Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

venerdì 13 ottobre 2023

NEL KIBBUTZ MUORE ANCHE IL SOCIALISMO



Le ragioni di un giornale socialista sono rivolte a tutelare i diritti, la libertà e la giustizia sociale in particolare di tutte le popolazioni oppresse del mondo, quindi in questa situazione di crisi che è di fronte ai nostri occhi in Israele e Palestina, un giornale socialista ha il dovere di schierarsi a fianco di tutte le vittime inermi di questo inumano conflitto.

Sappiamo però anche che esiste un internazionalismo socialista in base al quale le associazioni socialiste dovrebbero sostenersi vicendevolmente

Il Kibbutz è una comunità socialista, nata ben prima dello Stato di Israele agli inizi del XX secolo, possiamo dire che Israele è nato grazie alle comunità dei Kibbutz anche se non è rimasta fedele ai loro principi, anzi, col tempo ha trasformato anche alcune di queste comunità privatizzandole.

Il Kibbutz deriva dalla parola “ritrovarsi”, perché le persone che ci vivono, si “ritrovano” proiettate in una dimensione in cui prevale, secondo principi socialisti, la condivisione dei beni e la democrazia diretta. Possiamo aggiungere che le prime comunità cristiane, che erano costituite essenzialmente da ebrei, si basavano sugli stessi principi.

Nel Kibbutz si cucina, si mangia e si dorme tutti insieme, il concetto di privacy non esiste. Persino la porta di casa è senza serratura, tanto bisogna avere fiducia gli uni negli altri, in un modello di umanità che esalta la collettività a scapito dell'individuo. Anche i bambini sono educati e vivono insieme in uno spazio a loro riservato dalla comunità più che con la loro famiglia, un po' come nella Repubblica di Platone.

Il compito dei Kibbutz è stato soprattutto quello di, mediante un duro lavoro, rendere fertili aree semi-desertiche contrastando validamente, con varie tecniche che si sono evolute nel tempo, il progredire della desertificazione che, specialmente con i cambiamenti climatici, oggi minaccia da vicino quelle terre. Oggi le tecniche sono molto evolute rispetto al passato, ma mentre in passato le attività dei Kibbutz erano finanziate dal Fondo Nazionale Ebraico, con il passare del tempo, in particolare dagli anni 70 in poi del secolo scorso, a causa dei debiti crescenti, gran parte dei Kibbutz è stata privatizza. Oggi, ad esempio, i Kibbutz sono strutture che possono anche ospitare turisti per condividere una esperienza di vita comunitaria in Israele. Tuttora in Israele ci sono tra i 25 e i 270 Kibbutz, per un totale di circa 125.000 abitanti e una percentuale per ogni Kibbutz che varia tra le 100 e le 1000 persone.

Le comunità in genere sono protette e limitate da recinzioni, ma chi ci vive non è obbligato a restarci, deve solo seguire le regole comunitarie, che sono quanto di più vicino al Socialismo sopravviva oggi dopo la caduta dei muri e delle ideologie.

Negli ultimi anni, però, sebbene queste comunità siano state ripopolate, le forme di egualitarismo non sono più così rigide come una volta, gli stipendi si sono in parte differenziati e le comunità hanno dovuto aprirsi al mercato, con strutture ricettive, scambi economici, diventando così delle vere e proprie aziende produttive ed innovative dotate di tecniche all'avanguardia soprattutto nel campo agricolo, e avvicinandosi di più al modello delle moshad che sono in pratica delle cooperative molto simili a quelle occidentali

Da questa breve analisi si evince che il modello dei Kibbutz non è né quello della destra israeliana che ha sviluppato parallelamente una serie di privatizzazioni selvagge ed ha acuito enormemente le differenze sociali negli ultimi tempi, né quello di Hamas, una organizzazione fortemente gerarchizzata che porta avanti a Gaza per i palestinesi programmi sociali solo con i pochi soldi che avanzano dall'acquisto di armi e che provengono in gran parte da organizzazioni di solidarietà a livello internazionale e dall'ONU.

Colpire il Kibbutz o non tutelarlo adeguatamente ha dunque non solo una valenza terroristica, ma anche politica, si fa così terra bruciata di un modello di socialismo e di condivisione che è sempre più raro oggi nel mondo e che in quella zona probabilmente risulta scomodo per molti al potere.

Un Socialista ed un padre, in particolare, non può non provare orrore per i continui bombardamenti a cui è sottoposta la striscia di Gaza, non può che opporsi ad ogni tentativo di deportare la popolazione palestinese, sottoponendola alla privazione di beni vitali come l'acqua e l'elettricità

Chissà perché poi per questi beni Gaza dipende continuamente da Israele e non si è riusciti a renderla autosufficiente con tutti i miliardi che piovono da tutto il mondo a favore dei palestinesi.

Come dice giustamente Maraio, la risposta al terrorismo di Hamas “Non può essere, e lo dico da padre, ripeto, quella di sganciare bombe sulle teste dei bambini”

Ma altresì, replichiamo, la risposta non può essere solo lo “schifo” dei terroristi che, esattamente con la stessa prassi dell'ISIS, si accaniscono sulle teste dei bambini che vivono in una struttura in cui non ci sono serrature alle porte.

La risposta deve essere, da socialisti, una forma chiara ed evidente di solidarietà, se necessario anche con la presenza nei luoghi di tale mattanza, per evidenziare che in quei Kibbutz non è stato solo colpito un gruppo di persone, ma anche un modello politico di società e di convivenza che ad un socialista deve essere assai caro

Stare con il Kibbutz e con le sue vittime, e non tanto con Netanyhau che non è stato capace di proteggerle, vuol dire condividere e tutelare non solo le persone, ma anche gli ideali per i quali quelle persone, quei compagni e quelle compagne sono vissuti.

Una volta David Ben Gurion affermò: “ Se avessi saputo che era possibile salvare tutti i bambini della Germania trasportandoli in Inghilterra, e soltanto la metà trasferendoli nella terra di Israele, avrei scelto la seconda soluzione, a noi non interessa soltanto il numero di questi bambini ma il calcolo storico di Israele” Ecco dunque che, oggi come allora, il migliore calcolo storico di Israele non è annientare i figli dei suoi nemici, ma quello di farsi carico della loro salvezza, affinché i conti della storia possano finalmente “tornare” e non essere sempre sballati, generando odio su odio.

Carlo Felici

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