di Carlo Felici
Il titolo di questo mio intervento già
parla da solo: una zanzara non è un tafano, come poteva esserlo
Socrate, forse può essere altrettanto fastidiosa, ma sicuramente
risulta meno pericolosa e più facilmente eliminabile, e con ciò
voglio significare scherzosamente che non pretendo certo di
confrontarmi con il pensiero di Fusaro in senso ermeneutico, storico
o tanto meno filologico, per fare questo bisognerebbe scrivere
altrettanti libri rispetto a quelli che lui ha scritto e sta ancora
scrivendo.
Guai, però, se la critica fosse
riservata solo agli “accademici”, se cioè una democrazia (sempre
ammesso e non concesso che di democrazia ancora si possa parlare
quando si parla la lingua italiana oggi) non lasciasse alzare in
piedi qualcuno a “dire la sua”..bella o brutta che sia,
straordinariamente acuta o pietosamente ignorante che possa
mostrarsi.
E quindi lungi da me il voler scrivere
le “brevi note sull'universo fusariano”, io Diego, contrariamente
a coloro che lo hanno scoperto solo ora, magari senza averlo mai
letto, o a cui sembra (lo dico scherzosamente) l'ultimo profeta del
pensiero libertario, lo conosco da quando muoveva i primi passi nel
suo sito, di “piccolo appassionato della filosofia” e ci si
incontrava lì, in un forum artigianale di filosofico.net,
che non aveva né l'appeal e tanto meno la straordinaria eco
mediatica delle piazze o delle televisioni a cui si rivolge ora il
nostro caro Diego.
L'ho visto quindi crescere e
progressivamente uscire, lanciandosi fuori da quello che lui stesso ha
definito, seguendo la metafora lukàcciana: il “Grand Hotel
Abisso”, in cui sicuramente i filosofi accademici e di stretta
marca professionale, più che avvertire la vertigine del “burrone”,
continuano ad “imburrare” le loro colazioni quotidiane.
Fu lui stesso, nell'ultima circostanza
in cui ci siamo incontrati, ad esortarmi ad essere “cattivissimo”
con lui, memore del fatto che, in ogni caso, la mia stima nei suoi
confronti, non sarebbe mutata di un millimetro.
Ovviamente di essere “cattivissimo”
non mi riesce nemmeno con il mio “peggior nemico” sempre ammesso
e non concesso che ce ne sia qualcuno, mentre resto serenamente
seduto sull'argine sinistro della storia, ma può darsi lo stesso che
qualcuno prima o poi, passi anche di là, magari galleggiando tra una
crisi ed un' altra..politica..giudiziaria..sociale..economica..basta
solo avere un po' di pazienza, ovviamente non troppa. E quindi
figuriamoci se posso esserlo con chi ho visto crescere passo dopo
passo, come cresce un figlio..e lungi da me ogni accento
paternalista.
Bene, adesso ho smesso di gironzolare e
di fare..zzzzzzzzz..vediamo dunque di fare almeno qualche punturina..
Allora, la prima questione riguarda
Marx (delle altre magari mi occuperò in un altro intervento), o
meglio sarebbero tante le questioni di cui parlare, in merito
all'interpretazione di Diego, a me ne sta a cuore una: quella della
coscienza e lotta di classe, di cui mi pare che Diego non abbia
fornito una particolare trattazione.
In particolare nelle pagine 290-291 del
suo libro: “Bentornato Marx”, Diego ci dice che “la prospettiva
marxiana, che sembra nutrirsi di un ingenuo ottimismo positivistico,
nei confronti della scienza e della tecnologia, è stata
adeguatamente superata dagli scrittori della scuola di Francoforte
che l'hanno sottoposta a critica muovendo in particolare dall'analisi
dei mass media”.
E ciò nonostante poco prima lo stesso
Diego citi Marx quando afferma che: “le macchine non cesseranno di
essere agenti della produzione sociale quando diventeranno, per
esempio, proprietà degli operai associati”
Come è facilmente possibile capire, il
passaggio dalla analisi di Marx rispetto alle prospettive future e
non escatologiche del suo pensiero, e soprattutto rispetto agli esiti
seguiti dalla tecnica e dalla scienza è proprio nel fatto che tale
tecnica e tale scienza non sono gestite da una comunità (che oggi
ovviamente non potrebbe, mutatis mutandis, essere più solo quella
degli operai), ma da un gotha di potere che però persegue le stesse
finalità di quelle a cui tendeva ai tempi di Marx.
In poche parole, l'autopotenziamento
della scienza e della tecnica avviene tuttora (come ai tempi di Marx)
per fini di profitto, ed ha come precondizione la riduzione
dell'essere umano e della natura a merce per perseguire tale scopo.
Cosa c'è quindi che Diego considera
ottimistico in Marx e che invece era solo “programmatico”, anche
se tuttora irrealizzato? Appunto una coscienza e una lotta di classe,
ottenute e condotte per fini rivoluzionari, per conseguire cioè una
emancipazione umana che contraddica l'orizzonte tecnocratico che i
vari sacerdoti del contingente, da Heidegger a quelli dei rotocalchi
femminili, danno per inamovibile, quello che lo stesso Diego
smaschera come capitalismus sive natura (o tecnicismus sive natura..è
lo stesso)
Diego prosegue la sua analisi nelle
pagine successive mettendo in risalto che “per questa via, contro
ogni senso comune, il comunismo rappresenta il trionfo dell'individuo
affrancato da ogni vincolo e finalmente posto nelle condizioni di un
libero sviluppo all'interno di rapporti razionali con i propri
simili”, e non possiamo che concordare con ciò che smentisce
seccamente il fatto che Marx sia l'ispiratore di una società totalitaria che
asservisce l'individuo allo Stato e alla sua nomenklatura di potere.
Però, ed ecco la domanda da un milione
di dollari..(dico dollari perché l'euro a Diego piace poco..ma di
questo parleremo poi..)..come si arriva a tutto ciò?
Ecco il punto dolente che forse, oggi,
è più necessario capire: siamo arrivati alla soluzione, o meglio
alla enumerazione scientifica, partendo dalla evidenza, ma saltando a
piedi pari il metodo di analisi e della sintesi del processo di lotta
necessario per conseguirla.
In effetti, nelle sue varie e
pregevolissime conferenze pubbliche, a cui i sacerdoti del contingente
o si sottraggono o per le quali essi non vogliono essere
contraddetti, oppure lautamente remunerati, a Diego, mi pare a
Leuca, qualcuno ha provato a chiedere se esiste una alternativa, se
esiste un modo per uscire dalla cosiddetta “gabbia di ferro”
della meteorologia turbocapitalista, ma egli si è limitato a
rispondere che una adeguata coscienza del mondo in cui si vive e si
opera è già una valida alternativa..può bastare?
L'ardua risposta non vorremmo fosse
consegnata necessariamente ai posteri, mentre oggi resta saldamente in
mano ai poteri, dato che la crisi, purtroppo, sta facendo già
moltissime vittime, specialmente tra coloro che difficilmente
potranno permettersi di partecipare ad un dibattito filosofico, ma
che pur restano essi stessi portatori di una cultura e di una
filosofia le quali, gramscianamente, non si negano a nessuno.
Karl Mannheim, in Sociologia
sistematica. Introduzione allo studio della società, 1967 ci spiega
molto bene la differenza che passa tra Coscienza di classe e "falsa
coscienza" in Marx:
"L'esistenza di interessi di
classe non significa che di essi si rendano sempre conto i membri
della classe medesima. Si può appartenere ad una classe, secondo
Marx, perché si è salariati, ma se si è piccoli impiegati,
verosimilmente si cela a se stessi il fatto di essere salariati e si
sposano gli interessi ed i pregiudizi della classe capitalista. In
questo caso, dice Marx, si ha "una falsa coscienza", ed è
solo attraverso il chiarimento e la propaganda che potrà essere
compresa la reale posizione nella società. E' difficile mostrare
chiaramente l'esistenza della coscienza di classe. Per esempio, una
classe dirigente può cercare di sminuire il sentimento di
appartenenza ad una classe, o può darsi anche che fra i membri di
una classe interessi temporanei siano in contrasto con interessi
generali oppure con interessi a lungo termine. Secondo Marx, la
coscienza di classe nelle classi oppresse può restare celata per
lungo tempo, ma prima o poi l'antagonismo esistente nella società
conduce ad una rivoluzione sociale: "Prima o poi, quando le forze produttive della società raggiungono un
punto in cui il loro ulteriore sviluppo è ostacolato dalle istituzioni
sociali esistenti, la lotta di classe diventa acuta ed è allora che essa
diventa la principale forza verso la riorganizzazione sociale". In
questa rivoluzione il proletariato deve impadronirsi dello Stato e del
suo intero apparato al fine di far scomparire quelle vecchie istituzioni
che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive e che mantengono la
struttura di classe"
Questo è dunque
l'anello di congiunzione che manca e che segna la profonda differenza
tra l' “ottimismo” e la “programmazione della lotta”,
particolarmente dolente oggi in una realtà in cui, come appare ormai
del tutto evidente, le forze produttive stanno già scardinando a
livello transnazionale, le istituzioni sociali esistenti e, pur
tuttavia, manca una adeguata lotta di classe o popolare che si faccia
acuta e che la porti a diventare il motore della riorganizzazione
sociale.
Possiamo dire che
oggi le “classi subalterne” non esistono più? Che il
“proletariato”, per definizione è scomparso? Direi proprio di
no, perché, nonostante la polverizzazione del dissenso e della
subalternità sociale, dovuta a marginalizzazione e a precarietà
endemica, il conflitto di classe esiste come se non più di un secolo
o due fa, specialmente se oggi lo osserviamo su scala globale.
Quelle che mancano,
invece, sono una coscienza ed una lotta globale adeguate ad eliminarlo.
Ma cos'è, in
definitiva, la tanto vituperata “lotta di classe”, che moltissimi
imbonitori o demistificatori delle lotte sociali, fino a demonizzarle
sotto le false spoglie del “terrorismo”, ci vorrebbero far
credere superata dal “migliore dei mondi possibili” o meglio, da
quello a cui è impossibile trovare alcuna alternativa, per diktat
istituzionale?
Ebbene,
ce lo spiega con spirito altrettanto scientifico rispetto a Marx, uno
studioso libertario della
terra come Jacques Élisée Reclus che partecipò attivamente alla
lotta per la Comune di Parigi: la lotta di classe non è altro che «la
ricerca dell'equilibrio».
Tale lotta oggi, quindi, è imprescindibile per riequilibrare il mondo, e va dunque affrontata con strumenti culturali, economici e sociali globalmente avanzati. Perché oggi salvare la Terra e salvare l'Umanità dal terribile squilibrio messo in atto da una economia a senso unico globale turbocalitalista che non accetta freni e nemmeno regole, preda come è della dittatura dei “mercati”, è la stessa cosa, e vuol dire proprio mettere in atto tale prassi rivoluzionaria su scala globale.
Tale lotta oggi, quindi, è imprescindibile per riequilibrare il mondo, e va dunque affrontata con strumenti culturali, economici e sociali globalmente avanzati. Perché oggi salvare la Terra e salvare l'Umanità dal terribile squilibrio messo in atto da una economia a senso unico globale turbocalitalista che non accetta freni e nemmeno regole, preda come è della dittatura dei “mercati”, è la stessa cosa, e vuol dire proprio mettere in atto tale prassi rivoluzionaria su scala globale.
Quindi,
tornando a Diego, possiamo dire che la sua è una interpretazione di
Marx molto in linea con quella di Gentile e di Preve, ma non è detto
che sia la migliore, anche se è sicuramente fondata e coerente con
certe sue premesse hegeliane e fichtiane.
Marx
fu sicuramente anche filosofo, e filosofo assolutamente antidogmatico,
lo stesso materialismo storico ci appare come una ontologia
dell'essere sociale in nuce ed in fieri. Probabilmente, però, dire
di lui ciò che lui esplicitamente non disse, anzi che sconfessò
decisamente, anche se non veniamo mai valutati da ciò che diciamo di
noi stessi, può essere una forzatura. In ogni caso, il pregio
dell'ultimo libro di Diego “Idealismo e prassi: Fichte, Marx e
Gentile” è soprattutto quello di sottrarre l'idealismo ad una
sorta di cristallizzazione astratta e totalitaria, restituendogli la
freschezza di una dimensione eversiva che consiste e sussiste nella
sua irriducibile fede nel divenire in atto e non solo storicizzato,
nel riportarlo cioè a quella sua fonte originaria, di matrice
schiettamente rivoluzionaria.
Possiamo
però limitarci a dire che solo un Io pienamente consapevole,
storicizzato ed attualizzato, potrà salvarci nell'antitesi Idealismo
o barbarie?
Forse
sì, considerando gli esiti tuttora straordinari che questa
ispirazione culturale e filosofica può ancora darci, nell'immaginare
un mondo altro dalla fenomenologia di un contingente in cui si
vorrebbe consegnare la storia stessa all'agenzia delle pompe funebri.
L'Io, nel farsi noi, come umanità emancipata nelle sfide del XXI
secolo, non può che affrontare però una sua ulteriore dilatazione e
storicizzazione, includendo nel superamento dell'antitesi con il non
Io, un nuovo e migliore rapporto con la natura. E qui credo che
all'Io fichtiano tuttora preda di un prassismo etico desocializzato,
vada dato un nome più concreto e calzante nell'antitesi attuale e
più dirompente: Ecosocialismo o barbarie!.
Così, proprio nel superamento di questa antitesi vi è la “puntura”
della zanzara a cui, per ora Diego Fusaro non fa molto caso, ma che
resta l'unico modo per inoculare, mediante lo sciame, la sindrome
concreta del cambiamento: la lotta di classe. Che va sottratta alla
disinfestazione preventiva di un contingente arroccato politicamente,
economicamente e persino giudiziariamente sulle proprie posizioni
autoreferenziali
Qualcosa
di cui, anche in Italia, qualcuno comincia a rendersi conto, anche se
solo, per ora, empiricamente, qualcosa che si tenta persino di
spacciare come “terroristico”, magari infiltrandolo ed
inquinandolo artificialmente con virus nichilisticamente e
sterilmente distruttivi, qualcosa che però sta trascinando con sé,
in Europa e nel Mediterraneo, interi popoli, anche se essi non sono
ancora, (questa volta loro) “bentornati” a Marx.
Sarà
la “malaria” del nostro paludoso e paludato tempo, cristallizzato
artificiosamente su se stesso, oppure, il vero vento nuovo di una
rivoluzione in atto?
Non
consegniamo la riposta ai posteri, e tanto meno..agli attuali poteri..
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