di Carlo Felici
Chi scrive rivendica non solo
orgogliosamente il suo massimalismo, ma, per di più, lo ritiene
storicamente il più fruttifero di valori e di risultati nella storia
del nostro paese.
Se il massimalismo di Mazzini e
Garibaldi avesse vinto nel Risorgimento avremmo avuto, dopo
l'esperienza gloriosa della Repubblica Romana, una democrazia matura
con cento anni di anticipo, e se invece tale massimalismo
repubblicano avesse vinto nel primo dopoguerra, con Corridoni e
D'Annunzio, avremmo avuto una repubblica che forse ci avrebbe fatto
risparmiare la dittatura e una seconda rovinosissima guerra,
consegnandoci uno stato democratico che non fosse a sovranità sempre
più limitata come quella che abbiamo oggi.
Ma la storia non si fa con i se o con i
ma. Essa procede con i fatti, e solo con quelli mostra la sua
inequivocabile verità.
La verità di oggi è quella di una
Repubblica in cui gli orientamenti economici e sociali sono decisi a
Bruxelles e le cui scelte geo-strategiche e militari sono invece
decise a Washington.
L'Italia oggi ha un margine di
autonomia e di sovranità inferiore persino a quello lasciatole per
concessione dei vincitori della seconda guerra mondiale, nel 1946,
anno in cui si decise il suo assetto repubblicano, e sicuramente è
attualmente il più limitato di tutta la sua storia unitaria.
In queste condizioni, in cui le scelte
di investimenti pubblici sono impedite a monte dai controlli di
Bruxelles e le stesse risorse pubbliche sono dirottate anch'esse a priori per spese militari, spesso tanto enormi quanto inutili ed
ipocrite decise a Washington, specialmente quando vengono
propagandate per scelte di difesa di una falsa libertà che coincide
piuttosto con precisi interessi neo-coloniali, è del tutto evidente
che festeggiare la nascita di una Repubblica di servitori e vinti,
non ci rende certo particolarmente gioiosi né orgogliosi.
Non dobbiamo però, a causa di questo,
dimenticare né chi ha nel passato lottato perché l'Italia fosse
una, libera e sovrana, né chi, conseguentemente, è stato
imprigionato, ucciso o torturato, soprattutto non dobbiamo
dimenticare la cultura politica con cui si è voluto che l'Italia
nascesse e che, con essa, ci fossero italiani degni di chiamarsi
tali. In special modo, in un periodo in cui la cultura politica è
stata letteralmente desertificata dalla nascita di
partiti-contenitori di interessi ed espressione di personalismi
neofeudali. Tanto che questo annichilimento culturale ha portato solo
ad un declino del ruolo dell'Italia e al suo immiserimento sul piano
sociale ed economico.
Siamo arrivati al punto che un partito
che tuttora si ostina a definirsi di sinistra, mette in atto
politiche che la destra, quando è stata al potere, non è riuscita a
far passare, e continua a governare con chi ha lasciato quella destra
ritenendo per questo giustamente, dal suo punto di vista, che in tal
modo si potessero realizzare meglio obiettivi coerenti con la propria
vocazione politica, senza nemmeno avere tanto consenso.
Da svariati anni un premier non viene
eletto dal popolo e da svariati anni non vengono che varate leggi
elettorali sempre più incostituzionali.
L'ottusità e la nefandezza di tale
politica purtroppo si regge sul fatto che la gente non vota più e
sulla ancor più triste circostanza che, chi è rimasto a votare, lo
fa ormai per precisi interessi clientelari, sperando cioè di poter
trarre vantaggio personale dal saltare sul carro di chi esercita, con
un ruolo sempre più personalistico, la funzione di leader politico.
In Italia non si è ancora toccato il
fondo ma, in compenso siamo già un pezzo avanti lungo questa strada
rovinosa: la metà dei cittadini non vota più, sia perché non ha un
suo adeguato referente politico, sia perché non ne trova tra coloro
che impongono la loro presenza politica con leggi maggioritarie ed
incostituzionali. Quando una repubblica che, sarà bene ricordarlo,
vuol dire etimologicamente res-publica: cosa pubblica, bene comune,
non rappresenta più nemmeno la metà di tutti e della comune
sovranità democratica, allora essa cessa, di fatto, di esistere per
essere sostituita concretamente da una oligarchia. E, da che la
storia viene narrata, di fronte ad ogni oligarchia e tirannide prima
o poi, quando risorge e insorge una seria coscienza popolare, la
lotta si fa sempre più dura e con ogni mezzo.
Oggi dunque non abbiamo più nulla da
festeggiare, sia perché quella Repubblica nata con un referendum
popolare il 2 Giugno 1946 non esiste più nelle generazioni che la
vollero e lottarono per costruirla, sia perché la Costituzione che
nacque allora è stata abbondantemente snaturata nel tempo, fino a
rendere inapplicato e vano anche il suo simulacro formale, sia perché
anche quest'ultimo sta per essere profondamente snaturato, e sia
infine perché oggi soprattutto l'assetto istituzionale del nostro
paese risulta, di fatto, costituito da una oligarchia di potere che
attua le direttive di un'altra oligarchia di potere economico e
militare la quale agisce su scala continentale.
Non siamo dunque in una Repubblica ma
in un feudo di un impero economico e militare.
Siamo quindi in una condizione, di
fatto, molto più simile all'Europa della Restaurazione che a quella
che vollero i sognatori di Ventotene come Spinelli.
Di fronte a ciò, esiste un'altra
anomalia italiana: quella cioè che mentre in altri paesi penalizzati
dalla crisi e a forte riduzione dei diritti democratici, stanno
nascendo movimenti di massa destinati ad espandersi e a contestare
concretamente certe direttive oligarchiche e timocratiche,
coordinandosi con altre forze politiche e raggiungendo per questo
percentuali di consenso tali da governare o vaste aree oppure anche
l'intero paese, da noi, invece, chi contesta tale assetto resta
rigidamente inquadrato nella logica imperialista del divide et
impera. In pratica, procede da solo, in ordine sparso e senza
accettare compromessi con nessuno.
Il risultato è che questi movimenti da
noi rappresentati in particolare da leader più che da progetti, come
Grillo e Salvini, crescono ma non si uniscono e, di fatto, consentono
a chi gestisce il potere, anche se perde consensi, di restare
solidamente in posizioni di governo, a livello nazionale e locale.
In poche parole, si contesta il
professionismo della politica, avvitandosi sempre di più nel
professionismo dell'opposizione o dell'antipolitica.
Anche quella che a lungo e con il
marchio consociativo del forchettonismo rosso, è stata definita
sinistra italiana, ma che, almeno a livello locale, non ha disdegnato
di governare con chi governa a livello nazionale tuttora con la
destra, sconta la sua schizofrenia politica, o con l'isolamento o con
il marchio dell'idiota, utile se fa comodo a gestire il potere, e se
non fa comodo, a chi il potere lo sottrae per altri ma non differenti
fini autoreferenziali.
Va da sé che una sinistra così non è
utile a nessuno, tanto meno a se stessa, e non può che rappresentare
una idiozia all'ennesima potenza.
Non sono idioti però coloro che
cercano di opporsi in nome di ciò che chi ha oggi il potere tende a
negare sempre di più: scuola pubblica, servizi efficienti e non
costosi, dignità nazionale, controllo dei flussi migratori, lavoro
non precario, sanità alla portata di tutti, beni comuni non
privatizzabili, posizione internazionale degna di un grande paese
mediterraneo, e via dicendo..
La idiozia consiste solo nel continuare
ad andare in ordine sparso, nel farsi epurare dai vari capi, capetti
e capettini di turno, servi obbedienti del divide et impera, e
soprattutto nel non procedere con quella crescente credibilità che
serve per incrementare i consensi.
Gli unici che sembrano avere appreso
tale lezione sul campo sembrerebbero i grillini, che non sono rimasti
nel limbo di una “coalizione sociale” non ben definita e senza
obiettivi elettorali e concretamente politici, ma che hanno portato
avanti le loro battaglie nei territori e soprattutto nel Parlamento
nazionale con quel sacro massimalismo che ha animato le migliori
stagioni della nostra storia. Tanto che, pur perdendo consensi, in un
ambito per altro amministrativo a loro ancora poco congeniale, sono
diventati, in quest'ultima tornata elettorale, il secondo partito,
riducendo la distanza dal primo: il PD a circa il 4/5%
Basterebbe soltanto che quella loro
percentuale si aggiungesse a quella di un movimento come quello che
in Liguria a smesso di fare l'utile idiota del PD per ottenere, su
scala nazionale, precisi obiettivi concreti come, ad esempio il
reddito di cittadinanza o la tutela dei diritti costituzionali e
della scuola pubblica, per avere una vera svolta in Italia, e creare
un movimento largamente comparabile a quello di Podemos in Spagna e
Siryza in Grecia.
Diciamocelo chiaramente: la base di
queste forze politiche è unita, molti grillini la pensano non solo
come tanti che continuano a chiamarsi di sinistra, ma persino come
altri che si chiamano di destra ma hanno pur tuttavia obiettivi di
tutela dello stato sociale. Non sono però uniti i capi, capetti e
capettini di questi soggetti politici, anzi spesso sono conflittuali
e livorosi tra di loro. Ed è facilissimo capire perché: il loro
obiettivo non è quello di creare una solida ed efficace alternativa
politica, economica e sociale in Italia, ma di mantenere la loro
rendita di posizione, la loro clientela, i loro affarucoli qui e là,
barattando appoggi e consensi.
Non potrà dunque esserci alcun terreno
di intesa né alcuna speranza di creare una seria alternativa se si
continuerà a procedere in termini di vantaggi clientelari, di
rendite di posizione, di inciuci e di professionismo della politica o
della sterile opposizione. Se la politica in Italia continuerà ad
essere ostaggio delle solite compagnie di ventura.
Solo conquistando il consenso e
governando regioni e paese in maniera radicalmente diversa dal
passato si potrà pensare di restituire dignità e grandezza ad un
paese avvilito dalla crescente povertà, dalla precarietà endemica,
da una Europa che ci abbandona all'immigrazione a senso unico passivo
e mafioso, e dalla sudditanza economica e militare.
L'Italia non ha bisogno di altri
ducetti che usino i loro partiti o i loro movimenti per costruire i
loro feudi e le loro prebende, ne ha già avuto uno che forse, tutto
sommato, aveva ambizioni personali minori e collettive maggiori,
conseguendo risultati molto più eclatanti e purtroppo anche
rovinosi.
L'Italia ha bisogno di ritrovare una
rappresentanza politica fondata su una cultura che sia quella del XXI
secolo, in cui questione sociale e questione ambientale non sono più
separabili, ma restano inscindibili al di là di ogni localismo e di
ogni xenofobia o di qualsiasi sterile nazionalismo o
internazionalismo asfitticamente monetario.
Questa cultura
non può che essere quella di un Ecosocialismo democratico e
socialmente avanzato, così come viene teorizzata da illustri
filosofi e scrittori dal Sudamerica all'Europa, come Leonardo Boff e
Michael Löwy
Nel Risorgimento l'Italia seppe alzare
la schiena e la testa perché volle coniugare la sua cultura e prassi
politica con il meglio di quella che allora procedeva in una
Europa che voleva conquistare la primavera dei suoi popoli, lo
stesso, se vogliamo uscire dalla gabbia di ferro di una Restaurazione
monetaria, dobbiamo fare oggi, per un nuovo, aggiornato ed efficace
Risorgimento Ecosocialista, in cui brilli ancora il sole del futuro.
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