IL dileggio compiuto dalla Presidente del Consiglio nei confronti del Manifesto di Ventotene e dei suoi autori non ha precedenti nella storia della Repubblica per gravità e per dolo verso chi ha dato la vita per la nostra democrazia
E' ancora più grave che chi ha citato poche frasi estrapolate dal Manifesto, lo abbia fatto passare per una sorta di inno alla dittatura comunista, chiedendo per di più se qualcuno lo avesse letto.
Ebbene lo abbiamo letto e sappiamo benissimo come è nato quel Manifesto di Ventotene, quando è nato, e cosa costò ai suoi autori in quanto antifascisti
Perché esso non è solo un inno ad una Europa federale e democratica, ma è anche un appello ad una rivoluzione antifascista fatto nel momento in cui il nazifascismo era vincente, quindi un Manifesto che corrisponde ad un atto supremo di coraggio che allora si poteva definire disperato, ma che, soli quattro anni dopo risultò vincente.
Tanto che oggi tutte le grandi democrazie moderne europee ne riconoscono il valore inoppugnabile.
Ma la risposta migliore alle storpiature della Meloni è lo stesso Manifesto che in un suo passaggio cruciale, recita quanto segue: “"Auspicano la fine delle dittature immaginandola come la restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni è un'assemblea costituente eletta col più esteso suffragio e col più scrupoloso rispetto degli elettori, la quale decida che costituzione il popolo debba darsi" Cioè l'esatto contrario rispetto a quanto la Meloni ha voluto farci credere
Ma il Manifesto di Ventotene non solo un appello antifascista, un inno alla democrazia e alla fratellanza tra i popoli, esso è anche una base solida, con i suoi principi di libertà e giustizia sociale, per ogni società che non voglia abbandonarsi alle derive di un capitalismo senza regole o ad una nomeklatura livellatrice di ogni istanza sociale, repressiva ed autoreferenziale
Il Manifesto inizia con una analisi lucida e spietata della società moderna in cui vivevano gli autori, sprofondata nella dittatura e nel totalitarismo : “La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo "spazio vitale" territori sempre più vasti che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nell'egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti. In conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima l'efficienza bellica.” Cosa è questa se non una condanna di ogni forma di statolatria e di riduzione dell'essere umano a servo di uno stato autoreferenziale, cosa se non una condanna di ogni forma di colonialismo ed imperialismo?
Segue una prefigurazione di eventi e di conseguenze che è tuttora un monito affinché la storia che insegna ed è priva di scolari, non si ripeta: “D'altra parte la formazione di giganteschi complessi industriali e bancari e di sindacati riunenti sotto un'unica direzione interi eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo stato stesso in tante baronie economiche in acerba lotta tra loro. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.” Questa è una situazione tuttora in fieri purtroppo in Europa
“La stessa etica sociale della libertà e dell'uguaglianza è scalzata. Gli uomini non sono più considerati cittadini liberi, che si valgono dello stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello stato che stabilisce quali debbono essere i loro fini, e come volontà dello stato viene senz'altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere. Gli uomini non sono più soggetti di diritto, ma gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza discutere alle gerarchie superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato. Il regime delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri.” Questo è il quadro delle dittature di allora ed in particolare di quella fascista instauratasi in Italia.
Ma ecco il passaggio più attuale quando si parla di Difesa Europea: “Con la propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre fin d'ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l'autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.”
Di cosa si parla oggi nel Parlamento Europeo, se non di questo che era stato prefigurato dagli autori del Manifesto 84 anni fa? A cosa si vuole arrivare se non a questo? E' questo che la Meloni non vuole? E' questo ciò in cui ella non si riconosce? Ce lo dica chiaramente. Anzi, già ce lo ha detto.
Ma veniamo alla citazione maldestra e truffaldina della Meloni, osservando bene i passaggi del Manifesto: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita. La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione, non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell'economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione del giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell'economia, come è avvenuto in Russia.” E' qui più che evidente una concezione in cui la giustizia sociale che non fa della proprietà privata un feticcio, specialmente quando è acquisita parassitariamente, mediante corruttele o manovre speculative, occorre per emancipare chi, altrimenti, sarebbe condannato ad un destino di miseria in certi casi persino brutale.
Quale tipo di socialismo e di democrazia è prefigurato con tale intento, il Manifesto ce lo spiega chiaramente e senza ombra di ambiguità: “Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma - come avviene per forze naturali - essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime.” E' semplicemente il principio della libertà umana e della dignità di ogni persona garantita da regole che non lascino le grandi forze economiche, oggi chiamate multinazionali, ridurre l'essere umano in servitù, in schiavitù salariale, di cui molti esempi abbiamo oggi specialmente tra i giovani relegati nella precarietà e in stipendi da fame.
E veniamo all'altro passaggio brutalmente mutilato nella citazione della Presidente del Consiglio: “ La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali” per comprenderne la portata e il valore basta soltanto metterlo a confronto con un articolo della nostra Costituzione e per la precisione l'articolo 42 che citiamo per intero: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti [cfr. artt. 44, 47 c. 2].La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.”
Ecco dunque come la proprietà privata può essere persino abolita nei termini di legge, se non ha una riconosciuta funzione sociale e se l'interesse generale lo impone come per i sequestri nei confronti dei mafiosi
E' questo che la Meloni vuole contestare? E' questo ciò in cui non si riconosce? A questo punto ci viene persino il dubbio che questo attacco frontale e spudorato di fronte a tutto il Parlamento non sia altro che una prefigurazione di un attacco ben più dirompente alla nostra Costituzione che ha ereditato in pieno tutti i valori del Manifesto di Ventotene.
Nel concetto di giustizia sociale rientra il controllo di quelle imprese che “che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l'importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa” cioè le tendenze monopoliste e oligopoliste del grande capitale e la sua tendenza ad appropriarsi della politica per utilizzarla per i propri fini di profitto. Cosa c'è di più attuale in tutto ciò? E' evidente che la Meloni lascia intendere di avere altri interessi da ossequiare.
E i lavoratori? Anche questo è spiegato molto bene: “ Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori, nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l'azionariato operaio, ecc.; i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l'avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le rimunerazioni nell'interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali” Valorizzazione delle forme associative, potenziamento della scuola pubblica, programmazione economica, potenziamento dei salari. Tutto ciò corrisponde ad un principio di equità sociale e di progresso, anche questo riecheggiato da una Costituzione Italiana, fin troppo bistrattata e non applicata nei sui principi fondanti.
La quarta parte del Manifesto affronta il rapporto tra democrazia e lotta rivoluzionaria, intendendo per rivoluzione, in senso sincronico, la liberazione dalle dittature dell'epoca e non solo da quella nazifascista, ecco un passaggio cruciale: “Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie - col predicare che la loro "vera" rivoluzione è ancora da venire - costituiscono nei momenti decisivi un elemento settario che indebolisce il tutto. Inoltre la loro assidua dipendenza allo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati senza scrupoli per il perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di perseguire una politica con un minimo di continuità” Come si fa quindi a dire che il Manifesto corrisponde ad un progetto di dittatura del proletariato? Evidentemente solo non avendolo letto attentamente.
Paradossalmente potremmo dire che il Manifesto è anche intrinsecamente anticomunista in quando dice a chiare lettere che “Una situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante significherebbe non uno sviluppo non in senso rivoluzionario, ma già il fallimento del rinnovamento europeo.” Non è dunque una Europa comunista che il Manifesto intende prefigurare.
Il “partito rivoluzionario” di cui parla il Manifesto, non è altro che una coalizione antifascista, cioè quello che poi sarà il CLN, in cui tutte le forze antifasciste collaborano per un unico scopo. Anche in questo caso lasciamo parlare lo stesso Manifesto: “Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che hanno saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà sapere collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, ed in genere con quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo,” Più chiaro di così..e probabilmente è proprio questo che teme la Meloni con la sua assoluta avversione: un antifascismo viscerale e consolidato nella coscienza civica di tutti i cittadini.
La conclusione del Manifesto è chiara e corrisponde ad un appello rivolto tuttora a ognuno di noi:
“Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento di istituzioni politiche libere.”
Il nuovo ordine non è altro che il tessuto democratico che si intendeva costruire in Europa, liberandola dai totalitarismi persino da quello del mercato
Chi non è consapevole che questa lotta “rivoluzionaria” è ben lungi dall'essere compiuta per i rigurgiti fascisti, oligarchico-totalitari, di nomenklature comuniste tuttora in atto e in particolare di certo ferreo totalitarismo economico che detta le sue regole alla politica, chi non ha capito il valore universale ed emancipativo del Manifesto di Ventotene e dei suoi eroi antifascisti, che donarono anche la vita per questi valori “rivoluzionari”, non è degno né di rappresentare le alte istituzioni italiane e tanto meno quelle europee
In conclusione ci viene il dubbio che la Presidente del Consiglio che esorta gli italiani a leggere il Manifesto di Ventotene per capire quanto vada rigettato, non lo abbia mai veramente letto, ma semplicemente si sia fatta passare qualche citazione ritenuta per lei più conveniente
Magari lo faccia, e forse vedrà che è meglio di un romanzo fantasy con Atreius come protagonista.
Carlo Felici
Qui il testo integrale del Manifesto di Ventotene
https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/repository/relazioni/libreria/novita/XVII/Per_unEuropa_libera_e_unita_Ventotene6.763_KB.pdf
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