell'Italia”...che allora, secondo lui erano i comunisti, ma quelli adesso è già tanto se vanno nei talk show..

E quale è la differenza rispetto alle parole pronunciate in Senato nel suo discorso di inaugurazione della sua carica e di ringraziamento ai suoi elettori, signorilmente rivolto anche ai rappresentanti dell'opposizione che giurava di non fare sconti e di essere dura e intransigente?

Ecco infatti le parole odierne del Presidente del Senato: “Non ho bisogno di ripetere per intero le parole di Luciano Violante, ma solo nella parte che spero sia più condivisibile da tutti. Riferendosi alla necessità di un superamento di qualunque momento di odio, di rivalità, di contrasto storico, di antiche o nuove discussioni, con un linguaggio che mi auguro sia quello auspicato dalla presidente Segre, Violante ebbe a dire che un clima coeso 'aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro Paese, a costruire la liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno.” Cambiano sicuramente i toni ma la sostanza resta quella, la si può pensare come ci pare su Ignazio La Russa, ma non si può certo dire che sia stato o sia un voltagabbana o che abbia votato a favore dei vari governi soprattutto quelli alquanto affollati, da destra a sinistra, per insediarsi al potere

Fratelli d'Italia incassa infatti soprattutto il consenso degli scontenti di ogni ammucchiata, partito nato per opporsi a Monti e cresciuto nell'opposizione a Draghi, una opposizione che ha saputo maturare in vista dell'obiettivo fondamentale perseguito da Almirante fin dall'inizio, la conquista del potere. E ci è riuscito. Ma un conto è arrivare al potere e un conto restarci sapendo fare quanto promesso o quanto è davvero nell'interesse degli italiani.

Se un governo esordisce avendo bisogno della fiducia dell'opposizione perché non sa dimostrare adeguata compattezza al suo interno, litigando in continuazione per l'attribuzione delle alte cariche dello Stato, dei ministeri, tanto che i suoi rappresentanti già si mandano a quel paese (e usiamo un eufemismo), c'è da credere che il percorso della prossima legislatura sarà alquanto accidentato e il voto di fiducia non sarà poi così semplice come vuole apparire.

Insomma 100 anni dopo la marcia su Roma non abbiamo visto un'aula grigia perché sicuramente è molto “colorita” la compagine parlamentare, anche se leggermente sbiadita rispetto a quando era più numerosa. Però sorda lo è e parecchio, inutile negarlo, sorda soprattutto verso chi dovrebbe meritare il massimo rispetto, e cioè quell'elettorato che l'ha fatta nascere e di cui rinnega già dal primo giorno la sovranità.

Il vero re in democrazia è sempre il popolo, però oggi questo povero re in Italia è sempre più nudo e temiamo anche che sarà sempre più infreddolito.


Carlo Felici

mercoledì 12 ottobre 2022

DULCE BELLUM INEXPERTIS..

 


                                                  di Carlo Felici


Ci capita ancora di vedere il famoso motto di Orazio sopra alcuni monumenti, specialmente quelli eretti per celebrare gesta o caduti della Grande Guerra, l'ultima del nostro Risorgimento: “Dulce et decorum est pro Patria mori”: dolce e onorevole è morire per la Patria. Un monito e allo stesso tempo un tributo, perché è implicito il messaggio che per la Patria si può e si deve morire e anche il fatto che, facendolo, ci si ricopre di onore e si ha diritto ad una memoria imperitura, come per esempio quella del “milite ignoto”, le cui spoglie sono racchiuse nel più grande monumento che sia stato realizzato dall'unità d'Italia in poi.

Ma oggi questo motto ha ancora una sua valenza? Può ancora essere applicato alle guerre che sono tuttora in corso e, in particolare, a quella in Ucraina?

In quel martoriato paese, già da parecchi anni c'è chi considera la propria patria l'Ucraina separatasi e resasi indipendente dall'URSS, in nome di una collocazione euro-atlantica, ma ci sta pure chi considera ancora di avere come compatrioti i russi, che tanto hanno influenzato non solo ideologicamente, culturalmente e linguisticamente l'Ucraina, ma che sono la migliore garanzia che gli approvvigionamenti energetici e il mercato per lo scambio dei prodotti agricoli e minerari non verrà mai meno, per non parlare poi dell'ombrello nucleare

Stando così le cose, si vede bene che individuare i veri “patrioti” ucraini non è così semplice, come il manicheismo che ormai imperversa nei media italiani al motto di “ci sono aggressori e aggrediti” vorrebbe far credere, anche perché l'aggressione verso una parte consistente degli ucraini non è iniziata nel febbraio di quest'anno, ma nel lontano 2014, e non si è mai arrestata.

Se infatti riusciamo a vedere le cose sotto una prospettiva storica più ampia, dovremmo anche, facendo un riferimento alla nostra storia, considerare i movimenti irredentisti che ci hanno portato alla Grande Guerra, che tanto ha celebrato il motto oraziano. Quella immane carneficina fu infatti motivata dalla esigenza che popoli di lingua, cultura, e tradizione storica italiana, si staccassero da un impero che li soggiogava per riunirsi con quella che consideravano la loro madrepatria.

Ora, in Ucraina, cambia solo il rapporto di forze, ci sono stati e ci sono popoli ucraini che si sono sentiti e si sentono più russi che ucraini ed europei, negarlo sarebbe come negare una evidenza storica anche se i nostri media non ne parlano mai, perché ormai li bollano tutti come “collaborazionisti”, più o meno come facevano con noi gli austriaci durante la Grande Guerra.

La differenza sostanziale di civiltà, prima che di strategia bellica, è che noi su Vienna lanciammo solo volantini, mentre i russi spianano le città ucraine senza requie né pietà per la parte più debole della popolazione, avendo così trasformato rapidamente una guerra che poteva essere di liberazione per l'autodeterminazione di una parte degli ucraini, in una guerra atroce di occupazione e di annientamento per fini imperialistici, trovandosi inevitabilmente e giustamente di fronte all'opposizione di tutto il mondo occidentale, e dovendo anche ripiegare per l'efficacia delle armi e dell'addestramento fornito dal mondo occidentale agli ucraini, rapidamente trasformatisi da aggressori in aggrediti, da carnefici di una parte delle popolazioni del loro territorio, in vittime dei carnefici di tutto il loro territorio

Tanto che ora il movimento irredentista, se così lo vogliamo chiamare, non riguarda più il Donbass o la Crimea, ma tutta l'Ucraina rispetto alla Russia

Se Putin si fosse limitato a fornire armi e supporto logistico a quella parte dell'Ucraina che preferiva la Russia, senza tentare di invadere e piegare al suo volere l'intero Paese, ora non si troverebbe quasi con le spalle al muro, isolato da gran parte dei Paesi del mondo, e in condizione di minacciare continuamente il confronto nucleare per difendere il suo territorio

Perché il solo agitare questa minaccia vuol dire ammettere di essere sconfitto, di non potere tutelare i propri interessi nazionali se non minacciando un apocalisse che travolgerebbe tutto il mondo.

Putin con le spalle al muro, con una nomenklatura che gli rimprovera in continuazione di aver perso la faccia e lo esorta a provare a vedere cosa accade se usa armi atomiche tattiche, potrebbe dunque essere tentato di usarle, senza essere pienamente consapevole dell'abisso in cui trascinerebbe l'intera umanità.

Di qui l'urgenza di adottare un altro motto rispetto a quello oraziano inizialmente citato, e il più idoneo in queste circostanze ci appare quello di Erasmo da Rotterdam, che visse in un periodo in cui le fratricide guerre di religione erano all'ordine del giorno in Europa: “Dulce bellum inexpertis” che è molto significativo soprattutto per i fautori della guerra ad oltranza sia dalla prospettiva europea che da quella russa. La guerra può apparire dolce solo a chi non la conosce, solo a chi non ci si trova nel mezzo, solo a chi la osserva da dietro uno schermo mediatico filtrata da chi gliela fa vedere.

Chi invece la vede sul campo, capisce molto meglio che spesso i morti e l'accanimento disumano di una guerra travolge tutti, e che il manicheismo, tanto comodo politicamente tra “aggrediti e aggressori”, non è così semplice da riscontrare sul campo. Lo si scopre soprattutto a conflitto cessato, quando i fumi della propaganda si diradano e la storia si fa strada con i suoi ineludibili fatti. Lo abbiamo visto anche nella seconda guerra mondiale, con i bombardamenti come quello di Dresda, con la bomba atomica e persino con i crimini di una parte dei partigiani. Questo senza volere giustificare nulla e soprattutto senza stravolgere il discrimine tra chi, allora come oggi, ha torto o ha ragione.

La ragione della libertà infatti resta universale in ogni tempo e in ogni luogo ma lo è con la sua ineludibile verità solo se è indissolubile rispetto alla responsabilità, non si è liberi se non si è responsabili e non si può essere responsabili senza essere liberi. Questo binomio non vale solo per gli Stati, ma persino per ogni individuo che si affaccia alla vita e vuole crescervi con sempre maggiore consapevolezza

Siamo arrivati dunque ad un punto in cui la stessa libertà dell'Europa deve essere urgentemente coniugata con la responsabilità di questo continente di non dare origine all'ennesimo conflitto che da essa travolgerebbe il mondo intero

Di fronte a questo immane compito che appare come un imperativo categorico della civiltà stessa, dovrebbero giganteggiare i seri tentativi di arrivare ad un accordo di pace che veda entrambe le parti fare un passo indietro, senza irrigidirsi sulle posizioni che hanno originato il conflitto.

L'Ucraina dovrebbe riconoscere ampia autonomia (più o meno come noi abbiamo fatto con le zone alloglotte del nostro territorio) alle zone del Donbass e della Crimea, e la Russia cessare immediatamente il lancio di missili verso le città ucraine, iniziando un progressivo ritiro delle proprie truppe, dilazionato nel tempo, a seconda di come potranno essere garantiti i diritti delle popolazioni russofone, anche lasciando che in quelle zone entrino contingenti ONU a verificare la situazione in quel territorio. Contingenti che avrebbero dovuto costituire una forza di interposizione in Ucraina, come in Libano, già dal 2014

La situazione paradossale attualmente è che l'Europa sta sprofondando nelle sabbie mobili della recessione per la sua sostanziale inerzia diplomatica, mentre un Paese che l'Europa tuttora esclude dalla sua comunità: la Turchia si rivela come maggiore artefice degli sforzi diplomatici per raggiungere almeno una tregua

A questo si aggiunge il fatto che chiunque provi a manifestare per una pace che, in un mondo afflitto da sovrappopolazione, squilibri crescenti di tipo economico, disastri ambientali e penuria di risorse, dovrebbe essere la base fondante e indiscutibile di una nuova civiltà planetaria, diventa “amico del nemico”, in nome dei torti e delle ragioni, non dell'umanità tutta, ma degli ennesimi contrapposti nazionalismi che hanno ridotto già in macerie l'Europa per ben due volte.

C'è un deficit di cultura alla base di tutto questo, la riduzione di popoli a trogloditi mediatici, i quali, anziché leggere, studiare e meditare sul loro passato e presente per preservare il futuro dagli errori di sempre, restano incollati alla TV e alla parete ormai personalizzata e portatile della caverna platonica dove vengono proiettate le ombre di una verità che diventa sempre più ineffabile e lontana, fino quasi ad essere interpretata come nemica, mentre il nemico numero uno resta sempre la incapacità e l'inerzia di potere interpretare correttamente il proprio tempo, uscendo dalle ombre dei condizionamenti mediatici e politici che poi hanno sempre una ragione economica.

Ecco quindi che a spiegare il motto erasmiano e in particolare la parola “inexpertis”, che potremmo tradurre adeguatamente con “inconsapevoli”, ci viene incontro lo stesso Platone quando dice: “non sono gli occhi a vedere, ma noi a vedere attraverso gli occhi”. Attenti dunque a vedere solo quello che “ci fanno vedere” per non annichilire il “noi” mediante il “loro”, da qualsiasi parte provenga, restando così profondamente inconsapevoli.

E' soprattutto attenti a “vedere” la pace e la necessità di manifestare per essa non con una colorazione politica, ideologica, economica o quant'altro, ma come l'unica occasione di sopravvivenza, l'unica medicina possibile per una umanità che si ostina a non voler imparare dalla propria storia, fino a rischiare seriamente di autodistruggersi. Senza che qualsiasi specie vivente che sopravviva alla sua estinzione possa provare un minimo di rimpianto per la scomparsa degli uomini dall'universo.

La frase di Erasmo infatti ha un seguito..“ Dulce bellum inexpertis, expertus metuit” Chi davvero conosce la guerra da vicino la teme più di ogni altra cosa. Quando non la temeremo più vorrà dire che saremo estinti, con buona pace della natura e di tutte le altre sue creature.