Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

sabato 25 giugno 2022

LA DISABILITA' DEL QUIZ



                                                di Carlo Felici

 

Quella che definirei “quizomania” ha preso piede in Italia da svariati anni, partendo dalle trasmissioni televisive che hanno indotto la gente a pensare che si potesse essere premiati rispondendo a dei quiz, raddoppiando il proprio capitale o perdendolo del tutto (lascia o raddoppia), e progressivamente affermandosi, almeno dagli ultimi venti anni, in tutti i settori.

Per cui oggi siamo arrivati al punto che gli itinerari didattici vengono misurati e valutati in base ai quiz, la selezione nei concorsi viene espletata mediante quiz, e persino i corsi di formazione si superano in base ai quiz, come se la vita di una persona fosse vivibile solo mediante una sorta di “patente a punti” che ci accompagna sino alla pensione...sempre che in futuro possano ancora esserci delle pensioni o non si possa accedere anche ad esse in base ad un quiz.

Il quiz è quanto di più stupido possa aver concepito la mente umana, anzi è la stupidità assunta a métron del vivere

Non ci vuole infatti una solida cultura Zen per comprendere che le opposizioni binarie sono solo frutto di una coscienza illusoria, in quanto ogni discriminazione, ogni aut aut esclude miriadi di possibilità che potrebbero integrare e migliorare una scelta, perché la coscienza umana è tanto più ampia e concretamente capace di scegliere e fare la scelta giusta, quanto maggiormente è in grado di considerare le interrelazioni che si vanno a determinare con tale decisione

E quindi facendo un esempio banale, se a qualcuno chiedo di rispondere con un sì o con un no alla domanda; è giusto aprire l'ombrello quando piove? Chi risponde solo con un sì e pensa di essere nel giusto, trascura il fatto che deve mettersi le scarpe adatte, che gli è necessario un impermeabile, che è giusto solo se si trova all'aperto, che se all'aperto si trova ad una fermata dell'autobus accanto ad altre persone, deve fare attenzione a non urtarle con l'ombrello, o persino che è sbagliato se tira troppo forte il vento.

In buona sostanza ogni scelta binaria è sbagliata perché tende ad escludere a priori la consapevolezza di quante scelte sono correlate ad essa, come se un teorema escludesse a priori tutti i suoi corollari.

Di qui la necessità di una mente aperta, o “vuota” come si direbbe nel buddismo, cioè in grado di accogliere tutte le eventualità che si presentano, volta per volta, nella complessità del vivere, senza escluderne nessuna, o almeno considerando la maggior parte di esse. Come chi guida un'automobile non può concentrarsi solo sul percorso e sui suoi movimenti di guida ma deve essere sempre in grado di sviluppare un'attenzione a 360 gradi intorno a sé per poter saper reagire prontamente anche agli imprevisti.

Se questo è necessario in una vita ordinaria, lo è ancor più in circostanze che, pur essendo straordinarie per la maggior parte degli individui, diventano ordinarie per chi le deve affrontare tutta la vita, come chi è colpito da una disabilità.

Cerchiamo di capire innanzitutto una cosa fondamentale, prima di sviluppare ulteriormente il discorso. Siamo tutti, nessuno escluso, potenzialmente disabili. Perché non solo può capitare la sfortuna di nascerci, ma molto più frequentemente capita la disavventura di diventarlo per un incidente fortuito, magari non dovuto a noi stessi.

Se una società capisse bene questo assunto, metterebbe al primo posto la cura del disabile, cercando di trovare soluzioni efficaci, efficienti, e soprattutto permanenti tali da rendere la vita della persona colpita da disabilità il più “normale” possibile, specialmente considerando che per ciascuno di noi una “normalità” concreta non esiste. Quindi offrendo al disabile innanzitutto l'opportunità di formarsi una coscienza ed in particolare fornendogli i mezzi per la sua “abilità” e per una sua autonomia il più ampia possibile.

E' del tutto evidente che, anche se questi obiettivi fossero raggiunti o si raggiungessero più che in passato, resterebbe comunque un carico di responsabilità e di oneri per chi assiste una persona disabile, che chi vive in altre condizioni non ha. Di qui la necessità di considerare, caso per caso, quali bisogni materiali oltre che psicologici hanno tali famiglie quando si trovano in queste condizioni.

E' un compito delicato e difficile, che non si può standardizzare, quello di capire come una società possa intervenire per alleviare e ridurre le difficoltà di famiglie che si trovano a sostenere situazioni che per molti appaiono spesso insormontabili. Una società seria e consapevole deve dunque predisporre adeguati servizi in primis di ascolto, e successivamente in grado di intervenire con assistenti sociali, psicologi e medici, ad personam, in ogni caso specifico, valutando bene le peculiarità che ciascun caso presenta.

Da tutto ciò si evince che valutare con un quiz le necessità e gli oneri che riguardano le famiglie che si trovano in queste condizioni è quanto di più riduttivo e deleterio possa esistere, anzi presentare ad esse un questionario in base al quale una Regione o un Comune si regolerà per erogare fondi o assisterle, può seriamente risultare una profonda offesa alla sensibilità di chi per una vita affronta le difficoltà quotidiane che gli derivano dall'assistenza a un disabile.

Ciò nonostante, questo è quello che hanno fatto la Regione Lazio e il Comune di Roma con una sorta di metodo chiamato “Zarit Burden Inventory” che tradotto suona più o meno così “Inventario degli oneri di fardello”. E già il nome ci fa capire come una amministrazione pubblica consideri il problema di persone vive in difficoltà, in buona sostanza, come la necessità di “inventariare gli oggetti eterogenei di un magazzino”

Ma se passiamo alle domande di questo assurdo e spersonalizzante metodo, la questione appare ancor più parossistica.

Prendiamone solo alcune di tale florilegio dell'orrore :

“Si sente arrabbiato quando è con il suo famigliare? Si sente in imbarazzo per il comportamento del suo famigliare? Si sente di non avere l'intimità e la privacy che vorrebbe avere a causa del suo famigliare? Si sente a disagio ad invitare a casa gli amici a causa del suo famigliare?...e via dicendo fino alle più assurde e scontate, retoriche all'ennesima potenza.. Sente che il suo famigliare è dipendente da lei? Si sente affaticato quando sta dietro al suo famigliare?

Ora non ci vuole una laurea in psicologia per rendersi conto che per delle famiglie che hanno passato una vita tra ospedali, day hospital, richieste di farmaci e ossigeno, corse spasmodiche al pronto soccorso in caso di repentini aggravamenti, richieste ed attese spesso estenuanti ai centri protesici per ottenere i mezzi necessari all'assistenza e via dicendo, tutto ciò appare eufemisticamente come “paradossale”, se non concretamente molto offensivo.

Diciamolo chiaramente, il sistema sanitario italiano ancora funziona egregiamente, ma tutto quel che ruota burocraticamente intorno ad esso rischia di limitare parecchio la sua efficienza, e altrettanto chiaramente diciamo che lo Stato italiano, in termini di assistenza ad personam, fornisce alle famiglie dei disabili molto meno di quanto altri Stati europei sono in grado di offrire, così che nella maggior parte dei casi la cura e l'assistenza è scaricata per intero sulle famiglie a cui è stata concessa solo una legge 104 per ottenere permessi retribuiti, che qualcuno ogni tanto, a fasi alterne, mette pure in discussione, reputando che chi ne fruisce in fondo vada in vacanza

Invece sarebbe necessaria un'opera di adeguata sensibilizzazione, in particolare coinvolgendo i media e la scuola, per far comprendere che la cura di un disabile non è un onere ma una opportunità, non soltanto per il singolo e per la famiglia in cui esso si trova, ma, in particolare, per la intera comunità in cui vive. Una straordinaria occasione per incrementare sensibilità, attenzione, cura, pazienza, lungimiranza, generosità...insomma per tutte quelle che sono le qualità migliori che caratterizzano un essere umano. Per cui dovendo proprio ridursi a valutare con un quiz tutto ciò, più opportune sarebbero domande come: Quanto ti ha fatto diventare più paziente il tuo famigliare? Quanto ha migliorato la tua consapevolezza sui rapporti umani? Quanto ti ha fatto capire in merito ai tuoi difetti caratteriali? Quante e quali opportunità hai avuto per migliorarti grazie a lui o a lei?

E via dicendo..se ne potrebbero addurre molte altre cambiando radicalmente la prospettiva di approccio, non mettendo in risalto quasi a darla per scontata la sofferenza e il disagio così come la mancanza di efficienza, ma piuttosto la gioia, la consapevolezza la straordinaria opportunità che ci viene offerta quando ci troviamo in tali condizioni.

E' evidente che per far questo, ci vuole una rivoluzione copernicana non solo sul piano psicologico e sociale, ma della stessa civiltà umana globale

E' palese infatti che non solo la disabilità è una condizione che potenzialmente riguarda tutti noi, ma che noi stessi stiamo causando sempre di più la disabilità del nostro stesso habitat di vita, della Terra, con ripetuti ed inarrestabili “incidenti di percorso” dovuti ad un modello sbagliato di civiltà che mette al primo posto la competitività, l'efficienza e la forma esteriore, non la cura, la sostanza e il valore inestimabile dell'essere umano, perché lo ha ridotto disumanamente a capitale, e se non produce capitale si dà per scontato che non è normale e gli si dà quel che avanza al resto.

Un resto che inconsapevolmente e globalmente rischia di passare in tempi non molto lunghi dalla disabilità alla morte, per mancanza di sensibilità, di mezzi, di risorse, in quanto è persino così folle non solo da sprecarle, ma da provocare rovina e disabilità a dismisura mediante guerre e devastazioni ambientali

Perciò l'unica domanda a quiz a cui tutti dovrebbero saper rispondere oggi risulta la seguente: "Vuoi o no che l'umanità sappia sopravvivere a se stessa, superando la sua disabilità?"

Una domanda solo apparentemente retorica, perché è del tutto evidente che, nonostante siano passati millenni di storia, l'umanità non ha ancora imparato a conoscersi bene, anzi, nonostante tutta la sua letteratura, arte scienza e filosofia, sembra che ne sappia sempre meno.

Carlo Felici

giovedì 23 giugno 2022

QUALE ATLANTISMO?




                                                  di Carlo Felici


IL termine “atlantismo” appare alquanto abusato, specialmente negli ultimi tempi ed è diventato sinonimo di allineamento quasi manicheo alle iniziative della NATO non solo in campo militare, ma in senso geo strategico, un po' in tutti gli scenari del mondo, tanto che si parla attualmente di un “atlantismo orientale” addirittura nel Pacifico per contenere eventuali mire espansionistiche della Cina e per tutelare l'autonomia di Taiwan, in una alleanza militare che comporterebbe il riarmo del Giappone ed il suo allineamento con le potenze occidentali del Pacifico, in primis Australia e USA.

E' del tutto evidente, quindi, che il termine oggi appare completamente snaturato rispetto alla sua accezione originaria, quando il 4 aprile del 1949, nacque una alleanza militare tra paesi occidentali per contenere una sostanziale sconfitta. Quella che consegnò, alla fine della seconda guerra mondiale, mezza Europa nelle mani della dittatura comunista

Si è parlato tanto della vittoria delle democrazie alleate contro il nazifascismo, ma forse tuttora si parla poco della loro sconfitta sostanziale contro il comunismo all'indomani della fine di un conflitto catastrofico che lacerò l'Europa al punto tale da depotenziarla come continente protagonista nella storia mondiale, fino a ridurla ad una colonia di un mondo diviso in due blocchi perdurati per più di 40 anni.

Fino quindi alla caduta del muro di Berlino, la NATO ha avuto un senso preciso nel tutelare un mondo libero, nei confronti di un altro oppresso da un sistema rigidamente autocratico e dittatoriale, sorto per liberare la Russia e i Paesi Fratelli della Terza Internazionale dal capitalismo, e dissoltosi nella pratica di scambi di mercato diseguali e nel capitalismo oligarchico di Stato.

Ma poi?

Nella dissoluzione parziale di quel mondo, specialmente nell'Europa dell'Est si realizzarono accordi che prevedevano un cambio di regime politico e di sistema economico, un allontanamento fino alla dissoluzione del Patto di Varsavia comunista, in cambio di una non espansione della NATO verso Est.

Ma le cose, come sappiamo, sono andate diversamente e la NATO è stata protagonista di imprese militari in Europa e nel mondo che sono ampiamente debordate dai suoi scopi originari.

Questo non tanto per una esigenza da parte della sua componente più rilevante: gli USA di voler esercitare un ruolo dominante e preponderante, ma per una sostanziale latitanza dell'Europa sul piano militare, per una sua incapacità di investire in risorse militari che le consentissero di esercitare un ruolo non solo autonomo, ma decisivo negli scenari internazionali, e soprattutto nelle aree di crisi più vicine al continente europeo, in particolare in Medio Oriente, in Nord Africa e nell'Europa dell'Est. Per cui l'allineamento della Unione Europea alle decisioni della NATO, a guida statunitense, in campo geo strategico e militare, è stato sempre indiscutibile e sostanzialmente passivo, ma a volte indispensabile per risolvere crisi che rischiavano di cronicizzarsi a tempo indeterminato come in Bosnia, o in Kosovo

Per il nostro Paese, in particolare, l'alleanza strategica con gli USA è stata sempre fondamentale come interdipendente agli stessi processi di sviluppo della nostra democrazia, fin dagli albori della Repubblica Romana del 1849, quando il console americano nella sua ambasciata si parò di fronte alle truppe francesi con in mano la sua sciabola e la sua bandiera per impedire che venissero catturati gli esuli sconfitti che lì si erano rifugiati e lo stesso Garibaldi venne accolto festosamente come esule negli Stati Uniti, prima della sua famosa impresa che unì l'Italia. E successivamente, nell'impegno soprattutto logistico di rifornire l'Italia di armi e solo parzialmente di truppe, per la controffensiva vittoriosa che la portò a vincere la Prima Guerra Mondiale. Purtroppo con una parentesi in cui soprattutto l'amministrazione Wilson non seppe comprendere la mancata risoluzione di ragioni fondamentali per le quali l'Italia, dopo quel conflitto, rischiava di essere umiliata, andando incontro a derive sostanzialmente antidemocratiche che sfociarono nella dittatura fascista prima e nella nefasta alleanza con il regime nazista poi.

Nonostante ciò, decisivo fu l'apporto statunitense alla crescita e alla rinascita del nostro Paese come Repubblica Democratica mediante il sacrificio di tante vite americane nella liberazione dell'Italia, e la non ingerenza nella stesura della nostra Costituzione, il piano Marshall che rimise in moto la nostra economia, fino a renderla una delle più importanti al mondo, l'aiuto permanente alla nostra fragile democrazia per contrastare il debordare di un mondo comunista che tendeva a cambiare volto, mantenendo intatta la sua sostanza autocratica e il suo legame con Mosca.

Oggi tutto ciò ci rende consapevoli che l'alleanza con gli Stati Uniti non può e non deve essere messa in discussione, anche nella nostra legittima aspirazione ad una Patria Libera, perché un Paese che non ha i mezzi per difendersi autonomamente, e soprattutto non vuole spendere per ottenerli, deve anche essere grato a coloro che glieli forniscono, senza condizionare troppo il suo operato, ma evidentemente solo controllando che non sia troppo divergente rispetto a interessi comuni.

Ma il problema odierno non è tanto una Patria Italia dotata di propri armamenti e propria moneta, come certi sovranisti dell'ultima ora, magari sovvenzionati da chi vorrebbe trarre vantaggio da una Europa divisa e rissosa al suo interno, vorrebbero far credere.

La questione particolarmente evidente, ora più che mai con la crisi bellica in Ucraina, è una Europa debole e incapace soprattutto di darsi un Governo comune e un Esercito comune, spendendo quanto è necessario per tutelare interessi comuni, e che si abbarbica alla NATO come un bimbo impaurito si stringe alle gambe del padre per preservarsi dai pericoli che gli appaiono più grandi di lui.

E' inutile negare che il ruolo della NATO è apparso decisamente in crisi fino allo scoppio della guerra in Ucraina, anzi, direi con ferma convinzione, che proprio questa crisi ha determinato la guerra in Ucraina. Non “l'abbaiare della NATO” ai confini della Russia, come ha recentemente dichiarato il Papa, ma il suo pericoloso "guaire" in Afghanistan e in Siria

E questo soprattutto a causa di certe fallimentari amministrazioni presidenziali statunitensi.

Dal ritiro completo nel 2011 voluto dall'amministrazione Obama che ha aperto la strada alla formazione dello Stato Islamico, fino all'abbandono, nella sconfitta più clamorosa della storia della NATO, dell'Afghanistan di cui l'Europa è stata complice e a cui essa non ha saputo né voluto porre rimedio.

Nel 2020 infatti delle truppe mobilitate in Afghanistan, che ammontavano a circa 16.000 soldati, solo la metà erano statunitensi, non sarebbe dunque stato difficile per gli altri 29 Paesi Nato, raccogliere altri ottomila effettivi e continuare ad esercitare una presenza deterrente che avrebbe da una parte continuato ad addestrare truppe afghane autoctone, e dall'altra garantito diritti essenziali alla popolazione civile, specialmente alle donne. Una presenza necessaria anche per prevenire l'invadenza di oppio nel mercato europeo, e anche per contenere flussi migratori crescenti

Tale sconfitta unita ad una sostanziale debolezza ha generato l'idea che la NATO fosse ormai giunta al capolinea e che minacciarla direttamente ai suoi confini non avrebbe prodotto alcun esito, se non un aumento del suo “abbaiare” senza alcun pericoloso morso.

Si è giunti quindi alla situazione attuale, in cui la Russia sta seriamente mettendo alla prova la capacità non solo di deterrenza della NATO, ma anche i sui mezzi difensivi.

La Russia sta infatti portando avanti una occupazione vecchio stile con armi anche desuete, contando soprattutto sulla sua preponderanza di mezzi e di soldati, ma senza usare le sue armi più avanzate e studiando bene invece quelle che dai Paesi NATO sono fornite agli ucraini e che spesso gli stessi ucraini non sono tecnologicamente preparati ad usare.

C'è da scommettere che in uno scenario di guerra più esteso in cui ogni paese europeo dovesse difendersi con le sue armi, si presenterebbe lo stesso problema di preparazione tecnica, strategica e militare, perché ogni Paese è sostanzialmente addestrato ad usare le sue armi e non quelle di un Esercito comune.

E' poco credibile che la Russia voglia allargare il conflitto, mentre è molto probabile che miri a consolidare progressivamente le sue posizioni nell'Ucraina orientale e sul Mar Nero, con una guerra di logoramento che difficilmente la vedrà sconfitta, soprattutto perché ha una notevole disponibilità di risorse umane e la capacità di assorbire le perdite dovute alle sanzioni con un allargamento dei suoi interessi economici ai paesi emergenti e soprattutto alla Cina che sta enormemente avvantaggiandosi dal conflitto in Ucraina

Né gli Stati Uniti sembrano volersi far coinvolgere più di tanto anche per l'incapacità e la sostanziale inerzia di questa attuale amministrazione presidenziale Biden, che vede un incremento dell'inflazione interna pauroso e che deve fare i conti con gli americani molto prima che con gli europei. E' difficile pertanto che ci sarà un cambio di passo fino a che non si avrà un altro presidente negli USA e bisogna riconoscere alla prova dei fatti che, almeno in campo internazionale, le amministrazioni repubblicane statunitensi si sono rivelate molto più efficaci ed efficienti di quelle democratiche. Si spera pertanto che gli USA trovino un candidato repubblicano valido e che non debbano solo limitarsi a riconoscere che Trump era più efficace di Biden.

Ma anche se tutto ciò accadesse, resterà a pesare come un macigno la debolezza sostanziale di una Europa che, preda delle sue diatribe interne, è sempre più attenta ai suoi orologi elettorali quasi mai sincronizzati e sempre meno al tempo delle scelte decisive come quelle di un Governo e di un Esercito comune, almeno per le questioni internazionali.

Uno dei motti preferiti dei talebani, che potremmo estendere a tutte le dittature, è “Voi avete l'orologio, noi il tempo”. E' vero infatti che da Robespierre a Mussolini, tutti i dittatori hanno cercato di cambiare innanzitutto il calendario a loro vantaggio, con l'intento di determinare una “loro era” indiscutibile

Noi invece continuiamo a usare l'orologio e la sveglia per determinare il tempo e l'opportunità delle nostre scelte contingenti, ma alla fine oltre a perderlo il tempo, ci dimentichiamo persino dell'orologio e della sveglia quando ormai è suonata...da tempo.


Carlo Felici


mercoledì 15 giugno 2022

LA FAMIGLIA DEL NULLA

 



Non esiste nulla di più abietto che umiliare, malmenare o uccidere una donna o un bambino, lo è in guerra, ma nella cosiddetta pace del nucleo famigliare lo è ancor di più, perché avviene subdolamente, inaspettatamente, come se una persona fosse completamente posseduta da un male demoniaco.

La cifra degli assassinii in famiglia in Italia è ormai spaventosa, supera di gran lunga quella dovuta agli assassinii della criminalità organizzata, e i crimini verso i bambini superano quelli di una guerra.

In Ucraina sono stati uccisi 230 bambini, in Italia, dall'inizio del nuovo secolo quasi 500 ( ma i dati non sono del tutto aggiornati e potrebbero essere di più) e non dalle bombe, ma da coloro a cui i bambini si rivolgono con maggiore fiducia: il loro genitori.

Se poi consideriamo i maltrattamenti, le cifre potrebbero raddoppiare o persino triplicare.

Le cifre dei cosiddetti femminicidi non sono meno confortanti, solo nel primi sei mesi di quest'anno ne abbiamo circa cinque al mese.

Se risaliamo solo allo scorso anno, notiamo che sono state più di cento le donne, uccise quasi tutte in ambito famigliare o affettivo, con un aumento dell'8% degli omicidi in generale, rispetto all'anno precedente quando le vittime donne, nel periodo del lockdown, erano state 106

In media, quindi, in Italia viene uccisa una donna ogni 72 ore, e quattro donne su dieci lasciano orfani i propri figli piccoli

A fronte di tutto ciò, la cui cause sono spesso il degrado, la mancanza di prospettive di lavoro, la precarietà endemica, le separazioni e soprattutto la caduta verticale dei valori morali e civici, non si vede alcuna forte reazione da parte della società civile, né si osservano misure che servano a tutelare maggiormente le famiglie o ad aiutarle nei momenti di crisi, i dati ci mostrano un dimezzamento dei matrimoni e un incremento di circa il 30% delle separazioni.

E' del tutto evidente che un fenomeno del genere non può limitarsi a cause sociali ed economiche, perché alla base ci sono forti responsabilità anche individuali che chiamano in causa fattori di tipo educativo, morale e persino religioso

Chi scrive ha più volte dichiarato che la riduzione dell'essere umano a merce che vale solo come “capitale umano”, è la base del nichilismo vigente e di tutte le conseguenze negative che ne susseguono. Se la società, infatti, resta legata ad un modello per cui è solo il movimento dei capitali, spesso in senso speculativo, che orienta la storia umana, è del tutto evidente che essa si riduce a ruotare intorno al nulla, e le vita di ciascuno di noi sono proiettate nel nulla. Da ciò consegue che destinare al nulla emotivo e fisico una persona può anche assumere la caratteristica di una “normalità” o quanto meno di un fenomeno che scandalizza sempre meno ed a cui si tende ad abituarsi sempre di più.

In questo contesto, gli apparati educativi e formativi contano sempre meno, specialmente quando il loro compito è quello di rivolgersi alla collettività, e progressivamente si afferma il mito di una formazione che l'individuo può farsi da solo, in base ai suoi obiettivi di crescita e di affermazione individuale.

Viene meno quindi la base di una società orientata verso obiettivi condivisi e condivisibili necessari per per la crescita collettiva e al contempo di un sistema Paese.

La stessa valutazione dei risultati raggiunti da ognuno in ogni ambito resta rigidamente individuale e non è misurata in base alle capacità che chi viene valutato ha di interagire positivamente con coloro con i quali dovrebbe raggiungere un obiettivo a vantaggio del contesto in cui lavora, e di coloro che ne sono utenti. In poche parole, si tende a premiare e a considerare il merito individuale e non di gruppo nel processo produttivo di ogni ambito

Il risultato è che, invece di collaborare al meglio con coloro che contribuiscono a ottenere determinati risultati per il contesto in cui lavorano, ciascuno cerca di ottenere il meglio per sé a scapito del peggio dell'altro, illudendosi così di crescere e di ottenere maggiori compensi e benefici rispetto ai suoi colleghi di lavoro. Non c'è la percezione che un lavoro comune svolto con migliori rapporti collaborativi ottiene maggiori risultati, ma piuttosto resta quella che si possa migliorare mettendo in competizione i lavoratori gli uni rispetto agli altri, senza considerare il loro calo di prestazioni, per frustrazione o stress da lavoro, o senso di marginalizzazione a cui sono perennemente esposti.

Purtroppo tale procedimento, che potremmo tradurre con una formula latina del “bellum omnium contra omnes”, è tipica di una situazione esistenziale disumana e innaturale, nonostante Hobbes sia stato convinto del contrario, e abbia invocato l'esistenza di uno Stato “Leviatano”, per porvi rimedio.

In realtà è vero l'esatto contrario. Gli uomini nel Paleolitico per centinaia di migliaia di anni sono vissuti in maniera comunitaria, mettendo al primo posto la capacità di collaborare per la sopravvivenza e per il bene comune, ed emarginando chi pensasse solo al suo vantaggio individuale. Solo quando si è affermato il concetto di accumulazione e di proprietà individuale o di classe sociale, gli esseri umani hanno cominciato ad entrare in conflitto tra loro e hanno avuto bisogno di uno Stato Proprietario e Leviatano affinché la convivenza di interessi divergenti potesse sussistere senza troppi traumi o crimini che dir si voglia

E' dunque lo Stato Proprietario e Leviatano che genera il “bellum omnium contra omnes” invece di essere l'unico rimedio ad esso. Ma far credere che lo sia evidentemente è il presupposto basilare per la sua sussistenza e la sua indiscutibilità

Ecco quindi che vengono incentivati i conflitti individuali, si educa i bambini a primeggiare magari con un sistema rapido ed efficiente consistente in una valutazione periodica mediante i quiz, si formano gli insegnanti individualmente obbligandoli a frequentare corsi di aggiornamento che si concludono con i quiz, si fanno concorsi per ottenere un posto di lavoro mediante dei quiz, in un teatro collettivo in cui persino il gioco assume la fisionomia del “lascia o raddoppia”, ovviamente ampiamente diffuso dai sistemi mediatici

Così come si educano i bambini a primeggiare e li si sottovaluta se non lo fanno, fino alla fine dei loro studi, tanto da generare frustrazione che, come negli USA, sfocia spesso in crimini all'interno della stessa scuola, lo stesso si fa poi coi lavoratori, però in questo caso valutando individualmente più la loro “fedeltà” all'apparato produttivo che i loro risultati, così che elementi più fedeli e ubbidienti, e in certi casi, specialmente in ambito femminile, più “disponibili”, ottengono risultati e fanno carriera più di certi altri meglio dotati.

E' evidente che tutto questo processo non può che produrre frustrazione, disaffezione e conflitti crescenti, fino a generare anche rabbia e violenza, specialmente quando gli sforzi messi in atto si traducono in un “non servi più”. In un licenziamento non per giusta causa ma per ridimensionamento di settori produttivi, per cui un lavoratore che è stato spremuto e illuso di poter lavorare ed affermarsi al meglio delle sue qualità viene poi miseramente gettato via: “fired”, bruciato come si fa quando una merce viene mandata in discarica o un “capitale” è bruciato da un meccanismo speculativo.

D'altra parte come compensazione a questa dimensione disumanizzante si offrono solo, da un punto di vista spirituale o psicologico, dei “pannicelli caldi” il cui scopo è reintegrare l'individuo nel “Leviatano”, fare in modo che torni ad essere un suo ingranaggio, senza che debba soffrire troppo, quindi creandogli dei palliativi: le vacanze estive, i corsi di yoga, la psicoterapia (psicoanalisi nei casi più gravi e per chi se la può permettere), le catechesi periodiche adatte a creare sicurezze nel contesto religioso in cui vengono attuate, magari mettendo in atto lodevolissime strategie di contenimento del disagio sociale e individuale.

Tutto questo ovviamente non cambia nulla, nella natura del Leviatano ma lo fa apparire solo più compassionevole e digeribile, in grado cioè di compensare i disagi, ovviamente premiando i suoi fedelissimi.

Il problema sorge quando i fedelissimi diminuiscono di numero e diventano una ristretta minoranza corrotta attaccata ai propri privilegi, e il disagio cresce. E non bastano più nemmeno “i pannicelli caldi” economici, non basta lo “state bonus”, la compassione di Stato, che allontana i cambiamenti strutturali anziché favorirli con una elemosina “una tantum”

La questione in ogni caso resta complessa e non si risolve solo a livello economico e sociale, ci vuole evidentemente un salto evolutivo anche sul piano famigliare, spirituale, scolastico, con nuovi modelli di sviluppo che servano ad incentivare la collaborazione, la capacità di interagire a beneficio di tutti, in primo luogo in famiglia. Facendo di un figlio una opportunità di crescita anche da parte dei genitori, senza che essi pretendano di essere sempre un gradino più in alto, esigendo rispetto ma essendo essi stessi incapaci di darne. A scuola premiando chi contribuisce a recuperare compagni in difficoltà e punendo chi, in nome del primeggiare, li emargina. Nei settori lavorativi, incentivando il lavoro di equipe, più che quello individuale, come in parte si fa già in Giappone. Cercando di capire le qualità specifiche del lavoratore e mettendolo nei settori in cui può dare il meglio di se stesso, non ostacolandolo se non si piega ai capricci del suo capoufficio. Infine favorendo una “mobilità virtuosa”, per riconvertire il lavoro attraverso forme incentivate di formazione specifica, non con un reddito di cittadinanza generico che fa solo crescere il lavoro nero, ma con adeguati sussidi per la riconversione, mediante l'obiettivo della stabilizzazione del lavoro, del suo miglioramento qualitativo e della piena occupazione.

L'origine della sofferenza diffusa oggi che sfocia sempre più spesso nei crimini contro persone deboli e persino in famiglia è l'illusione che l'individuo possa vivere ed affermarsi da solo, quasi debba identificarsi permanentemente con un supereroe, è il potenziamento smisurato dell'ego di ciascuno, anche attraverso gli strumenti mediatici. Per cui io posso mettermi davanti a un PC e dire quello che voglio, posso mettermi con chi voglio senza limiti né responsabilità verso chi lascio, posso ottenere quello che voglio anche se devo farlo a scapito di chi ne può soffrire molto, in breve senza assumermi responsabilità di contesto, verso cioè altri che interagiscono con me.

E tutto questo senza capire che decontestualizzati e privi di responsabilità contestuali, noi semplicemente non esistiamo. Siamo del tutto prigionieri di un nulla che ci rende morti umanamente e spiritualmente, prima ancora di esserlo biologicamente, e purtroppo, come in una pandemia, per di più capaci inconsapevolmente e repentinamente di generare sofferenza e morte intorno a noi.

Se dunque tutto questo permarrà, nemmeno i posteri potranno addurre la loro ardua sentenza.


Carlo Felici


lunedì 13 giugno 2022

ECONOMIA: UNA ALTERNATIVA ETICA DI SISTEMA

 



Economia ha nella sua radice etimologica quello che dovrebbe essere il suo rapporto con l'etica.

Secondo la derivazione della parola dal greco poi trasferitasi al latino: oeconomĭa, gr. οἰκονομία, comp. di οἶκος «dimora» e -νομία «-nomia», “regolazione, amministrazione”, essa, nella sua accezione originaria, non è altro che l'amministrazione della casa, in cui si vive, la corretta gestione affinché nella casa non debba mancare nulla a nessuno

Se rapportiamo questo significato ad oggi, in cui tutte le economie dei vari popoli e dei singoli stati sono interconnesse, essa non dovrebbe essere altro che la saggia gestione delle risorse di quella che è la casa comune di tutti: la Terra, dei suoi beni comuni ambientali e produttivi, nell'interesse non solo della popolazione umana, ma anche di tutte le altre specie viventi che vi abitano e che hanno anch'esse, nella Terra, la loro dimora comune. Una giusta amministrazione per una sana coabitazione

Da circa due secoli e mezzo, l'economia è stata legata indissolubilmente al processo di sviluppo industriale, con conseguenze in ambito produttivo, prima inimmaginabili.

A tale incremento dell'industria in tutti i campi produttivi, è corrisposta una vertiginosa crescita della ricchezza legata ad ogni settore economico che però non è stata equamente distribuita, a causa del fatto che i mezzi di produzione, come già a suo tempo rilevava Marx, sono divenuti proprietà privata a vantaggio di pochi, mediante il lavoro e lo sfruttamento di tanti altri e in numero crescente, di qui i vari conflitti sociali sorti, in particolare tra XIX e XX secolo, le varie ideologie che hanno cercato di porvi rimedio, il loro parziale fallimento ed infine il trionfo di una economia globalizzata, in cui lo sfruttamento non è più l’alienazione dell’essere ingranaggio di una macchina, ma la parcellizzazione del lavoro, la sua precarizzazione, il colore nero di cui esso si tinge quando resta sommerso nelle acque torbide del ricatto endemico

 In questo sistema prevale tuttora il modello di accumulazione di capitale per motivi di profitto, inizialmente mediante un processo di libera concorrenza, ma, con il passare del tempo e fino ad oggi, con la tendenza sempre più preponderante alla formazione di oligopoli, con la creazione di soggetti economici multinazionali, in grado di aggirare anche le regole costituzionali di ciascun Paese, intervenendo coi propri fiduciari nei sistemi legislativi e persino istituzionali. Tanto che ormai molti dei sistemi politici vigenti, e non solo occidentali, sono pressoché incapaci non solo di creare ma persino di immaginare una seria alternativa di sistema a quello vigente, un po' come dei pesci che nuotano dentro un sistema acqua fino a ritenerlo vitale per loro stessi e senza rendersi conto che la vita è possibile anche fuori dall'acqua

In poche parole, oggi tutta la economia globale ruota intorno all'assioma che è necessario accumulare capitali o attraverso meccanismi speculativi, oppure incrementando denaro parallelamente allo sfruttamento di risorse ambientali e umane per scopo di mero profitto, riducendole a mera merce, tanto che si parla addirittura di “capitale umano”, legando indissolubilmente l’essere umano al fattore “mammona” in un processo a dir poco demoniaco. Senza considerare che l’essere umano vale di per sé indipendentemente dalle sue capacità produttive, per le sue potenzialità e per la sua stessa natura inestimabile.  Il benessere dell'umanità e della natura è però rigidamente subordinato a questa mercificazione, tanto che se si deroga da essa, sovente quelli che ci provano vengono rovesciati anche con la violenza o con artificiosi procedimenti giudiziari. I sistemi politici che non si allineano con tale tendenza, o rifiutandosi di mettere in pratica le direttive dei mercati, cioè dei potentati economici e finanziari, oppure addirittura opponendosi ad essi, vanno a cozzare contro l'uso della violenza e delle armi, fino alla minaccia nucleare.

Tale perverso orientamento, che quindi non di rado si accompagna a guerre rovinose e alla devastazione di risorse dei paesi già poveri di per se stessi, oggi è diventato una minaccia per la stessa sopravvivenza dell'umanità sulla Terra. Poiché in un mondo in cui le risorse ambientali tendono a ridursi, anche a causa dei cambiamenti climatici generati da questo modello di sistema, mentre l'umanità, specialmente la più povera tende ad aumentare, alimentando flussi migratori di vaste proporzioni e conflitti etnici, religiosi e politici, solo apparentemente noi esseri umani rappresentiamo una minaccia per la Terra. Se infatti noi abbiamo bisogno vitale di questa unica casa comune dove tutti noi abitiamo e coesistiamo con altri popoli e con la natura, essa non ha affatto bisogno di noi. Il suo sistema geofisico ci precede di miliardi di anni, e può benissimo sopravvivere alla nostra estinzione per altri miliardi di anni, almeno finché esisterà il sistema solare, lasciando il dominio planetario agli insetti, ad esempio.

Noi ci illudiamo di essere artefici e padroni del rapporto che abbiamo con la nostra casa comune e in più abbiamo l'arroganza di pretendere di essere i padroni di casa. Ma non è così, nella nostra casa comune, come dice un famoso proverbio indiano: “ Noi non ereditiamo la Terra dai nostri antenati, ma la prendiamo in prestito dai nostri figli”  In breve la Terra, la nostra casa comune, è un dono “a tempo”, dato che la vita di ciascuno di noi è limitata, dovremmo pertanto utilizzare le sue risorse non immaginando che siano inesauribili e solo a nostra disposizione, come si è fatto per almeno due secoli e come in parte si fa tuttora, ma come quando riceviamo un dono prezioso e ne abbiamo cura per farne partecipi tutti coloro che possono apprezzarlo e migliorarlo

Questa è la vera alternativa di sistema che fa uscire il pesce dall'acqua, lo rende prima anfibio, capace di emanciparsi e poi capace di vivere anche fuori dall’acqua. Abbiamo bisogno di nuovo salto evolutivo, che ci faccia capire finalmente di essere parte integrante di un tutto organico in cui il sistema produttivo non sia al servizio della avidità accumulativa e dell'avversione verso chi la contrasta, ma serva a migliorare il rapporto tra gli esseri umani, e tra umanità e l'ambiente in cui essa vive, affinché anche altri possano ricevere lo stesso dono “a termine”, lo stesso prestito.

Una moneta non può cambiare da sola un sistema, perché se le basi di un sistema infetto dal virus dell’avidità e dell’ avversione permangono, come in una pandemia, esso muterà proprio  come fa un virus e potrà permanere e sopravvivere anche al cambio di mille monete, anzi i cambi di monete lo agevoleranno nelle sue mutazioni speculative intensificando l’infezione. E lo stesso vale per la politica, anche ammesso che un modello politico si possa attuare al di fuori di quello che è orientato e guidato dai modelli economici vigenti, avremo solo varianti, mutazioni di uno stesso sistema infetto

Il sistema cambia solo se cambia la mentalità umana, se viene “bonificata” nei suoi intenti fondamentali, capendo che la giustizia sociale e ambientale sono l’altra faccia della libertà e del benessere di tutti gli esseri viventi. Non cambierà nulla se continuerà a permanere il donare ciò che avanza, regalando “bonus” una tantum per contenere il disagio sociale, con una toppa messa su un vestito vecchio e logoro destinato a stracciarsi. Così i prezzi aumenteranno, contando sugli imbonitori, mentre i conflitti sociali saranno solo contenuti temporaneamente, per poi scoppiare con maggior virulenza

Si cambia solo se si è in grado almeno di immaginare una dimensione di vita al di fuori della realtà stagnante in cui si resta immersi, e se si comincia a mettere il naso al di fuori di essa. Altrimenti, come nella famosa favola, lo stagno bollirà e la rana umana con esso, mentre le farfalle continueranno a sfiorare i petali dei fiori.


Carlo Felici

martedì 24 maggio 2022

COME E' UMANO, LEI...



La recente visita di Draghi ad una scuola ci fa pensare ad un leader che, messo sul letto di Procuste da una classe politica incapace di accordarsi su una guida politica e presidenziale, tant'è che ha rieletto lo stesso Presidente della Repubblica precedente, cerca disperatamente di conquistare un po' di popolarità, perché la stessa classe politica che gli concede da una parte la fiducia, dall'altra gli crea continuamente problemi con i suoi disaccordi e i suoi distinguo.

E così Draghi si rivolge direttamente alla gente, sperando di conquistare un po' di popolarità anche a costo di ridimensionare la sua algida figura di burocrate adatto a tutte le stagioni.

Parla della sua famiglia, dei suoi figli, ha accanto sua moglie che, finora, nessuno aveva mai visto accompagnarlo in una sua pubblica apparizione, mostra insomma il suo lato umano...verrebbe da replicare come Fantozzi: “come è umano Lei..”

Ehi già perché Draghi, pur riconoscendo il valore e la straordinaria funzione degli insegnanti non ha fatto nulla per favorirli, né un rinnovo di contratto, né un incremento di stipendio per adeguarlo almeno alla media europea. E lo stesso con gli studenti, infatti tuttora perdura la pratica assurda dell'alternanza scuola lavoro che ha già fatto varie vittime tra i giovani senza che alcun provvedimento sia stato preso almeno per garantire loro un'assicurazione sugli infortuni, se non per abolirla del tutto come sarebbe meglio.

Ma in altri campi la situazione non migliora di certo, dato che le vittime adulte nel mondo del lavoro costituiscono tuttora uno stillicidio quotidiano quasi paragonabile ad una guerra disumana.

E così, di fronte a tante famiglie che stentano a sbarcare il lunario, di fronte ad una povertà crescente che da una parte ha incrementato il divario tra ricchi e poveri in Italia, e dall'altra a quasi azzerato l'ascensore sociale (sotto quello vero ci crepano i lavoratori), Draghi mostra una oleografica immagine di “buon padre di famiglia”, con i figli ben sistemati negli stessi istituti finanziari in cui lui ha fatto carriera.

Ma, dico io, ci penserà almeno una volta ai tanti figli di disoccupati e precari, si renderà conto, prima di dormire, che l'Italia ha un decremento demografico pauroso a causa di giovani tuttora condannati alla precarietà endemica o a vivere continuamente aiutati dalle pensioni dei genitori, perché senza mezzi per farsi una famiglia propria?

Si accorgerà che aumentando la tassazione su un bene primario come la casa rischia di colpire anche anziani, pensionati e figli che hanno ereditato quell'unico bene per sopravvivere?

Non potendo più barcamenarsi tra un veto e l'altro, e nell'inerzia più totale ora cerca da una parte più popolarità e dall'altra Bruxelles che gli dia man forte con il suo permanente ricatto sui fondi destinati al risanamento, magari sperando che la gente non si renda conto che quei soldi che l'Europa sembra concederci sono solo quelli che le abbiamo versato durante lunghi anni di sacrifici a cui non si vede tuttora una fine.

Il segretario generale della Fiom-Cgil dichiara che “in Italia c'è un clamoroso vuoto di politica industriale, il ministro Giorgetti è invisibile. Intervenga Draghi o sarà mobilitazione”

Potremmo replicargli che per una politica industriale, ci vuole innanzitutto una politica, un ruolo politico che sappia dare indirizzi nell'interesse generale di un Paese, e un leader politico che abbia innanzitutto la fiducia del cittadini perché votato in elezioni che si chiamano per questo politiche, e in questo Paese continuamente bisognoso di tutori, come se fosse un malato grave quasi terminale, manca da più di dieci anni.

Sono morti 30 anni fa due grandi Magistrati che erano consapevoli dei rischi che correvano perché sapevano benissimo quali interessi abnormi andassero a ledere negli intrecci tra mafia, politica, servizi segreti italiani ed esterni, e hanno comunque continuato il loro lavoro etiam spes contra spem et usque ad finem, anche contro ogni speranza e fino alla loro fine, per dare un buon esempio che si sperava potesse almeno suscitare un sussulto di dignità, da parte dell'opinione pubblica. E in parte c'è stato. Ma l'opinione pubblica purtroppo non è lo Stato, che tuttora farraginoso nelle sue leggi e provvedimenti, non riforma se stesso per rendersi più credibile e per avere una maggiore fiducia da parte dei cittadini. Per fare una esempio spicciolo, dato che le morti in famiglia stanno aumentando più di quelle dovute alla criminalità e sono dovute principalmente all'uso di coltelli da cucina, ebbene lo Stato ne consente la libera vendita esattamente come un machete o una roncola, mentre magari sequestra un rottame della Prima Guerra Mondiale, considerandolo un'arma.

Se non si formano famiglie e non nascono bambini, se nelle famiglie che si sono formate nascono sempre maggiori conflitti che purtroppo sfociano non di rado nei donnicidi (li chiamo così perché ridurre il ruolo di una donna a quello di una femmina, mi pare alquanto infamante), in un Paese che ospita tra l'altro una delle maggiori autorità morali del globo: il Papa, non c'è solo un problema di recessione economica incombente, ma ci sta un pauroso vuoto di valori morali e politici.

Perché in uno Stato continuamente guidato da tecnocrati, che ne assicurano solo il funzionamento e la stabilità, la tecnica, come in ogni suo apparato, non ha valori. Il suo unico scopo valido è infatti incrementare sé stessa con un potere perdurante e indiscutibile, che è ormai indissolubilmente legato al profitto.

Draghi è stato definito da alcuni un socialista liberale. Ma il padre nobile del Socialismo Liberale che lo “inventò” in Italia allora con obiettivi a suo dire rivoluzionari, lo definisce in tale modo: “Il Socialismo (Liberale), colto nel suo aspetto essenziale, è l'attuazione progressiva di libertà e di giustizia tra gli uomini: idea innata che giace, più o meno sepolta dalle incrostazioni dei secoli, al fondo d'ogni essere umano; sforzo progressivo di assicurare a tutti gli umani la possibilità di vivere la vita che è degna di questo nome, sottraendoli alla schiavitù della materia e dei materiali bisogni che oggi domina ancora il maggior numero; possibilità di svolgere liberamente la loro personalità, in una lotta contro gli istinti primitivi e bestiali e contro le corruzioni di una civiltà troppo preda al demonio del successo e del denaro”. Chiediamoci seriamente se questo “demonio”, dagli anni in cui scriveva Carlo Rosselli, ha diminuito o incrementato il suo potere, e potremo renderci conto di quanto anche le sue idee siano state travisate se non addirittura distorte. In particolare nella concezione del Liberalismo.

Egli infatti fa una netta distinzione tra Liberalismo Socialista e Liberalismo borghese, quando scrive che: “Il liberalismo borghese tenta di arrestare il processo storico allo stadio attuale, di eternare il suo dominio, di trasformare in privilegio quello che fu un tempo un diritto derivante da una incontestabile opera rinnovatrice; e si oppone all'ingresso sulla scena della storia delle nuove forze sociali prementi. Col suo dogmatico attaccamento ai principi del liberalismo economico (proprietà privata, diritto di eredità, piena iniziativa in tutti i campi, lo Stato organo di polizia e di difesa) ha come imprigionato lo spirito dinamico del liberalismo entro lo schema transeunte di un sistema sociale. Il liberalismo è invece per definizione storicista e relativista, vede nella storia un perpetuo fluire, un eterno divenire e superamento; nulla è più repellente alla sua essenza della stasi, della immobilità, della categorica certezza, della fede nel possesso di verità assolute, definitive che contraddistingue i liberali borghesi”

Alla luce di queste citazioni tratte dal famoso libro di Carlo Rosselli: “Socialismo Liberale”, chiediamoci seriamente se i principi del Socialismo da lui esplicitati corrispondano davvero all'opera di questo governo, se i grandi privilegi delle multinazionali vengono intaccati tassandoli invece di tassare beni di primaria importanza come la casa, se nuove forze giovanili sociali emergano nel tessuto politico ed economico italiano, invece di essere condannate ad un destino di precarietà permanente o persino alla morte prima ancora di potersi inserire lavorativamente nella società, se le categorie più deboli, come i disabili, abbiano davvero le risorse per condurre una vita degna di essere vissuta, e fino a che dura la loro vita già duramente messa alla prova.

Se in definitiva le “verità assolute” del mercato, di fronte alle quali persino le Costituzioni degli Stati sovrani chinano il capo rinunciando così ad ogni autorevolezza e credibilità, possano essere messe in discussione, se un governo è disposto ad accogliere le istanze che provengono dalla società, dai sindacati e dalle forze politiche che la rappresentano, oppure preferisce procedere a colpi di fiducia minacciando in continuazione che dopo di lui ci sta solo “il diluvio”

Solo ponendoci seriamente queste domande sapremo se siamo davvero governati da chi ha legittimità a farlo o siamo di fronte ad una nuova forma più subdola di assolutismo, quella per cui “discutete pure di quello che volete” ma alla fine decidiamo noi, perché altrimenti non si può fare, con la conseguenza che è pure inutile discutere.

Sarà bene concludere con un appello alla coscienza di ciascuno che chiama in causa la responsabilità di noi tutti, una frase significativa ed estremamente attuale di Carlo Rosselli: “Non si nasce, ma si diventa liberi. E ci si conserva liberi solo manifestando attiva e vigilante la coscienza della propria autonomia e costantemente esercitando le proprie libertà”

E chi ha orecchie per intendere intenda..

Carlo Felici

mercoledì 11 maggio 2022

LICEI, UN ULULATO ALLA LUNA


                                                              


                                                     di Carlo Felici


Questa mia riflessione segue quella precedente sulla scuola media, in un articolo di qualche giorno fa e continua a sottolineare il fatto che oggi, in un tempo in cui la scuola dovrebbe avere un compito cruciale, essa si trova senz'anima e senza prospettive di vera crescita educativa.

Chi scrive lo fa con cognizione di causa, avendo trascorso circa quarant'anni nelle cattedre di ogni ordine e grado, sia da supplente sia da incaricato temporaneo che da docente di ruolo.

Questa volta ci soffermeremo sui licei. Sia Salvini che Bianchi, a proposito della scuola media, hanno usato una espressione assai infelice, se non offensiva, nei confronti di chi in quel ciclo di studi lavora o ha lavorato per decenni, secondo loro “non è né carne né pesce”, ma non hanno specificato se la carne sia riferita ai licei o lo sia il pesce, mentre viceversa sia attribuirsi alle scuole elementari.

Supponiamo dunque che sia “pesce”, dato che il secondo segue alla prima, e anche perché di pesci in faccia gli studenti dei licei, specialmente nei primi anni, ne prendono parecchi, tanto che molti di loro, dopo bocciature a raffica, abbandonano la scuola

La questione dunque, messa in questi termini, è quanto tale “pesce” possa essere fresco e nutriente oppure quanto possa essere rancido e dannoso.

Il liceo, si sa, fu inventato da Aristotele e si chiama così perché la scuola risiedeva, non a caso, presso il tempio di Apollon Lukeios che sarebbe l'Apollo sterminatore di lupi. Apollo, nell'antica Grecia, era infatti una divinità polivalente, poteva apportare benessere, saggezza e guarigione, dato che il raggi del sole erano proprio paragonati alle sue frecce, mentre egli con il suo carro attraversava il cielo, oppure, se offeso, procurare pestilenze (come vediamo nell'Iliade), morte e distruzione. In particolare chi dava la caccia ai lupi, molto diffusi allora, si consacrava ad Apollo con la speranza che le sue frecce giungessero a bersaglio. Il nome liceo richiama alla mente anche la radice λευκ-,λυκ- «candore, luce» con la valenza di illuminare le menti di coloro che lo frequentavano, divisi in “esoterici” abituali ed interni ed “essoterici”, sporadici ed esterni, in una sorta di ineludibile flessibilità

Ebbene, i licei attuali, forse sorti all'epoca della riforma Gentile, con tale intento “aristotelico”, attualmente non conservano nemmeno l'ombra di questa impronta originaria

Inizialmente riservati all'ambito “classico” e “scientifico”, dopo la riforma, ma sarebbe il caso di chiamarla “deforma” Gelmini, hanno assunto varie fisionomie tali da trasformarli senza un adeguato raccordo ed una continuità didattica e formativa specifica, in un prolungamento deforme della scuola media. Diciamo “deforme” perché essi non prevedono programmi flessibili a seconda del contesto del gruppo classe o in base alle specificità di ciascun alunno, ma programmi tuttora alquanto rigidi da svolgere in maniera che lo studente si adatti ad essi e non viceversa, e per ben cinque anni..

Sappiamo che altrove le cose non stanno così, in Francia, ad esempio non vi è discontinuità tra scuola media e scuola superiore. Infatti “Le Collège dura 4 anni, dagli 11 ai 15 anni di età, organizzata in ben 3 cicli continuativi, il primo di consolidamento, il secondo e terzo centrale e formativo, il quarto di orientamento. Il liceo generale dura 3 anni, mentre quello professionale dai 2 ai 4 anni, a seconda se si vuole o no conseguire la maturità professionale.

In Germania la scuola elementare dura quattro anni, e a nove gli alunni e le famiglie scelgono gli indirizzi successivi, o tecnici e professionali o ginnasiali, per un ciclo che dura ben nove anni.

C’è poi la Gesamtschule. Questo tipo di scuola esiste soltanto in alcune regioni ed è un tentativo di superare la rigida divisione tra i vari tipi di scuola. Gli alunni non sono divisi per classe: per ogni materia esistono corsi di diverso livello. A seconda dei risultati si può ottenere il diploma della Hauptschule (scuola professionale) o della Realschule (istituti tecnici) o ancora proseguire fino alla maturità.

Il Inghilterra l'intero ciclo di studi è più simile al nostro, però con una sostanziale differenza. Il primo ciclo inizia a 5 anni e ne dura 6, si chiama primary school. Il secondo inizia a 11 anni e dura 5 anni, si chiama secondary school, mentre il terzo dura due anni e si chiama further education, l'intero ciclo inizia quindi un anno prima del nostro e si conclude lo stesso con un anno di anticipo.

Negli USA il ciclo di studi è solo apparentemente simile al nostro: 5 anni di scuole elementari, 3 di scuole medie e solo 4 di liceo, la differenza è però che già dalle medie (middle school) gli alunni debbono frequentare solo alcune materie obbligatorie mentre le altre sono di loro libera scelta, così come accade per il licei (high school), dove possono prediligere alcuni insegnanti e i loro insegnamenti al posto di altri.

Se poi prendiamo il sistema finlandese che risulta uno dei migliori al mondo, vediamo che la differenza rispetto al nostro è notevole. In Finlandia c'è una scuola unica obbligatoria, che si inizia a 7 anni e si finisce a 16, garantendo la continuità negli anni cruciali della crescita adolescenziale. Non c'è discontinuità infatti tra scuola primaria e scuola secondaria, o esami di passaggio, come invece accade in Italia, nel periodo in cui avviene la maggiore dispersione scolastica, più delicato sul piano formativo e psicologico per uno studente che, in quegli anni cruciali della sua crescita, è costretto a cambiare compagni, professori e carico di lavoro. La scuola in Finlandia inoltre è gratuita, anche i libri lo sono, e non ci sono né test né valutazioni. Semplicemente alla fine della scuola dell'obbligo, a 16 anni, lo studente può poi scegliere se frequentare un “liceo” che più che altro è un corso propedeutico di preparazione universitaria, o un corso professionale per l‘inserimento nel mondo del lavoro.
Basta solo questa breve analisi di altri sistemi scolastici per rilevare le pecche del nostro che i nostri solerti ministri, “riformatori” solo per ragioni di bilancio, non hanno voluto né saputo eliminare. Il nostro “furore riformista” si è infatti ridotto in quasi 25 anni di riforme sgangherate solo a tagliare, a ridurre e a modificare in apparenza. Invece di colpire il lupo, che sarebbe la dispersione scolastica la quale, specie nel Meridione consegna giovani fragili, disorientati che abbandonano la scuola a veri propri lupi famelici di “scuole malavitose”, ha continuato ad ululare alla luna, incapace tuttora di decidersi se tagliare un anno di scuola media, uno di liceo, far diventare carne quel che è pesce o pesce quel che è carne. In buona sostanza, con idee assai confuse sul piano pedagogico e molto precise su quello economico del risparmio sul futuro delle nuove generazioni e del Paese

Eppure la questione è molto semplice e basta l'osservazione dei sistemi europei e anche di quello americano per risolverla efficacemente.

Se il problema maggiore è infatti nel passaggio dalla scuola media a quella superiore, per la notevole dispersione scolastica che si crea in tale iato pedagogico e formativo, basta eliminarlo per ottenere subito un buon risultato. In Italia basterebbe creare un ciclo unico secondario di cinque anni: tre di scuole medie e due di biennio unificato (chiamato di orientamento) in cui si garantisca la continuità didattica e professionale dei docenti e di alcuni insegnamenti obbligatori per tutti e cinque gli anni, lasciando agli alunni la possibilità di scegliere alcune materie al posto di altre, specialmente nel biennio finale, per potersi meglio orientare e mettere alla prova. Solo alla fine di questo ciclo i ragazzi potrebbero scegliere un triennio conclusivo liceale o tecnico professionale diviso in vari indirizzi.

In fondo era quello che lo stesso Gentile aveva previsto nella sua riforma, ma solo per i privilegiati che dopo cinque anni di ginnasio, avrebbero frequentato tre anni di liceo. Si tratterebbe in questo caso di dare questa opportunità a tutti, con insegnamenti che includano con alto valore civico, dato che si devono conseguire gli obiettivi dell'agenda 2030, una formazione in campo economico, ambientale e legislativo.

E' del tutto evidente l'incompetenza dei vari ministri dell'Istruzione italiani che continuano a dibattersi se sia meglio accorpare le scuole medie con le elementari, tagliando un anno di scuola media, oppure se è meglio tagliare un anno nel percorso di licei che sono stati uniformati a scapito della loro qualità, esempio lampante è l'introduzione della “geostoria” nel biennio liceale, un icocervo che presuppone che non si faccia bene né storia né geografia, ma solo che si abbia una riduzione di ore e di insegnamenti. Invece il problema cruciale resta quello di eliminare la dispersione.

L'Italia resta uno dei pochi Paesi in cui uno studente non si può scegliere un insegnante e una materia a seconda delle sue inclinazioni e, perché no, della bravura che riscontra nell'insegnamento. In altri Paesi l'operato dei docenti è controllato e valutato dai Consigli di Istituto che negli USA sono anche Consigli di Amministrazione i quali possono anche assumere o licenziare un docente a seconda dei suoi risultati e del suo operato. Da noi permane un sistema di valutazione verticistico, demandato ai Dirigenti scolastici o al Ministero, quando non addirittura a corsi di formazione superabili in base a quiz, senza considerare in alcun modo quel che gli utenti della scuola, famiglie e studenti, pensano del servizio che un docente fornisce loro.

Come abbiamo dunque visto, le prospettive e le soluzioni sono a portato di mano, a patto di volerci seriamente lavorare, con l'obiettivo di risolvere i problemi che affliggono la scuola, presto e bene. Purtroppo invece assistiamo tuttora all'ululato ad una luna di obiettivi sempre più lontani, mentre i veri lupi scorrazzano e azzannano il futuro dei nostri giovani, i nostri ministri impotenti non sanno dove mettere le mani, se nella carne o nel pesce.


Carlo Felici

giovedì 5 maggio 2022

Né carne né pesce

 






                                                     di Carlo Felici


Sono passati 60 anni dalla riforma della scuola che introdusse la scuola media unica per tutti, cioè un ciclo di studi che consentisse di eliminare le discriminazioni tra chi veniva avviato ad una scuola professionale e ad un lavoro in gran parte allora manuale fin dalla tenera età di 11 anni, e chi invece poteva avere il privilegio e i mezzi per proseguire i suoi studi fino all'università e ai livelli più alti di formazione ed istruzione.

Da allora molte cose sono cambiate e anche la scuola media, che in realtà già durante gli anni del regime fascista era in progetto di essere trasformata, con intento unitario e formativo, ma la riforma Bottai non fece in tempo ad essere varata a causa della guerra e della caduta del regime. Concretamente anche quella riforma non era esente da discriminazioni e divisioni essendo il suo percorso triennale diviso in tre indirizzi: la scuola artigianale, concepita per un ceto rurale che allora era la maggioranza del paese, la scuola professionale, più approfondita della prima, rivolta a chi volesse poi proseguire con studi specificatamente tecnici, e infine la scuola media unica, destinata a chi si sarebbe poi iscritto ai licei e all'università, come poi è accaduto con la riforma di 60 anni fa, posticipando ad essa gli eventuali percorsi artigianali e professionali.

In realtà, quella riforma aveva già un certo margine di flessibilità interna, dato che inizialmente prevedeva che tutti studiassero anche il latino, ma prima di giungere all'esame che era stabilito anche per la lingua latina, scegliessero se sostenerlo, con possibilità di accesso ai licei, oppure, durante l'ultimo anno, frequentare al suo posto un corso di Educazione Tecnica, basato più su attività pratiche che teoriche. La prima scuola media unica prevedeva anche esami di riparazione nel corso di tutti e tre gli anni di studi nelle varie singole materie e la impossibilità di essere promossi con più di tre materie da “riparare”.

In buona sostanza si cercava, con questo percorso, di favorire la crescita e la maturazione degli alunni in un età puberale particolarmente delicata per lo sviluppo fisico e psicologico di ciascuno, senza predeterminare uno sbocco a scapito della consapevolezza da parte di ciascuno studente di potersi orientare in base alle sue attitudini per il futuro.

Da allora è passato molto tempo e anche la scuola media di quel tempo ha subito moltissime riforme, sia negli assetti curricolari sia nei sistemi di valutazione che nelle modalità di formazione ed integrazione degli alunni. Sono stati prima introdotti i giudizi al posto dei voti, poi di nuovo i voti al posto dei giudizi (della serie abbiamo cambiato tutto per non cambiare niente), si è stabilito un percorso curricolare unitario, ma programmando le attività didattiche in base alle specifiche realtà e ai bisogni formativi di ciascuna classe, più che secondo i programmi ministeriali, sono stati aboliti il latino e gli esami riparazione. Soprattutto si è cercato di integrare in ciascuna classe le varie specificità degli alunni diversamente abili, di quelli con bisogni educativi speciali e con ritardi nella formazione, con l'intento di creare soprattutto un gruppo classe coeso, privo di discriminazioni interne in cui fosse messa in primo piano la formazione del futuro cittadino e la sua capacità di orientarsi nel contesto civile in cui si trova, con la consapevolezza dei suoi orientamenti culturali da approfondire nel percorso di studi superiori.

Evidentemente, con tale percorso si è voluto dare risalto più all'aspetto formativo che a quello eminentemente didattico-curricolare, rendendo le materie stesse uno strumento di crescita e maturazione umana e culturale, nella consapevolezza che argomenti analoghi sarebbero stati di nuovo affrontati e approfonditi nel ciclo degli studi superiori.

Tale assetto ha funzionato non alla perfezione ma nei suoi obiettivi generali, fino alla fine del secolo scorso. Circa venti anni fa, infatti, più per esigenze di bilancio che formative, è iniziata una serie di riforme che, in particolare, si sono accanite su questo delicatissimo ciclo di studi, con l'unico obiettivo di scardinarlo definitivamente. Non sono riuscite ad eliminarlo soprattutto per le fortissime resistenze del personale scolastico e dell'opinione pubblica, ma lo hanno fortemente indebolito, e la voglia di annientarlo non è mai finita..

Dagli anni in cui il ministro Berlinguer pensò di eliminare un anno di scuola media, accorpando medie ed elementari, alla ministra Gelmini che ridusse orari curricolari soprattutto di materie umanistiche, passando per la costruzione di Istituti Comprensivi, in certi casi anche enormi che comportano la direzione e l'amministrazione estremamente complesse di scuole medie insieme a scuole elementari, fino alla costruzione spesso artificiosa di figure burocratiche di supporto alla gestione di tali istituti, il percorso è stato molto tortuoso. E soprattutto ha progressivamente trasformato il docente, che ha come compito principale quello di formarsi e di formare i suoi alunni in sinergia con i suoi colleghi, in un piccolo burocrate che ansima tra una relazione, un monitoraggio e la compilazione di relazioni, per giunta ormai del tutto informatizzate, perché i registri non sono più agende con cui compilare per rendersi conto del proprio percorso educativo, in itinere, ma semplici moduli elettronici che, una volta redatti, non si modificano più, sotto gli occhi sempre più implacabili e invasivi di genitori pronti a ricorrere a vie legali pur di affermare i sacrosanti diritti dei loro marmocchi anche quando non brillano di grande dedizione allo studio e in partecipazione. Ma tanto il luogo comune dell'insegnante con poche ore a settimana, pochi giorni al mese e pochi mesi l'anno di lavoro è ancora duro a morire. Basta che muoia la cultura e si affermi lo smartphon, ultimo ritrovato della caverna platonica nel palmo della mano

Non c'è bisogno di scomodare Severino per rendersi conto che una professione, purtroppo sempre mortificata, in particolare in Italia, da stipendi inferiori a quelli di altre categorie analoghe in Europa e nel mondo, e che richiede giustamente un alto margine di autonomia e di “libera docenza” (come sancisce pure la nostra Costituzione) è stata ridotta a “funzione di un apparato tecnico”, in cui l'insegnante corrisponde più ad un “ingranaggio” che ha come obiettivo principale quello di integrarsi con l'apparato stesso, piuttosto che quello di contribuire alla crescita di esseri umani in formazione.

Il trionfo di questa reductio ad unum apparatum, che confligge nettamente con la presunta autonomia di ciascun istituto scolastico e con ogni intento umanistico, è il monitoraggio e la selezione in base al quiz, glorificazione definitiva del tecnicismo mediatico come promozione dell'individuo e dell'individualismo

Sono stati introdotti ed imposti dei sistemi di monitoraggio gestiti da un istituto sostanzialmente estraneo alla scuola chiamato INVALSI, straordinario nomen omen per chi ha ritenuto di affermarsi senza critiche né confronto con il mondo della scuola, che inizialmente hanno avuto persino la pretesa di influire sulla valutazione didattica dell'alunno, anziché ridursi al monitoraggio delle sue competenze. Esso però ignora del tutto cosa sia la storia, l'arte, la musica, la filosofia, persino la scienza in un paese in cui ci stanno i tre quarti del patrimonio artistico e culturale del mondo.

Come se non bastasse, anche i docenti vengono selezionati in base a sistemi di reclutamento degni di un concorso a quiz televisivo, con domande spesso ambigue che però richiedono, non capacità di analisi e critica, ma una unica risposta secca, come se il docente non dovesse essere abilitato alla complessità e specificità dell'insegnamento, ma gli si dovesse dare la patente di guida, nel percorso  sempre più accidentato della sua classe.

Dopo ben 60 anni di furore riformista che ha portato solo confusione, disorientamento, depressione e sfiducia tra coloro che svolgono una delle più importanti professioni per la stessa stabilità degli ordinamenti sociali e istituzionali, un esponente di destra e uno di sinistra sono finalmente d'accordo e pronunciano la stessa frase. Salvini e Bianchi ritengono che la scuola media, anello non più debole, si badi, ma più delicato dell'intero ciclo di studi, “non è né carne né pesce”

Verrebbe da chiederci con quali competenze pedagogiche, culturali, psicologiche o docimologiche affermino ciò, dato che tale considerazione si addice più a chi ne ha da macellaio o da pescivendolo. Ma tant'è, non nel regno kantiano “dei fini” ma in quello di “lascia o raddoppia”, in cui anche la carriera di un docente viene a delinearsi in base alle risposte ai quiz date al termine dei corsi di formazione, anche con un ministro selezionato in base alla domanda: “cosa dovrebbe essere la scuola media, più carne o più pesce?” si rischia il silenzio o peggio che risponda: “un salame”, evidentemente dando più un' immagine di quello che è chi risponde, rispetto a quello che vorrebbe che fosse l'oggetto delle sue attenzioni.

In una società di bottegai anche ad alto livello in cui la competenza e la crescita si misurano in base al potere e al profitto, la scuola rischia di essere una “società di alieni” perché ci si lavora solo per amore degli esseri umani, delle loro opere migliori e della natura, una attitudine che, specialmente con il rigurgito delle guerre e con le devastazioni ambientali in corso, appare quasi folle e maniacale.

Un proverbio orientale dice che “Il Maestro apre la porta, ma tu devi entrare da solo” Un po' difficile in un contesto in cui le porte vengono continuamente sbattute in faccia ai Maestri.

Eppure solo l'opera di grandi Maestri può ancora salvarci dal suicidio della nostra specie e in particolare da noi stessi.

Carlo Felici