E' uno strano segno del destino che il regime fascista si apra con il sacrificio di un socialista come Matteotti, e che si chiuda, venti anni dopo, con il sacrificio di un altro grande socialista come Bruno Buozzi, entrambi socialisti riformisti, entrambi impegnati per emancipare i lavoratori, entrambi in lotta fino alla morte per la libertà e per la giustizia sociale in Italia.
Entrambi rimossi da una politica attuale che sembra dare più risalto a guitti e caciaroni/e, piuttosto che a figure che hanno contribuito a forgiare l'ossatura della nostra Repubblica.
Buozzi, come Turati e Matteotti, apparteneva a quel partito che invano cercò una soluzione parlamentare alla crisi determinata dall'avvanto del fascismo e in particolare, dal delitto Matteotti, aderì alla secessione aventiniana, dopo avere strenuamente contrastato il tentativo fascista di portarlo a collaborare con il regime, esattamente come aveva fatto anche De Ambris che era su posizioni più rivoluzionarie.
Fu costretto per questo all'esilio in Francia, contribuendo validamente ad organizzare le forze antifasciste in esilio e a raccogliere preziose risorse necessarie per combattere in Spagna l'avanzata dei fascisti di Franco, fu lui che assistette l'anziano leader socialista Turati in Francia, fino alla sua morte. Fu poi arrestato, durante l'occupazione tedesca, prima trasferito in Germania poi in Italia.
Fu poi cndannato al confino in Italia a Montefalco, e liberato nel 1943 alla fine di luglio.
Su di lui Di Vittorio scrisse: “fu anche il tipo più compiuto e più vero dell’autodidatta. Pur continuando a lavorare nel suo mestiere di operaio metallurgico, altamente specializzato, s’era formata una vasta cultura, ch’Egli mise, come tutto se stesso, al servizio del proletariato, alla cui causa consacrò e donò la sua vita. Si poteva consentire o dissentire su alcune vedute particolari di Bruno Buozzi - come è capitato al sottoscritto -, ma ci si sentiva sempre legati a Lui da un profondo rispetto e da un grande affetto. Chi scrive - aggiunge Di Vittorio - ha potuto seguire l’opera di Buozzi in Italia ed in esilio ed ammirarne la continuità, anche quando questa opera costava non lievi sacrifici. Io mi legai d’una particolare amicizia personale con Lui, sin dal 1934, da quando fummo per lunghi anni entrambi componenti il Comitato d’unità di azione socialista e comunista, poi nel grande movimento popolare antifascista creato su basi unitarie nell’emigrazione italiana all’estero. Mi sia consentito di affermare che in quella nostra attività comune sorsero i primi germi di quella più vasta unità sindacale realizzata in seguito e di cui Buozzi fu uno degli artefici principali (...)Insieme, ancora, fummo tradotti ammanettati in Italia, attraverso la Germania, passando di carcere in carcere. Ci ritrovammo ancora assieme a Roma, dopo il 26 luglio e durante il periodo dell’occupazione tedesca, nel corso del quale, in riunioni clandestine, furono gettate le basi della nostra odierna unità sindacale, onore e vanto dei lavoratori italiani, che fu principalmente opera di Bruno Buozzi”.
Buozzi fu arrestato dai fascisti il 13 aprile 1944 e condotto a via Tasso, i tedeschi lo inserirono in una lista di prigionieri destinati ad essere evacuati da Roma quando gli alleati erano alle porte della capitale, forse con lo scopo di avere degli ostaggi per poter meglio ritirarsi verso nord.
La sera del 3 giugno, Priebke diede l'ordine di trasferimento e Buozzi fu caricato su un camion, diretto verso la Cassia, la mattina successiva, assieme ad altri 13 prigionieri, tra i quali un agente segreto britannico. Non si sa bene per quali circostanze, forse un guasto, forse per le proteste dei tedeschi appiedati, ma il camion si fermò poco dopo il 14° chilometro della Cassia, prima della Storta in località che oggi si chiama Giustiniana, i prigionieri, vennero fatti scendere e con ogni probabilità, sempre per ordine di Priebke, (che almeno siamo riusciti ad assicurare alla giustizia in Italia dopo la sua fuga in Sudamerica) vennero barbaramente giustiziati.
Sono trascorsi 80 anni da quel sacrificio e il luogo del martirio andrebbe sottratto al degrado e meriterebbe ben altra cura e pellegrinaggi continui da parte delle scuole.
Buozzi oltre ad essere stato uno strenuo oppositore del fascismo, in esilio non smise mai di nutrire una grande speranza per il futuro dell'Italia e, proprio nel 1930, quando Mussolini sembrava godere di grande popolarità, lui che avrebbe avuto tutto da guadagnare, in termini personali a rispondere positivamente agli appelli del duce, così scrisse: “L’esperienza fascista, soprattutto in campo operaio, è ingiustizia atroce, un passo all’indietro, la perdita di anni preziosi. Ma nel popolo italiano, sobrio e lavoratore, tenace e paziente, si registra una forza vitale così meravigliosa, una energia così sincera e così sicura che i lavoratori d’Italia, quando si saranno liberati dal fascismo, sapranno recuperare in fretta gli anni perduti. E di questa parentesi umiliante nella sua violenza e nella sua brutalità gli italiani avranno allora avuto un solo beneficio: la ferma convinzione che la libertà è una condizione necessaria per qualsiasi elevazione delle masse, e che in questo consiste il bene supremo; un bene, però, da conquistare e difendere ogni giorno”
Buozzi chiuse, con il suo sacrificio quella parentesi, non sappiamo cosa pensò prima di morire proprio lo stesso giorno della liberazione di Roma, ma siamo convinti che nel suo cuore c'era l'anelito, la speranza e la fede in una Italia migliore, quella in cui noi tuttora dobbiamo lottare per renderla più dignitosa
Buozzi si adoperò stenuamente per ricomporre quelle fratture della sinistra che erano state la principale causa dell'avvento del fascismo e del suo violento strapotere parlamentare. La sua figura ed il suo esempio andrebbero sempre messi al primo posto, con Matteotti e Carlo Rosselli, entrambi vittime della violenza nazifascista, per costruire uno schieramento coeso e determinato a rinnovare l'Italia grazie ad una unità di intenti e di azione che raccolga larghi consensi proprio in virtù della realizzazione di obiettivi cari al popolo: piena occupazione, sanità garantita per tutti senza costi esorbitanti, scuola pubblica efficiente e competitiva, beni comuni come l'acqua non privatizzati, lavoro per i giovani con salari dignitosi e senza condanne alla precarietà endemica, sussidi per le madri lavoratrici, pensioni adeguate soprattutto per chi è disabile o invalido, impegno sindacale unitario per i lavoratori, senza sconti a governi “amici”, tutela dell'ambiente senza mire speculative che debordino in più spese e tasse per i cittadini, soprattutto tutela della vita dei lavoratori nei loro luoghi di lavoro, fino a far cessare le loro morti bianche. Perché un Paese in cui muoiono otre mille lavoratori in un anno è un Paese che bestemmia la memoria di Matteotti e Buozzi, anche con le sue belle celebrazioni parlamentari.
Questa la differenza tra una sinistra impegnata e credibile e una impegnata solo a raccogliere consensi clientelari per le sue candidature, magari nel salotti “bene”, citando solo Berlinguer e Moro, anziché nelle piazze e nei luoghi di lavoro messi a rischio.
In poche parole una sinistra che sappia anche fare a meno della parola “sinistra” fin troppo abusata e fin troppo poco credibile ormai, per essere sempre ed autenticamente, come Matteotti, Buozzi e Rosselli, SOCIALISTA.
Carlo Felici
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