Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

martedì 24 maggio 2022

COME E' UMANO, LEI...



La recente visita di Draghi ad una scuola ci fa pensare ad un leader che, messo sul letto di Procuste da una classe politica incapace di accordarsi su una guida politica e presidenziale, tant'è che ha rieletto lo stesso Presidente della Repubblica precedente, cerca disperatamente di conquistare un po' di popolarità, perché la stessa classe politica che gli concede da una parte la fiducia, dall'altra gli crea continuamente problemi con i suoi disaccordi e i suoi distinguo.

E così Draghi si rivolge direttamente alla gente, sperando di conquistare un po' di popolarità anche a costo di ridimensionare la sua algida figura di burocrate adatto a tutte le stagioni.

Parla della sua famiglia, dei suoi figli, ha accanto sua moglie che, finora, nessuno aveva mai visto accompagnarlo in una sua pubblica apparizione, mostra insomma il suo lato umano...verrebbe da replicare come Fantozzi: “come è umano Lei..”

Ehi già perché Draghi, pur riconoscendo il valore e la straordinaria funzione degli insegnanti non ha fatto nulla per favorirli, né un rinnovo di contratto, né un incremento di stipendio per adeguarlo almeno alla media europea. E lo stesso con gli studenti, infatti tuttora perdura la pratica assurda dell'alternanza scuola lavoro che ha già fatto varie vittime tra i giovani senza che alcun provvedimento sia stato preso almeno per garantire loro un'assicurazione sugli infortuni, se non per abolirla del tutto come sarebbe meglio.

Ma in altri campi la situazione non migliora di certo, dato che le vittime adulte nel mondo del lavoro costituiscono tuttora uno stillicidio quotidiano quasi paragonabile ad una guerra disumana.

E così, di fronte a tante famiglie che stentano a sbarcare il lunario, di fronte ad una povertà crescente che da una parte ha incrementato il divario tra ricchi e poveri in Italia, e dall'altra a quasi azzerato l'ascensore sociale (sotto quello vero ci crepano i lavoratori), Draghi mostra una oleografica immagine di “buon padre di famiglia”, con i figli ben sistemati negli stessi istituti finanziari in cui lui ha fatto carriera.

Ma, dico io, ci penserà almeno una volta ai tanti figli di disoccupati e precari, si renderà conto, prima di dormire, che l'Italia ha un decremento demografico pauroso a causa di giovani tuttora condannati alla precarietà endemica o a vivere continuamente aiutati dalle pensioni dei genitori, perché senza mezzi per farsi una famiglia propria?

Si accorgerà che aumentando la tassazione su un bene primario come la casa rischia di colpire anche anziani, pensionati e figli che hanno ereditato quell'unico bene per sopravvivere?

Non potendo più barcamenarsi tra un veto e l'altro, e nell'inerzia più totale ora cerca da una parte più popolarità e dall'altra Bruxelles che gli dia man forte con il suo permanente ricatto sui fondi destinati al risanamento, magari sperando che la gente non si renda conto che quei soldi che l'Europa sembra concederci sono solo quelli che le abbiamo versato durante lunghi anni di sacrifici a cui non si vede tuttora una fine.

Il segretario generale della Fiom-Cgil dichiara che “in Italia c'è un clamoroso vuoto di politica industriale, il ministro Giorgetti è invisibile. Intervenga Draghi o sarà mobilitazione”

Potremmo replicargli che per una politica industriale, ci vuole innanzitutto una politica, un ruolo politico che sappia dare indirizzi nell'interesse generale di un Paese, e un leader politico che abbia innanzitutto la fiducia del cittadini perché votato in elezioni che si chiamano per questo politiche, e in questo Paese continuamente bisognoso di tutori, come se fosse un malato grave quasi terminale, manca da più di dieci anni.

Sono morti 30 anni fa due grandi Magistrati che erano consapevoli dei rischi che correvano perché sapevano benissimo quali interessi abnormi andassero a ledere negli intrecci tra mafia, politica, servizi segreti italiani ed esterni, e hanno comunque continuato il loro lavoro etiam spes contra spem et usque ad finem, anche contro ogni speranza e fino alla loro fine, per dare un buon esempio che si sperava potesse almeno suscitare un sussulto di dignità, da parte dell'opinione pubblica. E in parte c'è stato. Ma l'opinione pubblica purtroppo non è lo Stato, che tuttora farraginoso nelle sue leggi e provvedimenti, non riforma se stesso per rendersi più credibile e per avere una maggiore fiducia da parte dei cittadini. Per fare una esempio spicciolo, dato che le morti in famiglia stanno aumentando più di quelle dovute alla criminalità e sono dovute principalmente all'uso di coltelli da cucina, ebbene lo Stato ne consente la libera vendita esattamente come un machete o una roncola, mentre magari sequestra un rottame della Prima Guerra Mondiale, considerandolo un'arma.

Se non si formano famiglie e non nascono bambini, se nelle famiglie che si sono formate nascono sempre maggiori conflitti che purtroppo sfociano non di rado nei donnicidi (li chiamo così perché ridurre il ruolo di una donna a quello di una femmina, mi pare alquanto infamante), in un Paese che ospita tra l'altro una delle maggiori autorità morali del globo: il Papa, non c'è solo un problema di recessione economica incombente, ma ci sta un pauroso vuoto di valori morali e politici.

Perché in uno Stato continuamente guidato da tecnocrati, che ne assicurano solo il funzionamento e la stabilità, la tecnica, come in ogni suo apparato, non ha valori. Il suo unico scopo valido è infatti incrementare sé stessa con un potere perdurante e indiscutibile, che è ormai indissolubilmente legato al profitto.

Draghi è stato definito da alcuni un socialista liberale. Ma il padre nobile del Socialismo Liberale che lo “inventò” in Italia allora con obiettivi a suo dire rivoluzionari, lo definisce in tale modo: “Il Socialismo (Liberale), colto nel suo aspetto essenziale, è l'attuazione progressiva di libertà e di giustizia tra gli uomini: idea innata che giace, più o meno sepolta dalle incrostazioni dei secoli, al fondo d'ogni essere umano; sforzo progressivo di assicurare a tutti gli umani la possibilità di vivere la vita che è degna di questo nome, sottraendoli alla schiavitù della materia e dei materiali bisogni che oggi domina ancora il maggior numero; possibilità di svolgere liberamente la loro personalità, in una lotta contro gli istinti primitivi e bestiali e contro le corruzioni di una civiltà troppo preda al demonio del successo e del denaro”. Chiediamoci seriamente se questo “demonio”, dagli anni in cui scriveva Carlo Rosselli, ha diminuito o incrementato il suo potere, e potremo renderci conto di quanto anche le sue idee siano state travisate se non addirittura distorte. In particolare nella concezione del Liberalismo.

Egli infatti fa una netta distinzione tra Liberalismo Socialista e Liberalismo borghese, quando scrive che: “Il liberalismo borghese tenta di arrestare il processo storico allo stadio attuale, di eternare il suo dominio, di trasformare in privilegio quello che fu un tempo un diritto derivante da una incontestabile opera rinnovatrice; e si oppone all'ingresso sulla scena della storia delle nuove forze sociali prementi. Col suo dogmatico attaccamento ai principi del liberalismo economico (proprietà privata, diritto di eredità, piena iniziativa in tutti i campi, lo Stato organo di polizia e di difesa) ha come imprigionato lo spirito dinamico del liberalismo entro lo schema transeunte di un sistema sociale. Il liberalismo è invece per definizione storicista e relativista, vede nella storia un perpetuo fluire, un eterno divenire e superamento; nulla è più repellente alla sua essenza della stasi, della immobilità, della categorica certezza, della fede nel possesso di verità assolute, definitive che contraddistingue i liberali borghesi”

Alla luce di queste citazioni tratte dal famoso libro di Carlo Rosselli: “Socialismo Liberale”, chiediamoci seriamente se i principi del Socialismo da lui esplicitati corrispondano davvero all'opera di questo governo, se i grandi privilegi delle multinazionali vengono intaccati tassandoli invece di tassare beni di primaria importanza come la casa, se nuove forze giovanili sociali emergano nel tessuto politico ed economico italiano, invece di essere condannate ad un destino di precarietà permanente o persino alla morte prima ancora di potersi inserire lavorativamente nella società, se le categorie più deboli, come i disabili, abbiano davvero le risorse per condurre una vita degna di essere vissuta, e fino a che dura la loro vita già duramente messa alla prova.

Se in definitiva le “verità assolute” del mercato, di fronte alle quali persino le Costituzioni degli Stati sovrani chinano il capo rinunciando così ad ogni autorevolezza e credibilità, possano essere messe in discussione, se un governo è disposto ad accogliere le istanze che provengono dalla società, dai sindacati e dalle forze politiche che la rappresentano, oppure preferisce procedere a colpi di fiducia minacciando in continuazione che dopo di lui ci sta solo “il diluvio”

Solo ponendoci seriamente queste domande sapremo se siamo davvero governati da chi ha legittimità a farlo o siamo di fronte ad una nuova forma più subdola di assolutismo, quella per cui “discutete pure di quello che volete” ma alla fine decidiamo noi, perché altrimenti non si può fare, con la conseguenza che è pure inutile discutere.

Sarà bene concludere con un appello alla coscienza di ciascuno che chiama in causa la responsabilità di noi tutti, una frase significativa ed estremamente attuale di Carlo Rosselli: “Non si nasce, ma si diventa liberi. E ci si conserva liberi solo manifestando attiva e vigilante la coscienza della propria autonomia e costantemente esercitando le proprie libertà”

E chi ha orecchie per intendere intenda..

Carlo Felici

mercoledì 11 maggio 2022

LICEI, UN ULULATO ALLA LUNA


                                                              


                                                     di Carlo Felici


Questa mia riflessione segue quella precedente sulla scuola media, in un articolo di qualche giorno fa e continua a sottolineare il fatto che oggi, in un tempo in cui la scuola dovrebbe avere un compito cruciale, essa si trova senz'anima e senza prospettive di vera crescita educativa.

Chi scrive lo fa con cognizione di causa, avendo trascorso circa quarant'anni nelle cattedre di ogni ordine e grado, sia da supplente sia da incaricato temporaneo che da docente di ruolo.

Questa volta ci soffermeremo sui licei. Sia Salvini che Bianchi, a proposito della scuola media, hanno usato una espressione assai infelice, se non offensiva, nei confronti di chi in quel ciclo di studi lavora o ha lavorato per decenni, secondo loro “non è né carne né pesce”, ma non hanno specificato se la carne sia riferita ai licei o lo sia il pesce, mentre viceversa sia attribuirsi alle scuole elementari.

Supponiamo dunque che sia “pesce”, dato che il secondo segue alla prima, e anche perché di pesci in faccia gli studenti dei licei, specialmente nei primi anni, ne prendono parecchi, tanto che molti di loro, dopo bocciature a raffica, abbandonano la scuola

La questione dunque, messa in questi termini, è quanto tale “pesce” possa essere fresco e nutriente oppure quanto possa essere rancido e dannoso.

Il liceo, si sa, fu inventato da Aristotele e si chiama così perché la scuola risiedeva, non a caso, presso il tempio di Apollon Lukeios che sarebbe l'Apollo sterminatore di lupi. Apollo, nell'antica Grecia, era infatti una divinità polivalente, poteva apportare benessere, saggezza e guarigione, dato che il raggi del sole erano proprio paragonati alle sue frecce, mentre egli con il suo carro attraversava il cielo, oppure, se offeso, procurare pestilenze (come vediamo nell'Iliade), morte e distruzione. In particolare chi dava la caccia ai lupi, molto diffusi allora, si consacrava ad Apollo con la speranza che le sue frecce giungessero a bersaglio. Il nome liceo richiama alla mente anche la radice λευκ-,λυκ- «candore, luce» con la valenza di illuminare le menti di coloro che lo frequentavano, divisi in “esoterici” abituali ed interni ed “essoterici”, sporadici ed esterni, in una sorta di ineludibile flessibilità

Ebbene, i licei attuali, forse sorti all'epoca della riforma Gentile, con tale intento “aristotelico”, attualmente non conservano nemmeno l'ombra di questa impronta originaria

Inizialmente riservati all'ambito “classico” e “scientifico”, dopo la riforma, ma sarebbe il caso di chiamarla “deforma” Gelmini, hanno assunto varie fisionomie tali da trasformarli senza un adeguato raccordo ed una continuità didattica e formativa specifica, in un prolungamento deforme della scuola media. Diciamo “deforme” perché essi non prevedono programmi flessibili a seconda del contesto del gruppo classe o in base alle specificità di ciascun alunno, ma programmi tuttora alquanto rigidi da svolgere in maniera che lo studente si adatti ad essi e non viceversa, e per ben cinque anni..

Sappiamo che altrove le cose non stanno così, in Francia, ad esempio non vi è discontinuità tra scuola media e scuola superiore. Infatti “Le Collège dura 4 anni, dagli 11 ai 15 anni di età, organizzata in ben 3 cicli continuativi, il primo di consolidamento, il secondo e terzo centrale e formativo, il quarto di orientamento. Il liceo generale dura 3 anni, mentre quello professionale dai 2 ai 4 anni, a seconda se si vuole o no conseguire la maturità professionale.

In Germania la scuola elementare dura quattro anni, e a nove gli alunni e le famiglie scelgono gli indirizzi successivi, o tecnici e professionali o ginnasiali, per un ciclo che dura ben nove anni.

C’è poi la Gesamtschule. Questo tipo di scuola esiste soltanto in alcune regioni ed è un tentativo di superare la rigida divisione tra i vari tipi di scuola. Gli alunni non sono divisi per classe: per ogni materia esistono corsi di diverso livello. A seconda dei risultati si può ottenere il diploma della Hauptschule (scuola professionale) o della Realschule (istituti tecnici) o ancora proseguire fino alla maturità.

Il Inghilterra l'intero ciclo di studi è più simile al nostro, però con una sostanziale differenza. Il primo ciclo inizia a 5 anni e ne dura 6, si chiama primary school. Il secondo inizia a 11 anni e dura 5 anni, si chiama secondary school, mentre il terzo dura due anni e si chiama further education, l'intero ciclo inizia quindi un anno prima del nostro e si conclude lo stesso con un anno di anticipo.

Negli USA il ciclo di studi è solo apparentemente simile al nostro: 5 anni di scuole elementari, 3 di scuole medie e solo 4 di liceo, la differenza è però che già dalle medie (middle school) gli alunni debbono frequentare solo alcune materie obbligatorie mentre le altre sono di loro libera scelta, così come accade per il licei (high school), dove possono prediligere alcuni insegnanti e i loro insegnamenti al posto di altri.

Se poi prendiamo il sistema finlandese che risulta uno dei migliori al mondo, vediamo che la differenza rispetto al nostro è notevole. In Finlandia c'è una scuola unica obbligatoria, che si inizia a 7 anni e si finisce a 16, garantendo la continuità negli anni cruciali della crescita adolescenziale. Non c'è discontinuità infatti tra scuola primaria e scuola secondaria, o esami di passaggio, come invece accade in Italia, nel periodo in cui avviene la maggiore dispersione scolastica, più delicato sul piano formativo e psicologico per uno studente che, in quegli anni cruciali della sua crescita, è costretto a cambiare compagni, professori e carico di lavoro. La scuola in Finlandia inoltre è gratuita, anche i libri lo sono, e non ci sono né test né valutazioni. Semplicemente alla fine della scuola dell'obbligo, a 16 anni, lo studente può poi scegliere se frequentare un “liceo” che più che altro è un corso propedeutico di preparazione universitaria, o un corso professionale per l‘inserimento nel mondo del lavoro.
Basta solo questa breve analisi di altri sistemi scolastici per rilevare le pecche del nostro che i nostri solerti ministri, “riformatori” solo per ragioni di bilancio, non hanno voluto né saputo eliminare. Il nostro “furore riformista” si è infatti ridotto in quasi 25 anni di riforme sgangherate solo a tagliare, a ridurre e a modificare in apparenza. Invece di colpire il lupo, che sarebbe la dispersione scolastica la quale, specie nel Meridione consegna giovani fragili, disorientati che abbandonano la scuola a veri propri lupi famelici di “scuole malavitose”, ha continuato ad ululare alla luna, incapace tuttora di decidersi se tagliare un anno di scuola media, uno di liceo, far diventare carne quel che è pesce o pesce quel che è carne. In buona sostanza, con idee assai confuse sul piano pedagogico e molto precise su quello economico del risparmio sul futuro delle nuove generazioni e del Paese

Eppure la questione è molto semplice e basta l'osservazione dei sistemi europei e anche di quello americano per risolverla efficacemente.

Se il problema maggiore è infatti nel passaggio dalla scuola media a quella superiore, per la notevole dispersione scolastica che si crea in tale iato pedagogico e formativo, basta eliminarlo per ottenere subito un buon risultato. In Italia basterebbe creare un ciclo unico secondario di cinque anni: tre di scuole medie e due di biennio unificato (chiamato di orientamento) in cui si garantisca la continuità didattica e professionale dei docenti e di alcuni insegnamenti obbligatori per tutti e cinque gli anni, lasciando agli alunni la possibilità di scegliere alcune materie al posto di altre, specialmente nel biennio finale, per potersi meglio orientare e mettere alla prova. Solo alla fine di questo ciclo i ragazzi potrebbero scegliere un triennio conclusivo liceale o tecnico professionale diviso in vari indirizzi.

In fondo era quello che lo stesso Gentile aveva previsto nella sua riforma, ma solo per i privilegiati che dopo cinque anni di ginnasio, avrebbero frequentato tre anni di liceo. Si tratterebbe in questo caso di dare questa opportunità a tutti, con insegnamenti che includano con alto valore civico, dato che si devono conseguire gli obiettivi dell'agenda 2030, una formazione in campo economico, ambientale e legislativo.

E' del tutto evidente l'incompetenza dei vari ministri dell'Istruzione italiani che continuano a dibattersi se sia meglio accorpare le scuole medie con le elementari, tagliando un anno di scuola media, oppure se è meglio tagliare un anno nel percorso di licei che sono stati uniformati a scapito della loro qualità, esempio lampante è l'introduzione della “geostoria” nel biennio liceale, un icocervo che presuppone che non si faccia bene né storia né geografia, ma solo che si abbia una riduzione di ore e di insegnamenti. Invece il problema cruciale resta quello di eliminare la dispersione.

L'Italia resta uno dei pochi Paesi in cui uno studente non si può scegliere un insegnante e una materia a seconda delle sue inclinazioni e, perché no, della bravura che riscontra nell'insegnamento. In altri Paesi l'operato dei docenti è controllato e valutato dai Consigli di Istituto che negli USA sono anche Consigli di Amministrazione i quali possono anche assumere o licenziare un docente a seconda dei suoi risultati e del suo operato. Da noi permane un sistema di valutazione verticistico, demandato ai Dirigenti scolastici o al Ministero, quando non addirittura a corsi di formazione superabili in base a quiz, senza considerare in alcun modo quel che gli utenti della scuola, famiglie e studenti, pensano del servizio che un docente fornisce loro.

Come abbiamo dunque visto, le prospettive e le soluzioni sono a portato di mano, a patto di volerci seriamente lavorare, con l'obiettivo di risolvere i problemi che affliggono la scuola, presto e bene. Purtroppo invece assistiamo tuttora all'ululato ad una luna di obiettivi sempre più lontani, mentre i veri lupi scorrazzano e azzannano il futuro dei nostri giovani, i nostri ministri impotenti non sanno dove mettere le mani, se nella carne o nel pesce.


Carlo Felici

giovedì 5 maggio 2022

Né carne né pesce

 






                                                     di Carlo Felici


Sono passati 60 anni dalla riforma della scuola che introdusse la scuola media unica per tutti, cioè un ciclo di studi che consentisse di eliminare le discriminazioni tra chi veniva avviato ad una scuola professionale e ad un lavoro in gran parte allora manuale fin dalla tenera età di 11 anni, e chi invece poteva avere il privilegio e i mezzi per proseguire i suoi studi fino all'università e ai livelli più alti di formazione ed istruzione.

Da allora molte cose sono cambiate e anche la scuola media, che in realtà già durante gli anni del regime fascista era in progetto di essere trasformata, con intento unitario e formativo, ma la riforma Bottai non fece in tempo ad essere varata a causa della guerra e della caduta del regime. Concretamente anche quella riforma non era esente da discriminazioni e divisioni essendo il suo percorso triennale diviso in tre indirizzi: la scuola artigianale, concepita per un ceto rurale che allora era la maggioranza del paese, la scuola professionale, più approfondita della prima, rivolta a chi volesse poi proseguire con studi specificatamente tecnici, e infine la scuola media unica, destinata a chi si sarebbe poi iscritto ai licei e all'università, come poi è accaduto con la riforma di 60 anni fa, posticipando ad essa gli eventuali percorsi artigianali e professionali.

In realtà, quella riforma aveva già un certo margine di flessibilità interna, dato che inizialmente prevedeva che tutti studiassero anche il latino, ma prima di giungere all'esame che era stabilito anche per la lingua latina, scegliessero se sostenerlo, con possibilità di accesso ai licei, oppure, durante l'ultimo anno, frequentare al suo posto un corso di Educazione Tecnica, basato più su attività pratiche che teoriche. La prima scuola media unica prevedeva anche esami di riparazione nel corso di tutti e tre gli anni di studi nelle varie singole materie e la impossibilità di essere promossi con più di tre materie da “riparare”.

In buona sostanza si cercava, con questo percorso, di favorire la crescita e la maturazione degli alunni in un età puberale particolarmente delicata per lo sviluppo fisico e psicologico di ciascuno, senza predeterminare uno sbocco a scapito della consapevolezza da parte di ciascuno studente di potersi orientare in base alle sue attitudini per il futuro.

Da allora è passato molto tempo e anche la scuola media di quel tempo ha subito moltissime riforme, sia negli assetti curricolari sia nei sistemi di valutazione che nelle modalità di formazione ed integrazione degli alunni. Sono stati prima introdotti i giudizi al posto dei voti, poi di nuovo i voti al posto dei giudizi (della serie abbiamo cambiato tutto per non cambiare niente), si è stabilito un percorso curricolare unitario, ma programmando le attività didattiche in base alle specifiche realtà e ai bisogni formativi di ciascuna classe, più che secondo i programmi ministeriali, sono stati aboliti il latino e gli esami riparazione. Soprattutto si è cercato di integrare in ciascuna classe le varie specificità degli alunni diversamente abili, di quelli con bisogni educativi speciali e con ritardi nella formazione, con l'intento di creare soprattutto un gruppo classe coeso, privo di discriminazioni interne in cui fosse messa in primo piano la formazione del futuro cittadino e la sua capacità di orientarsi nel contesto civile in cui si trova, con la consapevolezza dei suoi orientamenti culturali da approfondire nel percorso di studi superiori.

Evidentemente, con tale percorso si è voluto dare risalto più all'aspetto formativo che a quello eminentemente didattico-curricolare, rendendo le materie stesse uno strumento di crescita e maturazione umana e culturale, nella consapevolezza che argomenti analoghi sarebbero stati di nuovo affrontati e approfonditi nel ciclo degli studi superiori.

Tale assetto ha funzionato non alla perfezione ma nei suoi obiettivi generali, fino alla fine del secolo scorso. Circa venti anni fa, infatti, più per esigenze di bilancio che formative, è iniziata una serie di riforme che, in particolare, si sono accanite su questo delicatissimo ciclo di studi, con l'unico obiettivo di scardinarlo definitivamente. Non sono riuscite ad eliminarlo soprattutto per le fortissime resistenze del personale scolastico e dell'opinione pubblica, ma lo hanno fortemente indebolito, e la voglia di annientarlo non è mai finita..

Dagli anni in cui il ministro Berlinguer pensò di eliminare un anno di scuola media, accorpando medie ed elementari, alla ministra Gelmini che ridusse orari curricolari soprattutto di materie umanistiche, passando per la costruzione di Istituti Comprensivi, in certi casi anche enormi che comportano la direzione e l'amministrazione estremamente complesse di scuole medie insieme a scuole elementari, fino alla costruzione spesso artificiosa di figure burocratiche di supporto alla gestione di tali istituti, il percorso è stato molto tortuoso. E soprattutto ha progressivamente trasformato il docente, che ha come compito principale quello di formarsi e di formare i suoi alunni in sinergia con i suoi colleghi, in un piccolo burocrate che ansima tra una relazione, un monitoraggio e la compilazione di relazioni, per giunta ormai del tutto informatizzate, perché i registri non sono più agende con cui compilare per rendersi conto del proprio percorso educativo, in itinere, ma semplici moduli elettronici che, una volta redatti, non si modificano più, sotto gli occhi sempre più implacabili e invasivi di genitori pronti a ricorrere a vie legali pur di affermare i sacrosanti diritti dei loro marmocchi anche quando non brillano di grande dedizione allo studio e in partecipazione. Ma tanto il luogo comune dell'insegnante con poche ore a settimana, pochi giorni al mese e pochi mesi l'anno di lavoro è ancora duro a morire. Basta che muoia la cultura e si affermi lo smartphon, ultimo ritrovato della caverna platonica nel palmo della mano

Non c'è bisogno di scomodare Severino per rendersi conto che una professione, purtroppo sempre mortificata, in particolare in Italia, da stipendi inferiori a quelli di altre categorie analoghe in Europa e nel mondo, e che richiede giustamente un alto margine di autonomia e di “libera docenza” (come sancisce pure la nostra Costituzione) è stata ridotta a “funzione di un apparato tecnico”, in cui l'insegnante corrisponde più ad un “ingranaggio” che ha come obiettivo principale quello di integrarsi con l'apparato stesso, piuttosto che quello di contribuire alla crescita di esseri umani in formazione.

Il trionfo di questa reductio ad unum apparatum, che confligge nettamente con la presunta autonomia di ciascun istituto scolastico e con ogni intento umanistico, è il monitoraggio e la selezione in base al quiz, glorificazione definitiva del tecnicismo mediatico come promozione dell'individuo e dell'individualismo

Sono stati introdotti ed imposti dei sistemi di monitoraggio gestiti da un istituto sostanzialmente estraneo alla scuola chiamato INVALSI, straordinario nomen omen per chi ha ritenuto di affermarsi senza critiche né confronto con il mondo della scuola, che inizialmente hanno avuto persino la pretesa di influire sulla valutazione didattica dell'alunno, anziché ridursi al monitoraggio delle sue competenze. Esso però ignora del tutto cosa sia la storia, l'arte, la musica, la filosofia, persino la scienza in un paese in cui ci stanno i tre quarti del patrimonio artistico e culturale del mondo.

Come se non bastasse, anche i docenti vengono selezionati in base a sistemi di reclutamento degni di un concorso a quiz televisivo, con domande spesso ambigue che però richiedono, non capacità di analisi e critica, ma una unica risposta secca, come se il docente non dovesse essere abilitato alla complessità e specificità dell'insegnamento, ma gli si dovesse dare la patente di guida, nel percorso  sempre più accidentato della sua classe.

Dopo ben 60 anni di furore riformista che ha portato solo confusione, disorientamento, depressione e sfiducia tra coloro che svolgono una delle più importanti professioni per la stessa stabilità degli ordinamenti sociali e istituzionali, un esponente di destra e uno di sinistra sono finalmente d'accordo e pronunciano la stessa frase. Salvini e Bianchi ritengono che la scuola media, anello non più debole, si badi, ma più delicato dell'intero ciclo di studi, “non è né carne né pesce”

Verrebbe da chiederci con quali competenze pedagogiche, culturali, psicologiche o docimologiche affermino ciò, dato che tale considerazione si addice più a chi ne ha da macellaio o da pescivendolo. Ma tant'è, non nel regno kantiano “dei fini” ma in quello di “lascia o raddoppia”, in cui anche la carriera di un docente viene a delinearsi in base alle risposte ai quiz date al termine dei corsi di formazione, anche con un ministro selezionato in base alla domanda: “cosa dovrebbe essere la scuola media, più carne o più pesce?” si rischia il silenzio o peggio che risponda: “un salame”, evidentemente dando più un' immagine di quello che è chi risponde, rispetto a quello che vorrebbe che fosse l'oggetto delle sue attenzioni.

In una società di bottegai anche ad alto livello in cui la competenza e la crescita si misurano in base al potere e al profitto, la scuola rischia di essere una “società di alieni” perché ci si lavora solo per amore degli esseri umani, delle loro opere migliori e della natura, una attitudine che, specialmente con il rigurgito delle guerre e con le devastazioni ambientali in corso, appare quasi folle e maniacale.

Un proverbio orientale dice che “Il Maestro apre la porta, ma tu devi entrare da solo” Un po' difficile in un contesto in cui le porte vengono continuamente sbattute in faccia ai Maestri.

Eppure solo l'opera di grandi Maestri può ancora salvarci dal suicidio della nostra specie e in particolare da noi stessi.

Carlo Felici