di Carlo Felici
A più di 90 anni dall'assassinio e
dalla morte di Matteotti, questa ricorrenza assume un significato
particolare, nel clima di corruzione endemica che affligge quello che
si presenta sempre di più, per la riduzione progressiva di consensi
e per la sua corruzione endemica, come un regime timocratico ed
oligarchico.
Sulla morte di Matteotti mi sono
soffermato varie volte negli anni scorsi, così come ho cercato di
presentare alle giovani generazioni il fulgido esempio di un uomo,
non solo di specchiata fede socialista, ma anche di grande, immensa
integrità morale.
Oggi vorrei ribadire solo che il suo
cadavere fu uno dei più illustri di una lunga storia di vittime di mafie di
vario genere, anche di stato, e di affarismo “cainamente
speculatore” come lo definì Carlo Silvestri, un giornalista che
resta uno dei più importanti ad avere indagato e capito le cause e
gli artefici di tale delitto.
Ritengo tuttora che le sue indagini e i
suoi libri, sebbene condannati ad un oblio che rasenta la damnatio
memoriae, siano tuttora i più importanti per capire il clima in cui
maturò e venne messo in atto quel crimine. In particolare, quello
dal titolo: “Matteotti Mussolini: il dramma italiano", edito da
Ruffolo nel 1947, praticamente introvabile perché mai più
ristampato, le cui pagine, come sa il sottoscritto che ne possiede
fortunosamente una copia, vanno sfogliate molto delicatamente, data
l'usura di quella fragile carta obliata dal tempo e
dall'inconsapevolezza.
Sarebbe interessante farne una sintesi
dettagliata, almeno per i curiosi e per gli appassionati di storia,
ma lo spazio odierno non ce lo consente.
Ci limiteremo dunque ad osservare che,
ben prima di Canali e del suo straordinario libro: “il delitto
Matteotti”, Silvestri seppe smascherare e documentare le perverse
trame affaristiche che fecero da preludio e da mandanti per quel
delitto.
Lui, che era stato tra i principali
accusatori di Mussolini, da giornalista del Corriere, nel periodo
cruciale della scomparsa dell'autorevole esponente socialista,
invece, nella fase più tragica della storia italiana della guerra
civile e della lotta di liberazione, si prodigò piuttosto per
scagionare Mussolini dall'accusa di essere stato il mandante diretto
di quel delitto.
Alla luce di tutto quello che è emerso
fino ad ora e con una concezione della storia svolta “sine ira et
studio”, siamo giunti alla conclusione che avesse ragione.
Ovviamente non a tal punto da scagionare il Duce dai depistaggi e
soprattutto dalle coperture che vennero messe in atto poi, quando il
cadavere venne scoperto, e soprattutto dalla sua assunzione di
responsabilità nel famoso discorso che egli pronunciò nel gennaio
del 1925
Il sospetto è diventato quasi una
certezza, specialmente considerando che molto stranamente un
giornalista del Corriere, giornale più di altri implicato nella
fornitura “logistica” dei mezzi messi in atto dai sicari di
Matteotti allora, per ucciderlo, fosse il più accanito contro
Mussolini nell'immediata circostanza del delitto. Ciò si spiega
evidentemente con il preciso fine, da parte della gruppo dirigente di allora
di quel giornale, di sviare e di indirizzare le indagini in un'unica direzione,
per avere il tempo di coprire i veri mandanti occulti, da ricercare
invece nei gruppi affaristici implicati nel mercato nero delle armi e
nel riciclaggio dei soldi che ne derivarono, nella concessione di
appalti petroliferi ad aziende compiacenti e nel pagamento, a tal
fine, di tangenti a personaggi contigui al regime, e alcuni insinuano anche alla
famiglia di Mussolini (nel caso specifico il fratello) e persino alla
corona.
Un mondo variegato e ben organizzato
per difendere i suoi interessi, che favorì l'ascesa del Fascismo con
il preciso intento di servirsene per realizzare una dittatura consona
ai propri scopi, e che aveva gli stessi interessi di coloro che,
sulla stessa strada, avevano usato mezzi criminali e sbrigativi: gli
squadristi.
Mussolini fu messo alle strette da
quella convergenza di interessi, ed illudendosi di servirsene, per poi
credere di poterne liquidare a suo comodo gli artefici, finì per diventarne
anche, se non del tutto, uno strumento efficace.
Il cadavere di Matteotti fu
effettivamente messo di traverso tra Mussolini e le sue residue
speranze di mantenere un regime che potesse muoversi, anche se solo
formalmente, all'interno di una legittimità parlamentare, in ogni
caso garantita da un consenso che gli cresceva intorno tanto di più,
quanto maggiormente saliva di il desiderio di pacificazione sociale.
Tale delitto fece cessare d'un colpo il tentativo che egli stava
mettendo in atto di portare dalla sua parte anche alcuni ex compagni
socialisti, come quelli che già in precedenza avevano firmato con
lui il patto di pacificazione e persino quella che era allora la
forza più autorevole della rappresentanza sindacale: la CGL.
Vi era infatti allora una
contrapposizione netta tra ala moderata del Fascismo, con Rocca,
Bottai e Terzaghi, incline a cercare accordi con gli esponenti
confederali, e l'ala dura degli “intransigenti” che invece voleva
a tutti i costi la dittatura e che ebbe la meglio, costringendo Rocca
ad essere espulso dal PNF.
E' pressoché certo che anche la
Massoneria avesse cercato di utilizzare Matteotti per screditare
enormemente Mussolini essendo stata da lui fortemente penalizzata. Si
sa che Dumini, il capo squadrista dei sicari aveva rapporti con essa
e che fu proprio la Massoneria inglese a fornire a Matteotti i
documenti che avrebbe dovuto utilizzare per smascherare le trame
occulte che ruotavano intorno al regime. E' quindi probabile che
l'ignaro deputato sia stato usato in maniera strumentale anche da chi
gli aveva fornito le prove di certi loschi affari.
De Felice scrisse testualmente che
“l'ultimo discorso di Matteotti fu di duplice opposizione, contro
il Governo fascista, contro il Fascismo tout court, ma anche e forse
soprattutto, contro i collaborazionisti del proprio partito e della
CGL”
Non c'è dubbio che Mussolini avesse
intenzione, di creare problemi al coraggioso leader dell'opposizione,
magari dandogli una lezione però, mentre tutti conoscono il celebre
discorso di Matteotti che portò a sconclusionate ed esagitate
reazioni in Parlamento, pochi sanno quale fu la controreplica di
Mussolini, il quale, con l'intenzione di dargliela prima in
Parlamento che altrove, ebbe a dire: “La lista nazionale ha
riportato 5 milioni di voti, cioè 4 milioni e 800 mila voti; ma voi
dovete sempre ammettere che tre milioni di cittadini coscienti e che,
sommati, raggiungono i vostri voti messi insieme, hanno votato con
piena coscienza per il Partito Nazionale Fascista” in buona
sostanza, egli asseriva che anche con eventuali irregolarità, la lista
era sempre da considerarsi vincente. Mussolini poi citò la sua
sconfitta elettorale del 1919 per giustificare anche il fatto che i comizi
elettorali, anche se contrastati, non sono decisivi al fine del
conseguimento della vittoria elettorale. Citò infine, documentando
nome per nome e fatto per fatto, i 18 morti e i 147 feriti di parte
fascista durante la campagna elettorale.
Era del tutto evidente che Mussolini,
in tale clima, tendesse a presentarsi come l'arbitro e l'artefice
della cosiddetta pace sociale all'indomani di quelli che lo stesso
Nenni definì, in un libro scritto poi in esilio: 6 anni di guerra
civile.
L'assassinio di Matteotti, condotto da
chi voleva portare la lezione sulla furia del manganello ed
opportunamente infiltrata e incrementata da chi voleva, con precisi
mandanti, eliminarlo del tutto, sconvolse i suoi piani, fino a farlo
vacillare del tutto e a metterlo in condizione, non solo di procedere
esclusivamente in senso dittatoriale, ma per di più, con la
necessaria collusione di quelle forze oscure della finanza e del
peggiore squadrismo che esigevano si facesse terra bruciata di tutti
i suoi oppositori. E se il Fascismo non è stata la peggiore delle
dittature del Novecento, ciò forse fu dovuto proprio a Mussolini
che, in ogni caso, finì come sappiamo anche per certi suoi errori
clamorosi, aggravati con il progredire dell'età..
Il Duce, in ogni caso, cercò sempre disperatamente di scagionarsi dall'accusa di essere stato il mandante diretto dell'omicidio e fece, a tal fine, raccogliere meticolosamente una serie prove che lo dimostravano da Bombacci, il quale lo seguì, assieme alla sua borsa nel suo ultimo viaggio a Dongo. La borsa fu presa dai partigiani e sparì con il suo contenuto compromettente (pare ci fossero anche le prove dell'omosessualità del principe Umberto) C'è da dubitare che tali ducumenti siano spariti per sempre ed è probabile che siano tuttora negli archivi segreti americani. Perché gli americani erano tanto interessati a non divulgarli? Perché quel business vedeva coinvolti i principali gruppi finanziari di New York, tra cui la banca di John Davison Rockefeller, presidente e fondatore della Standard Oil, la società per cui operava in Italia la Sinclair, responsabile principale delle mazzette che "oliavano" il regime.
Il Duce, in ogni caso, cercò sempre disperatamente di scagionarsi dall'accusa di essere stato il mandante diretto dell'omicidio e fece, a tal fine, raccogliere meticolosamente una serie prove che lo dimostravano da Bombacci, il quale lo seguì, assieme alla sua borsa nel suo ultimo viaggio a Dongo. La borsa fu presa dai partigiani e sparì con il suo contenuto compromettente (pare ci fossero anche le prove dell'omosessualità del principe Umberto) C'è da dubitare che tali ducumenti siano spariti per sempre ed è probabile che siano tuttora negli archivi segreti americani. Perché gli americani erano tanto interessati a non divulgarli? Perché quel business vedeva coinvolti i principali gruppi finanziari di New York, tra cui la banca di John Davison Rockefeller, presidente e fondatore della Standard Oil, la società per cui operava in Italia la Sinclair, responsabile principale delle mazzette che "oliavano" il regime.
Tutto questo va affermato senza alcun
intento assolutorio o mistificatorio, ma per amore di una verità
che, dai tempi dei “ministri della malavita”, a quelli
dell'incipiente Fascismo in doppio petto e fino ai giorni, va
mostrata con nettezza per capire quanto sia difficile condurre a
lotta vittoriosa una vera guerra di liberazione non tanto da un
regime politico ma soprattutto dalla corruzione dall'affarismo e
dalla complicità che le classi dirigenti italiane di ogni livello,
nazionale e locale, riescono a riaffermare in qualsiasi assetto
politico si trovino.
Precisando con ciò che il nostro
popolo va educato con pazienza, coraggio e perseveranza fin dagli
albori della sua crescita umana ed esistenziale, con una scuola
pubblica che sia dotata di mezzi adeguati ed all'altezza del suo
compito cruciale.
Tutto questo mostra con fulgida
chiarezza quanto la lotta di un uomo paragonabile a tanti politici e
magistrati coraggiosi della nostra epoca, primi tra tutti: Falcone e
Borsellino, sia tuttora un simbolo per una Italia pulita da ogni
sporco affare e da ogni liquame di collusione e collateralismo
politico autoreferenziale.
L'Italia non sarà mai un paese libero
e sovrano se non saprà fare definitivamente i conti con una vera
epurazione, non tanto di avversari politici, che si sono combattuti
con ferocia manichea per ormai quasi cento anni, ma soprattutto di
coloro che hanno goduto e tratto profitto dalla divisione profonda del nostro popolo e dalla sua strumentalizzazione per fini eversivi e
speculativi.
Il “divide et impera” che ha
guidato le stagioni peggiori della guerra civile, e del terrorismo
che ne è stato il proseguimento in altre forme anche più rovinose
per la loro imprevedibilità, si è rivelato del tutto speculare alla
prostrazione e alla servitù di un popolo a sovranità ormai nulla.
Un popolo che, finalmente consapevole
di non poter più decidere niente in merito al proprio destino, non
vota più, non crede più ad una democrazia di eletti e nominati
dalla oligarchia timocratica imperante.
Che il sacrificio di Matteotti sia
quindi tuttora monito per come, quando e perché sia necessario
combattere, con tutti i mezzi, questo lurido simulacro della politica,
in ogni epoca e ad ogni costo, persino a quello della propria vita.
Come infatti diceva questo eroico
martire della libertà e della giustizia sociale: “Potrete uccidere
me, ma l'idea che è in me non la ucciderete mai”, mai finché
esisteranno italiani degni di tale nome.
Siamo nell'era digitale. Si potrbbero fotografare le pagine di "Matteotti Mussolini: il dramma italiano" in maniera da non rovinarle (cosa che potrebbe avvenire invece con una semplice scannerizzazione) e renderle disponibili a tutti online. Credo che sia legale farlo in quanto non esistono più ristampe, al massimo si potrebbe chiedere un'autorizzazione agli eredi.
RispondiEliminaSi potrebbe, soprattutto considerando che molti libri persino risalenti all'epoca risorgimentale, sono stati da tempo digitalizzati e sono disponibili on line, in particolare da parte di prestigiosse univerisità americane. Ma evidentemente, alcuni sono tuttora scomodi e non considerati tali da renderli di dominio pubblico. Lo stesso nome di Carlo Silvestri è tuttora ignoto ai più, eppure fu uno dei più grandi e coraggiosi giornalisti, di provata e coerente fede socialista. Per chi vuole leggerlo non resta che il mercato antiquario, tanta fortuna oppure qualche biblioteca che ancora non è stata chiusa.
Elimina« Con la mia deposizione non ho inteso - come tanti faziosi insinueranno - difendere Mussolini, che tante altre colpe avrà sicuramente da espiare, quanto accusare coloro che sono riusciti a nascondersi nell'ombra, grazie all'involontaria complicità dei "patrioti" che il 29 aprile del 1945 hanno fucilato a Dongo Luigi Gatti e Nicola Bombacci. Io ho inteso, al contrario, denunciare la responsabilità di coloro che riuscirono a deviare le ricerche delle origini del delitto, che ebbe certamente intenzioni antiproletarie e antisocialiste. L'uccisione di Matteotti è stato uno dei tanti delitti di quel capitalismo deteriore e cainamente speculatore, cui per gran parte dobbiamo se l'Italia si trova in queste miserabili condizioni »
Elimina(C. Silvestri, Matteotti, Mussolini e il dramma italiano, pag. 91)