Saranno probabilmente versati fiumi d'inchiostro su Papa Benedetto XVI, sulla sua missione di evangelizzatore, sui suoi scritti teologici, sulle sue visite pastorali, sulla sua opera di pontefice, tanto che a ricordarlo si rischia sicuramente di non trovare le parole giuste, di omettere qualcosa o di non intendere bene la sua stessa missione.
Possiamo però dire alcune cose che sono già storia della nostra epoca. Innanzitutto che ha accompagnato la stagione del Concilio Vaticano Secondo con cui la Chiesa è entrata nella modernità e ha saputo dare la risposta migliore agli scismi subiti nel passato, da quello ortodosso a quello protestante, con una significativa apertura agli incontri ecumenici e con un rinnovamento della liturgia e anche della formazione sacerdotale.
Benedetto XVI ha dapprima vivificato, da giovane consulente, i fermenti innovativi di quella stagione straordinaria, poi ha saputo, da vescovo e da cardinale, accompagnarne l'attuazione senza che gli innumerevoli stimoli che nacquero allora disgregassero il tessuto unitario di una Chiesa che ha dovuto affrontare sia la sfida della contrapposizione tra blocco comunista e quello liberista, sia quella di una globalizzazione a senso unico neoliberista ed ecocida, cioè con la riduzione della natura e dell'essere umano a merce per fine di profitto.
Si dice che dopo il '68 il Cardinale Ratzinger abbia imboccato la via del conservatorismo ad oltranza, ma in questo gli si fa sicuramente un grave torto. Gli fu affidata infatti una missione delicatissima, quella di tutelare la Tradizione e la Fede millenaria di una istituzione, senza che essa ne venisse disgregata e senza che fosse immiserita chiudendosi in se stessa.
Un compito difficilissimo perché da condurre sia nei confronti di innovatori radicali come gli esponenti della Teologia della Liberazione, sia di conservatori ad oltranza come gli esponenti del movimento di Lefebre. E soprattutto da svilupparsi rendendo più trasparente e credibile la stessa struttura e l'operato della Chiesa dal suo interno
Un compito diremmo titanico, mai affrontato prima, che ha messo a rischio la stessa stagione conciliare, sia facendo apparire la Chiesa prigioniera di se stessa e del suo potere eurocentrico, sia troppo sbilanciata in avanti, tanto da rinnegare la sua Tradizione millenaria, sul piano liturgico e dottrinale. Un compito soprattutto sovrumano per un uomo fisicamente fragile, che prima di diventare Papa dovette subire un ictus e la perdita di un occhio. Eppure, anche con un occhio solo, la visione di Benedetto XVI ha diradato orizzonti sconfinati con una semplicità che ha del miracoloso.
Egli, infatti, pur limitandosi a tre Encicliche essenziali sulle virtù teologali: Carità, Speranza, e Fede, l'ultima scritta con quello che divenne il suo successore in vita, Papa Francesco, ha indicato come risposta alla “dittatura del relativismo” che opprime le coscienze rendendole ondivaghe ed incapaci di realizzarsi pienamente, per la dispersione soprattutto dei desideri indotti dalla società mediatica dei consumi (anche culturali) e per la incapacità che ne consegue di vivere umanamente in maniera integra, quell'unico Lògos che nella storia si è incarnato ed è venuto ad abitare in mezzo a noi: Gesù, che egli non a caso chiama “di Nazaret” anziché Cristo, perché si è immerso e ha vivificato la storia, rivoluzionandone il senso
La sua trilogia su Gesù, scritta durante il suo pontificato, ma non da pontefice, è infatti l'apice del suo pensiero e la risposta più “forte” di una Parola e al contempo di una Ragione aperte all'Amore, che non è disgiunto mai dal sacrificio, la migliore risposta alle tendenze contrastanti di ogni tempo e alla mancanza appunto di virtù teologali, quella più chiara alla domanda di verità e di senso che attraversa la vita di ognuno di noi.
Ma, nella sua fragilità, Benedetto XVI non si è neppure sottratto alla sfida più difficile del rinnovamento della Chiesa, affrontando con decisione due questioni nodali come quella della pedofilia e della Banca Vaticana, non si può negare che è stato il primo a far emergere la necessità di purificare la Chiesa dal suo interno, fin dal pontificato di Giovanni Paolo II, anche se con esso, non poté andare avanti con la adeguata decisione. E lo ha fatto con la necessaria autorevolezza e anche con un po' di autoironia, mostrando anche nell'aspetto i segni di una Tradizione scomoda per le facili ed accattivanti finestre dei media. Questo ad alcuni è sembrato espressione di una Chiesa medievale chiusa in se stessa ma, se visto in profondità, era solo espressione di coraggio, di determinazione nel non voler essere piegati e umiliati dai “segni dei tempi”, non essere ridotti a spot televisivi.
E' tuttora paradossale che gli siano state imputate le colpe di avere coperto gli scandali o di non averli adeguatamente affrontati quando, nella sua timidezza e fragilità, fu il primo a voler scoperchiare una torbida realtà a cui mai nessuno aveva osato avvicinarsi. Solo quando si rese conto che le sue forze non sarebbero bastate, per l'età e per i malesseri fisici incombenti, lasciò il testimone a chi avrebbe potuto continuare meglio di lui.
Si è molto speculato su una presunta rivalità o differenza tra il due Papi, e in questo mettendo in atto un'opera diabolica nel vero senso divisivo del termine. La realtà storica è che l'un Papa ha favorito ed è stato in sintonia con l'altro nell'esclusivo interesse della Chiesa e del suo rinnovamento, dall'inizio del pontificato di Benedetto XVI alla sua morte.
Lo Stato italiano gli ha tributato, con la partecipazione ai funerali delle sue più alte cariche istituzionali, il giusto omaggio, anche se l'esposizione della bandiera italiana a mezz'asta voluta dal Governo ci pare eccessiva, se non altro perché lo Stato del Vaticano espone la sua bandiera a mezz'asta solo quando un Papa è morto e non ce n'è ancora vivo un altro. Mentre grazie a Dio Papa Francesco c'è ancora.
La omelia funebre di Papa Francesco ha reso bene l'omaggio al Papa Emerito Ratzinger, con la richiesta sobrietà anche se con gli onori dovuti. E' il suggello di una sintonia che tra i due c'è sempre stata, e che era iniziata con l'Enciclica scritta insieme. L'uomo Ratzinger, prima che il Cardinale difensore della Fede e prima che il Papa delle virtù teologali, ha dato un esempio cristiano indelebile, ha spiegato in modo mirabile come si possa e si debba incontrare la Verità nella Via e nella Vita di Gesù di Nazaret, ha illustrato una sapienza che non cede alle mode temporanee né alle ideologie, ma resta ferma nei principi essenziali della Fede Cristiana, anche a costo di attraversare la evangelica “porta stretta” fatta di amore e sofferenza condivise da pochi, ma sempre rivolte a tutti.
Ma soprattutto Benedetto XVI ha concluso la Sua vita con un esempio ed una Purificazione interiore e, dopo averla dedicata ad illustrare nella teologia la “sapienza divina”, si è inoltrato nel silenzio profondo della Kénosis anche di se stesso, l'unica che ci fa diventare così magri, così "poveri di Spirito" tanto da poterla attraversare.
Carlo Felici
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