La tragica vicenda di Indi ci riempie di commozione e di angoscia, specialmente per il suo tragico epilogo che la scienza odierna ha sempre dichiarato ineluttabile, ella era infatti affetta da una malattia degenerativa per la quale pare non esistano cure se non quelle palliative
Ma la scienza non è una religione e nemmeno un dogma e soprattutto non può imporsi sugli affetti umani.
Lo sa bene anche chi ha visto quasi morire il proprio figlio e lo ha visto risorgere dal coma proprio in quell'ospedale Bambin Gesù a cui si era rivolto disperatamente perché quello pubblico lo aveva dato per spacciato, e per di più ora fare una vita quasi normale.
Ma ogni caso è un caso a parte, e purtroppo ci sono quelli più disperati di altri, come quello di Indi.
In tutta onestà credo che i soloni, specialmente del web, che sputano sentenze appellandosi alla “verità scientifica”, in particolare in questo momento di dolore che ci sentiamo di condividere con i genitori di Indi, facciano meglio a tacere.
Non si tratta infatti di disquisire sulla opportunità o meno della eutanasia, o della efficacia delle cure mediche e nemmeno della loro perfettibilità nel tempo grazie alla ricerca, si tratta di capire chi è veramente l'arbitro della stessa vita umana, specialmente quando essa è inerme ed indifesa.
Possiamo anche capire e giustificare il fatto che un adulto pienamente cosciente e consapevole della propria sorte decida di porre fine ad una vita che ritiene ormai insopportabile a causa della sua sofferenza fisica e psicologica.
Sarebbe lungo dibattere sul significato del suicidio nella storia della civiltà umana, qui basti ricordare che nell'antica Grecia solo i pitagorici vi si opponevano con una certa fermezza anche se alcuni dicono che lo stesso Pitagora si sia suicidato, per essi infatti l'anima custodita dal corpo non può essere liberata dalla sua custodia senza l'intervento del dio che ha provveduto a tale custodia.
E lo stesso Platone, riferendosi alla fine di Socrate dichiara: “non è un precetto irragionevole che nessuno debba uccidere se stesso prima che Dio non gli mandi un perentorio comando, come ha fatto ora con noi” Mentre per Epicuro il suicidio è una affermazione della libertà umana sulla necessità della natura, infatti egli dichiara: «È una sventura vivere nella necessità, ma vivere nella necessità non è per niente necessario” Lo stoicismo, in buona sostanza riprende la considerazione aristotelica sul suicidio, si esce dalla vita non per viltà o perché sia bello, ma semplicemente per evitare un male per se stessi e per gli altri, in piena razionalità, coscienza e consapevolezza.
Si sa che le tre religioni monoteiste, fedeli al valore secondo il quale solo Dio è padrone della nostra vita e della nostra morte, un po' riecheggiando in questo il principio pitagorico, pur escludendo ogni forma di metempsicosi, condannano il suicidio o quanto meno lo affidano alla misericordia divina.
Ma qui, come ripeto, non si tratta di una interruzione di una vita cosciente, quanto piuttosto di una vita che non ha fatto in tempo a sbocciare per poi essere destinata a tornare da dove era venuta. Per chi crede in Dio, dall'amore incarnatosi nei suoi genitori da cui proveniva e verso quello universale che aveva mosso anche quello dei suoi genitori.
Ma per chi crede che veniamo dal nulla ed al nulla siamo destinati, l'unica sorte tollerabile resta quella di non soffrire e di non sprecare risorse destinate ad alleviare altre sofferenze.
Sembra che questa, dunque, sia l' “alta” motivazione che ha spinto la Magistratura inglese ad impedire che quella vita così fragile e indifesa potesse essere accolta ancora forse per qualche giorno o settimana, chi può saperlo ormai, in un altro ospedale italiano, senza alcun onere per i contribuenti inglesi né per il sistema sanitario britannico.
Tutti fanno appello alla “infallibilità della scienza” quasi che si dia per scontato che noi non siamo che protesi di un apparato scientifico autoreferenziale che usa le nostre vite solo per auto-potenziarsi, come i film di Matrix hanno bene messo in evidenza.
Però c'è un piccolo granello di senape che se non ha arrestato l'ingranaggio, lo ha fatto vacillare e ha mostrato almeno la sua lucida ed efficiente crudeltà nell'orizzonte mediatico globale.
E' stato quello dell'affetto disperato ma incrollabile dei genitori di Indi che solo chi è passato attraverso l'inferno di un figlio in fin di vita può comprendere, gli altri no, no, sono solo destinati alla discarica delle chiacchiere più o meno competenti.
Un bambino che non può decidere è affidato agli unici che possono decidere al posto suo e che lo hanno chiamato a vivere, bene o male che gli sia toccato di vivere. E questi sono i genitori, mai e poi mai nessuno, nessun apparato, nessuna scienza, nessun sistema giudiziario o sanitario può e deve opporsi alla volontà di questo amore tenace dei genitori i quali amano la vita che hanno generato anche nella sua disperata fragilità, e questo vale anche per ogni altra persona che non sia più in grado di intendere e volere e sia affidata ai suoi cari
La legge arida dell'efficienza e della scienza, per altro sempre perfettibile e mai “esatta” non può e non deve mai sovrapporsi alla legge dell'amore, a meno che non vogliamo rievocare lugubri scenari del passato in cui si eliminavano le persone disabili e più deboli con la scusa di alleviare le loro sofferenze, dimostrando così la macroscopica ipocrisia di una società che condanna il nazismo a parole e poi lo pratica nei fatti con la sua “scienza esatta”. Precisamente come tollera che gruppi neonazisti combattano ancora oggi o come non riesce ancora a sradicare l'antisemitismo.
Pare così che non siano bastati più di 50 milioni di morti per sradicare questa demoniaca tendenza nell'animo umano.
In definitiva però non possiamo trarre spunto da questa tragica vicenda per speculazioni politiche, religiose e nemmeno sociali, ora, come sempre quando una vita viene strappata al dolore e allo strazio di chi l'ha amata con tutto se stesso, c'è spazio solo per la commozione e per il cordoglio. Noi possiamo solo rammaricarci che Indi non abbia trovato, nel momento del trapasso, le braccia e l'affetto dei suoi genitori nella sua casa, perché morire nelle braccia di chi ci è più caro è morire nell'Amore, e morire nell'Amore è morire in Dio.
E' vero che tutto questo non deve distrarci dal considerare che tanti bimbi muoiono straziati ancora dalle bombe e dalla fame, ma il meccanismo che produce la loro morte non è molto diverso da quello tecnico e scientifico che ha decretato quella di Indi. Le guerre e le diseguaglianze sociali sono create a loro volta da un sistema tecnocratico che si autoalimenta e diventa sempre più efficiente, mettendo le ragioni del profitto e della massimizzazione delle risorse a vantaggio di chi lo serve meglio, e destinando masse sempre più sterminate alla discarica della indifferenza o dello sfruttamento. Se i costi esorbitano dalla attitudine compassionevole, è inesorabilmente l'attitudine alla cura amorevole che muore assieme a chi genera costi eccessivi
Nell'Islam quando muore qualcuno si dice: “Inna lillahi wa inna ilayhi raji'un” che vuol dire: “In verità apparteniamo a Dio, e in verità a lui ritorniamo” E Dio è sempre il Compassionevole ed il Misericordioso, per il quale terrorismo, bombe e morte non sono mai giustizia né liberazione, ma sono solo la bestemmia più grande e terribile.
In Inghilterra i musulmani sono già svariati milioni ed in crescita di anno in anno. Magari un giorno saranno in grado anche di orientare questo principio della non soppressone della vita anche nei sistemi giudiziari e sanitari, come in altri paesi, integrandosi con i principi legislativi preesistenti. Sempre ammesso che tale principio sia rispettato anche negli stessi paesi musulmani, perché il nichilismo imperante oggi che sovrappone il potere, la tecnica, efficienza e il profitto che esse generano ad ogni altro valore ha buon gioco anche nell'utilizzare anche i principi religiosi a suo esclusivo vantaggio.
Nel frattempo non solo la civiltà umana ma il mondo stesso è in agonia, con le sue perduranti e stupide guerre, con il suo inquinamento che minacciando persino gli oceani rischia un giorno di non farci più nemmeno respirare, con il suo carico innumerevole di ingiustizie sociali per cui il capo di una multinazionale accumula maggiori profitti di interi stati, con i suoi dissesti idrogeologici che sono ormai all'ordine del giorno, con gli omicidi in famiglia diventati cronaca quotidiana.
Allora un bel giorno (si fa per dire) qualcuno dirà..beh premiamo un bottone e stacchiamo la spina..l'essere umano non merita la Terra, lasciamola a coloro che la meritano e che adesso ci fanno tanto schifo..gli scarafaggi, perché resistono alle radiazioni meglio di noi. In fondo la Terra è madre anche a loro e.. “Ogne scarrafone è bell' a mamma soja”..
Nel frattempo cosa ci resta? Ci resta la speranza, una speranza consapevole e disperata..spes contra spem..una speranza contro ogni evidenza, la stessa che rese Abramo, il quale non sembrava dovere avere figli, padre di molti popoli, la stessa che avevano i genitori di Indi e ai quali è stata negata.
Quella che apre la porta di un mondo migliore, l'unico in cui valga davvero la pena di vivere ed in cui forse Indi e tanti bimbi innocenti strappati al futuro anche in condizioni più tragiche, torneranno a perdonarci tutti, quando quel granello di senape che ha fatto inceppare la nostra coscienza sarà un albero frondoso.
Carlo Felici
Nessun commento:
Posta un commento