Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

martedì 17 ottobre 2023

DIO E' SEMPRE IL PIU' GRANDE

 




Il Takbir è nato come riconoscimento della grandezza incommensurabile di Dio, ma purtroppo è diventato, specialmente oggi, grido di terrore e di morte.

Allahu Akbar! Significa infatti “Dio è (sempre) il più grande”, così come è testimoniato nella sura del puro monoteismo che nell'Islam equivale ad un terzo del Corano, in essa leggiamo: “Allah è unico, Allah è l'assoluto. Non ha generato e non è stato generato. Nulla è più grande di Allah”

Il Takbir accompagna i musulmani nella preghiera canonica quotidiana, nella chiamata da parte del muezzin e può essere invocato nei momenti di difficoltà, specialmente quando ci si trova di fronte ad un pericolo e lo si deve affrontare. L'espressione deriva dalla radice araba K-B-R che indica la grandezza, e da un rafforzativo che rende il significato tale da rappresentare un superlativo relativo, cioè una grandezza assoluta se paragonata alle cose, anche le più grandi, di questo mondo. Infatti Allahu Akbar non è altro che la forma abbreviata di “Allahu Akbar min kulli shay” che vuol dire “Dio è il più grande di ogni cosa”

Sarà bene sgomberare subito ogni equivoco ed ogni ambiguità, Dio nella fede musulmana, in quella cristiana e in quella ebraica è lo stesso, pronunciato in modi diversi corrisponde alla stessa essenza, assoluta, incommensurabile ed incomparabile. Cambiano solo i modi di pregarlo e la teologia dottrinale.

Se osserviamo infatti le varie espressioni ebraiche e cristiane, notiamo anche delle assonanze nei significanti.

Nella sura del puro Monoteismo il musulmano dice: Allahu ahad (Dio è uno), l'ebreo nello Shemà Israel dice: Ado-nai ehad, il cristiano Alleluia che deriva dall'ebraico Hallelu e Yah. Tutte e tre le espressioni, nel loro significato, conservando significanti fortemente assonanti, esprimono la lode per l'unico Dio, assoluto ed incomparabile.

Da tutto ciò si evince che il più grande paradosso della Storia è che, in passato come oggi, assistiamo a conflitti tra i più rovinosi, tra genti che professano la fede nello stesso Dio e per di più con parole quasi analoghe.

Tutto questo ci fa forse pensare, come affermava Nietzsche, che tali sono ormai solo invocazioni funeree per un Dio che “è morto”, e in effetti, considerando la storia e come si sono sviluppati i conflitti, le diatribe teologiche e gli scontri dottrinali tra i vari fedeli di questo stesso Dio, non possiamo che dargli ragione, in particolare osservando come miseramente, nel mondo contemporaneo, prevale la disillusione e il nichilismo. Nietzsche però riteneva che tale constatazione dovesse portare ad un modo diverso, per l'umanità, di rapportarsi con se stessa e col mondo con cui l'uomo avrebbe potuto superare se stesso (oltrepassandosi), esaltando la creatività e la vitalità soffocata da secoli di rimedi al “male di vivere” rivelatisi negli scontri politici, economici, religiosi e direi anche filosofici, “peggiori dei mali stessi”, se affrontati con un sano “amor fati”, con una accettazione stoica del destino necessario che ci è dato di vivere.

Le scene che passano di fronte ai nostri occhi attoniti, sono tuttora, dopo due guerre mondiali rovinose e l'invenzione di armi capaci di annientare la specie umana nella sua interezza, sono tuttora sconfortanti, per il nichilismo che pervade le varie società del cosiddetto “terzo millennio”, scene di guerra soprattutto per l'appropriazione di materie prime ed agricole vitali, scontri religiosi, etnici e politici, sullo sfondo di un mondo che più che multipolare sta emergendo come “multi criminale”, non solo per i conflitti geopolitici, ma anche per quelli che coinvolgono ormai il tessuto vitale della vita quotidiana degli esseri umani, dato che, ad esempio, la criminalità domestica ha ampiamente superato quella organizzata dalle mafie, ovviamente aggiungendosi ad essa in una spirale di morte quasi quotidiana in cui vengono inghiottite tragicamente intere famiglie

Assistiamo a scene di follia pura, con bambini trucidati in nome di un Dio che dovrebbe essere Misericordioso e Compassionevole, bombardati e straziati in nome di un Dio di cui il santo nome del suo Regno dovrebbe essere benedetto per sempre, ad altri bambini che si ammazzano perché l'odio cieco gli è penetrato nel loro cervello e nel loro cuore, inculcato da adulti che ormai vivono ed agiscono in modo peggiore delle bestie, le quali mai potrebbero concepire, motivate solo da loro istinto, tanta crudeltà da mettere in atto

Dio in tutte le tre fedi monoteistiche globali, è associato alla compassione ma anche alla giustizia, però oggi viene invocato soprattutto per ragioni di vendetta. Senza tenere conto che l'abisso che separa la giustizia dalla vendetta è sempre quella consapevolezza che ci impedisce di diventare esattamente come il criminale che ha messo in atto il suo crimine. Questa è la vera sapienza, descritta da Socrate, da Abramo, da Gesù e anche da Muhammed.

Sarà bene dunque approfondire, soprattutto alla luce degli eventi che sono tragicamente accaduti di recente, cosa dice il Corano a proposito della giustizia e del perdono,

Citiamo Il Corano (2ª136): “Dì: noi crediamo in Dio, in quel che ci ha rivelato, e in quello che ha rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, alle tribù, in quel che è stato dato a Mosé e a Gesù, e in quel che è stato dato ai Profeti dal Signore: noi non facciamo differenza alcuna con nessuno di loro. A Lui noi siamo sottomessi”. In buona sostanza quindi, per l’Islâm, l’Ebraismo è la religione della speranza, il Cristianesimo è la religione dell’amore, e l’Islâm stesso è la religione della fede, e non vi è discriminazione alcuna tra queste fedi né differenze sostanziali.

Altrettanto esplicito è il Corano a proposito del pentimento: (39ª53):”Dì: «O miei fedeli! Voi che avete commesso degli eccessi a vostro proprio detrimento, non disperate della misericordia di Dio. Certo: Dio perdona tutti peccati, perché Egli è il Clemente, il Misericordioso.(11ª90):Chiedete perdono al Signore, e tornate pentiti a Lui.(66ª8):Credenti, tornate a Dio pentiti d’un pentimento senza riserve”

Solo due peccati non otterranno perdono da Dio, essi sono l’idolatria e il suicidio consapevolmente voluto.

II Versetto 10ª162 recita :”La mia vita e la mia morte appartengono a Dio. E il Corano stesso ripete per ben dieci volte: “E’ Dio Colui che dà la vita e la morte.” Ci sta anche uno specifico hadîth che lo conferma: «Colui che si sarà ucciso con un’arma tagliente, nel fuoco della Gehenna sarà punito con quella stessa arma (Bukhârî, XIII, 84,1). Colui che si sarà strangolato da se stesso, continuerà a strangolarsi nell’inferno. Colui che si sarà trafitto, nell’inferno continuerà a trafiggersi (Bukhârî, XXIII, 84, 3).»

Quindi nella fede musulmana è gravissimo peccato anticipare volontariamente l'ora della propria morte ed è ancora più grave anticiparla, provocando la morte di altre persone. Veniamo infine al concetto di giustizia su cui il discorso sarebbe alquanto complesso, perché dovrebbe tenere conto dello sviluppo nel tempo della sharia in base al contributo dei tradizionalisti, dei giureconsulti, e dei teologi filosofi delle varie scuole che si sono avvicendate soprattutto tra ottavo e nono secolo con le quattro grandi scuole di Giurisprudenza, le quali tuttora abbracciano oggi circa l’ottantacinque per cento del mondo musulmano: la Scuola hanafita, la Scuola mâlikita, la Scuola Shâfi`ita, e la Scuola hanbalita. Possiamo però almeno, come nei casi precedenti, partire da alcuni principi ribaditi nel Corano che sono molto chiari ed evidenti e da cui deriva la gran parte delle interpretazioni e attuazioni. E' scritto nel Corano (4ª58): “Certo: Dio vi ordina […], quando giudicate fra le genti, di giudicare con equità. Sì, è il meglio cui Dio vi esorta. Certo: Dio è Colui che sente, che vede. E ancora: (16ª90):“Dio ordina la Giustizia e il bene […], proibisce le turpitudini, il biasimevole, la ribellione. Ecco a che cosa vi esorta. Rammentatevene.” Tutto ciò nella consapevolezza e fede assoluta che, come abbiamo rimarcato inizialmente solo Allah (Dio) è il giusto in assoluto e solo a Dio si può chiedere di essere perdonati, così ogni giorno il musulmano, consapevole della sua imperfezione, dovrebbe accompagnare la sua preghiera quotidiana con l'invocazione: “Rabbi-ghfirli ua-rḥamni” O mio signore, perdonami e abbi misericordia di me.

Purtroppo assistiamo ad una recrudescenza di odio indiscriminato da parte di musulmani radicalizzati, soprattutto attraverso il web, che esorbita parecchio da una fede e da una prassi islamica corretta e svolta secondo i sani principi coranici. La conseguenza è il fanatismo, gli omicidi indiscriminati, il terrorismo contro le stesse società che hanno accolto e fornito opportunità di vita e progresso a queste persone in fuga dalla povertà, dalla miseria e dalla emarginazione.

E' dunque fondamentale che nelle società occidentali si cominci a fare una educazione e una cultura che possa al tempo stesso diffondere quel che il Corano realmente è, sgomberando pregiudizi e paure, e al tempo stesso opera di prevenzione nelle comunità in cui il rischio della radicalizzazione e del nichilismo associato ad un falso modo di interpretare l'Islam, è più forte.

In particolare osservando se quelle che si ergono a guide spirituali, sono pienamente coerenti con i principi che professano oppure eccessivamente indulgenti verso forme di lotta armata e cruenta. Dato che molti si ergono a guide spirituali interpretando il Corano e dimenticando che l'unico interprete di esso è il fedele sotto la guida di Allah, solo Allah è guida per una retta fede. E lo è in nome di ciò con cui inizia ogni Sura “Nel nome di Dio Misericordioso e Compassionevole” E' dunque sempre falso ciò che non viene interpretato alla luce di questa incommensurabile ed infinita Compassione e Misericordia.

Se il Corano quindi deve essere rispettato in tutti i principi, esso però non deve e non può sovrapporsi alle leggi dei Paesi democratici e al pluralismo religioso, culturale e politico che esse garantiscono a tutti. Persino un grande impero musulmano del passato, quello Ottomano, garantiva la libertà di culto alle varie comunità che esso includeva, e anche la loro possibilità di autogovernarsi mediante i loro rappresentanti religiosi con il sistema dei millet, in una convivenza di comunità e di fedi che l'Europa, con le sue guerre di religione e la sua caccia alle streghe e agli eretici, non conobbe mai. Tale sistema fu però interrotto dall'avvento una repubblica turca la quale, imponendo il laicismo a tutti, ha parallelamente, nei suo albori, anche discriminato e perseguitato varie comunità etniche e religiose, fino alla deportazione, ma che oggi si apre all'Europa e rappresenta il modo migliore di vivere l'Islam in un paese musulmano

Non c'è forma migliore di prevenzione e di eliminazione dei fenomeni di radicalizzazione e di terrorismo dell'educazione, che comprenda una corretta conoscenza del Corano nelle scuole ed una storia non solo dell'Europa, ma anche di altre civiltà che con essa hanno interagito nel tempo, nel rispetto scrupoloso dei principi costituzionali e democratici. Tale educazione, che deve essere anche linguistica, va rivolta, in particolare alle numerose schiere di immigrati che sbarcano ormai a centinaia nelle nostre coste, non relegandole nei centri di raccolta o facendo loro pagare il “pizzo di stato” per uscirne o avere una adeguata assistenza sanitaria che deve essere rivolta a tutti perché tutti sono esposti al contagio di malattie. Ma offendo loro l'opportunità di conoscere le nostre leggi, i nostri costumi, lo stesso Corano che molti di loro professano ma non hanno mai letto, la storia dei paesi da cui provengono e come hanno interagito con l'Europa nel tempo, e soprattutto la nostra lingua. Gli insegnanti non mancano e per questo ci vuole una precisa volontà politica di integrazione che purtroppo manca. Però se continueranno a mancare strutture formative che interessino e coinvolgano, saranno sempre di più le persone che saranno preda delle ombre del web, destinate a diventare pericolosi trogloditi e purtroppo anche criminali mediatici.

Muhammad Alì, al secolo Cassius Clay, che ne aveva prese e date tante, diceva: “L'Islam non è odio: Dio non sta con gli assassini”

Noi possiamo replicare con Papa Francesco: “Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”. Perdono per la nostra ignoranza, mancanza di solidarietà, pace e misericordia, perdono per l'odio verso il “diverso”, per l'incomprensione di chi, in modo difforme professa lo stesso Dio, perdono per lo schierarsi con i contendenti in guerra, quando Dio, Allah (che è solo il suo nome in arabo) ci chiede di schierarci per la pace, con ogni vittima dell'odio e della crudeltà, e di non diventare assassino come altri assassini. Perdono per non essere noi stessi, e ciò a cui, con incomparabile Amore, ci ha destinati.

Carlo Felici

venerdì 13 ottobre 2023

NEL KIBBUTZ MUORE ANCHE IL SOCIALISMO



Le ragioni di un giornale socialista sono rivolte a tutelare i diritti, la libertà e la giustizia sociale in particolare di tutte le popolazioni oppresse del mondo, quindi in questa situazione di crisi che è di fronte ai nostri occhi in Israele e Palestina, un giornale socialista ha il dovere di schierarsi a fianco di tutte le vittime inermi di questo inumano conflitto.

Sappiamo però anche che esiste un internazionalismo socialista in base al quale le associazioni socialiste dovrebbero sostenersi vicendevolmente

Il Kibbutz è una comunità socialista, nata ben prima dello Stato di Israele agli inizi del XX secolo, possiamo dire che Israele è nato grazie alle comunità dei Kibbutz anche se non è rimasta fedele ai loro principi, anzi, col tempo ha trasformato anche alcune di queste comunità privatizzandole.

Il Kibbutz deriva dalla parola “ritrovarsi”, perché le persone che ci vivono, si “ritrovano” proiettate in una dimensione in cui prevale, secondo principi socialisti, la condivisione dei beni e la democrazia diretta. Possiamo aggiungere che le prime comunità cristiane, che erano costituite essenzialmente da ebrei, si basavano sugli stessi principi.

Nel Kibbutz si cucina, si mangia e si dorme tutti insieme, il concetto di privacy non esiste. Persino la porta di casa è senza serratura, tanto bisogna avere fiducia gli uni negli altri, in un modello di umanità che esalta la collettività a scapito dell'individuo. Anche i bambini sono educati e vivono insieme in uno spazio a loro riservato dalla comunità più che con la loro famiglia, un po' come nella Repubblica di Platone.

Il compito dei Kibbutz è stato soprattutto quello di, mediante un duro lavoro, rendere fertili aree semi-desertiche contrastando validamente, con varie tecniche che si sono evolute nel tempo, il progredire della desertificazione che, specialmente con i cambiamenti climatici, oggi minaccia da vicino quelle terre. Oggi le tecniche sono molto evolute rispetto al passato, ma mentre in passato le attività dei Kibbutz erano finanziate dal Fondo Nazionale Ebraico, con il passare del tempo, in particolare dagli anni 70 in poi del secolo scorso, a causa dei debiti crescenti, gran parte dei Kibbutz è stata privatizza. Oggi, ad esempio, i Kibbutz sono strutture che possono anche ospitare turisti per condividere una esperienza di vita comunitaria in Israele. Tuttora in Israele ci sono tra i 25 e i 270 Kibbutz, per un totale di circa 125.000 abitanti e una percentuale per ogni Kibbutz che varia tra le 100 e le 1000 persone.

Le comunità in genere sono protette e limitate da recinzioni, ma chi ci vive non è obbligato a restarci, deve solo seguire le regole comunitarie, che sono quanto di più vicino al Socialismo sopravviva oggi dopo la caduta dei muri e delle ideologie.

Negli ultimi anni, però, sebbene queste comunità siano state ripopolate, le forme di egualitarismo non sono più così rigide come una volta, gli stipendi si sono in parte differenziati e le comunità hanno dovuto aprirsi al mercato, con strutture ricettive, scambi economici, diventando così delle vere e proprie aziende produttive ed innovative dotate di tecniche all'avanguardia soprattutto nel campo agricolo, e avvicinandosi di più al modello delle moshad che sono in pratica delle cooperative molto simili a quelle occidentali

Da questa breve analisi si evince che il modello dei Kibbutz non è né quello della destra israeliana che ha sviluppato parallelamente una serie di privatizzazioni selvagge ed ha acuito enormemente le differenze sociali negli ultimi tempi, né quello di Hamas, una organizzazione fortemente gerarchizzata che porta avanti a Gaza per i palestinesi programmi sociali solo con i pochi soldi che avanzano dall'acquisto di armi e che provengono in gran parte da organizzazioni di solidarietà a livello internazionale e dall'ONU.

Colpire il Kibbutz o non tutelarlo adeguatamente ha dunque non solo una valenza terroristica, ma anche politica, si fa così terra bruciata di un modello di socialismo e di condivisione che è sempre più raro oggi nel mondo e che in quella zona probabilmente risulta scomodo per molti al potere.

Un Socialista ed un padre, in particolare, non può non provare orrore per i continui bombardamenti a cui è sottoposta la striscia di Gaza, non può che opporsi ad ogni tentativo di deportare la popolazione palestinese, sottoponendola alla privazione di beni vitali come l'acqua e l'elettricità

Chissà perché poi per questi beni Gaza dipende continuamente da Israele e non si è riusciti a renderla autosufficiente con tutti i miliardi che piovono da tutto il mondo a favore dei palestinesi.

Come dice giustamente Maraio, la risposta al terrorismo di Hamas “Non può essere, e lo dico da padre, ripeto, quella di sganciare bombe sulle teste dei bambini”

Ma altresì, replichiamo, la risposta non può essere solo lo “schifo” dei terroristi che, esattamente con la stessa prassi dell'ISIS, si accaniscono sulle teste dei bambini che vivono in una struttura in cui non ci sono serrature alle porte.

La risposta deve essere, da socialisti, una forma chiara ed evidente di solidarietà, se necessario anche con la presenza nei luoghi di tale mattanza, per evidenziare che in quei Kibbutz non è stato solo colpito un gruppo di persone, ma anche un modello politico di società e di convivenza che ad un socialista deve essere assai caro

Stare con il Kibbutz e con le sue vittime, e non tanto con Netanyhau che non è stato capace di proteggerle, vuol dire condividere e tutelare non solo le persone, ma anche gli ideali per i quali quelle persone, quei compagni e quelle compagne sono vissuti.

Una volta David Ben Gurion affermò: “ Se avessi saputo che era possibile salvare tutti i bambini della Germania trasportandoli in Inghilterra, e soltanto la metà trasferendoli nella terra di Israele, avrei scelto la seconda soluzione, a noi non interessa soltanto il numero di questi bambini ma il calcolo storico di Israele” Ecco dunque che, oggi come allora, il migliore calcolo storico di Israele non è annientare i figli dei suoi nemici, ma quello di farsi carico della loro salvezza, affinché i conti della storia possano finalmente “tornare” e non essere sempre sballati, generando odio su odio.

Carlo Felici

martedì 10 ottobre 2023

CUI PRODEST?

 



Nelle tragiche incombenze che stiamo vivendo in questo scenario di inizio millennio, in cui pare proprio che il male più infettivo e dirompente non possa essere debellato, soprattutto perché molti lucrano abbondantemente sui conflitti in corso, la vittima più illustre, oltre a quelle che indiscriminatamente vengono colpite senza pietà e con furia sempre più disumana e distruttiva, appare la ragione umana.

Essa infatti presuppone una capacità di analisi che vada ben oltre la scelta binaria, ben più in là di ogni aut aut, per cogliere le cause nascoste e sottese dei fenomeni e, oggi in particolare, delle varie guerre che si stanno avvicendando e il cui scopo principale sembra essere durare il più a lungo possibile, con tutto lo scenario di morte e distruzione che ne consegue.

Per quanto riguarda, in particolare, l'ennesimo scontro tra israeliani e palestinesi che oggi vede come novità soprattutto il numero notevole forse mai raggiunto nella storia di Israele, di vittime ed ostaggi, presi del tutto alla sprovvista, quello che ci occorre, per avere una visione chiara degli eventi, è soprattutto rinunciare al manicheismo dei “buoni e dei cattivi”

E' ovvio che per molti dei musulmani i “cattivi” sono per l'ennesima volta gli israeliani, tanto quasi da giustificare la feroce ed aggressiva reazione di Hamas, mentre per i sostenitori di Israele i “cattivi” sono i terroristi di Hamas, per cui bisogna spianare Gaza

Pochi così considerano che non pochi “cattivi” sono ai vertici di Hamas, così come ai vertici dello Stato israeliano. Noi siamo propensi a considerare “buoni” solo le vittime innocenti che, come in ogni vigliacca guerra contemporanea, sono sempre più tra i civili e sempre meno tra i militari che usano ormai abbondantemente la robotica, in particolare dei droni e dei missili, per fare stragi soprattutto di gente inerme.

Cominciamo da Hamas, che soprattutto negli ultimi tempi appare una organizzazione sempre meno politica e sempre più militare e delirante, evitiamo la solita definizione “terrorista” buona per tutte le stagioni che non aiuta per niente a capire la struttura e le motivazioni e soprattutto per conto di chi vengono messe in atto determinate azioni.

Hamas ha predicato a lungo e tuttora predica la necessaria fine di Israele, con una posizione condivisa, anche se ambiguamente, ormai tra i paesi arabo-musulmani, solo dall'Iran. Ma fin qui siamo ancora in un ambito politico. Negli ultimi tempi però l'azione di Hamas, rifiutando le tregue, martirizzando i civili palestinesi esposti alle ritorsioni, e in particolare con gli attacchi indiscriminati contro i civili israeliani, assomiglia sempre di più a quella del Daesh, e per questo non riceve più particolare sostegno dai paesi musulmani, specialmente tra quelli che cercano di raggiungere un difficile equilibrio di convivenza con Israele, tanto che lo stesso Hamas può ormai contare sostenitori (ma non dichiarati) solo in Iran e in Qatar che conserva ancora legami con i Fratelli Musulmani

Questo movimento già dal 1988 nel suo statuto ha come fine dichiarato nell'articolo 12 il seguente principio: "Hamas considera il nazionalismo (Wataniyya) come parte del credo religioso" D'altro canto lo stesso statuto in un altro articolo recita: “ Il Movimento di Resistenza Islamico (Hamas) deriva le proprie linee guida dall'Islam, dal suo pensiero, dalle sue interpretazioni e dalla sua visione della vita e dell'umanità; all'Islam si ispira per la propria condotta e per qualunque decisione"

Ora questa è già una contraddizione lampante, perché l'Islam non è nazionalista e non è rivolto in alcun modo a fare strage indiscriminata di gente inerme.

Sia la sharī‘a che la ǧihād sono rivolti nell'Islam alla tutela e al perfezionamento di una comunità religiosa più che di una nazione in senso stretto, e se osserviamo la storia dell'Islam, vediamo che esso è progredito e si è espanso di più in strutture che non avevano confini definiti ma corrispondevano a imperi o califfati come zone di influenza, cosa ben diversa dal concetto moderno di nazione.

Per quanto riguarda poi la prassi di uccidere il Corano è piuttosto chiaro in alcuni suoi passaggi: “..e a parte il buon diritto (di autodifesa) non uccidete nessuno di coloro che Allah ha reso sacri. Ecco quello che vi comanda affinché comprendiate” Corano 6:151. Oppure “ Chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera” Corano 5: 32

Del tutto evidente, dunque, che non è legittima secondo l'Islam una prassi volta a combattere un popolo inerme, anche se per ritorsione o vendetta. Mentre può essere più comprensibile la prassi che in passato adottarono alcuni stati a guida islamica per combattere militarmente Israele, sentendosi minacciati dal suo espansionismo, il quale per altro è avvenuto lo stesso, quando Israele si è apprestata a combattere e anche a difendersi.

Da queste considerazioni si evince che la prassi di Hamas, non solo non è coerente con i principi coranici, ma di fatto assomiglia sempre di più a quella dei gruppi islamisti radicali come Daesh che colpiscono indiscriminatamente e senza distinzioni tra obiettivi militari e civili

Né questo è giustificabile solo tenendo conto delle condizioni discriminatorie e ghettizzanti in cui sono tenuti i palestinesi, soprattutto nella striscia di Gaza, perché evidentemente escludendo le vie politiche e limitandosi soltanto alla opzione militare, li si espone a ritorsioni e a massacri, sicuramente criminali e ingiustificati, ma pur tuttavia, sempre e solo con conseguenze tragiche a loro svantaggio.

Si sa bene che Hamas utilizza molte delle risorse economiche che dalla comunità internazionale provengono per alleviare le sofferenze del popolo palestinese, per procurarsi armi e missili sempre più efficaci, con il risultato che nessun benessere e nessun miglioramento ne trae la popolazione e che Gaza è diventata un ghetto e una prigione sempre più angusta, ma ostinarsi ad attaccare uno Stato militarmente più potente per ottenere risultati alquanto effimeri, non è certo una strategia costruttiva o vincente. Tale prassi è più comprensibile però se la si inquadra in un orizzonte più vasto in cui l'azione di Hamas tende a manifestare la debolezza di Israele e ad acuire il suo isolamento nel contesto internazionale del Medio Oriente. Speculare però sulla disperazione di un popolo che non ha più nulla da perdere, se non in continuazione solo la propria vita, non è certamente una azione politica eclatante.

Veniamo adesso ad Israele che è governata da un premier che solo poco tempo fa ha dovuto recarsi in tribunale per difendersi da vari capi di imputazione, in particolare tre. Il primo riguarda il caso di aver accettato regali dal miliardario Arnon Milchan, e dal magnate australiano James Parker una somma corrispondente a circa 260mila euro. Il secondo riguarda un accordo con l'editore di un quotidiano per avere una copertura mediatica positiva in cambio di una legge che avrebbe sfavorito il rivale di questo editore. Il terzo e più grave concerne l'accusa di corruzione per avere negoziato, quando Netanyhau era premier e ministro delle telecomunicazioni, con il principale azionista del gigante Bezeq per ottenere una copertura positiva da parte di un notiziario, in cambio di favori politici verso gli interessi di quella società. Sua moglie nel frattempo si è dichiarata colpevole ed ha patteggiato per una accusa di avere usato denaro pubblico per fini privati.

Dopo queste vicissitudini, lo scorso anno Netanyahu ha vinto di stretta misura le elezioni, contando soprattutto sul sostegno dell'estrema destra sionista, essendo però costretto a governare con una maggioranza risicata di cinque parlamentari, e condizionato dai partiti ultra ortodossi, in buona sostanza dal fondamentalismo sionista. Quelli che considerano i palestinesi una sorta di “razza inferiore”, che mettono in atto provocazioni eclatanti e girano armati. Per mettersi al riparo da contestazioni e ulteriori guai giudiziari, il premier israeliano ha varato una riforma della giustizia che prevede l'abbandono dei veti della Corte suprema su leggi e nomine da parte dell'esecutivo. In pratica un passo decisivo per trasformare Israele in una dittatura a sfondo nazionalista e fondamentalista con il fine dichiarato di limitare fortemente le libertà civili e ostacolare il processo di secolarizzazione della società israeliana. In particolare la riforma si accanisce contro il principio di “ragionevolezza” utilizzato dalla Corte per revocare nomine e decisioni legislative, come nel caso di Aryeh Deri, esponente politico ultra-ortodosso a cui è stato impedito di partecipare al governo del premier perché si é ritenuto irragionevole nominarlo in quanto condannato di recente per frode fiscale. In definitiva, questo è stato un attacco frontale alla democrazia israeliana, per sottrarre l'operato del governo al controllo della magistratura e per negare il principio sacrosanto della divisione dei poteri, indispensabile in ogni stato democratico moderno

Le reazioni della società israeliana non sono mancate e sono state anche eclatanti, dato che gli stessi riservisti hanno minacciato di non impegnarsi più nel loro compito se il governo avesse imposto questa riforma

E' in questo contesto che l'attacco di Hamas, il quale sembra aver avuto successo come con un coltello che penetra nel burro, cosa molto sospetta per uno Stato dotato di grandi capacità tecnologiche e con l'apparato dei servizi segreti tra i più efficienti e preparati al mondo.

Il sospetto è infatti che il premier, pur avendo avuto varie avvisaglie, si parla addirittura di un avvertimento dei servizi segreti egiziani che stava per accadere “qualcosa di grosso”, non abbia fatto nulla di concreto e convincente per affrontare e prevenire questa minaccia, dando più importanza alla situazione in Cisgiordania che al pericolo imminente al confine con la striscia di Gaza. Più o meno come quello che accadde alla vigilia dell'11 settembre negli USA e che dette il via all'invasione dell'Afghanistan e alla guerra in Iraq

Ora è presto per considerare quali conseguenze su vasta scala avrà questa che è da considerarsi, per numero di vittime ed ostaggi nelle mani di Hamas, la giornata più nera per Israele dalla sua fondazione. Però un dato è sicuramente certo: l'opposizione a Netanyahu è stata tacitata in nome della sicurezza nazionale, è stato dichiarato lo stato di guerra, che amplia i poteri del governo, tutti i riservisti sono stati mobilitati e richiamati in vista anche di una offensiva di terra che però non si presenta né facile né sicura, dato il numero di ostaggi nelle mani di Hamas e data la configurazione del territorio che impone una guerriglia quartiere per quartiere, casa per casa e in cui le rovine dei palazzi sono le strutture migliori in cui difendersi e colpire senza essere visti.

Il governo israeliano, già criticato per quella riforma di cui si è parlato, anche in campo internazionale, oggi si appresta a raccogliere la solidarietà indiscussa di tutti i paesi occidentali. Di Hamas pare che in Italia non si debba parlare se non in termini di organizzazione terroristica, persino nelle scuole si minacciano azioni ispettive per scongiurare una azione propagandistica. Mentre si preparano manifestazioni di sostegno al popolo palestinese che, per l'ennesima volta, viene colpito e martirizzato senza badare a scrupoli in aree a densissima popolazione civile in cui vengono colpiti ospedali, condomini, infrastrutture, e per di più vengono bloccati tutti gli aiuti internazionali e sigillata ogni possibilità di uscire da quella che rischia di diventare una tomba a cielo aperto, una fossa comune, dove solo i topi che si nascondono sotto terra possono salvarsi

Cosa ha ottenuto Hamas e cosa il governo israeliano?

Hamas sicuramente nessun vantaggio territoriale, l'azione infatti si è esaurita in poco tempo e senza alcun consolidamento in territorio israeliano, l'isolamento anche tra i paesi musulmani è più che evidente, i sauditi prendono tempo, gli iraniani prendono ambiguamente le distanze pur essendo i principali finanziatori di Hamas, l'unico sostegno (anche se non dichiarato palesemente) pare sia quello di certa sinistra radicale, senza se e senza ma nostrana, in nome della sacrosanta causa del popolo palestinese.

Come se, per l'ennesima volta un male ne giustificasse un altro, come se l'eccidio di tanti palestinesi da parte delle truppe israeliane possa essere un fondamento valido per le atrocità ed umiliazioni messe in atto contro la popolazione israeliana inerme, con i suoi ragazzi, con le sue donne e i suoi bambini esposti al ludibrio mediatico globale.

E Netanyahu cosa ci guadagna? Nell'immediato sicuramente consenso interno ed internazionale, ma alla lunga? Lui ha già dichiarato che sarà una lunga guerra, ed è evidente, perché gli occorre per non essere contestato e continuare a governare senza opposizione alcuna

Ma, nonostante ciò, Haaretz quotidiano nazionale di Tel Aviv in Israele già titola: “Il disastro che si è abbattuto su Israele durante la festività di Simchat Torah è chiaramente responsabilità di una sola persona: Benjamin Netanyahu"

In Italia una delle voci più ragionevoli che sembra non avere imboccato la strada del manicheismo “buoni-cattivi” che imperversa nei telegiornali è la Bonino, la quale, da sempre filo israeliana fa alcune considerazioni che meritano la massima attenzione. Ella tra l'altro dichiara: “È triste pensarlo, ma il calcolo cinico dei leader di Hamas è verosimilmente quello che una ritorsione sanguinosa di Israele, con tante vittime civili, torni a mobilitare le piazze arabe contro Israele, renda implausibile politicamente, per qualsiasi governante arabo, sostenere il ravvicinamento diplomatico con Israele, e riporti la questione palestinese al centro dell’agenda internazionale” E ancora: trovo, come gran parte dei democratici ebrei e filo-israeliani nel mondo, che sia un errore mortificare una democrazia vibrante come quella israeliana con coalizioni di governo costruite tatticamente, che includono partiti estremisti e politici xenofobi. Questi atteggiamenti sono parte del problema

In conclusione, appare del tutto evidente che il problema non si risolve in maniera manichea, sostenendo a spada tratta coloro che si ergono a “campioni dei palestinesi” e che operano con metodologie più terroristiche che militari, né sostenendo Israele senza se e senza ma, solo perché aggredita.

In essa il governo di coalizione che si appresta ad affrontare la crisi dovrà risultare una seria opportunità per valutare non solo l'interesse della sopravvivenza dello Stato di Israele che non è certo messo seriamente in discussione dalle armi di Hamas e dal suo operato, ma soprattutto sul futuro e sulla efficienza della sua democrazia, affinché non risulti uno Stato fondamentalista tra i vari altri dell'area, con l'unica conseguenza della guerra e dell'impoverimento permanente della sua popolazione, già in atto con la caduta libera della moneta israeliana

Gli Usa d'altra parte, sono presenti nell'area, ma stavolta è molto difficile che stacchino una cambiale in bianco, con la crisi ucraina tuttora aperta e di difficilissima soluzione. Cina e Russia stanno a guardare ma è evidente che non possono che trarre vantaggio da una crisi permanente in Medio Oriente, sia perché distoglie l'attenzione dall'Ucraina, sia perché amplifica il loro ruolo di grandi potenze nello scenario internazionale.

Resta il fatto che Hamas e Netanyahu, risaltano come “i migliori nemici”, da quando sono al potere infatti non fanno altro che rendere il loro potere inossidabile e senza alternative, strumentalizzando la paura del popolo palestinese e di quello israeliano e rendendo lo scenario senza alternative a loro stessi, in un vortice di morte e distruzione che appare senza fine

A chi giova dunque tutto ciò? E a chi l'ennesima guerra in Medio Oriente mentre l'Europa, come con l'Ucraina, rivela ancora una volta tutta la sua dabbenaggine ed impotenza?

Ce lo ha detto il Papa: “il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione” e noi aggiungiamo con Teilhar de Chardin: “noi stessi siamo il nostro peggior nemico. Nulla può distruggere l'umanità ad eccezione dell'umanità stessa”. E' una riflessione che non riguarda solo palestinesi ed israeliani che dovrebbero poter convivere ciascuno in un rispettivo Stato sovrano, ma anche tutti noi che viviamo in un habitat mondiale sempre più stretto e pericoloso


Carlo Felici.