Nel mio ultimo intervento sulla Val di
Susa dicevo che se la situazione non è degenerata, ciò è stato
dovuto anche al fatto che nel cantiere erano presenti dei magistrati
e che ciò andava riconosciuto senza se e senza ma, inoltre che tale
lotta avrebbe dovuto svolgersi in maniera pacifica e con la
partecipazione corale di tutte le amministrazioni locali, a
dimostrazione che questa è una sacrosanta lotta popolare e non di
frange estremiste.
Non sono stato evidentemente io
l'artefice del fatto che questa svolta di partecipazione massiccia e
popolare c'è stata secondo quelli che erano anche i miei auspici, ma
chi, probabilmente, si è trovato alquanto sbilanciato da tutto ciò,
e non ha potuto più autolegittimarsi come unico tutore dell'ordine
e della pace costituita, mediante la sua necessità di “sorvegliare
e punire” si è giocato un'altra carta.
Di qui la reazione scomposta nel
definire terroristica e con fini eversivi l'azione dei dimostranti in
lotta, per giustificare arresti e perquisizioni che però non hanno
portato a riscontrare nulla di concretamente sovversivo.
Il "Cui prodest?" è consequenziale e
conferma quello che avevo già messo in risalto in precedenza: si
vuole alzare il tono dello scontro e dei media, per suscitare un
clima da anni di piombo che giustifichi provvedimenti libertici
emergenziali, tirando fuori l'articolo 270 del Codice Penale che
riguarda le attività per fini terroristici e non gli articoli
624-649 del medesimo codice che riguardano i reati contro il
Patrimonio Pubblico (sempre ammesso e concesso che pubblico sia ciò
che sta nel cantiere e non di ditte private) o addirittura più
semplicemente l'articolo 635 che riguarda il reato di danneggiamento.
Ovviamente, sempre considerando ciò che concretamente è accaduto
nella notte delle proteste.
Ma cosa dice effettivamente l'articolo
270 bis del codice penale, come sostituito dall'articolo 1 della
legge 15 dicembre 2001 n.438 ? E' presto detto:
“Chiunque promuove, costituisce,
organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il
compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di
eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da
sette a quindici anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è
punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Ai fini della legge
penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di
violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione e un
organismo internazionale. Nei confronti del condannato è sempre
obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate
a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il
prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego"
Nel merito di tale questione abbiamo anche l'articolo 280 che così recita e che pare sia stato contestato ad alcuni attivisti:
Nel merito di tale questione abbiamo anche l'articolo 280 che così recita e che pare sia stato contestato ad alcuni attivisti:
"Articolo 280. Attentato per finalità terroristiche o di eversione. Chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico attenta alla vita od alla incolumità di una persona, è punito, nel primo caso, con la reclusione non inferiore ad anni venti e, nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei.
Se dall’attentato alla incolumità di una persona deriva una lesione gravissima, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni diciotto; se ne deriva una lesione grave, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni dodici.
Se i fatti previsti nei commi precedenti sono rivolti contro persone che esercitano funzioni giudiziarie o penitenziarie ovvero di sicurezza pubblica nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, le pene sono aumentate di un terzo.
Se dai fatti di cui ai commi precedenti deriva la morte della persona si applicano, nel caso di attentato alla vita, l’ergastolo e, nel caso di attentato alla incolumità, la reclusione di anni trenta.
Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti previste nel secondo e quarto comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste (1)."
Se dall’attentato alla incolumità di una persona deriva una lesione gravissima, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni diciotto; se ne deriva una lesione grave, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni dodici.
Se i fatti previsti nei commi precedenti sono rivolti contro persone che esercitano funzioni giudiziarie o penitenziarie ovvero di sicurezza pubblica nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, le pene sono aumentate di un terzo.
Se dai fatti di cui ai commi precedenti deriva la morte della persona si applicano, nel caso di attentato alla vita, l’ergastolo e, nel caso di attentato alla incolumità, la reclusione di anni trenta.
Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti previste nel secondo e quarto comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste (1)."
In tutti i casi abbiamo due termini specifici che rendono del tutto peculiare la "finalità":
“terrorismo ed eversione dell'ordine democratico” sui quali vale
la pena di soffermarsi. Non esiste una definizione giuridica
internazionalmente condivisa del termine, data la indeterminatezza
della “illiceità” che esso sottintende. Terrorismo è infatti
una definizione polemica di contrasto a chi mette in atto azioni
eclatanti particolarmente feroci e disumane, che, per la loro
efferatezza, non possono non includere anche vittime. Di conseguenza
il terrorista viene assimilato ad una sorta di criminale assassino
con finalità eversive.
Dati i fatti, l'accusa risponde
concretamente alle azioni riscontrate? Le vittime "con lesioni gravissime" ci sono? Si è "attentato" a degli oggetti o a "delle persone"?
C'è inoltre da rilevare che questo
articolo è stato introdotto proprio per la pericolosa valenza
internazionale del reato di terrorismo. Esistono concretamente dei
collegamenti o le prove “internazionali” che possono indicare che
il reato è effettivamente corrispondente al capo d'accusa?
La questione della definizione di
terrorismo costituisce, per questo, il presupposto di qualsiasi analisi
di diritto internazionale condotta in tale ambito: ad esempio se gli
atti di terrorismo siano in sé 'illegali' secondo il diritto
internazionale, e su quali basi; in quali circostanze uno Stato -
vittima possa, per esempio, “legalmente” rispondere con le armi
ad atti di terrorismo e nei confronti di chi, o a livello individuale
o per quel che concerne uno Stato.
Questo il capo d'accusa non lo spiega:
siamo sotto attacco internazionale? E da parte di chi? Quali sono gli
organismi eversivi, dato che l'articolo parla esplicitamente di
“associazioni”? Quali le loro connotazioni politiche? I loro
volantini di rivendicazione?
Passiamo poi alla questione dell'ordine
democratico che il terrorista attacca esplicitamente secondo il
menzionato articolo. I fatti della Val di Susa riguardano l'ordine
democratico o l'ordine pubblico? Perché se di ordine pubblico si
tratta, allora vige l'articolo 650 del Codice penale, non l'articolo
270 bis.
Come si sarebbe terrorizzato l'ordine
democratico? Danneggiando un cantiere? E da quando in qua un cantiere
rappresenta le istituzioni democratiche?
Da quando in qua le istituzioni democratiche di un paese sono rappresentate dalla necessità di bucare una montagna o da gru e megatalpe?
Le forze di polizia presenti in quel territorio tutelano l'ordine pubblico o le istituzioni democratiche?
Questo è un punto assai delicato e cruciale, specialmente se si considera il reiterato uso di reparti antisommossa per questioni che sono preponderantemente di ordine sociale, più che criminale in senso stretto.
E la criminalizzazione dei conflitti sociali è molto pericolosa per una democrazia che voglia restare tale
Le forze di polizia presenti in quel territorio tutelano l'ordine pubblico o le istituzioni democratiche?
Questo è un punto assai delicato e cruciale, specialmente se si considera il reiterato uso di reparti antisommossa per questioni che sono preponderantemente di ordine sociale, più che criminale in senso stretto.
E la criminalizzazione dei conflitti sociali è molto pericolosa per una democrazia che voglia restare tale
Ecco, tornando al famoso “cui
prodest?”, che la questione non è tanto giuridica ma resta
strettamente strumentale, per montare un caso a cui i media
monopolizzati diano risalto, per spingere l'opinione pubblica ad
avere paura delle proteste e dell'azione, non questa volta di pochi sparuti ma
feroci ed assassini gruppi, bensì di un popolo, in cui, come accade
durante le proteste, non di rado si infiltrano pure frange violente
fuori controllo.
Siamo dunque “tutti terroristi”
come campeggia nello slogan della pacifica popolazione di Bussoleno?
O siamo piuttosto tutti vittime di un
attacco alla democrazia rappresentata, in primis, dalle
organizzazioni territoriali democraticamente elette?
La giurisprudenza, in ogni caso, parla
chiaro. Ignorantia
legis non excusat nemmeno
un magistrato.
Per
questo il nostro auspicio resta sempre che a prevalere sia la
consapevolezza, il dialogo, il rispetto scrupoloso della legalità,
e, per di più, la concretezza del progettare e dell'agire politico
che non può non essere legittimato, in una democrazia, solo dal
largo consenso popolare.
Se
ciò non dovesse accadere, dovremmo rassegnarci alla perdita della
libertà e della democrazia, e lottare duramente per recuperarla, non sarebbe la prima volta nella storia,
è già accaduto quando i partigiani della Val di Susa venivano
sdegnosamente chiamati “banditi”
Anche
allora la lotta durò a lungo..però si sa bene come è finita. E non
dubitiamo che quel popolo, oggi come allora, sia sempre lo stesso.
C.F.
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