di Carlo Felici
Prometeo pagò assai caro il dono del
fuoco fatto agli umani, probabilmente perché lo stesso Zeus nella
sua preveggenza aveva capito cosa ne avrebbero fatto gli uomini di
questo pianeta, dalle estreme conseguenze delle bombe all'idrogeno,
fino agli incendi dolosi come quelli che devastano ogni anno intere
aree in tutto il mondo e oggi, ancora una volta, colpiscono lo stesso
paese di Prometeo: la Grecia.
Prometeo sconta tuttora la hybris di avere donato il fuoco senza prima avere educato coloro a cui ha rivolto il suo dono
Cosa c'è dietro è facile intuirlo:
progetti speculativi in gran parte dovuti a gruppi multinazionali
interessati alla rapina di territori, allo sfruttamento e alla
cementificazione delle aree turistiche elleniche.
Così oggi, quando ci viene
strombazzato dai media embedded che la Grecia finalmente sta
risorgendo dalla sua penosissima e rovinosissima “cura da cavallo
stremato”, ecco che quel paese di 11 milioni di abitanti, per
salvare il quale la UE avrebbe potuto impiegare meno risorse di
quelle normalmente utilizzate per rimettere in sesto una delle sue
grandi banche, piomba di nuovo nell'inferno.
Dopo ben 14 manovre di austerità, con
il reddito sprofondato di quasi il 30%, con 34 milioni di euro in
meno per i servizi antincendio, con la carenza di migliaia di vigili
del fuoco, e quelli rimasti in condizioni fisiche non idonee o
addirittura malnutriti, il paese culla della civiltà europea e
mediterranea sprofonda nell'inferno dei roghi che hanno ucciso quasi
un centinaio di persone, ne hanno ferite circa più del doppio e ridotto in
cenere zone cruciali per il turismo e l'economia ellenica.
Di chi la colpa? Del fato implacabile?
Dei piromani fuori di testa? Del sole e del riscaldamento climatico?
Beh, se volete facili capri espiatori
per la vostra coscienza, accontentatevi pure di quelli, ma se vi
avanza qualche fetta di prosciutto dalle orbite oculari, beh, provate
anche a guardarvi un po' intorno e vedrete che certi fenomeni non
sono poi così facilmente isolabili e sono nella maggior parte dei
casi interconnessi.
La rapina delle risorse ambientali, la
spasmodica ricerca di profitto a cui essa è asservita, la
mercificazione di tutto quello che vive su questo pianeta: dagli
esseri umani, agli animali e alle risorse ambientali e naturali, la
produzione e l'accumulo di sostanze tossiche ed inquinanti che
pervadono ormai anche gli angoli più remoti del pianeta, e persino
le vette più elevate delle montagne, hanno una comune radice nella
profonda ignoranza umana, in quella mancanza di consapevolezza che
alimenta come una fucina la sofferenza generale della Terra.
Essa non è generata solo da un
determinato sistema economico che è l'equivalente della volontà di
potenza in ambito filosofico e del nichilismo che ne consegue, perché
tende continuamente a riempire un vuoto di identità con un accumulo
permanente di beni e risorse materiali sconfinate, tanto che ormai
meno di dieci persone su questo pianeta posseggono più di 3 miliardi
e mezzo di altre condannate alla marginalità, precarietà e
nomadismo, ma è anche il prodotto di un sistema educativo,
culturale, sociale e persino famigliare malato.
Perché sin da piccoli si viene
educati a competere e ad emergere, più che a relazionarsi e a
collaborare, ci viene inculcata la prassi del confronto spasmodico
sui beni, sul dovere primeggiare a tutti i costi con una competizione
esasperata, con la dicotomia perdente-vincente, con l'aut aut tra
realizzato-fallito. Insomma si cresce in un brodo di coltura
mefitico in cui i veleni dell'attaccamento al proprio ego e quelli
dell'avversione ad ogni ego differente e contrapposto sono il pane
quotidiano avvelenato della nostra crescita, maturazione,
invecchiamento e morte.
Per una vita completamente vuota e
priva di senso, la quale anche nella più esaltante ricchezza o nei
piaceri più sfrenati, non ha altro orizzonte che la disperazione
E' la logica dell'homo homini lupus,
del predatore umano che non serve per mantenere l'equilibrio delle
altre specie viventi, o la loro selezione, ma è utile solo per
creare un essere umano obeso di materia e sofferenza.
Diceva Cecilio Stazio: "Homo homini deus
est, si suum officium sciat": l'uomo può elevarsi a divinità nel
contesto umano se davvero conosce il suo officium, parola latina che
deriva da “opem facio”, agisco con premura, con capacità, con
consapevolezza della necessità. Cicerone
scelse questo termine per tradurre kathékon
(in
greco il dovere) e
cioè
ogni
azione conforme a natura, razionale e per questo doverosa moralmente:
quod
autem ratione actum est, id officium appellamus
(fin.
3,
58, 14): “ciò che vien fatto secondo ragione, lo chiamiamo
officium”,
in quanto è doveroso seguire la propria natura di esseri razionali.
Quindi
non alla libertà sfrenata dovremmo essere educati ma alla
consapevolezza razionale che la nostra libertà è tanto più pura,
onesta e fruttuosa quanto coincide con la responsabilità verso tutto
quello che ci circonda: esseri umani, animali, piante, natura,
universo
La
nostra identità è sempre “sociale” ed “ecologica”, parte
dall'ambito culturale e politico in cui siamo nati e cresciuti e si
estende naturalmente a tutto il cosmo, non può essere altrimenti. E
tanto più noi riusciamo a relazionarci in maniera interpersonale,
internaturale e intersociale, tanto meglio la nostra identità sarà
portata ad elevarsi verso orizzonti divini e universali, lasciando
sulla Terra solo orme fiorite di accresciuti doni per le future
generazioni.
Tanto
più, invece, saremo portati ad esaltare il nostro io, la nostra
nazione, il nostro patrimonio, il nostro clan famigliare, politico o
criminale, tanto meno potremo sperare di superare la nostra misera
finitudine, e poter credere di essere più del nulla da cui veniamo e
a cui siamo destinati.
Ecco
quindi che una umanità che lascia che una decina di ricchi regni su
miliardi di poveri, che preferisce salvare una banca piuttosto che un
paese, che celebra la rinascita di un paese come la Grecia,
considerato come un mero aggregato economico, pur consapevole del
suo funerale umano e politico, una umanità che macina la
biodiversità a ritmi catastroficamente vertiginosi, non è che un
nulla con dei numeri che certificano nei depositi bancari la sua
strabiliante nullità.
La
Grecia oggi è il paradigma di questa prospettiva, il termometro di
una condizione europea e globale, non sapere cogliere i segnali che
da essa provengono e cercare facili vie di fuga e altri capri
espiatori, vuol dire essere ciechi che guidano altri ciechi. L'Europa
sta collassando perché non ha compreso che la sua identità non
dipende da una nomenklatura di burocrati che dettano regole a tutti e
nemmeno dall'esaltazione delle identità di ciascuno stato, ma
soprattutto dalla interdipendenza del destino dei suoi popoli e direi
anche di quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
E'
stato il continente più feroce nella storia della umanità,
devastandosi e suicidandosi in due guerre che ha esportato in tutto
il globo per circa mezzo secolo.
O
impara adesso oppure non imparerà mai più.
E
a quel punto di essere europei o di altri paesi non ce ne importerà
un fico secco, ci importerà piuttosto di restare umani e di conoscere il nostro compito e dovere di esseri umani.
“Felice
te, che la mia doglia ardisci partecipare, e fuor di colpa resti! Ma
lasciami or, di me cura non darti. Modo non v'è che tu possa
convincermi. Bada a te stesso, fa' che il tuo viaggio non ti debba
fruttar qualche cordoglio.” (Prometeo)
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