di Riccardo Achilli
"La Grecia deve uscire subito dall'euro e svalutare del 30-40%", dice oggi Hans-Werner Sinn. Hans-Werner Sinn non è uno qualsiasi. E' il direttore dell'IFO, prestigioso ente di ricerca tedesco, molto vicino alle posizioni politiche della Merkel e di Schaeuble, molto ascoltato negli ambienti governativi tedeschi. Esprime, al di là di un pietismo sempre fuori luogo nella bocca di un economista "di governo", il calcolo costi/benefici che i tedeschi stanno facendo circa la permanenza della Grecia nell'euro. Oramai l'economia greca è fallita, spremuta dalle ricette neoliberiste sostenute dallo stesso Sinn, il suo debito sovrano è fuori mercato, e non si sa quando potrà tornarvi, le sue potenzialità di crescita strutturale, cioè dal lato dell'offerta, distrutte: la posizione competitiva dell'industria greca sui mercati comunitari è diminuita del 12% fra fine 2010 ed inizio del 2013; l'indice di produzione dell'industria in senso lato, (ivi comprese le costruzioni, l'attività estrattiva e la distribuzione di elettricità e gas) a settembre 2012 è pari al 66,8% del suo livello nel 2005, in calo dal 77,3% di settembre 2010.
In queste condizioni di default finanziario e di distruzione del suo apparato produttivo, la Grecia non può più dare niente, in termini di rimborso del suo debito estero ai suoi creditori, tanto che la Merkel ha già anticipato un nuovo haircut del debito sovrano greco nel 2014, dopo i due tagli che la Grecia ha già implementato nel 2011/2012 (l'ultimo dei quali mascherato da riacquisto di parte del debito sovrano a prezzi stracciati). A questo punto, per la Germania, meglio che la Grecia esca: il costo in termini di mancato rimborso del debito estero residuo è comunque inevitabile, anche se la Grecia resta, e d'altra parte si potranno risparmiare preziose risorse pubbliche a valere sugli aiuti erogati dall'ESM, per concentrarle sulle economie il cui fallimento sarebbe catastrofico (spagna ed Italia).
Un abbandono brutale non è quello di cui avrebbe bisogno la Grecia. Un ulteriore biennio di recessione da fuoriuscita dall'euro, come da previsioni dell'IFO, sarebbe fatale per un'economia che è in recessione già da tre anni. finirebbe per distruggere completamente la base produttiva residua, e condurrebbe il Paese dritto dritto alla dichiarazione ufficiale di default, con l'impossibilità di rifinanziarsi sui mercati finanziari per decenni, e mettendolo costantemente sotto il ricatto dei suoi creditori esteri (come accade in Argentina, nonostante il fatto che l'Argentina abbia onorato il 93% del suo debito estero). La Grecia ha certamente bisogno di uscire dall'euro, ma nel contesto di una banda di oscillazione del suo tasso di cambio con l'euro che non consente svalutazioni superiori al 20%, onde evitare l'importazione di eccessiva inflazione, e rimanendo dentro i programmi di assistenza finanziaria della Ue, al fine di avere le risorse per continuare a onorare i suoi impegni finanziari, ed evitare una catastrofica dichiarazione ufficiale di default.Programmi che devono essere pensati come erogazioni a fondo perduto, e non prestiti, che vanno ad incrementare il debito pubblico del Paese. Ed ha bisogno di un programma pubblico di ricostruzione della sua domanda aggregata, operato attraverso le risorse della politica di coesione, iniziando da un riorientamento "keynesiano" delle risorse residue del ciclo 2007-2013 (visto che il tasso di spesa è soltanto del 20% circa, sui 26 Meuro disponibili per il Paese) in direzione di investimenti pubblici in infrastrutture ed Ict, nonché di programmi di assistenza finanziaria e trasferimenti di reddito alla popolazione. Ha poi bisogno di un haircut del debito estero, ed una moratoria di pagamento del debito estero residuo per almeno 10 anni.
E' semplicemente immorale, dopo i sacrifici mostruosi imposti, dire alla Grecia "uscite e che Dio ve la mandi buona", come pensa di fare la Germania. L'Europa ha il dovere di assistere il Paese nel suo percorso di fuoriuscita dall'euro, nelle modalità che ho sopra indicato. Certo che la esplicita dichiarazione di fallimento dell'impostazione neoliberista che è contenuta nelle dichiarazioni di Sinn non potrà non avere conseguenze sul futuro: l'era dell'ossessione tedesca per l'austerità finanziaria ad ogni costo sta finendo, e si sta probabilmente aprendo una fase in cui si cercherà di bilanciare rigore e politiche di stimolo alla crescita. Solo Monti non lo ha capito. Occorrerebbe, per l'Italia, una forte capacità nazionale di negoziazione delle nuove condizioni di politica macroeconomica europea. Ma certo se il negoziatore sarà Bersani, insufflato dalle ossessioni personali di Monti, c'è poco da stare allegri.
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