In un mio intervento di ieri avevo
scritto che avrei rimandato ad altra sede alcune mie ulteriori
critiche al caro amico Diego, che pur continuo a stimare e a
considerare uno dei più validi filosofi italiani di oggi (non
aggiungo giovani, perché Epicuro guarda anche me)
Ebbene, egli, in particolare, in quasi
tutti i suoi interventi, mette in risalto che ci sono due date
cruciali che inaugurano l'era del capitalismo assoluto: la caduta del
muro di Berlino nel 1989, e, ancor prima il 1968.
Quest'ultimo momento, in particolare,
segnerebbe una sorta di divaricazione assoluta tra capitalismo e
borghesia, tale da portare ad una rimozione completa di quella
coscienza “infelice” di cui buona parte della stessa borghesia,
fino ad allora, era stata dotata, e che le aveva consentito di
impugnare la bandiera rossa anche quando non ne aveva bisogno.
Il 1968, come movimento definito da
Diego, antiborghese ma non anticapitalista, avrebbe inoltre generato
una sorta di annichilimento dello stesso “métron” di cui, pur
nei suoi valori spesso bacchettoni, la borghesia sarebbe stata sempre
dotata, inducendo al “vietato vietare” al “tutto è possibile”
e, in definitiva, alla smodatezza della dsimisura, conseguenza della
quale, sottolinea sempre Diego, mutatis mutandis, sarebbe anche il
fenomeno del “berlusconismo”.
Fu davvero così? E' questa una
definizione sufficientemente documentata di quel fenomeno, in
particolare, da parte di chi non lo ha vissuto in prima persona?
Sul 1968 esiste una analisi molto ben
documentata e ben dettagliata, svolta da uno dei suoi protagonisti:
Roberto Massari e condensata in un libro che consiglio a tutti di
leggere con attenzione, dal titolo: “il '68 come e perché”Roberto Massari editore.
In quest'opera viene spiegato
dettagliatamente quel fenomeno, che si dimostra essere stato non una
specificità italiana, ma un evento di portata internazionale e
globale. E per di più, si dimostra che esso fu accompagnato da una
straordinaria stagione di lotte sociali e salariali, spesso coronate da successo (basti pensare solo allo Statuto dei Lavoratori e al nuovo Diritto di famiglia), che oggi, in
piena regressione e recessione non solo economica, ma anche sociale,
fa molto comodo rimuovere anche dalla memoria.
Scrive Massari: “Chi crede ancora
oggi che pesanti attacchi al livello di vita delle masse implichino o
favoriscano necessariamente decise risposte da parte degli stessi
lavoratori colpiti, dovrebbe solo confrontare lo svolgimento dimesso
e assai insoddisfacente dei rinnovi contrattuali del '66 con l'ondata
delle lotte del '69” Non gli consigliamo ulteriori confronti
con il presente perché sarebbero assai deprimenti.
Quelle lotte furono condotte, infatti,
autenticamente contro un modello di capitalismo che incentivava lo
sviluppo economico a scapito della forza lavoro.
Nella parte finale dell'opera di
Massari vi è un intero paragrafo dedicato al significato
anticapitalista del '68, che vorrei che Diego leggesse con
attenzione, per ovvie ragioni di spazio non lo posso menzionare
tutto, ma una parte significativa la posso riportare ed è la
seguente:
“Per chi volesse negare che vi
fosse una forte carica anticapitalista nel movimento degli studenti
e/o quello dei lavoratori, si potrebbe citare l'atteggiamento
dell'avversario. I principali responsabili del funzionamento del
sistema capitalistico italiano non ebbero dubbi: l'unità degli
operai con gli studenti era percepita come una minaccia rivolta
contro le fondamenta stesse del potere, dello Stato e, in quanto
tale, venne affrontata come un autentico pericolo. I provvedimenti
che furono adottati (dalla strategia della tensione al graduale
inserimento dei riformisti nella compagine di governo) [il '68 fu
anche, come movimento radicale, antiriformista n.d.r.] lo stanno a
dimostrare.”
Per gli ulteriori ed innumerevoli
aspetti di un fenomeno che va tuttora studiato con perizia
storiografica, e che non si può certo liquidare con due o tre
slogan, rinvio alla lettura dettagliata del libro menzionato.
Certo che, in un momento di particolare
tensione sociale come quello contingente, in cui sia il mondo
giovanile che quello del lavoro risultano fortemente penalizzati dal
modello imperante di turbocapitalismo globalizzato, rimuovere la
memoria storica di un fenomeno che fu la prima concreta reazione
globale al suo progredire inarrestabile fa molto comodo, soprattutto
a chi, come ripete anche Diego, “lavora per il re di Prussia”
E veniamo dunque anche all'altra questione sulla quale vale la pena di soffermarsi e che emerge da alcuni scritti e da alcune dichiarazioni di Diego, quella che riguarda l'antifascismo.
In una intervista egli afferma, in
particolare: “Per
questo io dico che il lavoro precario è la forma lavorativa più
meschina dal tempo dei sumeri ad oggi; è una schiavitù perfetta
quella del lavoro precario, perché ti rende sempre disponibile alla
“chiamata” del capo e, di più, ti priva di ogni possibilità di
progettarti l’esistenza. Oltre a costringerci a questo schifo, ci
dicono che il problema era il fascismo, il nazismo o il comunismo,
che certamente sono stati problemi nel Novecento, ma sono problemi
per fortuna estinti. Il mio problema non è il fatto che ci sia il
fascismo o il comunismo o il nazismo, il mio vero problema è l’oggi,
e si chiama capitalismo: il mio problema, in altri termini, è
il fatto che non ci sia lavoro, che a fine mese non arrivi lo
stipendio, che si possa licenziare senza una giusta causa, che tutto
– anche l’uomo – sia considerato merce. Per questo trovo
indecente questa retorica di antifascismo, anticomunismo e
antinazismo, in assenza completa di fascismo, comunismo e nazismo.”
Già
qui possiamo rilevare che, ad un attento osservatore dei fenomeni
storici e sociali, il fatto di accomunare nazismo, fascismo e
comunismo, sebbene in una sorta di opposizione che viene individuata
come “retorica” è piuttosto improprio, data la specificità di
ciascun fenomeno, e che, oltre a ciò, ognuno di essi (in
particolare, il fascismo e il nazismo) non è avulso dal capitalismo
e da ciò che esso ha generato e continua a generare nella storia, in
piena continuità tra Ottocento, Novecento e Terzo Millennio
incipiente, solo la lettura di un libro come quello di Rehinard Kuhn
“Due forme di dominio borghese: Liberalismo e Fascismo” lo
dimostra ampiamente.
La
chiamata autoritaria di un capo fascista, non era altro che il
prodotto generato dalla chiamata di un capo capitalista, lo stesso
che aveva abbondantemente sovvenzionato l'ascesa del capo fascista al
potere e che oggi genera forme analoghe di poteri a cui ci si dice in
continuazione che non si può opporre alcuna alternativa.
Certo,
i fenomeni storici non si presentano mai nello stesso modo nel tempo
e tanto meno con lo stesso nome, lo stesso fascismo, nella sua
dinamica e dialettica diacronica, fu soggetto a trasformazioni
interne: una cosa fu il Sansepolcrismo, altra lo squadrismo, altra
ancora il regime-stato fascista, altra infine l'epilogo
repubblichino. Solo il regime-stato fascista si è suicidato
definitivamente il 25 luglio del 1943, ma il resto?
Altra
è infatti la forma con cui il neofascismo si è ripresentato,
talvolta anche in giacca e cravatta, nel dopoguerra e che tuttora
festeggia il centenario di certi sgherri nazisti.
Pochi
nostalgici? Poca cosa, specialmente su scala internazionale? Non
direi, specialmente considerando certe reiterate violenze ed insulti
contro categorie specifiche di persone, come omosessuali, immigrati,
persino ministri italiani di origine africana ed osservando varie e
crescenti recrudescenze come Alba Dorata che sembrano alimentate
oggi, come nel periodo della crisi del 29, proprio dalla miseria,
dall'insicurezza e dal disorientamento sociali determinati dalla
crisi generata dal turbocapitalismo.
Possiamo
dunque dire con Diego che siamo “in assenza totale di fascismo”?
Che il fascismo è solo stato rappresentato dalla sua forma più
eclatante incarnata dallo stato-regime?
Lascio
serenamente la risposta alla coscienza storica, civile e politica di
ciascuno.
E
ancora: si può, oggi, socraticamente, dialogare con tutti, anche se
tra quei tutti vi è chi, in spregio ai valori costituzionali,
si richiama espressamente a ciò che considera tuttora valore e
cultura fascista, dimostrando, quanto meno, con ciò, di
“rispettarla”, come pare che lo stesso Diego faccia, rilasciando
certe interviste?
Certamente
ognuno, quando qualcuno le chiede (che sia ANPI o Cultura Fascista
forse per Diego è lo stesso), è libero di accettarle o rifiutarle,
ma noi siamo ancora convinti che una società libera non possa
includere negli orizzonti della libertà e del rispetto chi fa aperta
professione di voler cancellare tali prospettive, avendo dimostrato
ampiamente nel corso della storia di averlo già fatto.
Sandro
Pertini, che per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di
conoscerlo e di stimarlo, resta di gran lunga, specialmente oggi, il
Presidente della Repubblica più amato dagli italiani, alla domanda:
“lei rispetta anche i fascisti?” rispose seccamente: “no perché
il fascismo è l'antitesi della fede politica, perché opprime tutti
coloro che la pensano diversamente”
Antifascismo
e anticapitalismo sono infatti tuttora la stessa cosa, è quindi del
tutto inopportuno ed antistorico separare i due fenomeni o
addirittura vederli come contrapposti.
Questo,
ovviamente, senza indulgere in alcuna forma di retorica celebrativa
autoreferenziale o, peggio, senza fare in modo che l'uno adombri
l'altro con improprie strumentalizzazioni
Un
libro purtroppo assai raro e difficile da leggere tuttora, e non si sa perché, di
Giacomo Matteotti: "Un anno di dominazione fascista" che circolava, ovviamente solo all'estero, prima che
egli fosse assassinato dagli sgherri fascisti, prova ampiamente la
natura capitalista del fascismo ed il suo intento di precarizzare il
mondo del lavoro, rendendolo anche corporativamente dipendente dagli
interessi del capitale.
Nella
sua introduzione egli scrive: “l'economia
e la finanza italiana, nel loro complesso, hanno continuato quel
miglioramento e quella lenta ricostruzione delle devastazioni della
guerra, che erano già cominciati ed avviati negli anni precedenti;
ma ad opera delle energie sane del paese, non per gli eccessi o le
stravaganze della dominazione fascista; alla quale una sola cosa è
certamente dovuta : che i profitti della speculazione e del
capitalismo sono aumentati di tanto, di quanto sono diminuiti i
compensi e le più piccole risorse della classe lavoratrice e dei
ceti intermedi, che hanno perduta insieme ogni libertà e ogni
dignità di cittadini”
Le
ultime tre righe sono piuttosto emblematiche e si adattano
perfettamente anche alla realtà odierna di un regime politico che ci
appare sempre di più come quello di un monopartitismo imperfetto
Il
fascismo appena salito al potere, come ci ricorda lo stesso Matteotti
nel libro menzionato: “ha tassato per la prima volta (ma
possiamo aggiungere non l'ultima) tutti i salari dei dipendenti
dello Stato, Enti, Comuni, Società ferroviarie e tranviarie e di
navigazione (Decreti 16/novembre 1922n.1660 e 21 dicembre 1922
n.1661), decurtandoli in una ragione media del 10%, ha iniziato nuove
imposte sui redditi anche pei piccoli agricoltori, e mantenute le 20
lire sui prodotti vinicoli nonostante la riduzione dei prezzi”
Altre misure tributarie che ci ricordano dannatamente il
presente.
Se
i banchieri di JP Morgan, cardinali supremi del monoteismo del
mercato, dicono apertamente che per
arrivare a creare il Nuovo Ordine Mondiale, (Governo Mondiale)
bisogna che gli Europei smantellino la loro Costituzione Antifascista
e troppo spostata a Sinistra, una ragione pur c'è, e quindi non
vorremmo che la rimozione dell'antifascismo fosse proprio il “lavoro
del re di Prussia” di cui tanto Diego parla e che non ci pare di
voler svolgere, tanto meno da cottimisti.
Diceva
Alain
(Émile-Auguste Chartier), ne Le avventure del cuore, 1945 :
“La storia è un grande presente, e mai solamente un passato.”
Non
può dunque esistere né sussistere alcuna piena coscienza del
presente in atto se non sia indissolubilmente accompagnata da quella
del corso degli eventi storici. La “magistra vitae” non insegna
nulla a chi non vive con un Io pienamente attualizzato e
storicizzato, ma questo Diego lo sa meglio di chiunque altro, come ha
ampiamente dimostrato nel suo ultimo libro, molto ben riuscito: “Idealismo e Prassi”.
Tuttora
il “fare” coincide con l'agire, per affrontare e vincere gli
ostacoli e non arrestarsi al contingente, in questo Diego è
bravissimo, nel medesimo testo, a notare, seppur da prospettive con
esiti divergenti, la consonanza filosofica tra Gentile e Gramsci.
E
se allora questo è vero, dobbiamo anche chiederci se la missione di
un “dotto” sia solo quella di parlare e di scrivere o non
piuttosto anche quella di lottare e partecipare o almeno protestare, specialmente se i suoi conterranei cercano strenuamente di
salvare la loro terra dalla devastazione ambientale e dalle
speculazioni mafiose, con un progetto che la Francia ha di fatto
accantonato e che qui, invece, si vuole portare avanti a tutti i
costi solo per far tornare un clima da "anni di piombo".
Anche
in questo caso, in ultimo, come nell'intervento precedente, non
vorremmo che la
riposta fosse consegnata ai posteri, e tanto meno..agli attuali
poteri..
E
con questo le “punture inoculanti” sono finite..per ora..
C.F.
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