Di tutto abbiamo bisogno oggi fuorché di macabre rappresentazioni che, in un tempo di guerra civile internazionale, evochino anche quella vissuta nella nostra storia, perciò lo diciamo senza se e senza ma: l'esposizione da parte di alcuni gruppi della cosiddetta sinistra antagonista di un manichino con le sembianze di Giorgia Meloni appesa a testa in giù, richiede una ferma condanna e una dura pena per i colpevoli.
Perché non solo rappresenta una diffamazione ed una offesa grave alla persona e alla carica che ella ricopre, ma è la quintessenza di un orrore storico strumentalizzato con becera mala fede
Sarà bene ricordate quindi, per fila e per segno, cosa ebbe a dire Sandro Pertini quando fu a conoscenza di ciò che avvenne quasi ottanta anni fa a Piazzale Loreto, che quell'orripilante e macabro manichino riecheggia: “Quando mi dissero che il cadavere di Mussolini era stato portato a piazzale Loreto, corsi con mia moglie e Filippo Carpi. I corpi non erano appesi. Stavano per terra e la folla ci sputava sopra, urlando. Mi feci riconoscere e mi arrabbiai: «Tenete indietro la folla!». Poi andai al CLN e dissi che era una cosa indegna: giustizia era stata fatta, dunque non si doveva fare scempio dei cadaveri. Mi dettero tutti ragione: Salvadori, Marazza, Arpesani, Sereni, Longo, Valiani, tutti. E si precipitarono a piazzale Loreto, con me, per porre fine allo scempio. Ma i corpi, nel frattempo, erano già st ati appesi al distributore della benzina. Così ordinai che fossero rimossi e portati alla morgue. Io, il nemico, lo combatto quando è vivo e non quando è morto. Lo combatto quando è in piedi e non quando giace per terra”
Lo stesso Parri definì quell'atto ignobile una vera e propria “macelleria messicana” nonostante venga tuttora rivendicato da frange estremiste e neocomuniste della sinistra come “un atto di giustizia”, e questo ci ricorda un po' cosa disse in proposito Pajetta un tempo ad Almirante: “noi i conti con voi li abbiamo chiusi a Piazzale Loreto”
Ebbene, sarà il caso di di dirlo senza peli sulla lingua. Quello di Piazzale Loreto fu uno scempio condannato dalla maggior parte dei gruppi partigiani combattenti di allora. Però, con buona pace dei comunisti di oggi e di ieri, certi conti con il periodo della Resistenza e anche con il seguito dei suoi strascichi di orrore, non si chiudono mai, perché è sempre necessaria consapevolezza, impegno, conoscenza storica e determinazione nel perseguire i valori dell'umanità e della democrazia. Però, quando si ha bisogno per rinvigorire certe posizioni politiche della disumana rappresentazione macabra della storia, non si dimostra forza ma debolezza, specialmente in un tempo che ci sbatte in faccia l'ennesima ferocia della guerra.
Evidentemente, a quasi ottanta anni dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla caduta del fascismo, non siamo ancora in grado di manifestare secondo i sani principi su cui dovrebbe fondarsi un Paese civile e democratico. In special modo certa disumanizzazione settaria che allora divise il mondo socialista da quello comunista tende a ricomparire, e non basta che abbia già fatto tanti danni nel passato remoto della Lotta di Liberazione e anche nei tragici anni di piombo del nostro passato prossimo, ancora ostinatamente vuole avere il suo palcoscenico nella storia per inquinare il nostro presente.
L'assalto squadrista alla sede della CGIL, l'esposizione del manichino di un Presidente del Consiglio eletto democraticamente dal popolo, rappresentano un rigurgito di barbarie che ancora purtroppo non è sepolto nel nostro peggiore passato. Sono il vomito di un odio che tende a rendere impossibile la vera unificazione di un popolo che si divide persino su ciò che ha fondato l'Italia, persino sul Risorgimento
Riecheggiano così nel presente i moniti illustri dei nostri migliori poeti, come Manzoni, siamo ancora “volgo disperso che nome non ha”, perché il nome di popolo si ha quando ci si riconosce in una storia e in una tradizione comune, non esportata da altri con le armi, né imposta da altri con l'ideologia, ma piuttosto acquisita con la dura lotta e il sacrificio di tante vite che ci vollero per fare questo Paese che a più di 160 anni dalla sua unificazione, non ha ancora trovato la sua civiltà, identità e unità di popolo. E per contestare il presente ha tuttora bisogno di evocare i fantasmi del passato più becero della sua storia.
Così l'Italia è ancora destinata, come disse Dante ad essere serva e “di dolore ostello” oggi causato più che da altri, dal “bordello” di noi stessi.
Carlo Felici
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