Tra le varie pubblicazioni che stanno uscendo per il centenario dell'assassinio di Giacomo Matteotti, spicca per originalità e dettagliata documentazione quella di Mario Gianfrate, dal titolo “Il delitto Matteotti. Il Mandante”
l'Onorevole Matteotti, sappiamo bene che fu il più fiero e pericoloso oppositore di Mussolini quando il futuro duce considerava di dover normalizzare la situazione istituzionale a suo favore, per conservare e consolidare il suo potere.
Ci aveva già provato con il “patto di pacificazione” firmato da una parte degli incauti socialisti, il 3 agosto del 1921, il quale ebbe come conseguenza più rilevante l'isolamento e la progressiva distruzione dell'unica organizzazione combattente che avrebbe potuto contrastare, armi in pugno, la violenza omicida dello squadrismo: gli Arditi del Popolo. Sappiamo altresì che l'ascesa del fascismo fu favorita dalle varie scissioni del Partito Socialista, fino alle elezioni del 1924, in cui il listone fascista vinse soprattutto grazie alla legge maggioritaria, alle violenze intimidatorie e alle divisioni delle opposizioni.
Mussolini contava, con ogni probabilità, di mantenere “formalmente” il regime parlamentare, magari cercando una sponda con certi suoi vecchi amici socialisti e la CGL, in nome della pacificazione nazionale e della fine delle violenze. La sua opera parlamentare, infatti, inizialmente, nonostante vari toni arroganti, si proponeva di attrarre ulteriori consensi in nome di ciò che egli aveva già offerto ai socialisti nel 1921, ma anche con la conseguenza di farsi nemica la gran parte dello schieramento squadrista.
Matteotti era pienamente consapevole di questo rischio essendo di fatto il capo dell'opposizione parlamentare, e non solo quello dei socialisti riformisti. Per questo, con ostinazione indefessa e precisione certosina, aveva cercato di raccogliere ampie prove dei brogli elettorali e anche delle manovre torbide che, specialmente sul piano finanziario, accompagnavano l'ascesa del fascismo e preparavano l'affermazione del suo regime.
Doveva quindi essere messo a tacere, per quello che coraggiosamente aveva detto in Parlamento e per quello che ancora più causticamente si apprestava a dire, con una ulteriore gran quantità di documenti.
Il suo discorso pronunciato in Parlamento il 30 maggio 1924, è stato immortalato anche nel bellissimo film di Florestano Vancini uscito poco più di 50 anni fa, con attori di gran calibro come Franco Nero, Vittorio de Sica e Umberto Orsini, e che andrebbe visto in tutte le scuole, specialmente di questi tempi in cui le braccia sono anche troppo tese..
Esso ripropone alla lettera quello che allora fu stenografato e il clima che allora si visse in Parlamento.
Il contributo di Gianfrate che ha consultato e presentato la documentazione e il resoconto della seduta parlamentare di vari giornali dell'epoca di diversa tendenza, però potrebbe portare a dar vita ad un film ancora più realista, crudo e veritiero, perché con una perizia notevole nel raccogliere le testimonianze, ci appare 100 anni dopo un Parlamento in cui ci fu non solo l'arringa del coraggioso tribuno socialista portata avanti etiam spes contra spem e più volte interrotta dai fascisti, ma una vera e propria rissa con tanto di scontro fisico e intimidazioni in stile mafioso da parte di chi aveva già da tempo in odio Matteotti.
Il discorso che Giacomo Matteotti svolge nell’aula parlamentare nella tumultuosa seduta del 30 maggio 1924, rappresenta infatti una vera e propria requisitoria nei confronti di Mussolini della maggioranza vincitrice delle elezioni politiche del 6 aprile dello stesso anno nelle quali, per la prima volta, si va alle votazioni con le modalità previste dalla Legge Acerbo, la legge di riforma elettorale che ha introdotto nel Paese il sistema maggioritario voluto da Mussolini in base al quale la lista maggiormente suffragata che abbia ottenuto il 25% dei suffragi consegue un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi disponibili in Parlamento.
Una legge che consente a una forza politica minoritaria che, per effetto di uno sproporzionato premio di maggioranza, determina una situazione antitetica ai principi di democrazia; Matteotti lo scrive acutamente su La Giustizia osservando che “dare tutto il potere ad una minoranza significa la facoltà di instaurarvi l’arbitrio e la dittatura, promuovere, quindi una ribellione e una rivoluzione in permanenza, poiché nessuna garanzia è data a tutti gli altri cittadini che, pur suddivisi in diversi partiti, costituiscono magari la maggioranza assoluta o hanno comunque diritto di influire sulla vita pubblica del Paese e di difendere le elementari garanzie costituzionali”. Con una legge elettorale siffatta – che Matteotti definisce “perfida” - condita da una serie di violenze e di brogli che inquineranno le elezioni, per il fascismo sarà gioco facile vincerle.
Nella seduta del 30 maggio, una tra le prime nella quale Mussolini ha fatto inserire all’ordine del giorno la convalida di tutti gli eletti spiazzando le opposizioni, il segretario del Psu si assume il pesante onere di incriminare il fascismo e Mussolini in prima persona, per aver creato il clima di illegalità nel quale è maturata la vittoria.
L’indomani della seduta del 30 maggio, il Popolo d’Italia, organo del partito fascista di cui è direttore Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, definisce “mostruosamente provocatorio” l’intervento di Matteotti. Un intervento che ha scosso l’intero apparato fascista e additato al mondo la responsabilità di Mussolini nell’aver creato nel Paese un clima di violenza, di tirannia, di arbitrio e di aver riportato l’Italia indietro, divisa “in padroni e sudditi”, quasi fosse incapace di “reggersi da sé” al punto da “essere governata con la forza”.
A distanza di cento anni un libro di Mario Gianfrate, storico pugliese, “Delitto Matteotti, il Mandante” pubblicato da Les Flaneurs, porta alla luce un aspetto inedito della vicenda, soffermandosi proprio sull’ultimo discorso del segretario e deputato del Psu: dalla versione ufficiale, il testo stenografico parlamentare, scompaiano diverse interruzioni – tra le quali una di Mussolini – che invece ci furono durante l’intervento del segretario socialista unitario.
In breve, il testo, prima di essere trascritto nei registri dei verbali, ha subito una depurazione, con la eliminazione da esso di alcuni passaggi dei quali non doveva restar traccia nella storia del nostro Paese.
La ricostruzione più completa e meno conforme alle esigenze del regime è stata possibile attraverso il confronto del testo ufficiale e la cronaca della seduta del 30 maggio riportata su quattro quotidiani dell’epoca: La Giustizia, organo del Partito Socialista Unitario; L’Avanti!, del Partito Socialista Italiano; l’Unità, del Partito Comunista d’Italia; e, infine, del Corriere delle Puglie, giornale fascistissimo e ricco di particolari inediti.
Da tale confronto emergono particolari che rendono ancor più drammatico il clima incandescente e intimidatorio nel quale Matteotti è costretto a parlare ma che, indubbiamente, ne rende ancor più fulgida la figura dell’uomo politico socialista, assassinato dieci giorni dopo dagli squadristi della Ceka, alle dirette dipendenze di Mussolini con a capo Amerigo Dumini.
Tutto ciò ci interroga oggi su quali fossero i mandanti non solo “morali” ma anche “penali” di quell'infame delitto e su come, anche a cento anni di distanza, la nostra responsabilità per onorare il sacrificio di Matteotti sia tuttora immensamente necessaria.
Carlo Felici
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