di Antonio Moscato
Non so nulla, ovviamente,
dell’incidente stradale in cui ha perso la vita il più autorevole dei
dissidenti cubani, Oswaldo Payá. La figlia è convinta che l’incidente
sia stato organizzato, anche perché poche settimane fa era stato
preceduto da un altro tentativo analogo. In ogni caso non tarderemo a
sapere qualcosa di più preciso, dato che a parte i testimoni esterni
(contrastanti) citati da familiari, amici e autorità, sulla macchina su
cui viaggiava Payá c’erano due stranieri, che sono sopravvissuti, e da
cui si potrà sapere se c’è stato l’urto con un camion, o un malore o
altro. Basta aspettare.
Possiamo però parlare già ora
di due argomenti che non hanno bisogno di conferme o smentite. Il ruolo
di Oswaldo Payá a Cuba, e le ragioni per cui si fanno tante illazioni su
un incidente stradale apparentemente banale.
Oswaldo Payá è stato molto
fastidioso per le autorità cubane: era stato l’animatore del gruppo che
si raccolse intorno al progetto Varela, che applicando una norma
prevista dalla costituzione cubana raccolse nel 1998 più di 11.000 firme
su una proposta di referendum su vari aspetti, compresa una modifica
della legge elettorale, spacciata per la più democratica del mondo, ma
che era ricalcata su quelle del blocco sovietico. Una proposta che si
collocava all’interno del quadro istituzionale cubano, e che fu
rifiutata e condannata dalla trogloditica “opposizione” di Miami, ma che
ebbe come unica risposta dal regime un penoso referendum, che decretò
il “carattere irrevocabilmente socialista” dello Stato cubano. Un
referendum che raccolse come al solito (e come era accaduto in URSS o in
Romania per analoghe iniziative di poco precedenti il crollo) il 99,90 %
dei voti. Tanti milioni contro 11.000 firme, ripetevano anche da noi i
fessi, che ignoravano che coraggio ci voleva per firmare una richiesta
bollata dal regime come “vendipatria”, e come era difficile invece
sfuggire all’obbligo di partecipazione a un voto sotto l’occhiuto
controllo di quei CDR che già nel 1962 Guevara aveva definito “molto
antipatici al popolo”…
Molte decine di coloro che
avevano collaborato all’elaborazione del progetto Varela e alla raccolta
delle firme furono arrestati nel 2003, l’anno dopo il referendum. Ne ho
parlato ampiamente nel secondo aggiornamento della Breve storia di Cuba oggi sul sito (leggi qui),
in cui accennavo anche al fatto che il maggior responsabile del
progetto, Payá, era stato salvato dall’arresto grazie al suo rapporto
con la gerarchia cattolica dell’isola e con lo stesso Vaticano. Ma non
si era salvato dalle stupide molestie che i responsabili della
“sicurezza” riservano agli oppositori che per una ragione o per l’altra
non possono o non ritengono opportuno arrestare: gli Actos de repudio,
cioè “proteste spontanee” di squadristi specializzati nel lancio di
pietre o immondizie contro la casa del dissidente, che disturbano anche
con grida e rumori vari. Sulla casa lasciano scritte infamanti, come
“spia della CIA”… [Una
buona informazione su Oswaldo Payá e sulle ripercussioni dell’incidente
oggi c’è su “Avvenire”, ovviamente interessato a seguire la scomparsa
del principale referente della Chiesa Cattolica a Cuba.]
Quanto alle ragioni per cui si
fanno tante illazioni su un incidente stradale apparentemente banale,
vorrei ricordare qualche altro precedente: prima di tutto quello
relativamente recente della morte di Celia Hart, di cui ho parlato
ampiamente in Ricordando Celia Hart
e in altri scritti facilmente reperibili sul sito. Come si può vedere,
io propendevo per la tesi dell’incidente, magari reso più facile dallo
stato in cui Celia si trovava, tesissima, più nervosa del solito, che
era stato notato da un compagno italiano di Italia Cuba che l’aveva
incontrata pochi giorni prima della morte. Forse questo spiega meglio
l’urto violento contro un albero in una strada senza traffico, ben più
della dietrologia di chi ha immaginato un complotto per eliminare la
“trotskera” dell’Avana, come lei si era autodefinita ironicamente.
Ma resta il fatto che molti di
quelli che l’hanno conosciuta durante il suo lungo giro di conferenze
in Italia del 2006 hanno continuato a chiedermi se era stato proprio un
incidente casuale.
Analogamente era accaduto per
la analoga morte di Manuel Piñeiro —Barbarroja, per anni capo dei
servizi segreti cubani, che si schiantò in una notte del 2001, un’Avana
ancora quasi senza traffico, contro un albero.
Ma vale la pena di ricordare
il caso più celebre di un incidente a cui la voce popolare ha attribuito
le caratteristiche di un sabotaggio deliberato: quello in cui perse la
vita già nel 1959 il dirigente più amato della rivoluzione, più amato
dello stesso Guevara e di Fidel Castro: Camilo Cienfuegos.
Ne avevo parlato spiegando perché quell’interpretazione non mi aveva mai convinto:
E una volta che [il soggetto è Oscar, un ex ufficiale della Seguridad diventato gestore di una Paladar
e in un certo senso “dissidente”] sentì un avventore cubano fare una
battuta che metteva in dubbio la versione ufficiale della morte di
Cienfuegos, insinuando che ci potesse essere lo zampino di Castro,
esplose infuriato, smentendolo, e cominciando una lunga ricostruzione
dell’ultimo giorno e dell’ultima notte di Camilo Cienfuegos: lui era di
guardia proprio all’aeroporto da cui Camilo partì, nonostante il
servizio meteorologico avesse annunciato l’avvicinarsi di un ciclone.
Cienfuegos era un cabezón come il Che, e aveva voluto partire lo
stesso, illudendosi di aggirare il ciclone in cui invece il suo piccolo
aereo scomparve per sempre. Non era possibile poi che qualcuno avesse
fatto un sabotaggio all’aereo, perché il pilota, legatissimo a Camilo e
scomparso con lui, dormiva a bordo per vigilare. Lo abbiamo cercato per
giorni e giorni, precisava, spiando l’oceano, esplorando tutti i cayos,
gli isolotti sabbiosi su una base corallina che orlano le coste di
Cuba. Il cubano non si convinse: sono in molti a ripetere questa storia,
che proietta nel passato la diffidenza per Fidel nata negli anni della
maggiore influenza sovietica e rimasta anche dopo, per le tante
reticenze su quel periodo, sulle circostanze della morte di Guevara,
ecc.
[ Ne ero già] convinto da prima, per una elementare constatazione:
Cienfuegos era andato a Camaguey per arrestare Huberto Matos, un
comandante che aveva avuto un buon ruolo nella prima fase della
rivoluzione, ma era anche un proprietario terriero, e aveva rifiutato la
riforma agraria, e aveva per questo scritto una lettera di dimissioni a
Fidel. Camilo era andato ad arrestarlo per timore che potesse
organizzare una rivolta, in una provincia dove erano forti le resistenze
alla riforma agraria. Ma l’elemento decisivo per respingere quelle
insinuazioni è che in quel 1959 Fidel, il Che e Camilo si trovavano in
totale accordo proprio sulla necessità di accelerare e portare a termine
la riforma agraria.*
[Colgo
l’occasione per segnalare l’uscita di una bella biografia di Camilo
Cienfuegos, pubblicata e curata da Roberto Massari*, e scritta dal grande
storico della rivoluzione cubana e suo dirigente di rilievo nei primi
anni, Carlos Franqui, poi bollato dal regime come “controrivoluzionario”
e quindi messo all’indice dagli imbecilli e dai bigotti.]
A chi si scandalizza per il
riaffiorare periodico di queste interpretazioni malevole di incidenti
casuali, ricordo che hanno una spiegazione: la scarsa fiducia dei cubani
nel sistema informativo ufficiale che, come ricordava Leonardo Padura
in La Cuba di Padura Fuentes,
ad esempio impiega giorni e giorni prima di ammettere perfino
l’esistenza del colera nell’isola, e che spesso fornisce inizialmente
spiegazioni non convincenti di molte vicende (a partire dalla misteriosa
“sparizione” del famoso cavo di connessione internet con il Venezuela).
Come accadeva con la “Cremlinologia”, la “Cubanologia” ostile al regime
prospera proprio sulla insufficienza, sulle lacune e sui ritardi delle
notizie “ufficiali”.
(a.m. 24/7/12)
*Ad onor del vero il bollettino metereologico del giorno della morte di Cienfuegos segna un sole splendente e nessun fenomeno ciclonico (n.d.r.)
* Nel libro su Cienfuegos tradotto da Massari, manca completamente un capitolo scritto da Franqui ma dall'editore non ritenuto attendibile, con un criterio che a nostro avviso resta assai discutibile, esso è intitolato "Abrazo fraternal" e riguarda i fratelli Castro (n.d.r.)
*Ad onor del vero il bollettino metereologico del giorno della morte di Cienfuegos segna un sole splendente e nessun fenomeno ciclonico (n.d.r.)
* Nel libro su Cienfuegos tradotto da Massari, manca completamente un capitolo scritto da Franqui ma dall'editore non ritenuto attendibile, con un criterio che a nostro avviso resta assai discutibile, esso è intitolato "Abrazo fraternal" e riguarda i fratelli Castro (n.d.r.)
da: http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=946:incidenti-stradali-a-cuba&catid=6:il-dibattito-sul-qsocialismo-realeq&Itemid=15
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